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industriale si sta rapidamente avviando verso quella che viene
definita “società conoscitiva,”.
Questi temi hanno trovato ampia ed accurata trattazione in
varie pubblicazioni curate dalla Commissione Europea che
costituiscono pietre miliari nell’evoluzione della materia; in
particolare il libro bianco di E. Cresson “Insegnare e apprendere –
Verso la società conoscitiva”, il libro verde sulla “Dimensione
europea dell’istruzione” e quello sull’”Anno europeo per la
formazione durante tutto l’arco della vita”.
Le radici del sistema di istruzione e di formazione inglese
sono ovviamente antecedenti all’impianto programmatico del
sistema europeo che, pur rispettando la specificità culturale dei vari
paesi dell’Unione, sostiene uno sviluppo coordinato ed armonico
delle relative normative.
Il sistema inglese risulta regolato da poche fondamentali
leggi: gli Acts del 1918, 1944, 1976, 1988, 1992, 1997.
L’Act del 1918 ha elevato l’istruzione obbligatoria all’età
di quattordici anni ed ha operato contemporaneamente un
intervento nei confronti delle Lea.(Local Education Authorities)
strutture cui, fino a quel momento, era stato affidato, con
amplissima autonomia, il compito organizzativo dell’ istruzione.
Nel periodo compreso fra il 1918 ed il 1944 si è assistito ad
un vivace dibattito in merito alla scelta delle soluzioni più idonee
per assicurare a tutti una adeguata istruzione secondaria;si trattava,
in sintesi, di optare tra un sistema scolastico “selettivo” (grammar
schools, technical schools, Modern schools) con possibilità per i
più dotati di accedere ai livelli più alti dell’istruzione, ovvero
aderire ad una forma “comprensiva” , cioè priva di distinzioni al
proprio interno, che desse indistintamente a tutti una formazione di
base uniforme, finalizzata alla prevalente formazione del cittadino
prima ancora del tecnico.
La prima soluzione era fondata sulla convinzione che
considera l’intelligenza un dato naturale, indipendente dalle
condizioni ambientali. Pertanto il solo sistema “selettivo”, fondato
sul merito, sarebbe stato in grado di fornire una prospettiva di
sviluppo ai capaci e meritevoli garantendo così anche una
conseguente mobilità sociale, grazie al modo con cui il sistema
educativo inglese, definito come “misto”, riusciva a compensare le
disuguaglianze sociali, fornendo opportunità di studi agli studenti
“dotati”.
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Alla base della soluzione “comprensiva”, invece, non c’era
soltanto la convinzione che fosse necessario organizzare le scelte
professionali inserendole in un solido impianto culturale, ma
soprattutto la volontà di abbattere le barriere sociali che trovavano
espressione nella tripartizione del sistema. La scuola comprensiva
venne intesa come comunità educante, funzionale alla convivenza
civile, piuttosto che mera istituzione formativa in cui i relativi
processi si svolgessero insieme a quelli di professionalizzazione.
Tale ultima impostazione trovò avvio nel 1965 con
l’avvento al governo inglese del partito Laburista il cui Ministro
dell’Educazione Antony Crosland pose fine con una semplice
circolare alla selezione all’età di undici anni ed eliminò la
separazione tra i vari tipi di istruzione secondaria.
Lo stesso partito Laburista con una legge, Act del 1976,
consolidò la riforma del sistema scolastico e conferì al Segretario di
Stato per l’Educazione il potere istituzionale di attuare sull’intero
territorio nazionale la scuola secondaria di tipo comprensivo
La successiva riforma del 1988, intrapresa dal governo
conservatore di Margaret Thatcher, rappresentò un intervento
strutturale ed organico di revisione del sistema educativo
progressista e del modello di Stato assistenziale sviluppato dal
partito laburista nel dopo guerra. Essa è stata caratterizzata dalla
introduzione del National Curriculum, obbligatorio per tutte le
istituzioni scolastiche operanti nell’età dell’obbligo: furono infatti
fissate dieci materie fondamentali, tre delle quali (inglese
matematica e scienze) dovevano costituire l’area comune; le
rimanenti sette materie (tecnologia, storia, geografia, lingua
straniera, musica,arte ed educazione fisica) erano orientate a
contenuti di ambiti culturali diversificati. Altro aspetto innovativo
della riforma riguardò i programmi delle varie materie che non
vennero appositamente definiti per consentire una loro modularità
in funzione delle esigenze future: furono, infatti, tracciate solo le
linee guida dei programmi stessi.Per contro, vennero enunciati con
grande precisione gli obiettivi che dovevano essere raggiunti alla
fine dei dieci anni della scuola dell’ obbligo .
La terza novità della riforma Thatcher riguardò
l’introduzione di sistemi di valutazione del profitto da effettuare a
intervalli regolari per quanto riguardava la scuola dell’obbligo. Nel
contesto di questa riforma si completò la riorganizzazione
dell’impianto strutturale degli organi preposti al governo
dell’istruzione e della formazione; fu così ridotto il potere delle
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LEA, si affermarono il dirigismo governativo (Dipartimento
dell’Educazione) e la connotazione aziendale degli istituti
scolastici.
Nel 1992 è stata avviata la Riforma della Further Education
(Further and Higher Education Act); essa consisteva in un sistema
di formazione variamente articolato, volto a contribuire allo
sviluppo spirituale, morale, mentale e fisico della comunità,
riservato a coloro che avevano superato l’età dell’istruzione
obbligatoria (16 anni)
I tipi di istituti che offrivano Further Education in
Inghilterra erano i Further education Colleges, i Tertiary Collages,
i Sixth Form Collages, e i Centri per l’educazione degli adulti .
I Further education Colleges offrivano istruzione
professionale e formazione: presso di essi era possibile acquisire
preparazione specialistica nei vari settori ed ottenere qualifiche
professionali specifiche NVQ (National Vocational Qualification) o
qualifiche professionali generali GNVQ (General National
Vocational Qualification ), mentre I Sixth Form Colleges offrivano
una istruzione di tipo generale che portava al conseguimento del
GCE( General Certificate of Education) – A Level. Qust’ultimo
titolo consentiva di accedere anche a certi tipi di istruzione
universitaria.
L’aspetto innovativo e di grande rilevanza prospettica della
riforma in questione è rappresentato proprio dalla introduzione di
un sistema di qualifiche (NVQ )che aveva lo scopo di
standardizzare le qualifiche professionali esistenti in modo tale da
aumentarne la comparabilità, l’accessibilità, la leggibilità e la
diffusione. Questo sistema, per le sue caratteristiche di efficienza,
organicità, flessibilità e oggettività e per essersi, in effetti,
rapidamente diffuso a livello nazionale fino a coprire a tutt’oggi
circa il 90% dei lavoratori , ha dimostrato di corrispondere
concretamente ed efficacemente alle esigenze del mondo del
lavoro. Per completezza di informazione, si possono indicare come
punti deboli del sistema la mancata previsione di strumenti di
controllo istituzionalizzati e la non ancora integrale copertura di
tutti i settori produttivi.
Al riguardo occorre segnalare che, in tanto il sistema sopra
delineato poteva funzionare in quanto ad esso corrispondeva un
efficiente sistema in grado di produrre capitale umano adattabile al
cambiamento e fornito di competenze rinnovabili e rivalutabili. Da
qui l’esigenza di valorizzare - attraverso il più idoneo utilizzo delle
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varie tipologie di formatori - la qualità della formazione,
coinvolgendo e investendo nelle persone e nelle loro abilità.
Il sistema inglese, proprio per la sua versatilità, ha generato
nel tempo una notevole varietà di figure professionali di formatori.
Un tentativo organico di classificazione può prendere come base di
riferimento il criterio “cronologico” che raccorda la fase
immediatamente successiva alla fine della scuola dell’obbligo per
arrivare alla formazione dei formatori e ai diversi tipi di tutorato. E
così è possibile annoverare “formatori nell’istruzione post-
obbligatoria”, “formatori nella formazione giovanile”, “formatori
nelle organizzazioni” cioè nelle aziende. In tale ambito la figura in
questione assume una variegata articolazione professionale che
comprende i “formatori managers”, i “formatori progettisti”, i
“formatori supervisori” i “formatori temporanei” e i “formatori
amministrativi”; a queste figure si aggiunge quella polivalente del
“tutor” che si identifica di solito in un lavoratore nominato e
stipendiato dal datore di lavoro per farsi carico della responsabilità
della formazione iniziale, della formazione continua o della
riqualificazione degli apprendisti all’interno dell’azienda.
Pur nella diversità delle tipologie e delle figure di formatori,
si possono riconoscere come aspetti comuni degli stessi la
flessibilità, il dinamismo, la capacità analitica, le doti
comunicative, l’efficienza e la professionalità. E’ comunque
importante per il formatore possedere una spiccata capacità
analitica che si estrinseca nella capacità di analizzare i problemi
dell’azienda per essere poi in grado di proporre soluzioni (problem
solving). Altre caratteristiche particolari variano in funzione dello
specifico profilo professionale del formatore stesso. Come si è
visto, infatti, esaminando le varie tipologie di formatori, i compiti
sono spesso diversi, pur con caratteri unificanti. Guardando nel
dettaglio si possono identificare competenze specifiche per ogni
tipo di formatore.
Quanto ai titoli di studio necessari per svolgere la
professione, va notato che non esiste attualmente un quadro legale
che imponga in Inghilterra agli insegnanti e ai formatori un
percorso professionalizzante prefissato Tuttavia la recente
formalizzazione del quadro nazionale NVQ, ha sicuramente
costituito un fattore di pressione affinché insegnanti e formatori
acquisiscano almeno una qualifica di base.
Oggi i formatori e gli insegnanti che non hanno un titolo
riconosciuto e che desiderino lavorare nell’ambito della formazione
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continua e dell’insegnamento per gli adulti, possono ottenere una
certificazione frequentando corsi per ottenere NVQ di livello 3, di
livello 4 e di livello 5 in Training and Development; gli ultimi due
sono riservati a laureati.
Ma anche i formatori più “titolati” debbono periodicamente
sottoporsi a processi di aggiornamento per non incorrere in una
sorta di “obsolescenza professionale” che li eliminerebbe
rapidamente dal mercato. La formazione dei formatori è gestita in
Inghilterra sia da soggetti pubblici che da privati (grandi banche,
università e centri di ricerca collegati a queste ultime). Le
combinazioni utilizzabili sono estremamente variegate e tali da
consentire l’utilizzo anche di ridotti spazi temporali. In effetti si va
da corsi di durata biennale per il Master in “Education and
Training and Development” a corsi di 120 ore di studio che
possono essere effettuati con modalità diverse ed estremamente
flessibili tanto da configurare una amplissima gamma di possibilità
che comprende attività didattiche e teoriche realizzabili anche in
teleconferenza o, comunque, con l’ausilio di mezzi audiovisivi.
Per quanto riguarda la situazione in Italia, va notato che, in
buona sostanza, iniziative di formazione sono sempre esistite, sia
nel settore pubblico che nel privato; esse erano però fondate
prevalentemente su base volontaristica o sostenute da logiche e
legittime aspettative di tornaconto economico/professionale del
singolo e/o dell’organizzazione economica coinvolta ovvero, se di
natura pubblicistica, tese al reinserimento economico di elementi in
difficoltà ed oltre l’età della scuola dell’obbligo; viceversa è
l’aspetto istituzionale, organico, strutturato, finanziato e/o
incentivato che in Italia non esisteva e che solo da pochi anni
comincia a muovere i primi passi, sostanzialmente in linea con gli
orientamenti adottati in materia da parte dell’Unione Europea.
La legge 236/93 ha regolamentato il sistema nazionale di
formazione continua; essa stabilisce che “per attività di formazione
continua si intendono quelle attività rivolte ai soggetti adulti,
occupati o dipendenti, alle quali il lavoratore può partecipare anche
per autonoma scelta, ovvero quelle predisposte dalle aziende al fine
di adeguare o di elevare le professionalità e competenze in stretta
connessione con l’innovazione tecnologica e organizzativa del
processo produttivo”.
E’ importante segnalare che la legge in questione prevede
anche l’utilizzo a titolo di “contributo alle aziende” degli specifici
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finanziamenti da parte del Fondo Sociale Europeo oltre
all’aggiornamento o riqualificazione di formatori.
Tra le principali disposizioni legislative che si inseriscono
all’interno dell’attuale scenario normativo, assume particolare
rilievo il “patto del lavoro” del 1996 nel quale si riconosce
all’istruzione e alla formazione professionale un ruolo centrale
nelle politiche attive del lavoro, mentre la legge 196/1997, mirando
alla promozione dell’occupazione, ha attivato - in un’ottica di
decentramento delle funzioni di politica del lavoro - il
trasferimento alle autorità regionali dei compiti di politica attiva.
Infine, il patto per lo sviluppo e l’occupazione del 1998 ha
ulteriormente accentuato l’integrazione tra istruzione e formazione
come fattore centrale anche per l’impostazione dello stato sociale.
In tale ottica è stato elevato l’obbligo scolastico e si è introdotto
l’obbligo formativo, si è riqualificata l’offerta formativa destinata
ai giovani ed agli adulti, lavoratori e non, si sono riformati i corsi
universitari, sono stati costituiti fondi interprofessionali per la
formazione continua e la sperimentazione di un sistema di
educazione degli adulti.
L’obiettivo principale è dunque quello di conseguire il
miglioramento culturale della popolazione adulta al fine di
favorirne l’inserimento lavorativo.
Dal 1996 ad oggi abbiamo, pertanto, assistito ad un
ridisegno complessivo del sistema di istruzione e formazione che
ha visto, tra l’altro, l’elevamento dell’obbligo scolastico al 15°
anno di età (legge 9/1999), l’introduzione dell’obbligo formativo
fino al 18° anno di età (art.68, legge 144/1999) e la costituzione,
nell’ambito del sistema formativo integrato, della filiera
dell’istruzione e formazione tecnico-professionale superiore
(IFTS).
Gli interventi normativi descritti e la rilevazione delle varie
forme in cui gli stessi si sono realizzati a livello centrale e locale
sono motivo di soddisfazione soprattutto se rapportati al breve
lasso di tempo intercorso dal 1996 ad oggi.
Nella attuazione concreta della nuova normativa possiamo
cominciare a meglio delineare sia la figura del formatore che i suoi
settori operativi.
La dottrina ha enucleato diverse figure di formatori
correlate alle varie funzioni svolte dagli stessi e precisamente
formatore docente con competenza specialistica su una specifica
area tematica, formatore metodologo come tecnologo
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dell’educazione, formatore gestore o formatore manager che funge
da collegamento tra il sistema di formazione e il sistema
organizzativo di cui fa parte ed infine formatore consulente
processista. Quest’ultima figura è la più specificamente formativa
insieme a quella del formatore metodologo; é competente nella
gestione dei fattori di processo che intervengono
nell’apprendimento degli adulti. Va precisato, al riguardo, che il
processo formativo è caratterizzato da quattro momenti importanti
consistenti nell’analisi dei bisogni, nella conseguente
progettazione, nell’erogazione del servizio ed infine nella verifica
dei risultati.
A fronte delle figure professionali individuate dalla
dottrina, così come sopra descritto, il CCNL siglato nel 2002 ha
codificato le stesse in funzione di due aree funzionali
rispettivamente individuate nella progettazione-valutazione-
promozione e nella erogazione dei servizi.
Nella prima area funzionale si individuano le figure del
progettista, del valutatore e del promotore., mentre nella seconda
sono inserite quelle del formatore, del formatore tutor,
dell’orientatore e del coordinatore. Tutte le figure di contratto
richiedono il possesso di idoneo titolo di studio (diploma di suola
secondaria superiore integrato da corsi formativi o laurea).
Quanto ai settori operativi di competenza del formatore,
egli sviluppa la sua attività sia in ambito di prima formazione
professionale diretta ai giovani in uscita dalla scuola dell’obbligo
sia nell’ambito della formazione continua. In tale contesto lo stesso
finalizza la sua attività per il mantenimento, l’aggiornamento ed il
perfezionamento delle conoscenze con il precipuo scopo di
prevenire l’espulsione dal mercato del lavoro e/o di favorire il
miglioramento professionale del lavoratore.
L’elaborato si conclude ponendo a confronto sia i sistemi di
istruzione e di formazione vigenti nei due Paesi, sia le figure
operanti nel settore della formazione. Il confronto tra i due sistemi
evidenzia preliminarmente il primo motivo di scostamento
individuato nella diversa durata della scuola dell’obbligo che in
Inghilterra coincide dal 1988 con il 16° anno di età mentre l’ Italia
comincia ora ad adeguarsi alla recente normativa (legge n. 9/1999)
che fissa al 15° di età l’obbligo scolastico ed al 18° quello
formativo. Una fondamentale differenza di carattere generale vede
invece il sistema inglese variamente articolato nell’intero Regno
Unito e permeato da notevole pragmatismo, flessibilità, modularità
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e dinamicità, caratterizzato inoltre da uno stretto contatto con il
mondo economico. Il sistema italiano, tuttora in evoluzione e con
diffusione territoriale disomogenea, risente ancora di una
impostazione teorica e rigida, sebbene in via di attenuazione, con
tendenza di orientamento verso il modello europeo che propone il
riconoscimento delle competenze attraverso la creazione di una
specifica tessera personale che permetterebbe, a chi ne ha titolo, di
far riconoscere le proprie conoscenze e competenze in tutta
l’Unione Europea.
Per quanto attiene il paragone tra omologhe figure nel
settore della formazione, esso non appare significativo se limitato
alla sola denominazione delle figure stesse, atteso che in entrambi i
sistemi esse sostanzialmente si equivalgono; occorre invece
prendere a riferimento, come elemento più significativo di
confronto, il possesso della qualifica professionale NVQ livello 3, 4
e 5.” che caratterizza il formatore nel sistema inglese
E’ dunque quest’ultima qualificazione (NVQ) che concreta
e configura lo scostamento fra le figure del formatore inglese e
quelle del formatore italiano e, in definitiva, tra i due sistemi di
formazione, decretando quindi la prevalenza di quello inglese che
lo ha elaborato, disciplinato ed ampiamente adottato, rispetto a
quello italiano in cui non esiste ancora un omologo.
Per meglio comprendere ed approfondire il sistema di
istruzione e formazione inglese, la candidata ha trascorso un
periodo di due mesi a Londra per un tirocinio presso una Agenzia
di formazione ed ha redatto una specifica relazione che fa parte
integrante della presente tesi.