6
1. il grado di “complessità” del processo gestionale delle imprese di
servizi è minore rispetto a quello delle aziende di natura
industriale, in quanto la fase di trasformazione economica è assai
meno articolata;
2. la dimensione delle aziende di servizi è normalmente ridotta e,
anche nel raro caso di entità più consistenti, esse hanno
normalmente una elevata focalizzazione, configurandosi quasi
sempre come imprese mono-business;
3. i sistemi di controllo, nati e pensati per le imprese industriali, sono
di fatto inadatti a quelle di servizi e spesso la loro adozione non
porta a risultati soddisfacenti
3
.
In ordine al grado di “complessità” ci si è da tempo accorti che se
pure, entro certi limiti, non esiste una fase di trasformazione tecnica dei
prodotti/servizi non questo non consegue una maggiore semplicità nei
processi di gestione.
Si deve, al contrario, sottolineare come ormai tutte le imprese
abbiano un forte orientamento al servizio e che proprio a questo venga
riconosciuto una rilevante criticità.
3
Cfr.: H. MINTZBERG, La progettazione dell’organizzazione aziendale, Bologna, Il Mulino, 1985
7
Per quel che riguarda la “focalizzazione”, l'unica osservazione da
fare è che con ogni probabilità il management delle imprese di servizi ha
forse avuto la capacità di guardare più lontano di quello di altri settori, se
è vero che ormai vi sia una sempre maggiore e generalizzata tendenza a
dedicarsi ad attività nelle quali l'impresa abbia risorse e competenze
adeguate e quindi, anzitutto, a concentrarsi in un unico settore o,
comunque, in settori in cui le propri capabilities rappresentano un fattore
critico di successo.
L'ultimo punto, inerente la vocazione industriale dei sistemi di
controllo, è quello che merita una maggiore attenzione. Si pensi, in
proposito, alla distinzione cardine della contabilità industriale
tradizionale, quella tra costi fissi e variabili.
Che rilievo può avere in imprese in cui tutti i costi, nella maggior
parte dei casi, sonno fissi?
La mancanza di riferimenti coerenti con l'approccio gestionale e
con le caratteristiche strutturali del terziario ha pertanto comportato uno
scarso interesse ed una limitata cultura del controllo, la cui carenza, però,
inizia oggi ad essere avvertita come una grave lacuna gestionale, almeno
in quelle attività di servizi che hanno vissuto maggiori livelli d crescita e
di concentrazione, quali quello dei servizi bancari, assicurativi e della
grande distribuzione.
8
In settori di questo genere è cresciuta, dunque, l'esigenza di avere
a disposizione sistemi decisionali e di controllo efficaci. Il problema è
che si continua a voler dare risposta alla richiesta di controllo in modo
tradizionale cercando di trasferire, sic et simpliciter, gli strumenti di
controllo industriale nelle imprese di servizi. Al contrario, il tipo di
cultura gestionale, di approccio e di interessi, è così diverso che è
necessario elaborare un approccio originale, se non si vuole arrivare ad
un altrimenti inevitabile rigetto
4
.
Bisogna quindi affrontare il problema sopra esposto non nella sua
globalità ma cercando di individuare “nei dettagli” su cosa debba
focalizzarsi il sistema di controllo di gestione, per un adeguato
monitoraggio di una impresa di servizi, al fine di rendere effettivamente
integrato il controllo stesso al più ampio sistema aziendale.
Il presente studio è rivolto ad approfondire tale approccio,
soffermandosi in particolare sulle tipologie delle aziende della “grande
distribuzione organizzata” che, per le loro peculiarità, offrono validi
spunti di analisi per una visione più estesa e completa delle variabili e
delle problematiche che si presentano nella progettazione di un adeguato
sistema di controllo direzionale.
4
Cfr. E. BORGONOVI, Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni pubbliche, Milano, Egea,
1996, p. 29
9
Nella fattispecie è stato possibile assumere come caso di studio il
Consorzio Nazionale Dettaglianti (CO.NA.D.), realtà economica leader
nel settore della grande distribuzione, in particolare alimentare, che ha
sviluppato un sistema di controllo di gestione con peculiarità interessanti
per un approfondimento mirato dell’analisi oggetto del presente lavoro.
10
CAPITOLO I
IL SETTORE DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE E LE
AZIENDE DEL SETTORE “ALIMENTARE”
1.1 Le aziende della grande distribuzione: caratteristiche e profili
organizzativo-societari
Le imprese di grande distribuzione si differenziano
sostanzialmente dalle imprese industriali perché attuano un tipo di
processo produttivo differente da queste ultime; la loro attività consiste
infatti nella produzione di “utilità”
5
, in particolare di un servizio
finalizzato alla vendita di merci.
Nell’ambito di tale processo assume particolare rilievo la funzione
finanziaria significativamente integrata alla gestione commerciale di
queste aziende, funzione che si riflette nella gestione del capitale
circolante, la cui voce di maggior peso è rappresentata dalle scorte, che
costituiscono quindi, la variabile principale nella determinazione dei
fabbisogni e dei relativi costi di reperimento delle risorse.
5
Cfr. CASSANDRO P. E., Trattato di ragioneria, L’economia delle aziende e il suo controllo,
Cacucci, Bari, 1982, pag. 22
11
Il presente studio, come innanzi anticipato, verte in particolar
modo sulle imprese della grande distribuzione, le quali possono
classificarsi secondo le modalità più varie.
Nota e diffusa, ad esempio, è la distinzione in:
a) società a catena di tipo capitalistico;
b) forme associative tra dettaglianti indipendenti;
c) società a catena di tipo cooperativistico;
Sono società a catena di tipo capitalistico quelle imprese di grande
distribuzione con forma giuridica di diritto privato, tipicamente S.r.l. e
S.p.A
6
.
Rientrano in questo modello alcune delle maggiori aziende del
settore, quali Generali Supermercati ed Esselunga, operante nel food
attraverso una propria divisione specializzata. In genere tali società,
direttamente o attraverso loro controllate, si avvalgono di una pluralità di
prodotti commerciali ma, almeno per le maggiori, la tendenza ormai
consolidata è quella di utilizzare superfici di vendita di grandi
dimensioni, a partire quindi dai supermercati per arrivare sino agli
ipermercati.
6
Cfr. X.J. STANTON-R. VARALDO, Marketing, Il Mulino, 1986.
12
I grandi gruppi, per altro, hanno teso a “testare” i discount, senza
però arrivare ad un numero elevato, e normalmente, costituendo società
ad hoc.
Le associazioni tra dettaglianti indipendenti, o tra dettaglianti e
grossisti, vengono nel loro complesso denominate “distribuzione
organizzata” e rappresentano una presenza diffusa ed importante nel
settore, tuttora prevalente, in termini di quota di mercato, rispetto a
quella della “distribuzione moderna”
7
.
Esempi di distribuzione organizzata sono, per citarne alcune, le
associazioni che utilizzano i marchi Conad, e Despar
8
.
Quello delle forme associative, inoltre, è un mondo in rapida
evoluzione, nel quale è in atto una tendenza alla concentrazione interna,
come del resto è già accaduto in altri paese, primo fra tutti la Germania,
dove, all’interno di tali formule, si ritrovano ormai vere e proprie catene
di supermercati.
Resta comunque il dato che i punti vendita facenti capo a queste
tipologie distributive sono normalmente di piccole o medie dimensioni,
con una netta prevalenza di superette e piccoli supermercati.
7
Nella c.d. “distribuzione moderna” rientrano le società a catena, quale che sia la loro forma
societaria, lucrativa o cooperativa.
8
Cfr. U. COLLESI (a cura di), La distribuzione alimentare organizzata in Italia, Milano, Cesdit, 1987
13
Infine, le società a catena di tipo cooperativo. Fanno parte della
categoria in oggetto le società di distribuzione commerciale di tipo non
lucrativo, più esattamente quelle che si avvalgono della forma giuridica
della società cooperativa, a responsabilità limitata e non.
È bene premettere che tutte le centrali cooperative hanno almeno
un settore che riguarda la distribuzione commerciale.
Nel nostro caso possiamo fare riferimento, alla Lega Nazionale
Cooperative e Mutue, la quale, al suo interno ha ben due associazioni
che riguardano il commercio, l’Associazione Nazionale Dettaglianti, e
l’Associazione Nazionale Cooperative di consumatori.
È l’Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori
(A.N.C.C.) che dispone, attraverso Coop Italia S.r.l., del logo Coop a
rappresentare pienamente la formula delle società a catena di tipo
cooperativo.
Anzitutto, è bene fare chiarezza rispetto ad un fraintendimento
diffuso e che però dimostra l’efficacia delle politiche di marchio
condotte dal sistema Coop.
14
“Coop” è , anzitutto un marchio, dietro il quale si ritrovano
imprese cooperative diverse, le quali operano sul mercato nella più
completa autonomia.
Oltre al marchio, un ulteriore elemento che differenzia le Coop
rispetto ai concorrenti è la possibilità di fare ricorso al c.d. “prestito
sociale”, una pratica molto diffusa soprattutto tra le grandi cooperative,
per le quali rappresenta una fonte primaria di reddito.
15
1.2 L’organizzazione dell'attività distributiva: i “prodotti” e la rete
di vendita
L’economia delle aziende, oggetto del presente lavoro, presenta
una organizzazione di vendita con delle strutture del tutto particolari, tali
da poter essere consone alle diverse tipologie di domanda soddisfando al
meglio, i differenti bisogni dei consumatori, a tal punto che le stesse
assumano una fisionomia se vogliamo coincidente ai prodotti oggetto
dell’offerta stessa. Da ciò ne consegue la definizione per queste strutture
di prodotti commerciali che sia pur con metafora, esprimono di fatto, le
proprietà organizzative e gestionali che queste devono assumere come
intrinseco riferimento proprio degli oggetti dell’offerta commerciale
stessa.
In questo senso, pertanto, il modello di riferimento per la
classificazione delle “strutture-negozio” è vicino a quello della
concezione di prodotto/servizio che lo vede articolato in nucleo centrale
e servizi accessori
9
.
9
Cfr. R. NORMANN, La gestione strategica dei servizi, Milano, Etas Libri, 1985;
16
In linea con quanto premesso le strutture definite, come “prodotti
commerciali” possono ricondursi alle seguenti tipologie:
ξ supermarket;
ξ superette;
ξ discount;
ξ ipermercato;
ξ superstore
Essi si distinguono tra loro, essenzialmente, per dimensioni della
superficie di vendita, assortimento dei prodotti offerti - per varietà (ad
esempio scarpe e dentifrici) e per profondità (scarpe Geox e Campanile)
- e, ancora, per le disponibilità di servizi accessori (le cosi dette
facilities) messi a disposizione dei consumatori
10
.
Esiste, in realtà, anche una classificazione
11
"ufficiale", proposta dal
Ministero dell'Industria del Commercio e dell'Artigianato. Essa però si
limita a dettare criteri quantitativi, basati esclusivamente sulle superfici
di vendita. Un approccio del genere, se pur risponde ad esigenze di
rilevazione statistica, è del tutto insoddisfacente in chiave gestionale
12
.
10
Cfr. A. DAYAN-R. SBRANA, La distribuzione commerciale , Torino, Giappichelli, 1994
11
Per una lettura dei criteri ministeriali, si veda: MINISTERO DELL’INDUSTRIA, DEL
COMMERCIO E DELL’ARTIGIANATO, Caratteri strutturali del sistema distributivo in Italia al 1°
Gennaio 1990, Roma, Settembre 1990.
17
Basta pensare, ad esempio che i discount e le superette, pur presentando
una dimensione di spazio espositivo analoga, hanno caratteristiche di
prodotto completamente diverse.
Per esigenze di chiarezza e completezza, anche se in estrema sintesi, è
bene descrivere ogni singolo prodotto.
Il supermarket, nelle sue varie forme, è il prodotto commerciale più
diffuso nel nostro Paese. Esso consiste in un negozio di oltre 400 metri
quadri, ma può arrivare fino a circa 2.200-2.500. Anzi, la tendenza è
quella di una crescita della dimensione media.
Il supermercato presenta, normalmente, circa 2000 referenze, in
prevalenza di tipo alimentare e grocery, seppure non manchi, ormai da
tempo, una sua versione "integrata" in cui al food si accompagna un
certo assortimento di non alimentare.
Il supermarket, ancora, è generalmente dotato di un'area
parcheggio dedicata, il che gli consente di ampliare il bacino di utenza
potenziale ben al di là dell'immediato vicinato.
12
Cfr. S. POZZOLI, Le imprese di grande distribuzione alimentare . Criteri di analisi dei costi,
Padova, Cedam, 1993