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Le letterature, le culture e l'Europa: storia, scrittura e traduzioni
Federico Pellizzi, Per una grammatica culturale della testualità digitale - Introduzione
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supporti si incontrano, in modo assolutamente non determinato e non
deterministico: la nuova testualità digitale. Il testo rimane, a nostro avviso, lo
spazio semiotico privilegiato in cui una cultura si riconosce, in cui modifica i
propri parametri intellettuali e in cui rispecchia le proprie istituzioni, come gli
studi, tra gli altri, di Jack Goody hanno ampiamente mostrato.
1
Ma il testo è anche
e soprattutto uno spazio sperimentale, uno spazio culturale pragmatico dove si
collaudano forme del discorso e modelli di ordinamento del reale. Nel caso della
testualità digitale intervengono a nostro avviso fattori di grande rilevanza, di cui si
discuterà nel presente lavoro, che illuminano non solo alcuni caratteri della nostra
cultura di passaggio, ma, con una sorta di retroazione, influenzano fortemente
certi orientamenti della tecnologia.
Si è detto trattarsi di fenomenologia della testualità per sottolineare che non
si tratta di considerare solo le forme esteriori del testo, e non si tratta tanto di
applicare le teorie o le discipline cresciute sull’analisi della testualità tradizionale,
come la narratologia o la linguistica testuale, alle nuove forme di testualità. Si
tratta bensì di individuare quali siano i nuovi caratteri fondanti della testualità
digitale juxta propria principia. Per questo tipo di analisi è necessario prendere in
considerazione fattori molto distanti tra loro, tecnici, logici, linguistici, retorici,
non perdendo di vista, tuttavia, il legame che tali fattori hanno con la cultura nel
suo insieme, con le teorie, con i sistemi di idee e di metafore che accompagnano
tanto la produzione quanto la ricezione dei nuovi strumenti. È quindi importante
osservare direttamente gli oggetti, i manufatti, i linguaggi, e i loro concreti modi
di funzionamento, insieme ai modelli culturali che essi implicano.
Uno dei primi effetti di una simile analisi è proprio la trasformazione
profonda delle nostre nozioni di testualità e di scrittura. La loro funzione è sempre
stata legata alla possibilità di rendere visibili nello spazio il linguaggio e il
pensiero, pur nelle varie configurazioni storiche che questa operazione di
significazione ha assunto nel corso dei secoli, a partire dalla sensorialità piena
della «traccia grafica» dell’antichità, fino all’ordine visivo astratto e trasparente
1
Si veda, da ultimo, J. Goody, Il potere della tradizione scritta [2000], Torino, Bollati
Boringhieri, 2002.
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della scrittura a stampa. Tuttavia oggi, pur non venendo del tutto meno questi
aspetti, e ripotenziandosi, come voleva McLuhan, l’antico carattere
plurisensoriale della comunicazione, è necessario comprendere che la spazialità
materiale del testo si trasforma radicalmente: da estensiva diviene intensiva, da
pittorica diviene architettonica. Perde totalmente, cioè, l’unicità della dimensione
superficiale. Sul piano culturale ciò è molto rilevante, e fa riflettere
sull’inefficacia, per la comprensione della testualità digitale, di riflessioni sulla
scrittura che hanno esaltato il suo aspetto metonimico (il rimando da significante a
significante in una catena di contiguità infinite)
2
o che rinviano al carattere
puramente visivo della testualità digitale. In altre parole il testo, nelle sue nuove
forme, è stratificato, possiede livelli formalmente e qualitativamente distinti, e
non sempre visibili. Ciò ha conseguenze, come vedremo, semiotiche e logiche.
Influisce cioè sulla nostra concezione del segno e del senso.
Uno dei difetti della discussione sulle neotecnologie è la mancanza, spesso,
di un approfondimento dei concetti e dei termini. Ciò comporta sovente la
fastidiosa impressione che tutti dicano sempre le stesse cose, spesso ricorrendo a
concetti svuotati ormai di ogni capacità non solo critica, ma perfino descrittiva. È
il caso di termini come “interattività”, “multimedialità”, “supporto”, e molti altri.
In questa ricerca si cercherà di definire sempre rigorosamente ciò di cui si sta
parlando, e soprattutto di mettere in luce i legami interni tra i concetti che si sono
impiegati. Qui offrirò semplicemente un piccolo glossario minimo di partenza,
che riguarda tre termini che useremo spesso: discorsività, scrittura e testualità. Il
significato specifico di ciascuno sarà approfondito nelle pagine che seguono. Qui
si vuole soltanto evidenziare che questo triangolo concettuale regge in qualche
modo il piano del discorso. Si tratta in realtà di tre funzioni, più che di tre oggetti,
attraverso le quali si gioca in buona parte il nostro rapporto con il mondo, almeno
nella cultura occidentale. Anche il ruolo dell’immagine, altrettanto importante e
2
È il caso di J. Derrida, Della grammatologia [1972], Roma, Jaca Book, 1998²; e di G. Deleuze e
F. Guattari, Rizoma [1976], Parma-Lucca, Pratiche, 1977; metafora, quest’ultima, che suggerendo
apparentemente proliferazioni sotterranee e la costituzione di plateaux differenti, si è prestata
universalmente, e a nostro avviso erroneamente, a rappresentare l’ipertestualità.
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fondativo nella nostra cultura, e del resto oggi ampiamente studiato,
3
acquista
nuova luce, a nostro avviso, se considerato all’interno delle dinamiche del testo,
della scrittura e del discorso:
discorsività = modo di stabilire collegamenti tra le cose
scrittura = modo di assegnare segni a elementi discorsivi
testualità = modo di dare unità a elementi discorsivi.
Se si è scelto qui di privilegiare il terzo termine come punto di osservazione, anzi
come laboratorio in cui si annunciano i caratteri del nostro tempo, non si è
trascurato di considerare il mutamento di sensibilità che stiamo vivendo in un
complesso più ampio di pratiche di scrittura, di cui a nostro avviso è bene
distinguere concettualmente la funzione e la specificità. Tra discorsività, scrittura
e testualità vige un rapporto circolare, di influenza reciproca, ma risulta produttivo
isolare il ruolo di ciascuna nella configurazione del sapere e della cultura.
Scegliere un tale impianto significa non assumere un punto di vista
“logocentrico”, come risulta a colpo d’occhio confrontando le tre definizioni con
il passo del De interpretatione di Aristotele dove si imposta in modo decisivo e
tanto persistente per l’Occidente il problema della scrittura.
4
Non si presuppone
una ricaduta simbolica che proceda dalle «affezioni dell’anima», giunga poi ai
«suoni della voce», per depositarsi infine nei segni scritti. Si vuole suggerire un
cambiamento di prospettiva, postulando una sorta di “autonomia” della scrittura,
che poco ha a che vedere con l’impostazione grammatologica e decostruzionista,
ma molto, piuttosto, con l’osservazione della testualità digitale nella sua concreta
3
Basti citare qui, tra gli studi più significativi dell’ultimo decennio, e tralasciando gli approcci
programmaticamente interdisciplinari, J.-J. Wunenburger, Filosofia delle immagini [1997], Torino,
Einaudi, 1999; D. Freedberg, Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni
del pubblico [1998], Torino, Einaudi, 1993; P. Sorlin, I figli di Nadar. Il «secolo» dell’immagine
analogica [1997], Torino, Einaudi, 2001; R. Debray, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello
sguardo in Occidente [1992], Introduzione di Elio Franzini, Milano, Il Castoro, 1999; J.-M. Floch,
Identità visive. Costruire l’identità a partire dai segni [1995], Introduzione di Giulia Ceriani,
Milano, Franco Angeli, 1997; L. Marin, Della rappresentazione [1994], Roma, Meltemi, 2001.
4
Aristotele, De interpretatione, 16a, 4-6: «Ordunque, i suoni della voce sono simboli delle
affezioni che hanno luogo nell’anima, e le lettere scritte sono simboli dei suoni della voce»; trad.
it. di G. Colli in Aristotele, Opere, vol. I, Bari, Laterza, 1973, p. 51.
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fenomenicità. Si propone, in altre parole, di interpretare i cambiamenti a cui
stiamo assistendo alla luce di un mutamento antropologico. Se in epoca moderna
la scrittura è stata considerata il mezzo per trasferire il principio d’autorità dal
linguaggio ai testi, qui si propone un cambio di prospettiva in cui la testualità
diviene essa stessa simile al linguaggio, creatrice di forme, e diviene energeia, per
usare un attributo che Humboldt assegnava alla lingua. Si suppone che la sfera
della scrittura (non vista come entità metafisica, ma nel suo rapporto funzionale
con testualità e discorsività) stia giungendo oggi, se non proprio a un grado di
parità con la sfera del linguaggio, a una condizione - per così dire - di
emancipazione, che, come si vedrà, non può intendersi nel senso di una
autoreferenzialità del mondo digitale, ma piuttosto nel senso di una sua sempre
crescente potenzialità pragmatica, autopoietica e creativa.
Una parola va spesa anche per chiarire il rapporto che in questa ricerca si
stabilisce con la letteratura. Il rapporto è duplice. Da un lato, in negativo, si
cercherà di scrollarsi di dosso i pregiudizi letterari che impediscono una
comprensione più diretta della scrittura e della testualità digitale. Dall’altro lato,
in positivo, si ritiene qui che il sapere letterario, in quanto disciplina del testo per
eccellenza, disponga comunque di strumenti di analisi più agili e più adatti di altri,
mutuati da altri saperi e da altre discipline, alla comprensione dei fenomeni
testuali dei nostri giorni.
La scrittura è antichissima, la nozione di «letteratura» recentissima. Ciò
nonostante il sapere letterario è responsabile della nostra attuale concezione della
scrittura, ossia della percezione e della produzione delle unità, teoriche e
mercantili, attraverso le quali essa è riconosciuta e fruita, dal «testo» all’«autore»,
dai «generi» al «libro». La letteratura ha avuto questo ruolo di codifica culturale
perché in un certo senso l’ha ricevuto in appalto dalla modernità. La quale ha
delimitato e diviso «l’immagine del mondo» in ambiti di competenza, assegnando
la sua costituzione a differenti settori disciplinari.
5
Nel pantheon dello spirito
scientifico dell’età moderna alla letteratura spetta il ruolo dell’affermazione
5
H. Blumenberg, Immagini del mondo e modelli del mondo [1961], in «Discipline filosofiche»,
2001, n. 1, pp. 13-23.
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dell’identità, tra individuo e nazione: strategia di autolegittimazione della
modernità stessa che passa proprio per la scrittura, a volte perfino per una
rivendicazione della paternità dell’alfabeto,
6
ma soprattutto per un’industria
editoriale basata sui caratteri mobili e su istituzioni scolastiche basate sul libro.
7
Scalzata da questo suo ruolo strategico primario, ma ancora ricca di saperi
testuali, ora la letteratura può svolgere un ruolo critico, di presenza attiva nel
mondo delle reti, di analisi dei modi della trasmissione, della conservazione e
della configurazione dei saperi.
Non si mira qui ad affermare un qualche «ruolo guida» del letterario,
aspirazione che sembrerebbe oggi donchisciottesca e sterile. Ci si limita a rilevare
che la testualità, e tutti i legami che essa è in grado di istituire, di tipo narrativo,
argomentativo, enciclopedico, e altri ancora, dopo esser diventata il terreno
comune di molte scienze umane costituisce ancora, nonostante le apparenze, il
luogo centrale della riflessione e dell’autocoscienza delle discipline umanistiche e,
in qualche caso, delle scienze in generale.
8
In realtà gli scienziati in molti casi si
scambiano oggetti, più che discorsi e testi, ma ciò rivela l’esigenza di una
discorsività e di una testualità più complesse, piuttosto che sancire la rarefazione
della scrittura o l’avvento dell’immediato, dell’iconico, e del piatto dilagare del
presente.
La discorsività degli oggetti e la presenza degli oggetti nel discorso possono
rappresentare gradi superiori di testualità, e non un ritorno a un primitivismo
comportamentale (anche se tecnologizzato) governato esclusivamente dalle
esigenze del mercato.
6
J. Drucker, Il labirinto alfabetico. Le lettere nella storia del pensiero [1995], Milano, Sylvestre
Bonnard, 2000, p. 200.
7
Si veda a questo proposito Armando Petrucci, Per una nuova storia del libro, Introduzione a L.
Febvre e H.-J. Martin, La nascita del libro, a cura di A. Petrucci, Roma-Bari, Laterza, 1985, in
particolare pp. xxv-xxix.
8
Anche se la scienza sembra aver attraversato un percorso «dal libro ai laboratori», come recita il
sottotitolo della Storia materiale della scienza di Mario Beretta (Milano, Bruno Mondadori, 2002),
la testualità resta un veicolo imprescindibile anche nella formazione scientifica, come mostra lo
studio di Paul A. Prior, Writing/Disciplinarity: A Sociohistoric Account of Litarate Activity in
Academy, Mahwah (N.J); London, Lawrence Erlbaum, 1998.
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Un ultimo cenno a una questione di metodo. Si è detto poche righe sopra, a
proposito della testualità digitale, che si è proceduto individuando livelli. Si tratta
in realtà di un’opzione al tempo stesso metodologica e teorica. Non è possibile
studiare la testualità digitale (e forse nessun altro fenomeno complesso) in modo
tassonomico. Non è nemmeno possibile usare il criterio delle opposizioni binarie
di stampo strutturalista (benché con il digitale ci troviamo nel mondo più binario
che esista), né probabilmente le wittgensteiniane «somiglianze di famiglia».
Bisogna mettere a punto un modo nuovo di comprendere i fenomeni, in una sorta
di visione quantica che non crei suddivisioni rigide ma sia in grado di considerare
gli stessi oggetti su piani differenti. Chiamiamo questo metodo, non avendo finora
trovato un termine migliore, monadico. Ci si riferisce naturalmente alla monade di
Leibniz, ma nel senso in cui la intendeva Michail Bachtin, che in qualche
occasione ha usato il concetto come metafora esplicativa: una monade ricca di
porte e finestre. Secondo noi il modello è molto adatto a descrivere i dislivelli
comunicanti del mondo digitale, dove ogni strato sembra non soltanto un
particolare punto di vista su tutti gli altri, ma anche un punto da cui è possibile
agire, pur con precise limitazioni, su tutti gli altri. Anche attraverso questo tipo di
rappresentazione della complessità il mondo digitale è uno dei tramiti e, al tempo
stesso, uno degli specchi, delle trasformazioni che stiamo vivendo.
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Sommario
Nel I capitolo, dopo un’introduzione sullo status qaestionis dei rapporti tra
discipline umanistiche e informatica, si discutono alcuni grandi problemi di
interpretazione culturale delle neotecnologie, come ad esempio il ruolo della
visibilità e della rappresentazione nella tradizione occidentale e nell’incontro con
le neotecnologie, il passaggio tra tecnica e tecnologia, il ruolo della testualità (di
cui si fornisce una prima definizione) nelle società contemporanee, il rapporto tra
anima analitica e anima architettonica nel mondo digitale, il ruolo
dell’ipertestualità (di cui si forniscono le prime descrizioni); si formulano inoltre
alcune ipotesi, a partire dal nuovo tipo di discorsività introdotto dalle
neotecnologie, sulla natura costitutivamente circolare del digitale. Si affronta
infine il problema della trascrizione e della selezione dei testi.
Nel II capitolo, che costituisce la parte centrale della ricerca, si cerca in
primo luogo di inquadrare il problema del testo in una più fitta rete di questioni
teoriche, storiografiche e di interpretazione. Si propone un’estensione del concetto
di testo a partire da un serrato confronto con le concezioni testuali della filologia e
della teoria letteraria. Si introducono i concetti di “stratificazione”,
“processualità” e “incorniciamento”, “inclusività” e “multimodalità”. Si affronta
poi il problema del rapporto tra testualità digitale e memoria (che sarà ripreso nel
terzo capitolo), mettendo in luce quali sono le peculiarità della memoria digitale.
Si riprende poi il problema di una ridefinizione generale della testualità: si
propone la nozione di «testo emergente» e si individua una zona della testualità
digitale, denominata «testo subconscio», come suo aspetto peculiare e specifico e
come nuova dimensione autoriale del testo. Si affronta poi il problema di un
rapporto tra la testualità digitale e l’interpretazione, mostrando, sul piano
pragmatico, come il testo digitale incorpori l’istanza critica e si configuri come un
particolare atto linguistico. Si affronta poi la vexata quaestio del ruolo dell’autore
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e del lettore da un primo punto di vista, quello esterno al testo, della
produzione/fruizione. Si esaminano poi le possibilità di un ipertesto di rendere le
relazioni intertestuali, ai fini di verificare il ruolo dell’ipertestualità in rapporto
alla testualità tradizionale, e discuterne il compito culturale. Si giunge infine a una
ridefinizione generale dell’ipertestualità, individuando alcuni criteri per una
ricognizione dei generi ipertestuali. Si individuano i caratteri di alcune tipologie di
genere, e alcuni generi: gli ipertesti didattici, di edizione, di ricerca,
argomentativi, creativi, ludici e di condivisione.
Nel III capitolo si affronta il problema concreto della digitalizzazione, e
che cosa essa comporti sul piano della percezione del testo, della sua
rappresentazione e della sua costruzione funzionale. Si esaminano i linguaggi di
marcatura nelle loro caratteristiche sintattiche e morfologiche, nei loro scopi e
nelle loro potenzialità. Intento di questo capitolo è anche contribuire al dibattito
sull’“informatica umanistica”, recentemente definita come classe di laurea
specialistica: si prendono in esame i problemi e i dubbi sull’opportunità culturale
di una simile delimitazione. Si discutono gli obiettivi della digitalizzazione e se ne
propone una classificazione che tiene conto e riprende le osservazioni precedenti
sulla testualità digitale, ma le applica in particolare al lavoro scientifico ed
esegetico sui testi. Si discutono infine alcune ragioni in favore di un allargamento
delle prospettive teoriche e formative dell’informatica umanistica, muovendosi su
un parallelo tra informatica umanistica e retorica, e considerando punti di incontro
con altre altre discipline come l’antropologia, la matematica, la vita artificiale, e la
programmazione orientata agli oggetti. Tutto ciò fornisce l’occasione per tornare
su un problema cruciale della nostra cultura, il rapporto tra digitale e memoria,
alla luce dell’indagine sulle grammatiche della digitalizzazione. Ne viene
confermata la nostra interpretazione architettonica del digitale, in cui cambia
sostanzialmente il rapporto tra semantica e sintassi. Ne emerge l’idea di un
complesso linguistico-memorativo dotato di una certa autonomia, che si è
chiamato “pragmasfera”, caratterizzato dalla connessione tra reti e persone, che
garantisce un’ibridazione permenente tra digitale e analogico.
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Nel IV capitolo si prendono in esame i veicoli della testualità digitale, ossia
gli oggetti, i dispositivi, le funzioni che costituiscono l’effettivo corredo di ogni
testo digitale. Si prende avvio, però, da una critica del concetto di multimedialità,
che offre alcuni spunti per tirare alcune somme e fare il punto su un certo percorso
di analisi. Si prosegue analizzando il rapporto tra sintagmatico e paradigmatico
sulle interfacce, e si espone la teoria dei legami ipertestuali, ossia si individuano le
unità funzionali-operative della processualità ipertestuale: i pragmemi.
Nel V capitolo si prendono in esame le mitologie e le metafore che hanno
accompagnato lo sviluppo delle reti. Si riprendono, ad altro livello, alcuni dei
temi emersi nelle varie articolazioni della ricerca e si mostra come anche sul piano
immaginativo e ideologico si scontrino differenti proiezioni del digitale, spesso
deformanti, che comunque influenzano la percezione e l’uso degli strumenti
telematici. Anche a questo livello, tuttavia, si fa strada la necessità di cambiare
alcune prospettive, perché le vere battaglie sembrano combattersi, quasi
silenziosamente, sui «luoghi comuni», ossia su concetti che interessano la vita di
tutti i giorni, come “rete”, “memoria”, “testo”, “scrittura”, “identità”; la
rivoluzione inavvertita del digitale passa per i luoghi quotidiani, al tempo stesso
mentali e materiali, dell’interazione culturale.
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Capitolo I
Neotecnologie e contemporaneità
1. Informatica e discipline umanistiche
Dopo decenni di preannunci e promesse l’informatica ha indubbiamente
fatto ingresso su larga scala nel territorio della ricerca umanistica.
Tuttavia, mentre alcune discipline, come la storia e la linguistica,
1
già
abituate a lavorare con «dati» formalizzati, hanno potuto avvalersi di una cospicua
mole di applicazioni su base empirica, e riflettere sui risultati e sui fallimenti, la
ricerca letteraria si è trovata già in partenza di fronte a problemi seri di ordine
teorico, culturale, organizzativo e istituzionale che hanno ritardato la diffusione di
una pratica comune o anche solo di un atteggiamento più pragmatico nei confronti
di strumenti che pure sono entrati ampiamente nella nostra vita quotidiana.
Per molti anni quindi la sperimentazione e la riflessione sono state affidate a
un gruppo ristretto di studiosi, e quando, verso la metà degli anni Novanta, si sono
create le basi per la diffusione del «demotico digitale», per usare un’espressione
di Lou Burnard,
2
le realizzazioni nel campo letterario erano pochissime, e
prevalevano i prototipi e le simulazioni di possibili realizzazioni.
Da questo punto di vista a tutt’oggi la situazione non è molto cambiata, però
è cambiato l’atteggiamento istituzionale, a livello europeo e nazionale, come
dimostrano i seminari sulle Politiche di coordinamento dei programmi nazionali
1
Si veda Storia & Computer. Alla ricerca del passato con l’informatica, a cura di S. Soldani e L.
Tomassini, Milano, Bruno Mondadori, 1996; Rolando Minuti, Internet et le métier d'historien,
Paris, PUF, 2002; A. Zampolli, La linguistica computazionale, in G. Gigliozzi, R. Mordenti e A.
Zampolli, La bella e la bestia (Italianistica e Informatica), Torino, Tirrenia Stampatori, 2000.
2
L. Burnard, Dalle «due culture» alla cultura digitale: la nascita del demotico digitale, in «il
verri», Nella rete, maggio 2001, n. 16, pp. 9-22.
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Federico Pellizzi, Per una grammatica culturale della testualità digitale - Cap. I
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di digitalizzazione,
3
e il non tascurabile fatto che la riforma universitaria italiana
ha previsto l’insegnamento dell’informatica nelle lauree triennali di area
umanistica e l’introduzione di una laurea specialistica in «informatica
umanistica»;
4
è cambiato anche, in parte, l’atteggiamento accademico, come
dimostra il fiorire di corsi, di iniziative e di progetti in ogni Ateneo e in ogni
Facoltà umanistica.
L’incontro tra l’informatica e la letteratura resta indubbiamente difficile, da
entrambe le parti. Fino a non molto tempo fa chi si occupava di questo possibile
intreccio in campo letterario spesso veniva considerato dagli informatici un
letterato, e dai letterati un informatico. Eppure il lavoro di sperimentazione è
proseguito quasi in sordina, partendo da esigenze concrete, producendo anche
risultati e, se non altro, modelli (negativi o positivi), in tutta la gamma delle
tradizionali attività delle discipline letterarie, dalla costituzione del testo alla sua
analisi, dalla sua interpretazione alla sua diffusione, dallo scambio tra gli studiosi
alla pubblicazione e alla raccolta dei testi stessi. Quando l’evidenza del fenomeno
digitale è esplosa, grazie soprattutto allo sviluppo del protocollo ipertestuale
(HTTP) nella sua forma attuale, ossia nel web, di fianco all’emergere di nuovi
misticismi palingenetici si sono rese visibili certe realizzazioni e anche certi
problemi di fondo. È nata allora una richiesta molto ampia di confronto, di
riflessione teorica e metodologica, ma, soprattutto, si è cominciata a scorgere in
tutta la sua vastità l’esigenza di una formazione adeguata. Si è sentita la mancanza
di figure intermedie, di ambiti di ascolto e di studio reciproco dei problemi
informatici e umanistici.
5
3
Si veda ad esempio il Seminario internazionale promosso dal Ministero per i Beni e le Attività
culturali, dal Coordinamento interregionale per i Beni Culturali e dalla Commissione Europea (DG
Information Society - Cultural Heritage Application Unit), Roma, 8 ottobre 2001.
4
Informatica per le discipline umanistiche, classe 24/S. Si veda il Decreto ministeriale che
istituisce le classi di laurea («Gazzetta ufficiale», 19 ottobre 2000, n. 245, S.O. n. 170),
<http://www.miur.it/Documento.asp?categoria=15&documento=29> (3 settembre 2002), e relativo
allegato.
5
In Italia, dopo il convegno del 1988 tenutosi all’Università di Torino, «Informatica e scienze
umane: lo stato dell’arte» (3-4 novembre 1988, Atti omonimi a cura di L. Gallino, Milano, Angeli,
1991), e quello organizzato dall’Accademia dei Lincei e dalla Fondazione IBM Italia (Calcolatori
e scienze umane. Archeologia e Arte, Storia e Scienze Giuridiche e Sociali, Linguistica,
Letteratura, Milano, Etas Libri, 1992), sono tre in particolare i convegni, tenutisi tutti nel 1996,
che hanno mostrato un allargamento «sociale» delle problematiche informatico-umanistiche,
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16
In primo luogo, come indicava Tito Orlandi già molti anni fa,
6
si è posto un
problema culturale di base, che comincia dal riconoscimento della matrice
sostanzialmente umanistica dell’informatica. Già nel suo nucleo più antico, di
calcolo, l’informatica ha un aspetto logico che presiede alle operazioni
automatiche e tecniche. Gli umanisti, diceva Orlandi, se ne devono
reimpossessare per la parte delle loro discipline che può trovare vantaggio
teoretico e pratico dall’uso di tali risorse.
Tuttavia è indubbio che il quadro complessivo in cui si pongono questi
problemi è da allora molto cambiato. È sotto gli occhi di tutti come le tecnologie
digitali stiano modificando profondamente il mondo, e, al contempo, se stesse: da
strumento di calcolo sono divenute strumenti di comunicazione e di costruzione di
memoria collettiva, di produzione testuale e di scambio pluridisciplinare. Gli
sviluppi dell’informatica e della telematica hanno reso possibile la creazione di
standard sufficientemente condivisi da permettere la costituzione di un nuovo
sistema di interazione culturale. Sta cambiando quindi radicalmente anche
l'attività professionale degli umanisti e dei letterati nel suo insieme: tanto per il
modo in cui essi fanno ricerca, quanto per come collaborano tra loro e per come
tengono corsi, quanto infine per come scrivono e per come leggono. Uno degli
aspetti più rilevanti, soprattutto per gli studi umanistici, sembra in ogni caso la
forte spinta al lavoro d’equipe che le tecnologie digitali impongono. Forse questo
è uno dei fattori metodologicamente e socialmente più importanti degli ultimi
anni, perché tende a cambiare l’impianto stesso della ricerca umanistica, del
mettendo a confronto, oltre a più vasti settori accademici, soggetti differenziati come insegnanti di
scuola secondaria, editori, informatici e scrittori. Si tratta di: «Umanesimo & Informatica. Le
nuove frontiere della ricerca e della didattica nel campo degli studi letterari», Università di Trento,
24-25 maggio 1996 (Atti a cura di D. Gruber e P. Pauletto, Fossombrone (Pesaro), Metauro
Edizioni, 1997); «Internet e le muse. Ricerca e didattica delle discipline umanistiche e nuove
tecnologie», Milano, Università IULM, 14-15 novembre 1996 (Atti a cura di P. Nerozzi Bellman,
Internet e le muse. La rivoluzione digitale nella cultura umanistica, Milano, Mimesis, 1997);
«Internet: ricerca e/o didattica. Le risorse informatiche nella ricerca e nella didattica della
letteratura», Università di Bologna, 15 e 27 novembre 1996 (Atti della prima giornata a cura di F.
Pellizzi e G.M. Anselmi, La scuola interattiva. Reti e multimedialità al servizio della didattica,
Bologna, Clueb, 1998; Atti della seconda giornata, a cura di F. Pellizzi, 1999,
<http://www.unibo.it/boll900/convegni/ird96pgr.html>).
6
T. Orlandi, Informatica umanistica, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1990; ma si veda anche
T. Orlandi, Informatica umanistica, in G. Gigliozzi (a cura di), Studi di codifica e trattamento
automatico dei testi, Roma, Bulzoni, 1987.
Università IULM - Dottorato di ricerca - XV ciclo
Le letterature, le culture e l'Europa: storia, scrittura e traduzioni
Federico Pellizzi, Per una grammatica culturale della testualità digitale - Cap. I
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lavoro editoriale, della distribuzione dei testi. Sicuramente anche sul «tavolo di
lavoro» del letterato l’impiego delle tecnologie digitali ha imposto ab origine
anche nuovi problemi metodologici, teorici e pragmatici, e non si è mai trattato,
da Padre Busa
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in poi, semplicemente di «applicare» delle tecniche per facilitare i
compiti di un sapere già costituito. Né, tantomeno, di automatizzare «dati». Come
scriveva Mario Ricciardi, «La tecnologia elettronica sembra aggredire un universo
potenzialmente saturo di informazione, in cui è facile accumulare i dati e, al
contrario, difficile informatizzarli e quindi renderli realmente accessibili. In
questo caso, informatizzare significa propriamente attribuire un significato
ulteriore, o almeno possibili significati aggiuntivi, ai documenti, oggetto di un
radicale processo di in+formazione [...]. In questa prospettiva viene considerato di
modesta importanza l’accumulo dei dati (perché appaiono largamente disponibili),
tecnicamente poco interessante (perché facilmente risolvibile) l’immissione dei
dati stessi, e invece strategico il progetto “informatico” e di rilievo decisivo il
modo del trattamento del dato, cioè appunto la rete di connessioni che lo rende
attivo e fruibile».
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Tuttavia non si può trascurare che la messa a punto di un simile
«progetto» richiede sempre uno scambio sistematico di conoscenze, un concorso
programmatico di competenze, un insieme di criteri condivisi, e quindi un enorme
lavoro collettivo. Insomma instaura una «rete di connessioni» già nel momento in
cui ci si accinge a pensare all’impostazione dei problemi e degli obiettivi. Tale
sollecitazione a impostare la ricerca come un programma che coinvolga figure
molteplici e differenziate sembra riguardare più una trasformazione della
mentalità degli studiosi che il coinvolgimento istituzionale di un maggior numero
di enti e atenei. Forse il languire di molti prototipi deriva dalla permanenza di un
abito umanistico ormai chiusosi in uno scambio convenzionale e in una
sostanziale solitudine.
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Roberto Busa è considerato uno dei fondatori dell’informatica umanistica, essendosi dedicato fin
dagli anni Quaranta, dapprima con le schede perforate, poi via via con le tecnologie che gli si
offrivano, a studiare con strumenti digitali il lessico di San Tommaso D’Aquino, e in particolare il
valore della preposizione «in». Si veda R. Busa, La terminologia tomistica dell’interiorità,
Milano, Bocca, 1949; inoltre Id., Fondamenti di informatica linguistica, Milano, Vita e Pensiero,
1987, nonché l’Index Tomisticus (Cd-Rom), Gallarate (Va), Cael - Aloisianum, 1998.
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M. Ricciardi, Studi umanistici e nuove tecnologie, in M. Ricciardi (a cura di), Oltre il testo: gli
ipertesti, Milano, Franco Angeli, 1994, pp. 13-14.
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Sembra quindi che la situazione attuale richieda uno sforzo di
consapevolezza ulteriore. Richiede a mio avviso una serie di impegni di lunga
durata: 1) un investimento consistente nella formazione informatico-umanistica;
2) una forte sperimentazione ad ogni livello; 3) una forte riflessione teorica sulle
forme e sui modi di funzionamento della cultura digitale; 4) una continua
interrogazione, anche all’interno delle singole discipline, sul rapporto tra modi di
percepire e conoscenza, tra strumenti e pensiero; 5) una costante interconessione
tra sviluppo delle tecnologie e temi dell’immaginario, tra storia delle idee e storia
degli oggetti, tra funzionalità dei dispositivi e forme del discorso. Vedremo in
questo lavoro le ragioni teoriche profonde che giustificano un investimento
metodologico, progettuale e formativo soprattutto sugli ultimi due punti.
Naturalmente questo programma richiede la disponibilità da parte degli studiosi
ad applicare il proprio sapere ai nuovi strumenti e non tanto, o non solo, ad
applicare i nuovi strumenti al proprio sapere. C’è in gioco il futuro ruolo delle
discipline umanistiche, il loro peso nella cultura digitale, e abbiamo bisogno di un
profondo rinnovamento culturale. Ciò probabilmente significa anche non temere
di rimettere in discussione i fondamenti delle proprie discipline (magari per
riconfermarli su nuove basi). Scriveva Luca Toschi nel 1996, presentando uno dei
primi esempi editoriali di sperimentazione digitale, l’edizione elettronica de La
famiglia dell’antiquario di Carlo Goldoni: «dal momento che è impensabile un
qualsiasi progresso nel campo delle scienze che non sia legato - a volte per vie
così indirette da risultare di difficile decifrazione - a una più generale concezione
della realtà, viene naturale ipotizzare che le tante proposte tecniche e tecnologiche
di questi ultimi anni avrebbero potuto trarre importanti suggestioni da
un’approfondita collaborazione con competenze proprie del fronte umanistico;
con effetti positivi per tutti, utili anche per fronteggiare la crisi che nei paesi
industrializzati investe ormai massicciamente la ricerca e la cultura».
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Qui sta un
aspetto fondamentale: la ricerca e la cultura.
9
L. Toschi, L’ipertesto d’autore, in L’ipertesto d’autore. «La famiglia dell’antiquario» di Carlo
Goldoni in edizione elettronica su Cd-Rom, a cura di L. Toschi, Venezia, Marsilio, 1996, pp. 8-9.