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- filosofici scritti a Parigi nel 1844. Questo insieme di testi ed appunti
critici fu redatto dopo che Marx aveva letto i classici dell’economia
inglese e francese (Say, Smith, Ricardo, Mill, Chevalier, ecc.).
Il punto critico sul quale Marx porta il suo attacco è il fatto che
l’economia politica descrive come qualcosa di necessario ciò che in
realtà è una contraddizione storica: il fatto cioè che la finalità di
ricchezza della società si realizza solo a patto di un impoverimento ed
abbrutimento della più parte degli uomini, degli stessi uomini che ne
sono produttori.
Nella società capitalistica “il lavoro produce per i ricchi cose
meravigliose, ma per gli operai produce soltanto privazioni. Produce
palazzi, ma per l’operaio spelonche. Produce bellezza, ma per l’operaio
deformità….Produce cose dello spirito, ma per l’operaio idiotaggine e
cretinismo”
2
.
“L’economia politica classica parte dal fatto della proprietà privata. Ma
non ce la spiega. Coglie il processo materiale della proprietà privata
quale si rivela nella realtà, ma lo coglie in formule generali, astratte, che
hanno per essa il valore di leggi. Ma essa non comprende queste leggi,
2
K. MARX, Manoscritti economico - filosofici del 1844, tr. it. N. Bobbio, Einaudi, Torino, 1968, p.74
3
cioè non riflette in quale modo esse derivino dall’essenza della proprietà
privata”
3
.
L’economia politica non ci dà ragione della divisione tra lavoro e
capitale, semplicemente suppone ciò che deve spiegare.
Il risultato di tutto questo è che essa occulta l’estraniazione insita
nell’essenza del lavoro, l’estraniazione per cui “quanto più l’operaio
produce, tanto meno ha da consumare; quanto maggiore valore produce,
tanto minore valore e minore dignità egli possiede; quanto più bello è il
suo prodotto, tanto più l’operaio diventa deforme,…e quanto più il suo
lavoro diventa spirituale, tanto più egli è diventato materiale e schiavo
della natura”
4
.
La contraddizione ha uno spessore materiale. Marx prende le mosse dalla
descrizione di un dato oggettivo, ineludibile, che è lì, sotto i nostri occhi:
il fatto cioè che quanto più l’operaio produce ricchezza, tanto più si
immiserisce. Questo perché, innanzitutto, viene privato del prodotto del
suo lavoro. Essendo però il prodotto niente altro che il compendio, il
risultato dell’attività lavorativa, l’operaio viene propriamente privato di
3
Idem, p. 69
4
Idem, p. 73
4
questa, dell’attività del produrre, e cioè di ciò che lo costituisce nella sua
umanità: il lavoro.
La capacità di appropriarsi del dato naturale, di trasformarlo, per
renderlo funzionale a sé e ai propri bisogni, viene alienata, venduta essa
stessa sul mercato alla stregua di un oggetto, come una merce tra le altre
(anche se di tipo speciale, perché fonte di ogni valore, dunque di ogni
altra merce), ricevendone in cambio solo un salario, ovvero quanto basta
per conservarsi in vita e reintegrare le proprie energie psico-fisiche, la
stessa forza di lavoro. L’essenza o natura generica dell’uomo viene
degradata a puro mezzo per l’esistenza (mantenimento biologico della
vita).
L’alienazione, fenomeno percepibile ai sensi, nell’abbrutimento
materiale del proletariato, non consiste tanto nel tedio, nella penosità,
nella fatica del lavoro, quanto nella perdita del suo carattere
propriamente umano.
Si comprende qui come il materialismo di Marx vuole essere una critica
del materialismo volgare di un mondo, quello borghese, privo di
“spirito”, dove cioè i rapporti sociali sono divenuti disumani, non più
5
diafani all’azione creatrice dell’uomo. Si comprende altresì come la
potenza critica e demistificante del discorso marxiano, la sua capacità di
disvelare ciò che l’analisi scientifica dell’economia politica non aveva
avvertito come contraddizione deriva dal riferimento ad una visione
dell’uomo, che guida la sua analisi senza essere esplicitamente
tematizzata.
Questo aspetto etico - antropologico costituisce, come vedremo,
l’elemento qualificante di tutto il suo discorso.
6
I. L’ANTROPOLOGIA MATERIALISTICA
Il fondamento della concezione antropologica marxiana è già rinvenibile
nelle Tesi su Feuerbach
5
. Occorre tenere presente che il rapporto con il
leader della sinistra hegeliana ha costituito un momento decisivo per lo
sviluppo di tutta la riflessione di Marx. Questo perché con Feuerbach
prendeva corpo per la prima volta l’idea di una compiuta umanizzazione
di Dio, l’esigenza quindi di una trasformazione e dissoluzione della
teologia in antropologia: il fatto religioso equivale ad alienazione,
giacché Dio non è altro che un ideale ipostatizzato delle qualità umane.
Se Dio è il prodotto o l’astrazione oggettivata di quel soggetto reale che
è l’uomo in carne ed ossa, rivendicare la centralità dell’uomo significava
rivendicarne ad un tempo la naturalità e la corporeità.
“L’entusiasmo” con il quale venne salutata la nuova concezione
feuerbachiana può essere testimoniato dalle parole di Engels: “In un
5
K. MARX, Tesi su Feuerbach, in K. MARX - F. ENGELS, La concezione materialistica della
storia, a cura di N. Merker, Editori Riuniti, Roma, 1998, pp. 50 e seguenti.
7
momento diventammo tutti feuerbachiani”
6
.
Marx non ha mai abbandonato questa prospettiva; piuttosto, fin dai primi
momenti, ha cercato di distanziarsi dalla tendenza a considerare l’uomo
come un essere astratto, isolato dal mondo.
Feuerbach rimaneva legato al punto di vista del materialismo volgare,
per cui la natura dell’uomo veniva intesa come datità biologica,
oggettiva, immodificabile.
In tal senso Marx non riconosce all’uomo un’essenza fissata una volta
per tutte, che gli sia data nel rapporto privato con se stesso, nel sacrario
della sua intimità o coscienza; l’essere dell’uomo è dato dai suoi rapporti
esterni con gli altri uomini e con la natura che gli fornisce i mezzi di
sussistenza.
Questi rapporti non sono ovviamente immutabili, ma storicamente
determinati dalle forme del lavoro e della produzione.
Il servo della gleba si rapporta produttivamente alla terra in maniera
differente che il salariato, in quanto grava su di lui una relazione di
dipendenza personale, che caratterizza tutti i rapporti sociali della
6
F. ENGELS, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, tr. it. di P.
Togliatti, Editori Riuniti, Roma, 1969, p. 28.
8
produzione materiale; nel capitalismo c’è un altro tipo di rapporto, quello
tra il capitalista e l’operaio, un rapporto di compravendita tra persone
formalmente libere che scambiano le proprie merci sul mercato.
Feuerbach, limitandosi ad un atteggiamento contemplativo o teoretico,
non è andato mai oltre l’uomo come ente naturale generico e ha finito
così con il trascurare l’aspetto pratico ed attivo della natura umana. Il suo
rapporto con l’oggetto è cioè di tipo puramente passivo, recettivo. Egli
può concepire la prassi solo come un affare sordido, volgare: “La
concezione pratica è una concezione impura, contaminata
dall’egoismo”
7
.
In realtà, l’attività pratica degli uomini, “questo continuo lavorare e
produrre sensibile, questa produzione, è la base dell’intero mondo
sensibile, quale ora esiste, che se fosse interrotta anche solo per un anno
Feuerbach non solo troverebbe un enorme cambiamento nel mondo
naturale, ma gli verrebbe ben presto a mancare l’intero mondo umano, la
sua stessa facoltà intuitiva, e anzi la sua stessa esistenza”
8
.
7
L. FEUERBACH, L’essenza del cristianesimo, tr. it. di C. Cometti, Feltrinelli, Milano, 1960, p. 237.
8
K. MARX – F. ENGELS, L’ideologia tedesca, tr. it. di F. Codino, Editori Riuniti, Roma, 1969, p.
17.
9
Al materialismo precedente, fino a Feuerbach incluso, manca in sostanza
quel rapporto attivo con la natura e con gli altri uomini, in cui consiste il
lavoro, e con il quale l’uomo in qualche modo crea se stesso, non solo
nella sua esistenza materiale ma anche nella sua esistenza specifica,
come modo di vita determinato.
“Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la
religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi
dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di
sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione
fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono
indirettamente la loro stessa vita materiale…Questo modo di produzione
non si deve giudicare solo in quanto è la riproduzione dell’esistenza
fisica degli individui; anzi, esso è già un modo determinato di
estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gli individui
esternano la loro vita, così essi sono”
9
Marx colloca quindi al centro della riflessione filosofica ed economica
l’uomo nella sua materialità, nella sua corporeità concreta, in quel
rapporto attivo con la natura e la società che è il lavoro.
9
Idem, 1969, pp. 8-9.
10
In questo senso, la natura diventa corpo inorganico dell’uomo, e l’uomo,
nella trasformazione della natura inorganica, può assumere coscienza di
sé, non come individuo ma come natura universale o generica, come
“essere che si comporta verso la specie come verso il suo proprio essere,
o verso se stesso come un essere appartenente ad una specie”
10
.
In effetti mentre l’animale produce solo immediatamente, in modo
unilaterale e sotto la costrizione del bisogno, “l’uomo produce anche
libero dal bisogno fisico, e produce veramente soltanto quando è libero
da esso; l’animale riproduce solo se stesso, mentre l’uomo riproduce
l’intera natura …L’animale costruisce soltanto secondo la misura ed il
bisogno della specie, a cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre
secondo la misura di ogni specie e sa ovunque predisporre la misura
inerente a quel determinato oggetto; quindi l’uomo costruisce anche
secondo le leggi della bellezza”
11
.
Il lavoro quindi è espressione della libertà umana, della capacità
dell’uomo di trasformare il mondo oggettivo e di creare non solo ogni
10
K.MARX, Manoscritti economico - filosofici del 1844, op. cit., p. 78.
11
Idem, pp. 78-79.
11
valore o ricchezza possibili, ma anche la propria forma di esistenza
specifica.
La concezione dell’autocreazione dell’uomo mediante il suo lavoro
costituisce la più recisa negazione del teocentrismo e di ogni forma di
eteronomia. Come rilevato da Gramsci, solo alla luce di questa
concezione noi siamo “fabbri di noi stessi”, demiurghi della nostra vita,
del nostro destino, e possiamo affermare che “l’uomo è un processo, e
precisamente è il processo dei suoi atti”
12
.
Nel momento in cui l’uomo comincia a produrre le proprie condizioni di
vita, i propri mezzi di sussistenza, operando sulla natura esterna e
creando strumenti e tecniche a questo scopo, all’interno di una
cooperazione sociale, si apre la sfera propriamente economica; con il
lavoro, in quanto creatore di valori d’uso, nasce cioè il mondo
dell’economia, con le sue leggi
13
.
“Il lavoro”, scrive Marx in un noto passaggio del primo libro del
Capitale, “è la sostanza e la misura immanente dei valori, ma esso stesso
12
A. GRAMSCI, Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce, Einaudi, Torino, 1953, p. 27.
13
Sul punto cfr. C. LUPORINI, Le “radici” della vita morale, in AA.VV., Morale e società, Atti del
Convegno di Roma organizzato dall’Istituto Gramsci il 22-25 maggio 1964, Editori Riuniti – Istituto
Gramsci, Roma, 1966, pp. 51-53.
12
non ha valore”
14
. La sua critica ha origine in questo momento ben
preciso: il lavoro come soggetto, come attività umana sensibile, è la
fonte creatrice di ogni valore, ma, in quanto sostanza o causa effettuale
del valore, non ha esso stesso valore. L’economia politica classica parla
del salario come prezzo del lavoro e pretende che esso sia giusto, il che è
una autentica contraddizione nei termini. Il lavoro è l’uomo stesso, il suo
modo specifico di essere o farsi uomo, e non può quindi avere un prezzo
o valore di scambio, ma, semmai, un valore intrinseco, ontologico, una
dignità infinita.
Nelle pagine seguenti il lavoro, o il lavoro vivo, come Marx ama
esprimersi (soprattutto nei Grundrisse), verrà esaminato dapprima nella
sua posizione di radicale alterità, di assoluta contraddittorietà rispetto al
capitale e poi nel momento in cui si incorpora al capitale stesso, finendo
con l’alienarsi in esso.
Vedremo che procedendo in questo modo risulteranno perfettamente
intelligibili il processo di costituzione del capitale e la sua riproduzione,
da una parte, e l’indigenza del lavoro, dall’altra.
14
K. MARX, Il Capitale,Libro Primo, tr. it. di B. Maffi, UTET, Torino, 1974, p. 691.