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1.1.1 La produzione normativa in Italia.
La legge fondamentale dello Stato è la Costituzione della Repubblica Italiana
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che si pone al
vertice di questa gerarchia; Essa inquadra i principi fondamentali sui quali si basa l’Italia, i diritti e
i doveri dei cittadini e soprattutto detta i capisaldi dell’ordinamento della Repubblica.
Immediatamente sotto la Costituzione si trovano le cosiddette fonti primarie ovvero le leggi
ordinarie dello Stato e delle Regioni
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e gli atti aventi forza di legge quali i decreti legge e i decreti
legislativi. Le fonti secondarie invece, subordinate alle primarie, sono rappresentate dai regolamenti
del Governo, delle Regioni, dei Comuni, delle Province e degli altri enti pubblici. Gli usi e le
consuetudini, uniche fonti non scritte presenti nel nostro ordinamento, ricoprono un ruolo marginale
e si collocano in posizione subordinata a qualsiasi norma. Gli impegni che l’Italia ha assunto a
livello Europeo hanno però introdotto altre fonti del diritto, esterne; particolare rilevanza occupa il
regolamento comunitario
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, fonte primaria equiparato quindi alla legge ordinaria; ne deriva che
esso è immediatamente efficace in ogni Stato membro della Comunità ed ha il potere di modificare
o abrogare qualsiasi altra fonte primaria mentre non vale l’opposto in quanto la fonte primaria
interna non può interferire in un atto normativo emanato in sede di Comunità Europea.
L’attività di produzione e modificazione delle norme giuridiche viene affidata dall’art 70
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della
Costituzione al Parlamento mentre l’art. 71 stabilisce che: “L'iniziativa delle leggi appartiene al
Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge
costituzionale. Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno
cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli” e da ciascun Consiglio Regionale o dal
C.N.E.L.. L’iniziativa legislativa del Governo è in realtà per diverse ragioni la più importante tra
tutte. In primo luogo il Governo si appoggia su una maggioranza parlamentare, che
presumibilmente voterà le leggi da esso proposte: i disegni di legge del Governo hanno perciò una
notevole probabilità di essere approvati. In secondo luogo, solo l’esecutivo dispone degli apparati
dei ministeri, e può perciò utilizzare nella progettazione delle leggi conoscenze amministrative e
tecniche delle quali gli altri titolari dell’iniziativa in generale non dispongono.
Ciascun disegno di legge viene esaminato da una commissione e il suo ruolo può essere meramente
istruttorio e di proposta, qualora spetti loro solo un esame preliminare di carattere istruttorio,
nonché la stesura delle relazioni (di minoranza e di maggioranza) da presentare all’assemblea; in tal
caso sarà l’assemblea a deliberare sul testo proposto. Nei casi di minore rilievo generale, le
commissioni possono invece deliberare sul testo proposto.
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Promulgata il 27 dicembre 1947 e successive modificazioni ed integrazioni.
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Per La regione Trentino Alto Adige valgono le leggi delle province autonome di Trento e Bolzano
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Art. 249 ex 189 Trattato CE
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“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.”
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La scelta tra le due soluzioni spetta all’assemblea, su proposta del presidente, alla Camera e al
presidente al Senato. Peraltro, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo
dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso o votato
dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di
voto.
Attualmente le commissioni permanenti sono quattordici alla Camera e tredici al Senato. Ognuna si
occupa di determinate materie che spesso coincidono con le competenze di uno o più Ministeri.
Esse sono composte in modo da “rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari” secondo
quanto l’art.72 della Costituzione prescrive, sicchè ognuna di esse riproduce, in piccolo, la
composizione politica della Camera alla quale appartiene. Lo spirito con il quale i costituenti hanno
deciso di pervenire alla istituzione delle commissioni è quello di snellire l’iter legislativo soprattutto
in presenza di un sistema bicamerale perfetto e allo stesso tempo di permettere, attraverso le
specifiche competenze di singoli parlamentari, di giungere ad una formulazione del testo normativo
qualitativamente buona ed efficace. Le commissioni che operano in sede referente non hanno poteri
decisionali, nel senso che non possono approvare la legge ma se essa dopo una attenta fase di
istruttoria boccia il progetto, il procedimento legislativo di fatto si estingue. La commissione può
dunque decidere in negativo. Attraverso la legge costituzionale del 18 ottobre 2001 n°3 il
Parlamento italiano ha attribuito alle Regioni ulteriori competenze legislative ed amministrative e
pertanto posto le basi per una svolta verso uno stato federale. Il testo del nuovo art. 117 cost.
enumera una serie di materie la cui disciplina è demandata alla competenza esclusiva dello Stato
sono quindi individuate una seconda serie di materie – dette di legislazione concorrente – per le
quali è attribuita alle Regioni la potestà legislativa, salvo per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Su tutte le materie non elencate la potestà
legislativa spetta in via esclusiva alle Regioni. Il sistema di riparto delle competenze normative è
completato dal principio di attribuzione del potere regolamentare. Allo Stato spetta emanare i
regolamenti nelle materie di competenza esclusiva, salva la possibilità di delega alle Regioni,
mentre alle Regioni spetta la potestà regolamentare in ogni altra materia (e quindi anche in quelle di
competenza concorrente). Ai Comuni, alle Province e alle città metropolitane spetta la potestà
regolamentare per la disciplina riguardante l’organizzazione e il funzionamento delle competenze
loro attribuite. Dal 2001 le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano hanno visto
aumentare le competenze legislative esclusive e il potere regolamentare soprattutto nelle materie
come l’industria e l’artigianato e in generale per tutte le attività produttive.
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1.2 I costi per gli adempimenti amministrativi; cittadini ed imprese in rapporto alle
pubbliche amministrazioni.
Nei rapporti quotidiani con le pubbliche amministrazioni è evidente per ogni cittadino il divario
che tutt’ora esiste tra la domanda - essenzialmente qualitativa - di servizi amministrativi in senso
lato e l’offerta di tali servizi da parte delle amministrazioni talvolta contrassegnata da inefficienze,
sprechi di risorse economiche e scarsa visibilità del prodotto offerto, da cui derivano da un lato,
l’insoddisfazione dei cittadini, le cui richieste risultano inappagate, e dall’altro, gli alti costi
economici e finanziari di tale gestione. Indicatori come la valutazione della soddisfazione dei
cittadini e delle imprese per i servizi resi a fronte dei costi burocratici sopportati dovrebbero essere
parametri costantemente monitorati dalle pubbliche amministrazioni e dalle istituzioni che hanno il
compito di regolamentare il funzionamento dei pubblici uffici e di emanare nuova normativa per
cittadini e imprese.
Un’indagine molto accurata che risale al 1993
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comprende una completa ricognizione ed analisi
complessiva dei problemi delle pubbliche amministrazioni e del loro stato di salute dall’istituzione
della Repubblica ai primi anni novanta ovvero prima delle importanti riforme della pubblica
amministrazione avviate soprattutto nella XIII° legislatura. L’ “amministrativizzazione” della vita
quotidiana è individuata come una delle principali cause dell’insoddisfazione degli utenti che si
concretizza in un costo per il cittadino, in media, all’anno di 15- 20 giornate lavorative,
corrispondente ad una tassa occulta pari al 3% del totale delle entrate del settore statale. Le analisi
più recenti
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si incentrano, da un lato, sulla misurazione e valutazione, secondo parametri obiettivi
dell’attività procedimentalizzata delle pubbliche amministrazioni, dall’altro, sulla quantificazione
dei costi indiretti per i cittadini e le imprese che discendono nel complesso da tale attività. In
particolare, dal censimento dei procedimenti amministrativi statali e dalle successive analisi
emergono quattro indicatori principali della qualità dell’attività amministrativa.
In primo luogo, la “iperprocedimentalizzazione” dell’amministrazione italiana: circa 5400 i soli
procedimenti delle amministrazioni centrali, cui devono aggiungersi centinaia di procedimenti degli
enti pubblici, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. Di questi
procedimenti, più del 50% (2706) sono strumentali, ovvero riguardano l’organizzazione e il
funzionamento interno delle amministrazioni, evidenziando così una cultura autoreferenziale,
diretta cioè principalmente a impiegare le risorse della collettività per autoamministrarsi, piuttosto
che per perseguire le proprie finalità istituzionali. Si evidenzia inoltre un forte accentramento delle
funzioni: i procedimenti centralizzati presso i ministeri sono dieci volte superiori di quelli gestiti in
periferia.
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“Rapporto sulle condizioni delle pubbliche amministrazioni”
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Indagine Censis e Formit (1995 –1996)
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In secondo luogo, la “iperegolazione” dei procedimenti. L’Italia vanta, a livello europeo, il primato
negativo del maggior numero di leggi vigenti:circa 100-150 mila leggi contro la Francia che ne ha
circa 7000 la Germania 5000 e il Regno Unito 3000. Quindi tra l’Italia e il paese che la segue il
rapporto è di 20 a 1/6. La disciplina dei procedimenti è non solo eccessiva sul piano quantitativo,
ma anche frammentata ed antiquata, nonché scarsamente coordinata. Si consideri, a riguardo, che
oltre 400 procedimenti sono disciplinati da più di tre riferimenti normativi; inoltre più di 1000
procedimenti sono regolati da normative anteriori agli anni ’60, cui si sono nel tempo sovrapposte
in modo disorganico e per addizione, anziché per sostituzione, discipline successive.
In terzo luogo, la lentezza dei procedimenti: la durata media dei procedimenti delle amministrazioni
centrali è di 185 giorni cioè 6 mesi, mentre la durata media di quelli di competenza delle
amministrazioni periferiche è di circa la metà (95 giorni); 1415 procedimenti (oltre il 25%) durano
più di sei mesi e, tra questi, 553 (15%) oltre un anno, mentre il 44,3% dei restanti procedimenti si
conclude entro tre mesi e solo il 12,3% in meno di un mese.
In quarto luogo, la complessità dei procedimenti amministrativi che discende da una molteplicità di
cause spesso concomitanti: la rigidità della disciplina normativa; l’accentramento delle funzioni; la
frammentazione e sovrapposizione delle competenze; la duplicazione di attività; il numero elevato
di fasi intermedie (subprocedimenti); lo svolgimento delle fasi in successione temporale, anziché in
modo contestuale; l’intervento di un numero eccessivo di organismi collegiali, spesso superflui e
con funzioni scarsamente definite.
Nel 1996 è stato accertato che il cittadino e la pubblica amministrazione stabilisce mediamente da
30 a 45 contatti annui (tempi di spostamento per raggiungere gli uffici, tempi di attesa agli sportelli,
tempi di risposta, numero di tentativi per ottenere un servizio ecc.). Per effetto di tali adempimenti
burocratici, si perdono nel complesso 90 milioni di giornate lavorative, pari ad un costo annuale
valutabile intorno ai 7 miliardi e 300 milioni di euro.
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1.2.1 I costi per le imprese.
I costi indiretti accrescono notevolmente per le imprese. Un fattore che può incidere in modo
rilevante sulla competitività di queste è rappresentato dai costi imputabili all’adempimento di
obblighi di natura amministrativa imposti dalle norme vigenti e più in generale per svolgere
pratiche burocratiche presso gli uffici pubblici. Si definiscono allora i costi diretti per adempimenti
amministrativi quelli sostenuti dall'impresa per svolgere tutte le attività, le procedure, le pratiche e
le formalità, espletate da addetti dell'impresa o fatte espletare da terzi dietro pagamento di
corrispettivo, al fine di ottemperare alle norme vigenti. Questi costi fanno riferimento alle spese
sostenute per il tempo dedicato e le risorse impiegate dai titolari, dai dirigenti, dai dipendenti, da
collaboratori coordinati e continuativi, da consulenti esterni, per catalogare, elaborare, riportare,
conservare i dati, per compilare i moduli richiesti dalle amministrazioni pubbliche, ad eccezione
delle somme pagate a queste ultime per i versamenti a titolo di imposte o contributi sociali. Tra i
costi diretti per adempimenti amministrativi non sono compresi quelli per investimenti in
macchinari, attrezzature e impianti sostenuti dall'impresa per rispettare norme e regolamenti in
materia di sicurezza sul posto di lavoro, tutela della sanità e dell'ambiente. I costi sostenuti
riguardano tre aree di adempimenti in materia di (a) gestione del personale, (b) imposizione
fiscale e (c) tutela ambientale.
a) Le normative vigenti che disciplinano la materia della gestione del personale riguardano:
Assunzione e licenziamento dei dipendenti.
Rispetto delle norme di sicurezza, sanità e diritti dei lavoratori.
Concertazione con le organizzazioni sindacali e con i consigli di lavoratori.
Resoconto dei dati statistici relativi all’occupazione.
Amministrazione delle imposte relative all’occupazione o al ruolo paga, contributi
previdenziali e pensionistici o altri benefici dei dipendenti (es. congedi per maternità,
malattia).
Tutela infortunistica (Testo Unico degli Infortuni e Malattie Professionali emanato con
Legge 1124/65).
b) Le normative vigenti che disciplinano la materia dell'imposizione fiscale riguardano:
Imposta sui profitti, imposta sulla società.
Altre imposte su capitale e proprietà (es., imposta sui dividendi, imposta sulla proprietà).
Imposte sulle vendite (es., I.V.A., imposte generali sulle vendite).
Richieste per gli oneri deducibili
Altre imposte e requisiti associati.
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c) Le normative vigenti che disciplinano la materia della tutela ambientale riguardano:
Adeguamento ai requisiti riguardanti emissioni/scarichi, sostanze pericolose, standard
qualitativi su processi o prodotti, controllo dell’inquinamento e misure di prevenzione degli
incidenti a carattere tecnologico.
Licenze, permessi, progettazione e valutazioni d’impatto ambientale.
Rapporti e test in materia ambientale, documentazione e requisiti amministrativi di routine
associati all’ambiente.
Tasse e contributi ambientali.
Eco-etichettatura di prodotti o procedure.
Nella tabella 1.1 è possibile osservare le informazioni sui costi sostenuti; essi riguardano le più
importanti aree di adempimenti amministrativi; fiscale e amministrativa, gestione delle risorse
umane, tutela ambientale, attività di importazione ed esportazione, rilevazioni statistiche ed
innovazione. Rispetto alle sei aree di attività prese in considerazione, risultano particolarmente
elevati gli oneri per adempimenti fiscali e amministrativi e quelli in materia di gestione del
personale. Essi hanno interessato la totalità delle imprese assorbendo rispettivamente il 58,4% e il
27,6% dei costi complessivi per adempimenti amministrativi.
Tab. 1.1. Quota di imprese interessate ai diversi adempimenti amministrativi e relativi costi medi anno 1996. Fonte:
Istat e Unioncamere, “I costi delle imprese nei rapporti con la pubblica amministrazione”
AREE DI ADEMPIMENTO Imprese interessate
(%)
Costi medi per impresa (Euro)
Fiscale ed amministrativa 100,0 8114,57
Risorse umane 100,0 3863,61
Import/export 18,1 8620,70
Ambiente 28,2 1458,47
Rilevazioni statistiche 22,4 328,98
Innovazione 2,7 3664,26
Dai dati di una rilevazione condotta nel 1997 dall’Istituto nazionale di statistica e dall’Unione
italiana delle camere di commercio emerge una stima, pari a circa 11 miliardi e 700 milioni di euro,
dell’ammontare complessivo degli oneri che gravano direttamente sulle imprese per adempiere agli
obblighi predetti imposti dalle norme vigenti. Tale stima riguarda le imprese con addetti compresi
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tra 3 e 499, che assorbono complessivamente il 61,5% dell’occupazione complessiva dell’industria
e dei servizi.
L’incidenza media degli oneri complessivi per adempimenti amministrativi sul totale dei costi
aziendali è risultata pari all’1%. Per adempiere agli obblighi amministrativi relativi alle aree
considerate dall’indagine le imprese hanno utilizzato personale interno per un numero di giornate
pari a 71,4 milioni. Il costo del personale interno rappresenta quindi il 48% di tutti i costi per gli
adempimenti amministrativi. La restante quota del 52% rappresenta i costi esterni derivanti dal
ricorso a consulenti.
Una nuova indagine è attualmente in corso ad opera dell’ISTAT e di Unioncamere; ci si accinge per
il futuro a percorrere la medesima strada attraverso una serie di rilevazioni, effettuate con
periodicità biennale, che hanno come scopo l’osservazione della evoluzione dei rapporti che
intercorrono tra piccole e medie imprese e istituzioni della pubblica amministrazione.