processo di commercializzazione che inizia con l’invenzione,
procede con lo sviluppo del prodotto, e termina con
l’introduzione nel mercato. Prodotti innovativi che riscuotono un
successo commerciale combinano la conoscenza scientifica e
tecnica con la conoscenza del mercato. L’introduzione di un
nuovo prodotto riflette sia un efficiente organizzazione, sia la
sintesi di queste differenti tipologie di conoscenza.
Per gli studiosi di sviluppo economico da Adam Smith a
Joseph Schumpeter, l’innovazione è vista come il frutto di
imprenditori i quali hanno utilizzato in maniera nuova le risorse
disponibili per raggiungere profitto e crescita. Le analisi
dell’innovazione sono state tipicamente confinate nei confini
organizzativi delle imprese individuali, anche se la nozione che la
capacità di innovare incorpora fonti esterne di conoscenza era già
stata elaborata e generalmente accettata. Altri studiosi descrivono
l’innovazione come un processo di “problem-solving” che
mischia la conoscenza “privata” con la conoscenza “pubblica”
3
.
La conoscenza privata proviene principalmente dalle imprese ma
anche da associazioni industriali, società scientifiche e
professionali, e da network di imprese simili e di servizi di
supporto. La conoscenza pubblica è ottenuta da istituzioni che
supportano la R&D nei campi scientifici e tecnologici. Queste
sono principalmente le università ma possono essere inclusi
anche vari programmi governativi di trasferimento scientifico e
2
Lucas 1998; Grossman e Helpman 1992
3
Dosi 1988
tecnologico. In questa visione, l’innovazione incorpora un più
ampio panorama di istituzioni e relazioni economiche e sociali di
quanto ritenuto in precedenza.
La geografia, vista nel suo significato fondamentale,
fornisce alle organizzazioni i diversi tipi di conoscenza di cui
hanno bisogno per la commercializzazioni di nuovi prodotti. Ci
aspettiamo che la conoscenza attraversi corridoi e strade più
facilmente che continenti e oceani
4
. Le fonti della conoscenza
sono incorporate negli uomini e nelle istituzioni e sono meno
geograficamente mobili dei capitali finanziari. Le fonti della
conoscenza, le istituzioni pubbliche e private in una regione,
formano una infrastruttura tecnologica. Questa infrastruttura
tecnologica promuove il trasferimento di conoscenza, facilita la
risoluzione dei problemi, e riduce i rischi e i costi
dell’innovazione. Una volta installata, la struttura tecnologica
crea una capacità per l’innovazione. Grazie alla natura cumulativa
e auto-replicante della conoscenza, questa capacità
5
diviene
specializzata nei particolari settori tecnologici ed industriali
6
.
Come risultato di questa concentrazione di conoscenza in un
luogo geografico specifico, il progresso tecnologico e la
competitività industriale vengono considerevolmente aumentate
7
.
E’ in questo modo che la geografia gioca un ruolo essenziale
4
Glasmeier (1988)
5
Micheal Porter la definisce “core competence”
6
Lundvall 1988; Thomas 1985
7
Micheal Porter (1990) a tal proposito scrive: “Geographic clustering is greatly important in
furthering international competitive advantage. The ability to produce new product innovation in
a timely manner is key to the success of these areas”.
nell’innovazione, e nella crescita di avanzate società
capitalistiche.
Per tutto il ventennio passato una visione preminente
sembrava indicare che la locazione fosse divenuta meno
importante per le attività economiche
8
. E’ ormai ampiamente
riconosciuto che a mano a mano che i processi produttivi
standardizzano l’industria manifatturiera, questa diventa
“footloose”, libera quindi di cercare in tutto il mondo la locazione
che le garantisca i minori costi possibili. Al contrario, le attività
di produzione non di routine associate all’innovazione come la
ricerca e lo sviluppo, la sperimentazione e produzione di
prototipi, e le produzioni a piccoli volumi, sono sempre più
concentrate geograficamente.
Il processo di commercializzazione di nuovi prodotti, come
già menzionato, richiede diversi tipi conoscenza, tecniche ed
esperienza. Per commercializzare un’innovazione, l’università e i
dipartimenti di R&S industriali devono essere combinati con
capacità tecniche e pratiche insieme a conoscenze sulla domanda
dei consumatori e sulle dinamiche dei mercati di sbocco. Questa
concettualizzazione suggerisce che l’innovazione potrà essere
incrementata da quattro tipi di istituzioni e risorse: R&S
universitaria, R&S industriale, agglomerazioni e raggruppamenti
di imprese in settori correlati, e network di imprese che
forniscono servizi per il business. Tutte insieme, queste istituzioni
complementari forniscono risorse e input di conoscenza ai
8
Barnet e Muller 1974; Vernon 1977
processi innovativi, generando esternalità positive e un proficuo
flusso informativo che abbasseranno i costi dello sviluppo di
nuove innovazioni, riducendone allo stesso tempo il rischio
associato. Una volta combinate, queste risorse formano
un’infrastruttura tecnologica concettualizzata come un network di
istituzioni integrato e concentrato nello spazio che fornisce input
al processo innovativo.
Per raggiungere i risultati possibili dalla vicinanza di
imprese ed istituzioni innovative, si stanno sviluppando
molteplici strategie di agglomerazione le cui parole chiave più
ricorrenti sono: triangolazione (far interagire centri di ricerca di
punta, imprese innovative e centri di formazione superiore:
l’immagine del triangolo ricorre di frequente nella denominazione
stessa di alcune iniziative); fertilizzazione incrociata (creare
attività comuni tra imprese, università e ricercatori, in modo tale
che i lavori degli uni siano utili agli altri); sinergia (contrapposta
a bipolarità: anziché ragionare ed operare in termini di
opposizione fra pubblico e privato, fra intraprendere e ricercare,
fra scienza e tecnologia, promuovere la cooperazione fra organi
diversi per adempiere a determinate funzioni); tridimensionalità
(come nuova dimensione del mondo dell’innovazione al posto
della prospettiva: non c’è più un solo punto di osservazione
centrale e totalizzante, ma un punto di vista globale che risponde
alla concezione globale dei mercati e delle imprese).
Par 1.2: Le differenti definizioni
La possibilità di sopravvivenza sui mercati internazionali è
oggi affidata, essenzialmente, alle capacità delle imprese di
produrre beni e servizi utilizzando tecnologie innovative. Ma,
come abbiamo visto nel precedente paragrafo, queste
rappresentano solo la conclusione di un’attività complessa che
poggia su un efficiente organizzazione di strumenti e, soprattutto,
di uomini. I fattori che portano alla localizzazione delle industrie
high tech non sono ovunque identici ma possiamo considerare
come necessari (ma non sufficienti): Il capitale umano dei quadri,
le università e gli istituti di ricerca, la amenità del paesaggio, le
infrastrutture di trasporto, i servizi, il clima politico e degli affari,
le economie di agglomerazione
9
.
Si parla anche , nei processi di localizzazione, di specifici
attributi di area favorevoli all’introduzione di tecnologie
avanzate: essendo la diffusione tecnologica un fenomeno
geografico, la vicinanza fisica tra ricerca e industria facilita
l’assorbimento di nuove tecnologie; la disponibilità di personale
specializzato facilita contatti ed eventuali consulenze; mentre la
prossimità geografica favorisce collaborazioni a più livelli e
l’eventuale circolazione dei modelli più innovativi ed efficienti
10
.
9
Benko (1991)
10
Conti e Spriano (1989)
La creazione di parchi scientifici, tecnopoli, centri per
l’innovazione, aree di ricerca, rappresenta una modalità tendente
a favorire il sorgere di questo tipo di organizzazione. Questo è un
processo articolato che richiede una politica economica attenta
allo sviluppo tecnologico ma anche a quello sociale e culturale
dell’area geografica di riferimento; richiede quindi una
“compatibilità del sistema” dove possano cioè coesistere attività
umane e risorse ambientali. Il dibattito sul contributo che essi
possono dare per favorire il trasferimento tecnologico e la nascita
di nuove imprese “science based” è però spesso viziato da una
certa confusione terminologica
11
; accade così che il termine parco
scientifico venga utilizzato indifferentemente per riferirsi a varie
tipologie localizzative, ciascuna delle quali è idonea a soddisfare
esigenze delle differenti imprese high tech ed è in grado di
perseguire obbiettivi diversi di politica industriale.
11
A tal proposito Elia (1991) scrive: “A volte le ambiguità terminologiche possono essere
ulteriormente aggravate da giochi inventati nelle varie aree linguistiche. Per esempio, in Francia si
distingue tra le technopôle (al maschile) e la technopole (al femminile): il primo è considerato un
“polo territoriale”, monofunzionale, in cui si collocano attività tecnologiche di punta; la seconda
pare configurarsi come una zona più propriamente urbana, pur nella prevalente destinazione
tecnologica, ove le attività si appoggiano ad un complesso integrato di abitazioni e di servizi”.
Par 1.3: Il parco scientifico
Il termine parco scientifico è forse quello più utilizzato non
solo dagli studiosi, ma anche dalla letteratura non specializzata.
La denominazione parco scientifico viene usata in generale per
indicare un’area spaziale circoscritta nella quale si concentrano
attività caratterizzate da un rilevante contenuto scientifico e
tecnologico. Più precisamente lo stesso termine viene impiegato
anche per definire una specifica area innovativa, costituita
principalmente da istituzioni universitarie e da altri centri di
ricerca fondamentale, in grado di attrarre anche imprese,
prevalentemente di piccola e media dimensione, la cui produzione
è strettamente dipendente da continui rapporti di interscambio
con gli agenti scientifici dell’area stessa. Esempio classico di
questa tipologia è il Cambridge Research Park in Gran Bretagna.
Più specificatamente, la UK Science Park Association
(UKSPA), all’inizio della sua attività, verso la metà degli anni
’80, produsse una serie di criteri di ammissibilità
12
. Secondo tali
criteri, un parco scientifico è un’iniziativa, che:
• ha legami operativi formalizzati con un’università od un altro
organismo di ricerca o di formazione superiore;
• è progettato per incoraggiare la formazione e la crescita di
imprese basate sulla conoscenza;
12
UKSPA (1985)
• è dotato di servizi volti al trasferimento di conoscenze
tecnologiche ed imprenditoriali verso le organizzazioni
localizzate nella zona.
A questa visione di parco scientifico sembra in un certo
senso contrapporsi un’altra, secondo la quale: “è essenzialmente
costituito da istituzioni universitarie, centri di ricerca di base ed
eventualmente strutture di ricerca industriale”
13
.
Il punto di partenza quindi sembra essere la presenza di
un’importante istituzione universitaria, la quale esercita
decisamente un ruolo centrale nei parchi scientifici. La sua
presenza può scongiurare i rischi provenienti da imprese
interessate unicamente alla produzione, all’erogazione di servizi
commerciali o tecnologici applicativi e valorizzare soprattutto la
ricerca di base. L’università può stabilire una feconda
cooperazione con le imprese, misurandosi con la realtà
produttiva, verificando e sperimentando le proprie proposte
tecniche anche a livello applicativo. E la formazione
professionale da essa fornita è fattore essenziale per la R&S, tanto
che inchieste sviluppate presso le imprese localizzate in numerosi
parchi scientifici volte a conoscere quali sono i motivi che hanno
indotto l’impresa a scegliere tale ambito territoriale, hanno fatto
emergere come fattore fondamentale la presenza della formazione
offerta dall’università, considerata come condizione addirittura
assai più decisiva della stessa ricerca
14
.
13
Terracciano (1986)
14
Tosi e cardia (1987)
Nel parco devono trovare dunque sede strutture di studio e
di ricerca che consentano di provocare il mutamento tecnologico
e che siano in grado di collegarsi con la produzione a grande e
piccola scala. E’ ormai largamente acquisito che le piccole e
medie imprese, e non solo i grandi colossi nazionali e
multinazionali, possono introdursi con successo, grazie anche alla
loro flessibilità e plasticità, in esperimenti di questo genere.
La stretta correlazione tra ricerca, università e sviluppo
economico consente l’affinamento del know how, la messa a
punto di nuove tecniche, la riduzione dei costi, l’aumento della
produttività. Alla base della fertilizzazione incrociata tra
università ed impresa è la condizione che l’una vada oltre i
compiti tradizionali di didattica e ricerca, e che l’altra sia disposta
a correre il rischio di nuove iniziative, di nuovi investimenti, di
nuovi prodotti, stabilendo alleanze strategiche di vario genere
anche, e soprattutto, internazionali. Tra l’altro nell’ambito della
Comunità Europea, il programma COMETT, adottato nel 1987,
punta proprio su questi obbiettivi di cooperazione internazionale
tra imprese e università, per favorire una diffusione delle
tecnologie avanzate, una formazione professionale progredita,
uno spirito imprenditoriale aperto all’innovazione. In queste
stesse linee strategiche sembrano appunto collocarsi istituzioni
come i parchi scientifici.
Anche per l’ampliamento progressivo degli orizzonti
operativi, si rende qui indispensabile una proficua collaborazione
tra sfera pubblica e sfera privata. Certo questo rapporto dipende
dal sistema politico in cui si colloca e da quello normativo che lo
regola. Può accadere perciò che gli insediamenti scientifici dei
vari paesi risentano in maniera più o meno accentuata delle
influenze esercitate da enti pubblici e da operatori privati. Per
esempio i parchi scientifici giapponesi sono soggetti a controlli
statali, diretti ed indiretti; quelli americani ricevono investimenti
federali, assieme a quelli delle università e dei centri di ricerca;
quelli francesi, eredi di una lunga tradizione centralistica statale,
vedono gli enti pubblici in posizione preminente. Ad ogni modo
l’incidenza degli attori privati, in tutti questi casi non va
trascurata ed è anzi ad essi che viene affidata la spinta propulsiva
di queste istituzioni. Quanto al potere politico, gioca anch’esso la
sua parte e cerca spesso di impiegare i parchi anche come
strumento di gestione dello sviluppo economico.
In queste operazioni pubblico e privato perdono l’antica
delimitazione, contrastano sempre meno, spesso si incontrano,
collaborano ed anzi incrociano le loro risorse e le loro
competenze seguendo l’ideologia, tipicamente post-industriale, in
base alla quale la collaborazione tra pubblico e privato si
configura, come dicono gli americani, in una sorta di tandem, su
cui entrambi i ciclisti devono produrre un proprio sforzo al fine di
coprire lunghe distanze. Però da qualche parte si sostiene che
deve essere il pubblico a guidare il veicolo ed a scegliere la strada
da battere (allontanandosi quindi da una concezione liberista del
lasse fair e proponendo uno stato interventista nell’economia).
Le intese che così si stabiliscono comportano l’articolarsi di
nuove strategie di intervento in materia di politica urbana e di
politica industriale, e quindi anche di nuovi equilibri di potere.
In relazione a queste peculiarità, i parchi possono
configurarsi come aree in cui risultano arricchiti compiti,
funzioni, finalità dell’impresa e dell’università post-industriale.
Inoltre essi alimentano il mercato economico, stimolando la
produttività e la creatività, prenotando e poi utilizzando le
invenzioni e le scoperte. E, come accennato, è ai risultati
economici, al bilancio delle entrate e delle uscite, alla valutazione
dei costi-benefici, alla ricerca dei saldi positivi che è legato il
destino degli spazi tecnologici e delle principali decisioni che li
concernono.
La gestione del parco quindi è fondamentale per la
sopravvivenza dello stesso. Le funzioni fondamentali sono
rappresentate da una politica di marketing, dalla fissazione dei
criteri di accettabilità del parco, dal collegamento con i
dipartimenti universitari, dalla gestione delle strutture
immobiliari. I servizi per il trasferimento tecnologico
eventualmente offerti fanno normalmente capo ad una struttura
autonoma rispetto alla gestione del parco. Finanziamenti per le
imprese possono provenire direttamente dalla struttura del parco
scientifico o da fonti esterne.
Il sostegno alla nascita di nuove imprese è rientrato, negli
ultimi anni, anche negli obbiettivi di questa tipologia,
concretandosi nella creazione, al suo interno, di incubatori:
strutture immobiliari a più piani, con unità di piccole dimensioni
a utilizzazione flessibile, destinate ad accogliere
temporaneamente le imprese neonate.
Un’adeguata politica di marketing, unita ad una struttura
fisica di riferimento di una certa consistenza ( il parco scientifico
di Cambridge, che è il più vecchio e il più vasto d’Europa, ha una
superficie di 526000 mq) esercita un potere di attrazione nei
riguardi delle imprese science based, il che genera una massa
critica che contribuisce ad aumentare il livello di consapevolezza
tecnologica dell’area, con i conseguenti effetti a cascata sul
territorio.
Ma questa aggregazione di imprese si può verificare solo se
sono contestualmente soddisfatte altre condizioni. E’ evidente che
in un’area caratterizzata da una disoccupazione non specializzata,
con scarsa imprenditorialità, con un tessuto industriale che non ha
sviluppato le potenzialità necessarie per il cambiamento, che non
possiede insomma quei fattori necessari per il successo di un
parco scientifico, la creazione di questa tipologia si tradurrà
inevitabilmente in un operazione sotto tutti i punti di vista
fallimentare. Si potranno eventualmente avere fenomeni di spin-
off
15
dall’università. In tale contesto, per favorire la nascita di
piccole imprese locali, risulta certamente più adeguata la
creazione di agenzie in grado di offrire servizi di consulenza
manageriale e finanziaria e corsi di formazione.
15
imprese fondate da ricercatori universitari o studenti per lo sfruttamento commerciale di idee
scaturite dalla loro ricerca universitaria.
La creazione di un parco scientifico deve pertanto essere
considerata una politica per sollecitare la creazione di
insediamenti concentrati di imprese science based, sfruttando
l’esistenza sul territorio di particolari fattori localizzativi
(presenza di università ed enti di ricerca efficienti, disponibilità di
forza lavoro specializzata, un ambiente dinamico ecc.) Una
politica, quindi, in grado di anticipare effetti la cui realizzazione
avrebbe richiesto tempi più lunghi, con maggiori costi sociali ed
economici.
Interessante è una classificazione temporale dei parchi
scientifici che li divide in 2 macro-gruppi: parchi “di prima
generazione e di seconda generazione”
16
.
I primi sono Parchi-raccolta di attività di ricerca (i
riferimenti sono, in particolare, i parchi americani degli anni ‘50 e
’60).
Attraverso un’operazione urbanistico-edilizia viene
premiata la localizzazione delle attività di ricerca scientifica. Qui
è del tutto casuale il processo che presiede alla comparsa di
innovazione e alla nascita di nuove imprese. A produrre tali
risultati dovrebbe essere un ambiente naturale favorevole, grazie
ai contatti che si intrecciano in un’area ad alta concentrazione di
scienziati, ricercatori, progettisti e studenti.
Nell’esperienza americana si osserva che il parco è spesso
localizzato sul territorio di un’università tecnologica che agisce
anche (o soltanto) da imprenditore immobiliare. L’università
16
Formica (1991)
predispone un programma di collegamento industriale gestito da
una sua apposita struttura (il Centro di Collegamento Industriale).
Nel parco si insediano organismi di insegnamento e ricerca
(fase istituzionale), grandi gruppi nazionali e internazionali
attratti dal potenziale di ricerca e dalla qualità del capitale umano
disponibile (prima fase imprenditoriale), nuove imprese spin-off
generate da idee e progetti in seno alle grandi imprese presenti nel
parco (seconda fase imprenditoriale).
Il parco di ricerca tende alla promozione di attività alla
frontiera della tecnologia. L’accento è posto sulla “R” della R&S
e il parco si muove dunque, verso la scoperta di innovazioni.
Questo processo è caratterizzato dall’alto contributo scientifico
necessario e dal lungo intervallo temporale richiesto per riuscire
ad ottenere positive ricadute economiche. Da questa prospettiva
esso ci appare come un ponte gettato per unire la fine del ciclo di
vita di una tecnologia giunta a maturazione e l’inizio di un altro
che ne rappresenta una nuova.
I parchi scientifici di seconda generazione sono rivolti
all’innovazione e si affermano a partire dalla seconda metà degli
anni ’70: rispetto al parco-raccolta, l’accento si sposta dalla
ricerca scientifica (sviluppo delle conoscenze) alla ricerca
tecnologica (sviluppo delle applicazioni).
Questo tipo di parco è orientato verso la “S” della R&S e si
posiziona allora nelle fasi di diffusione e sviluppo del ciclo di vita
di un prodotto. Questo significa che esso presenti una crescita
accelerata dei risultati conseguibili rispetto agli impegni (risorse