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popolazione urbana sul totale della popolazione
1
.
Sulla qualità della vita, inoltre, incidono necessariamente fattori di tipo
diverso, da un lato, potremmo senza difficoltà individuarne alcuni che travalicano il
contesto urbano, in quanto sono determinati da processi sociali collettivi di portata
storica, (si pensi alla rivoluzione industriale, al passaggio alla nostra società detta
postindustriale o dell’informazione), altri invece hanno una vera e propria specificità
urbana e la loro intensità incidente sulla qualità della vita sarà spesso legata alle
dimensioni della città che li genera; in ogni caso, entrambi questi fattori saranno
analizzati singolarmente e nella loro interazione, la quale in ultima analisi produce la
realtà sociale e materiale che determina la qualità della vita.
Partiremo con un’analisi sociologica dell’evoluzione delle condizioni di vita,
della popolazione europea e nordamericana, nel periodo compreso fra la fine del
settecento e i giorni nostri. L'industrializzazione ha rivoluzionato le nostre società e le
nostre condizioni del vivere, quindi ci è sembrato opportuno, per quanto
schematicamente, partire con la nostra analisi da questo evento, il quale ha
innescato una serie di modificazioni che ancora oggi continuano a sviluppare i loro
effetti. Passeremo quindi dall’analisi storica al dibattito odierno, sociologico e non
solo, che riguarda il tema della qualità della vita nell’occidente: individueremo quali
sono le mutazioni sociali che, oggigiorno, minacciano la qualità della vita urbana e
pongono seri interrogativi, sull’opportunità di rivedere alcuni aspetti del nostro
modello di sviluppo.
1
AA.VV., "Atlante mondiale Microsoft Encarta 2001", edizione software per personal computers,
Microsoft, 2001.
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Nello svolgere l’analisi del concetto in questione, poi, tenteremo di chiarirne il
significato, così come viene inteso nelle scienze sociali e di darne una lettura critica,
inoltre, parte significativa del lavoro, che ci accingiamo a compiere, sarà quello di
valutare criticamente gli strumenti metodologici, che vengono ritenuti validi allo scopo
di rilevare empiricamente la qualità della vita.
E' possibile sorprendersi della densa interconnessione che contraddistingue
alcune parti del lavoro, le quali per essere esaustive ci hanno costretto a sconfinare il
limite posto dal soggetto indicato nel titolo di ogni paragrafo. Lungi dal pensare che
sia un difetto, al contrario, in un'epoca nella quale le scienze si specializzano in
maniera sempre più puntuale, nello studio minuzioso di determinati fenomeni,
pensiamo che sia sempre presente il rischio della perdita di una visione di insieme
che, forse, fra molti difetti è a nostro modo di vedere il pregio più grande della
sociologia.
Infine, approfittiamo di questa breve introduzione per motivare la scelta di
questo tema come oggetto di una tesi di laurea: il tratto comune che distingue lo
studente di scienze politiche è la sua formazione interdisciplinare, che la nostra
Facoltà giustamente incoraggia e ritiene un valore aggiunto alla formazione dei suoi
studenti. Abbiamo quindi scelto la qualità della vita come oggetto di questo lavoro,
che, sarà necessariamente interdisciplinare, essendo la vita umana studiata da
molteplici discipline scientifiche.
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Capitolo Primo -La qualità della vita: evoluzione delle
condizioni di vita urbane.
La qualità della vita è necessariamente cambiata con l’evolversi della società
umana. Questi cambiamenti sono un prodotto, sia delle mutazioni di vita intese sotto
un profilo meramente materiale, sia dell’evoluzione dell’organizzazione sociale,
attraverso quel percorso, oramai unanimemente identificato dai sociologi nel
passaggio dalla comunità alla società.
La società del settecento appariva fortemente stratificata e priva di quelli
strumenti giuridico -organizzativi che avrebbero permesso, congiuntamente alle
innovazioni tecnologiche, di realizzare una rivoluzione non solo del produrre, ma
anche e soprattutto del vivere e dell’abitare. Alcuni fenomeni determineranno in
questo periodo modificazioni della qualità della vita e il cambiamento allora
intrapreso, seguiterà a svilupparsi nella medesima direzione sino ai nostri giorni.
Immaginiamo la vita dei più prima della rivoluzione industriale e pensiamo ai
radicali cambiamenti avvenuti:
• La popolazione viveva prevalentemente nelle campagne e le città esistenti
erano di piccole dimensioni. Questo non è del tutto vero in un paese come
l’Italia, dove l’insediamenti abitativi erano già di dimensioni maggiori in
confronto ad altri paesi europei, si pensi a Napoli. Tuttavia, con l’avvento
dell'industrializzazione, le città crescono ad un ritmo molto sostenuto.
Questa tendenza è indiscussa e ampiamente provata, basti pensare che,
in Inghilterra, si hanno alcuni esempi clamorosi di questo fenomeno: a
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Manchester nel 1760 vi erano 12.000 abitanti, a metà dell’800 se ne
conteranno 400.000; Londra che alla fine del settecento già contava un
milione di abitanti nel 1851 conterà due milioni e mezzo di abitanti
“superando per grandezza qualsiasi città del mondo antico e moderno”
2
.
• La vita media era molto bassa e si aggirava fra i 30 e i 40 anni. Con la
rivoluzione industriale in Inghilterra, (come altrove d’altronde con tempi e
cifre diversi che confermano la stessa tendenza), la mortalità subisce un
brusco calo e per la prima volta, si discosta fortemente dal tasso di
natalità: il primo passa dal 35 per mille della metà del settecento, al 20 per
mille della metà dell’ottocento, mentre il tasso di natalità rimane
pressoché costante intorno al 37 per mille. Ciò evidentemente porta ad un
aumento della popolazione che, come abbiamo visto, inizia un processo
migratorio dalla campagna alla città il quale durerà fino ai giorni nostri,
seppure con intensità variabile da paese a paese e in relazione allo
sviluppo della sua economia industriale. In Inghilterra l’aumento della
popolazione assume livelli sorprendenti, si passa da 7 milioni di abitanti
del 1760 ai 14 milioni del 1830. La durata della vita media, quindi, cresce
passando dai 35 anni circa fino a più di 50 anni. Infine, merita sottolineare
che la struttura della popolazione muta, ovvero aumentano i giovani
grazie alla caduta della mortalità infantile.
• La scarsa interdipendenza delle economie nazionali implicava una forte
incidenza in termini di vite umane, per ogni periodo di carestia che la
2
Benevolo Leonardo, Storia della città. 4. La città contemporanea., Editori Laterza, Bari, 1993.
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popolazione era costretta ad affrontare. Con la rivoluzione industriale
cresce il commercio internazionale, grazie allo sviluppo di una rete di
comunicazione prima inesistente, (come nel caso della ferrovia, che
nasce in Gran Bretagna, nel 1831) o presente in dimensioni più ridotte,
come le strade o le rotte marittime che venivano percorse più lentamente.
Non dimentichiamo che, lo sviluppo del motore a scoppio porterà ad una
rivoluzione dei trasporti, oltre che della produzione; le navi a vapore
divengono realtà fra il 1783 e il 1822, anno in cui si iniziano a produrre
barche a vapore capaci di trasportare correntemente uomini e merci.
Quindi non solo le merci, ma anche le persone circoleranno di più e più
velocemente; ecco quindi che, per sfuggire alle carestie e alla miseria, si
produrranno grandi ondate migratorie interne agli stati nazione e quindi in
direzione delle città maggiori che fungono da traino all’economia
nazionale verso lo sviluppo industriale, ma anche in direzione esterna
verso paesi limitrofi o verso gli Stati Uniti d’America che, ancora
scarsamente popolati, sembrano offrire grandi opportunità all’emigrante.
• Agli albori della rivoluzione industriale la mobilità fisica era estremamente
ridotta, chi nasceva in un posto molto probabilmente avrebbe terminato lì
la sua esistenza, qualora non fosse stato costretto a muoversi a causa di
guerre o carestie. Questo, congiuntamente alle norme giuridiche e morali
non egualitarie, implicava una struttura sociale più statica. Servirà il
trauma politico e sociale della Rivoluzione Francese per affermare in
Europa l’uguaglianza formale dei cittadini di fronte alla legge, si ricordi a
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tal proposito il “Code Napoleon”, che espletò la funzione di modello per
tutti i paesi ai quali l’Impero francese aveva esportato gli ideali della
Rivoluzione. I figli, il più delle volte, ripetevano la vita dei padri
sviluppando le medesime competenze professionali e lavorative: erano
molto minori le possibilità, che la società offriva, di modificare il proprio
status di nascita e spesso erano legate a scelte radicali, come
abbandonare la propria famiglia di origine per incorporarsi nella chiesa o
tentare la sorte con il “mestiere delle armi”. Con l'industrializzazione molti
contadini possono o devono, lasciare i campi per le città, s’integrano in un
nuovo ambiente che spesso li porta in contatto con persone provenienti
da altre regioni, (o addirittura nazioni quando già nell’ottocento comincerà
il costante flusso dall’Irlanda o da altre zone povere dell’Europa verso gli
Stati Uniti d’America). Accade così che gli emigranti maturano altre
competenze professionali e se riescono ad adattarsi alla nuova
situazione, indubbiamente dura sotto molti aspetti, possono cogliere le
opportunità di promozione sociale che la città, agli albori della rivoluzione
industriale, offre. La possibilità di intraprendere piccoli commerci, la
possibilità di avviare a livello familiare una piccola impresa, permettono a
molti di iniziare un percorso di ascesa sociale che spesso si compirà
nell’arco di più generazioni. Ovviamente, questa accresciuta mobilità
sociale non sta a significare che le condizioni di nascita smetteranno di
condizionare la vita delle popolazioni occidentali, al contrario, la
stragrande maggioranza dei contadini che emigreranno verso la città
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passeranno da una condizione di indigenza e fame ad una nuova
condizione di indigenza, dove tuttavia potranno beneficiare dei nuovi posti
di lavoro che l'industrializzazione offre e che permetteranno loro di
sostentarsi e non soffrire più le carestie, perlomeno non più nella maniera
dell'ambiente rurale.
• L’ambiente in cui vivevano le popolazioni europee era molto meno
antropizzato e si registrava una densità abitativa molto più bassa. Il netto
aumento della popolazione di cui abbiamo parlato ed il suo afflusso verso
la città, certamente portano ad una maggiore densità abitativa. Non
dimentichiamo che, se da un lato la rivoluzione industriale permette un
aumento della vita media e una diffusione maggiore di molti beni di
consumo prima inesistenti o inaccessibili ai più, tuttavia, non può
prescindere da ciò il verificarsi di alcuni cambiamenti nell’abitare, che
sembrano peggiorare la qualità della vita dei soggetti coinvolti. L’aumento
della densità abitativa ad esempio è un problema molto sentito dalle classi
meno abbienti, che, nella prima metà dell'ottocento, si concentrano nella
periferia delle grandi città inglesi (o nel centro vecchio, dove già erano
presenti quartieri popolari). Engels
3
, a tal proposito, descrive con accenti
drammatici la condizione abitativa del vecchio centro di Manchester: “…le
strade, anche le migliori, sono strette e tortuose, le case sporche, vecchie,
cadenti e l’aspetto delle strade laterali è assolutamente orribile [….]; sono
i resti della vecchia Manchester preindustriale, i cui antichi abitanti si sono
3
Benevolo Leonardo, Storia della città. 4. La città contemporanea., Editori Laterza, Bari, 1993.
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trasferiti con i loro discendenti in quartieri meglio costruiti, lasciando le
case, divenute per essi troppo misere, ad una razza di operai fortemente
mescolata con sangue irlandese”. Ecco che il problema dell’alta densità
abitativa, unito alla qualità molto scadente delle abitazioni popolari e
all’assenza di fognature, porteranno al diffondersi di malattie e a problemi
igienici di massa, i quali incideranno sul tasso di mortalità, anche se,
complessivamente, le statistiche nazionali ne mostrano una diminuzione,
dovuta all’espansione dei consumi e ai progressi della medicina
4
.
• Le strutture politico sociali erano oligarchiche e basate sul censo;
mancava una piena libertà di associazione e una seppur minima
possibilità di incidere sulle politiche dello stato, da parte della
maggioranza della popolazione. Unica eccezione a questo stato era la
disperata realtà delle rivolte sociali promosse, occasionalmente, dal
proletariato agricolo o urbano, (specialmente delle capitali), ma che
spesso suscitavano il solo effetto di essere brutalmente represse.
Bisognerà attendere la Rivoluzione Francese per vedere un cambiamento
nella politica e nella amministrazione. Gli incarichi pubblici inizieranno ad
essere elettivi e il suffragio universale comincerà ad essere cautamente
rivendicato da settori sempre più importanti delle società europee.
Ai principi dell’ottocento, il fenomeno più discusso dell’età contemporanea, la
rivoluzione industriale, inizia a dispiegare tutti i suoi effetti innovatori mentre,
collateralmente, altri eventi storici significativi sul piano sociale, quali la rivoluzione
4
A tal proposito Clough S.B. e Gayle Moodie C. sostengono con forza la tesi del miglioramento delle
condizioni di vita.
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francese e la nascita degli Stati Uniti d’ America, produrranno quelle contestuali
mutazioni, dell’organizzazione sociopolitica, che si riveleranno funzionali al nuovo
sistema produttivo.
Meritano di essere trattati singolarmente alcuni ambiti della realtà sociale, nei
quali da sempre gli individui cercano soddisfazione ai propri bisogni, che nel capitolo
secondo abbiamo definito come "bisogni universali", in quanto presenti in ogni cultura
di ogni tempo e luogo:
• le relazioni sociali: la famiglia.
• il lavoro.
• l'ambiente: la città.
• l'abitazione.
La stretta connessione fra i temi sopra elencati ci imporrà spesso una
trattazione, durante la quale travalicheremo la ripartizione in differenti oggetti appena
proposta. Tuttavia, è proprio la possibilità di incrociare vari temi allo stesso tempo,
che ci appare come la forma migliore per rendere conto della complessità dei temi
stessi.
Le relazioni sociali: la famiglia come esempio.
La famiglia merita di essere trattata, in quanto è una struttura sociale sempre
presente in tutte le società, al contrario di altre che sono sorte con
l'industrializzazione, (come la scuola di massa, ad esempio) o che con essa sono
scomparse, (come le corporazioni). Pertanto, la famiglia offre la possibilità di
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misurare la potenza del processo di cambiamento. Quindi, ciò premesso, non
dimentichiamo che la famiglia, per l'intensità e la durata, dei rapporti che la
contraddistinguono, è senza dubbio alcuno uno dei più significativi contesti nei quali
si sviluppa la personalità di ciascun soggetto, (questo è sempre stato vero e tanto
più, per ovvi motivi culturali nelle società cristiano cattoliche), perciò merita
attenzione.
Non ci sembra opportuno, adesso, entrare nel dettaglio della teoria
sociologica che ha per oggetto la famiglia, ci limitiamo a sottolineare che da Freud in
poi i genitori sono sempre stati visti dai sociologi come agenti determinanti della
socializzazione primaria, un ruolo questo che con prospettive diverse sarà
sottolineato da tutte le principali correnti sociologiche del secolo XX.
Un interessante dibattito, che non si esaurirà facilmente, è quello interno fra
gli scienziati sociali studiosi della famiglia: alcuni, (come Harris), attribuiscono i
cambiamenti avvenuti nel seno familiare ad un riflesso delle modificazioni avvenute
nella sfera produttiva, mentre altri, (come Martine Segalen), sottolineano l'adozione
da parte delle famiglie di una strategia consapevole di cambiamento, la quale
secondo essi, avrebbe influito a sua volta sulla economia del lavoro; è un po' questo
ultimo un ennesimo riproporsi del dibattito fra scienziati sociali di prospettiva
neomarxista e autori di altre tendenze.
In generale e schematizzando, si può affermare che l’organizzazione sociale
era più comunitaria, la famiglia era di tipo patriarcale e abbracciava un arco
generazionale che andava dai nonni ai nipoti; mancando un efficace controllo delle
nascite ed essendo ritenuta la prolificità un’opportunità di maggiore prosperità,
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specie fra il proletariato agricolo, (che era la parte maggioritaria della popolazione), le
famiglie erano spesso numerose. Tuttavia, proprio la rivoluzione industriale
stravolgerà questo schema familiare, molte famiglie si scomporranno in unità meno
numerose, che abbracceranno in genere non più di due generazioni; questo sarà un
processo molto lento e impercettibile nella prima industrializzazione, fra la fine del
XVIII e la metà del XIX secolo, in questo periodo infatti, la estrema durezza delle
condizioni di vita dei lavoratori spingerà molti soggetti a vivere in famiglie di molti
elementi, per sopravvivere.
Molte famiglie si divideranno; ovvero, i padri, più normalmente, (ma anche i
figli maschi), saranno costretti, dalle circostanze lavorative, a dover lasciare la
propria casa e la propria famiglia per andare periodicamente a lavorare, anche molto
lontano, magari per periodi di mesi o di anni: è il caso degli emigranti che si
spostano, generalmente, prima nella persona del capofamiglia e poi,
successivamente, se le circostanze lo permettono, nelle persone dei suoi familiari.
Per approfondire la nostra analisi, prendiamo in considerazione due lavori
che ci sono parsi significativi: quello di Martine Segalen e quello di Harris
5
.
La Segalen si muove su un piano più storico che sociologico, tuttavia
entrambi gli autori mostrano di convergere su alcuni temi.
5
. Harris C.C., Familia y sociedad industrial, Ediciones Peninsula, Barcelona, 1986. Burguière,
Klapisch- Zuber, Segalen, Zonabend , "Historia de la familia ", volume secondo, Alianza Editorial,
Madrid, 1988.
18
La famiglia protoindustriale.
Partendo dalla famiglia protoindustriale
6
, che si viene distinguendo dalla
famiglia tradizionale agricola o dalla famiglia dell'artigiano, che già le preesiste,
occorre innanzitutto sottolineare come, in modo solo apparentemente strano, la
famiglia cambia prima nel contesto agricolo e poi in quello cittadino. Il perché è
abbastanza semplice, se si tengono a mente le tappe della prima industrializzazione:
ricordiamo infatti che la protoindustria si sviluppa prima nelle campagne inglesi,
(l'esempio più noto), dove, come ben sappiamo, i mercanti del settore tessile
potevano incontrare facilmente mano d'opera a buon mercato, fra il proletariato
agricolo, che contava fra le sue fila molti soggetti in condizioni economiche misere.
Questa miseria era da imputarsi al processo di accumulazione delle terre nelle mani
di pochi soggetti e la privatizzazione delle cosiddette "terre comuni", dove
precedentemente gli abitanti delle piccole comunità rurali potevano liberamente
pascolare bestiame o raccogliere frutti.
Nelle città, le corporazioni difendevano il benessere degli artigiani, la cui
mano d'opera specializzata era cara e in generale impedivano il sorgere di
manifatture che, svolgendo una concorrenza indesiderata, avrebbero reso peggiore
la posizione economica degli artigiani. Questa azione difensiva delle corporazioni
verrà meno quando, in nome della nuova dottrina economica e sociale liberale,
cadranno gli strumenti legali e politici che avevano supportato il potere delle
corporazioni.
6
L'aggettivo "protoindustriale", riferito alla famiglia, viene utilizzato diffusamente dalla Segalen e
riconoscendone l'utilità ne facciamo quindi uso nel testo.
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Quindi, il mercante trova vantaggioso approfittare del lavoro a poco prezzo
del proletariato rurale, questa in realtà potrà sembrare una scelta con alcuni costi, il
mercante doveva muoversi molto e perciò sostenere spese che la concentrazione in
città della mano d'opera avrebbe abbattuto, tuttavia come abbiamo visto, i tempi per
questo tipo di nuova produzione e cioè per la fabbrica, ancora non erano maturi; non
si dimentichi che la ferrovia farà la sua prima apparizione nel 1830, in Inghilterra,
senza di essa trasportare il carbone, indispensabile al funzionamento delle macchine
a vapore, necessarie all'industria tessile di grandi dimensioni, sarebbe stato molto
poco vantaggioso. Il sito ideale della nuova città industriale era quindi vicino alle
miniere, ma ancor più necessario era il collegamento ferroviario
7
.
Nella famiglia della protoindustria si spezzano bruscamente le vecchie
strutture, perlomeno in alcuni casi. Per meglio precisare, intendiamo che le donne si
affacciano prepotentemente, sulla scena familiare, come soggetti di potere
economico (e quindi, saremo tentati di dire, morale), all'interno di un contesto che
precedentemente le vedeva o completamente dipendenti dal loro marito o comunque
come soggetto economicamente più debole.
Occorre comunque fare qualche opportuno distinguo: il lavoro tessile che
queste donne svolgevano era un lavoro mal pagato e quindi, quando esso si inseriva
in un ambito familiare di piccoli o medi proprietari terrieri, era niente più che un
contributo utile all'economia familiare, nella misura in cui non veniva ritenuto
superfluo e in tal caso molto probabilmente non vi si avrebbe fatto ricorso.
7
Mumford Lewis, La città nella storia. Dalla corte alla città invisibile, volume terzo, Tascabili Bompiani,
Milano, 1996. Pag. 570.
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Il discorso è ovviamente diverso per le famiglie proletarie, (la grande
maggioranza), in questo caso, spesso il contributo economico del lavoro femminile
era indispensabile se non addirittura, per le particolari condizioni che si erano create
nelle campagne inglesi nella seconda metà del XVIII secolo, l'unico sostegno
economico della famiglia. In questo ultimo caso limite l'uomo, bracciante agricolo
disoccupato, poteva si applicarsi al lavoro tessile, ma per alcuni lavori per i quali si
richiedevano particolari abilità, considerando che le mani della donna e dei bambini
erano spesso più agili, finiva addirittura per surrogare la funzione tipicamente
femminile di badare alla casa e ai figli più piccoli, mentre la donna lavorava, sempre
in ambiente domestico, ma a tempo pieno sul telaio. Non solo, era sempre la donna
che in alcuni casi si occupava di mantenere i rapporti con il mercante, datore di
lavoro, con il quale contrattava il prezzo della mano d'opera, un rituale che si ripeteva
di norma in un caffè. Segalen riferisce che, questo caso limite di inversione dei ruoli,
era specifico di alcune realtà e cita l'esempio del Delfinato, dove le donne
svolgevano a casa il lavoro di cucitura dei guanti e gli uomini, come già detto, le
sostituivano in altre mansioni
8
.
Quello che emerge in forma chiara è che le donne e i bambini diventano
importanti produttori di reddito nell'economia familiare. Le donne, in particolare,
sviluppano un ruolo economico tendenzialmente paritetico e in casi limite
preponderante. I turni di lavoro sono massacranti e i bambini, a partire dai sette anni
circa, diventano soggetti attivi economicamente in seno alla famiglia.
8
Si veda il testo della Segalen, op. cit., a pag. 392.