direttamente inserito – avesse “effettivamente” utilizzato la
prestazione lavorativa, ed in tal senso, ancora, si esprime la Legge n.
1369 del 1960.
Attraverso il lavoro temporaneo, l’ordinamento ammette, in via
d’eccezione, uno sdoppiamento tra la figura del datore di lavoro e
quella dell’effettivo utilizzatore, consentendo tale sdoppiamento solo
in
applicazione e nel rispetto della Legge n. 196 del 1997.
1
Gravi
violazioni di quest’ultima vengono, infatti, esplicitamente sanzionate
proprio con l’applicazione della Legge n. 1369 del 1960.
L’istituto del lavoro interinale ci pone di fronte ad un’inedita struttura
complessa, che vede un rapporto di stretto collegamento tra un
contratto di lavoro – contratto per prestazioni di lavoro temporaneo –
ed un contratto commerciale – contratto di fornitura -.
Il primo, disciplina il rapporto di lavoro subordinato fra il prestatore
di lavoro interinale e l’impresa fornitrice ed il secondo, regola, i
rapporti fra le due imprese interessate.
Si puo’ dire dunque, che la Legge n. 196 del 1997 disciplina l’ ipotesi
di una sintesi contrattuale da cui scaturisce un rapporto di lavoro
1
In verità, eccezioni, anche se di carattere più limitato furono già introdotte in passato: ad es., nell’ambito del lavoro
portuale e nel caso di comandi o distacchi in situazioni di eccedenza di personale. Ipotesi, quest’ultima che deve pur
sempre essere letta nella prospettiva della deroga.
flessibile, che vede come protagonisti tre soggetti distinti, sia in
ambito formale che sostanziale:
- l’impresa fornitrice;
- il prestatore di lavoro temporaneo;
- l’impresa utilizzatrice.
Sorge, quindi, anche in questo caso, come per l’interposizione di
manodopera, un rapporto trilaterale, peraltro istituito sulla base di una
“triangolazione”.
2
Attraverso tale “triangolazione”, il rapporto trilaterale, connesso al
lavoro interinale, si sviluppa con una serie di collegamenti funzionali
in ambito negoziale:
1) l’impresa fornitrice rimane titolare del “contratto di lavoro”,
sopportandone, si vedrà, i rischi;
2) l’impresa utilizzatrice diviene titolare del “contratto d’appalto”
delle prestazioni di lavoro;
3) il lavoratore è titolare di un “contratto di distacco” che lo autorizza
a svolgere le proprie prestazioni per un soggetto diverso dal proprio
datore di lavoro.
3
2
Così si esprime, M. Miscione, “Il lavoro interinale fra contratto di lavoro e contratto di fornitura”.
3
In tal senso si esprimono: R. Del Punta, “La fornitura di lavoro temporaneo” nella Legge n. 196 del 1997; M.
Miscione, “Il lavoro interinale tra contratto di lavoro e contratto di fornitura”.
Sicuramente, il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo sembra
contraddire il noto carattere del contratto di lavoro subordinato come
contratto di organizzazione.
4
La prestazione dedotta in obbligazione, infatti, è destinata
integralmente a svolgersi, a differenza di quanto avviene nella
struttura tipica del contratto di lavoro subordinato, nell’ambito di
un’organizzazione alla quale è del tutto estraneo il datore di lavoro,
cioè colui che procede alla assunzione, impegnandosi allo scambio
lavoro-retribuzione.
La tradizionale finalità organizzativa del contratto di lavoro
sembrerebbe quindi negata; essa integralmente si esprimerebbe,
invece, nelle modalità della prestazione che viene resa a favore di un
terzo, del tutto estraneo al contratto, quantomeno nel suo momento
genetico.
In virtù del contratto di fornitura, l’impresa utilizzatrice si trova a
condividere, per alcuni effetti, la posizione di datore di lavoro. Essa,
infatti, acquista il credito al “facere” ed esercita quella posizione
attraverso il potere direttivo e di controllo, strumentali, secondo lo
schema tipico del lavoro subordinato, all’inserimento della
prestazione lavorativa nell’organizzazione.
4
Tesi sostenuta dal professore Persiani.
In capo all’impresa utilizzatrice, tuttavia, non mancano anche alcune
posizioni di debito. Sono quelle che l’ordinamento contempla - in
capo al datore di lavoro – proprio in ragione dell’inserimento del
lavoratore nell’organizzazione produttiva, quali gli obblighi di
protezione della sua salute e dignità, nonchè quelli corrispondenti ai
diritti sindacali.
CAP.1 DAL “CAPORALATO” ALLA LEGGE N. 1369 DEL
1960.
1. Origine e ratio del divieto di appalto di manodopera.
Il divieto di appalto di manodopera ha avuto un passato glorioso
essendo il risultato della sentita lotta al cosiddetto ‘’caporalato’’ e alle
forme estreme di speculazione parassitaria del lavoro altrui.
Tale divieto di intermediazione affonda le proprie radici negli anni
cinquanta, affermandosi in seguito agli interventi della Commissione
parlamentare di inchiesta sulle condizioni dei lavoratori in Italia.
La situazione del nostro paese in quegli anni registrava forme di
decentramento inteso soprattutto nel senso di sfruttamento dei
lavoratori a completo vantaggio della classe degli pseudo appaltatori
di mera manodopera, interessati, esclusivamente, alla realizzazione di
un proprio incessante lucro .
Ecco che il legislatore italiano, abbandonando le questioni di tipo
astrattamente teorico, scende in campo direzionando i propri
interventi verso una disciplina marcatamente proibizionista, tesa a
disincentivare nel complesso ogni forma di interposizione e
intermediazione nelle prestazioni di lavoro.
11
Al contrario invece, forse perché meno preoccupati,forse perché più
consapevoli delle differenti accezioni e valenze dei suindicati
fenomeni, gli altri paesi mirano, soprattutto, a creare una forte
condivisione di responsabilità, a tutela del lavoratore che è,
ovviamente, il soggetto più debole, tra committente e appaltatore,
addirittura arrivando a delineare la figura del datore di lavoro
‘’congiunto’’ in tutte le ipotesi in cui viene accertata l’influenza di
due imprese sulle condizioni determinanti il rapporto di lavoro.
Attraverso un’analisi dettagliata della disciplina posta dalla Legge 23
ottobre 1960 n° 1369 relativa al Divieto di intermediazione e di
interposizione di manodopera, alla luce dell’introduzione della Legge
24 giugno 1997 n° 196 riguardante il Lavoro interinale e tenendo
conto del mutamento delle realtà economico-sociali, della evoluzione
del mercato del lavoro e delle nuove esigenze delineatesi nel corso di
questi anni, si ritiene necessario distinguere i vincoli al fenomeno
dell’interposizione del rapporto di lavoro, suscettibili di essere
revisionati in quanto trovano la propria ragione d’ essere in una mera
diffidenza culturale al fenomeno e non in inderogabili referenti
normativi, da quelli che invece rappresentano, anche alla luce di un
ammodernamento, un intangibile nucleo di garanzie.
12
In altre parole ad una rinnovata e “liberalizzata “ considerazione del
fenomeno, non si vogliono far conseguire gravi guasti ai principi che
danno origine all’ imputazione del rapporto di lavoro ed alle sue
relative responsabilità.
13
2. Divieto di interposizione di manodopera nella Legge 23 ottobre
1960 n. 1369 .
Partiamo dall’analisi dell’attuale, vigente, divieto di
interposizione,secondo il dettato della Legge 23 ottobre 1960 n. 1369.
Risale al 1960 la scelta del legislatore italiano di reprimere in modo
generalizzato, con la previsione di sanzioni civili e penali,
l’interposizione nel rapporto di lavoro o fornitura di lavoro altrui .
Si tratta di un divieto “generalizzato”
5
in quanto, nonostante l’art.1
della Legge 1369 del 1960 si riferisca letteralmente all’imprenditore,
sia la dottrina che la giurisprudenza lo hanno, tendenzialmente, inteso
come divieto di carattere generale riferibile a qualsiasi datore di
lavoro, imprenditore o non, qualunque sia l’organizzazione o la
struttura operativa attraverso la quale egli si muova nel mercato
produttivo o del lavoro.
Attualmente poi, tale divieto opera anche nei confronti delle
pubbliche amministrazioni come si evince dall’estensione, alle stesse,
della deroga costituita dal lavoro temporaneo tramite agenzia.
6
Per quanto riguarda le sanzioni, sul piano civile, l’art.1, quinto
comma della Legge n° 1369/60 prevede la modifica soggettiva ex
5
Vedi in Giurisprudenza: Cass. Pen. 18 ottobre 1991; Pret. Milano 30 giugno 1981, in Riv. Giur. Lav., 1981, IV, 579.
6
Art. 11, comma 2, Legge n° 196/1997; per le P.A. il legislatore stabilisce particolari regole in tema di sanzioni (Art.
36, comma 2, T. U. n° 165/2001).
14
lege del contratto di lavoro subordinato, che viene imputato, dal
momento del realizzarsi della fattispecie interpositoria ed
immodificato nella sua oggettività, in capo al committente.
Questa sanzione è stata, tuttavia, esplicitamente esclusa per il settore
dell’impiego pubblico privatizzato
7
in ossequio alla regola di
imparzialità e di accesso tramite concorso prevista dall’art. 97
8
dalla
nostra Carta Costituzionale.
Su piano penale poi, l’art. 2 della legge prevede sia inflitta una
ammenda al committente e all’interposto.
La norma quindi, di cui al combinato disposto degli artt.1 e 2 della L.
n 1360 del 1960 è finalizzata alla tutela dei lavoratori contro il
fenomeno del “parassitismo”.La norma cioè, si propone di evitare,
che soggetti senza scrupoli, spesso “teste di legno”, inclini a sfruttare
il bisogno di lavorare di quanti sono privi di altri mezzi di sussistenza,
ricavino degli utili fungendo da meri intermediari nella conclusione
dei contratti di lavoro o pongano in essere contratti di appalto aventi
ad oggetto mere prestazioni lavorative.
Si è voluto evitare quindi, che i lavoratori, assunti da un interposto e
utilizzati dal committente, godessero, come è spesso accaduto, di un
7
Art. 6, comma 2, T.U. n° 165/2001
8
Art.97,comma 4:”Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso,salvo i casi stabiliti
dalla legge”.
15
trattamento economico e normativo inferiore rispetto a quello
previsto per i dipendenti di quel committente .
Inoltre, il non sanzionare tali illecite attività di interposizione,
avrebbe importato l’incentivazione di condotte di illegittima
concorrenza tra gli stessi lavoratori .
Gli obiettivi del legislatore del 1960 possono essere così riassunti:
inibire l’utilizzazione di uno strumento che assolvesse all’unica
funzione di diminuire i costi ad esclusivo svantaggio dei lavoratori,
evitare l’elusione della normativa legale, contrattuale e protettiva
dettata per il lavoro subordinato, scongiurare lo sfruttamento del
lavoratore cercando di prevenire ogni forma di indebolimento della
garanzia del suo credito.
Attraverso l’analisi della normativa in questione ed il conforto sia
della dottrina che della giurisprudenza si può parlare di un rapporto
giuridico tripartito individuato, dalla legge, sulla base del
coinvolgimento diretto di tre posizioni giuridiche soggettive:
1) Datore di lavoro effettivo detto appaltante, interponente o
committente;
2) Datore di lavoro fittizio o anche appaltatore, interposto,
intermediario;
3) Lavoratore.
16
Secondo poi l’interpretazione più diffusa dell’art. 1 della Legge n.
1369/60 si sostiene che esso vieti la realizzazione di una fattispecie
complessa scomponibile in tre elementi:
1) la stipulazione di un contratto di fornitura tra committente ed
interposto avente come oggetto il lavoro subordinato altrui;
2) la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato, e non anche
autonomo o parasubordinato, così come unanimemente sostenuto
dalla giurisprudenza
9
, fra interposto e lavoratore;
3) l’adempimento dei due negozi ed in particolare del contratto di
fornitura vietato, o l’“effettiva utilizzazione”, da parte del
committente, del lavoro subordinato altrui procurato dall’interposto.
Si ritiene dunque che, nella misura in cui tutti questi elementi siano
riscontrabili contestualmente, si avrà la realizzazione di quell’illecito
prefigurato dalla norma e si realizzerà un’ipotesi di diretta contrarietà
della fattispecie alla legge e non un mero negozio in frode alla stessa,
con la conseguente applicazione delle sanzioni all’uopo previste.
Nel rapporto giuridico tripartito condannato dalla norma, l’interposto
riveste solo apparentemente la posizione di datore di lavoro, in realtà
egli agisce per nascondere l’effettività della prestazione lavorativa
svolta ad esclusivo e totale favore del committente. Fondamento
9
Trib. Modena 27 dicembre 2000 in Mass. Giur. Lav. 2001, 479 ss., con nota di Zampini; Pret. Modena 29 maggio
1996, in Riv. It. Dir. Lav., 1996, II, 717 ss.
17
essenziale del rapporto illecito di appalto di manodopera è allora la
sussistenza fra lavoratore e intermediario di un vero e proprio
rapporto di lavoro subordinato, anche se formalmente inquadrato in
modo differente
10
.
Dal canto suo, il datore di lavoro fittizio deve formalmente assumere
e dirigere, o comunque, retribuire i lavoratori
11
.
Quanto poi al committente, egli può essere o meno formalmente un
“imprenditore”.
Come già precisato infatti, è sufficiente che le prestazioni lavorative
“appaltate” siano inserite nell’ambito di una struttura organizzativa,
intesa in senso unitario, che normalmente sarà – appunto –
un’impresa, ma che potrà concretamente configurarsi anche con
modalità e tipologia differenti.
Con riferimento al momento in cui l’illecita interposizione debba
configurarsi, si deve seguire la corretta impostazione
giurisprudenziale secondo cui la fattispecie interpositoria può avere
luogo anche in un momento successivo all’originaria instaurazione
del rapporto di lavoro con l’originario datore di lavoro: non quindi
10
In tal senso Trib. Como 21 febbraio 1998; vedi anche Cass. Civ. 8 gennaio 1987 n° 59, in Mass. Giur. Lav. 1987, pag.
28 dove si afferma: “la violazione della L. n° 1369/60 presuppone tra il lavoratore ed il soggetto che si avvale della
interposizione sussista un rapporto di lavoro subordinato, e pertanto non è configurabile ove tale presupposto manchi
per essere il rapporto (fra lavoratore ed il soggetto pretesamente interposto) di lavoro autonomo”; cfr. in dottrina P.
Ichino, subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Giuffrè, Milano 1989; Marinelli, Appalto di manodopera e
lavoro autonomo, in Riv. It. Dir. Lav., 2001, 40.
11
Cfr. in dottrina, A. Guarnire, L’interposizione ingiustificata nei rapporti di lavoro: la problematica civilistica.
18
soltanto nella fase “genetica” di costituzione del rapporto, ma anche
in quella “funzionale” dello svolgimento dello stesso.
La Suprema Corte ha più volte sottolineato la natura “oggettiva” del
divieto di interposizione di manodopera, chiarendo che non è
necessario indagare sulla sussistenza di un intento fraudolento o
simulatorio fra datore di lavoro effettivo e datore di lavoro pattizio:
occorre evidenziare solo il fatto oggettivamente interpositorio, in
qualsiasi momento del rapporto di lavoro esso insorga
12
.
La condotta illecita, d’altro canto, si identificherà con la concreta
utilizzazione, da parte del committente, delle prestazioni lavorative
dei lavoratori fittiziamente inseriti nella propria organizzazione.
A sottendere l’apparato prescrittivo e sanzionatorio della Legge n.
1369/60
13
, è infatti il principio della concreta occupazione: principio
grazie al quale si assiste al passaggio del lavoratore dalla sfera lecita
del contratto di lavoro con l’interposto, alla sfera illecita del nuovo
rapporto di lavoro con l’interponente, ogni qual volta il lavoratore
verrà a svolgere le mansioni direttamente per conto del committente.
E ciò tanto laddove le mere prestazioni di lavoro si inseriscano
pienamente nel ciclo lavorativo dello pseudocommittente, sia nelle
12
Cass. Civ. sez. Lav. 26 giugno 1998 n° 6347, in Giust. Civ., 1998, 1407; Cass. Civ. Sez. Un. 21 marzo 1997 n° 2517,
in Riv. It. Dir. Lav., 1997, I, 705; In tale direzione si è mossa anche la giurisprudenza di merito:Pret. Milano 17 febbraio
1999, in Or. Giur. Lav., 1999, 63.
13
Si pensi a locuzioni che presuppongono l’effettività del lavoro quali: “lavoro da eseguirsi” (artt. 1, co. 5; 2 e 3, co. 1);
“durante l’esecuzione dell’appalto” (art. 4); “ogni giornata di occupazione” (art. 2).
19
ipotesi di attività complementari o sussidiarie, pure marginali nel
contesto aziendale
14
.
Nelle sue linee di fondo, sembra poter concludere che, la Legge n.
1369/60 in tema di fornitura di lavoro altrui, si presenta per un aspetto
chiara: il fenomeno deve essere colpito, non deve essere ammesso ne
tutelato dall’ordinamento.
Il lavoro subordinato, non è un fattore della produzione, che
l’imprenditore può acquisire con varie modalità a seconda delle pure
convenienze economiche.
14
Questa l’estensione indicata da Cass. Sez. Lav. 98/ 6860; Pret. Modena 29 maggio 1996.