5
Nel codice civile non esisteva e non esiste una norma di garanzia per
i creditori in tutte le ipotesi suddette. La dottrina aveva tentato di
colmare la lacuna, attenuando i rischi insiti nella rigorosa
applicazione del principio della spendita del nome, escludendo che
essa fosse requisito necessario per l’imputazione di responsabilità
per i debiti d’impresa. La teoria della responsabilità cumulativa
dell’imprenditore palese e del dominus si fondava sull’inscindibilità,
nel nostro ordinamento, del rapporto potere-responsabilità: chi
esercita il potere di direzione di un’impresa ne assume anche il
rischio e risponde delle relative obbligazioni.
1
Tale principio consentirebbe di affermare che, ogni volta che
l’attività d’impresa è esercitata per mezzo di un prestanome,
responsabili verso i creditori sono sia il prestanome sia il dominus.
Un ulteriore passo avanti nella direzione di una disciplina di tutela
dei creditori è stato compiuto attraverso l’elaborazione della teoria
dell’imprenditore occulto.
La prima elaborazione risale agli anni cinquanta
2
e fu dettata
dall’esigenza di sciogliere il dubbio circa l’attribuzione di
responsabilità, per i debiti d’impresa, anche ai soci la cui esistenza
emerga in un tempo successivo alla dichiarazione di fallimento dei
soci palesi, elaborò una risposta affermativa.
Era pacifico, in dottrina come in giurisprudenza, che il prestanome
dell’imprenditore, il quale agiva in nome proprio, ed in quanto tale
era destinatario degli effetti degli atti da lui compiuti, acquisisse la
1
FERRI G., Manuale di diritto commerciale, Utet, Torino, 1993, 9^ edizione a cura di C. Angelici
e G.B: Ferri, 108 ss.
6
qualità d’imprenditore. Dubbio era, invece, se tale qualità
competesse anche all’interessato rimasto nell’ombra: l’imprenditore
occulto.
In effetti si asseriva
3
la responsabilità cumulativa del soggetto agente
e di quello interessato, ma non nominato, e pertanto rimasto occulto,
per tutti gli atti inerenti all’esercizio dell’impresa, concludendo per
l’estensione della qualità di imprenditore anche all’interessato
occulto.
Agli effetti fallimentari, si affermava che il dominus di un’impresa
formalmente altrui non solo risponde insieme all’imprenditore
palese, ma fallisce sempre e comunque qualora fallisca il
prestanome.
4
Questa tesi ha aperto un ampio dibattito dottrinale e
giurisprudenziale, ed ormai raccoglie ampi consensi.
Scopo del presente lavoro è lo studio degli attuali orientamenti. Esso
prenderà le mosse da un’analisi della nozione basilare di mandato,
per poi approdare allo studio delle posizioni assunte dalla dottrina e
dalla giurisprudenza in merito alla problematica dell’imprenditore
occulto, con particolare riguardo alla sua assoggettabilità al
fallimento, senza trascurare un excursus storico che vedrà il suo
punto di partenza nella prima elaborazione della teoria.
2
BIGIAVI W. ,L’imprenditore occulto, Cedam, Padova, 1954; Id., Difesa dell’imprenditore
occulto, Cedam, Padova, 1962
3
BIGIAVI W., op.ult. cit., 15 ss.
4
BIGIAVI W., op. ult. cit., 23 ss.
7
CAP. I
L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’
D’IMPRESA
8
1.1. L’art. 2082 del Codice Civile e
l’individuazione dell’imprenditore
Nel nostro sistema giuridico la figura dell’imprenditore, intorno alla
quale ruota l’intero assetto disciplinare delle attività economiche, è
definita nell’art. 2082 c.c., dove tuttavia non si detta una disciplina
univoca per tutte le figure imprenditoriali, ma si distingue piuttosto
tra tre diversi tipi di impresa, in relazione a tre diversi criteri di
selezione.
L’art, 2082 c.c. attribuisce la qualificazione di imprenditore a
chiunque eserciti in modo professionale un’attività economica,
organizzata al fine della produzione ovvero dello scambio di beni o
servizi. In tal modo si definisce l’impresa come un’attività, che
perché sia tale, cioè impresa, deve avere i caratteri dell’economicità,
della professionalità, dell’organizzazione.
Altro è poi se essa debba altresì essere preordinata ad uno scopo di
lucro: sul punto vi è tuttora ampio ed aperto dibattito dottrinale, tra
quanti rispondono affermativamente, così noverando tra i requisiti
essenziali dell’impresa anche la finalità di lucro, e quanti, al
contrario, tendono ad escluderla.
Allo stesso modo non v’è comunione di vedute sul carattere
economico dell’attività: da una parte si sostiene
5
che esso s’innesti
nella produttività, e pertanto l’espressione attività economica
5
A. GRAZIANI, L’impresa e l’imprenditore, Morano, Napoli, 1959, 25.
9
diventerebbe sinonimo di attività produttiva, indirizzata alla
produzione ed allo scambio di beni o servizi.
D’altro canto, altrettanto autorevolmente
6
, s’individua
nell’economicità un quid pluris richiesto dal legislatore in aggiunta
al requisito della produttività, e lo si identifica nel metodo di
svolgimento dell’attività. Ne consegue che è economica l’attività
svolta con metodo economico, vale a dire con il fine di produrre
ricchezza, piuttosto che consumo.
Un’attività può essere definita imprenditoriale quando è svolta
professionalmente, in modo abituale e non occasionale. Non è
impresa, infatti, un’attività svolta isolatamente, ma l’abitualità non
va identificata necessariamente con la non interruzione, tantomeno
con il carattere principale dell’attività rispetto ad altre svolte dallo
stesso soggetto
7
. Un’impresa può, infatti, anche consistere in
un’attività stagionale, purché realizzi una certa durata.
Ultimo va considerato il carattere dell’organizzazione: esso postula
una predisposizione di mezzi e strumenti, e la programmazione ed il
coordinamento della serie di atti in cui si articola l’attività svolta
8
.
Nella pratica è usuale che l’imprenditore eserciti la sua funzione
organizzativa creando un complesso apparato produttivo, composto
da persone e beni strumentali. Tanto però non è richiesto dal
legislatore imprescindibilmente: ciò che qualifica l’impresa è
l’utilizzazione di fattori produttivi ed il loro coordinamento da parte
dell’imprenditore.
6
G. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, I, Diritto dell’impresa, Utet, Torino, 1996, 23 ss.;
F. GALGANO, Sommario di diritto commerciale, Zanichelli, Bologna, 1976, 176 ss.
7
Cass. 3/12/1981 n. 6395, in Giur. comm., II, 1982, 563 ss.
10
In conclusione è imprenditore anche chi esercita l’attività con
l’utilizzo del solo fattore capitale e del lavoro proprio.
8
G. CAMPOBASSO op.ult.cit., 23 ss.
11
1.2. Presupposti della qualità di imprenditore:
potere di gestione e responsabilità
La qualità di imprenditore si acquista esercitando l’impresa, che
abbiamo definito attività economica svolta professionalmente ed in
modo organizzato. Pertanto è imprenditore colui che esercita tale
attività in nome proprio
9
.
Sappiamo, infatti, dalle norme del codice civile dettate in materia di
mandato, che il compimento di atti giuridici in nome proprio produce
effetti giuridici idonei a ricadere nella sfera del soggetto agente.
Diversamente, quando si agisce per il tramite di un mandatario, a
seconda della tipologia di mandato conferito, gli effetti giuridici
possono ricadere immediatamente nella sfera giuridica del
rappresentante, gravando su di lui l’obbligo di trasferirli in quella del
rappresentato.
Nel caso dell’impresa, quando essa viene esercitata da un
rappresentante, legale o volontario che sia, l’acquisto della qualità di
imprenditore avviene da parte del rappresentato.
Nel mondo degli affari, l’imprenditore è colui che ha il potere di
iniziativa e si assume il rischio che consegue alle scelte
imprenditoriali. In termini giuridici, ciò si traduce in potere di
gestione e responsabilità: l’imprenditore è tale se li possiede
entrambi. Anche nei casi in cui l’impresa è esercitata attraverso un
rappresentante, questi non ha autonomia nella gestione, bensì
12
esercita quello stesso potere che sarebbe esercitato dal suo
rappresentato: ne scaturisce l’imputazione di responsabilità per gli
atti compiuti dal rappresentante al solo rappresentato.
Così, per esempio, nelle società non dotate di personalità giuridica,
la qualità di imprenditore è attribuita alla società, non già ai soci: ciò
perché la società non i soci hanno potere di gestione, e quella non
questi si assumono la responsabilità d’impresa. Il binomio potere di
gestione-responsabilità è indissolubile ed è ad esso che si deve
guardare per individuare in concreto l’imprenditore.
10
9
G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, a cura di C. Angelici e G.B. Ferri, Utet, Torino,
1991, 101 ss.
10
G. FERRI, op.ult.cit., 101 ss.
13
1.3. L’imputazione degli atti d’impresa
Si è avuta occasione di precisare che l’acquisto della qualità di
imprenditore è collegato ai due presupposti del potere di gestione e
della responsabilità. E’ fondamentale individuare il momento in cui
ciò si verifica. La risposta si legge nel codice civile, all’art. 2082,
che fa coincidere il momento di quell’acquisto con l’esercizio
dell’impresa. E’ necessario, infatti, che l’impresa sia giuridicamente
imputabile all’imprenditore. Più arduo, nel silenzio del codice, è
sciogliere il dubbio circa il momento in cui si debba ritenere iniziato
l’esercizio dell’attività imprenditoriale. E’ necessario all’uopo
individuare i criteri che regolano l’esercizio dell’attività di impresa,
primo tra tutti il criterio d’imputazione degli atti.
Si diventa imprenditori con l’effettivo esercizio dell’attività
imprenditoriale. Non è sufficiente la mera intenzione di dare inizio
all’attività, per esempio attraverso l’iscrizione negli albi o nei registri
delle imprese. Si diventa imprenditori, infatti, pur nel difetto di
questi presupposti, sol che si sia in concreto esercitata l’attività. Del
resto la stessa iscrizione nel registro delle imprese non è condizione
né necessaria né sufficiente per qualificare l’attività svolta come
imprenditoriale. Il principio dell’effettivo esercizio dell’attività come
criterio di imputazione della qualità d’imprenditore è pacifico in
dottrina ed in giurisprudenza limitatamente ai soli imprenditori
persone fisiche. Diverso criterio si applica alle società, che invece
14
acquistano la qualità con la loro costituzione, dunque in un momento
che è anteriore all’effettivo esercizio dell’attività.
Non mancano voci di dissenso. V’è chi
11
ritiene che la costituzione
della società sia una dichiarazione programmatica rispetto all’attività
d’impresa e che essa resti tale fintanto che non si dia inizio effettivo
alla fase di esercizio dell’impresa.
Tanto premesso, resta da sciogliere l’ultimo nodo: quando si ha
effettivo esercizio dell’attività. E’ preliminare alla risposta la
distinzione tra atti di esercizio ed atti di organizzazione. Gli uni sono
i tipici atti d’impresa
12
, gli altri sono il complesso di atti finalizzati
all’organizzazione dell’attività stessa e precedono il primo atto di
gestione.
Orbene, se l’attività ha inizio immediatamente con atti di esercizio,
la loro ripetizione nel tempo determina esercizio professionale
dell’attività, quindi impresa. In caso contrario, quando si procede
alla costituzione di una stabile organizzazione aziendale, attraverso
la predisposizione dei locali, delle attrezzature, dei macchinari, il
compimento del primo atto di esercizio, anche se isolato, è
sufficiente per dichiarare iniziata l’attività.
11
G. CAMPOBASSO, op. ult. cit, 102 ss..
12
Produzione e scambio di beni o servizi.