Progetto costruttivo definitivo di un impianto di prova in similitudine di turbopompe
cavitanti
velocità di rotazione: ad esempio, se si dimezza il valore di D, per avere la stessa potenza
di pompaggio bisogna moltiplicare la velocità di rotazione : per un fattore 2
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.
Di conseguenza, le turbopompe ad alta densità di potenza vengono spesso progettate
come macchine supercritiche, per le quali diventano estremamente rilevanti fenomeni
quali l’instabilità rotodinamica e la cavitazione. Lo studio di tali fenomeni è cominciato
nei primi anni ’60, ma le principali pubblicazioni a riguardo sono apparse dal 1980 ad
oggi (vedi ad es. Brennen, [1] e [2], e Childs, [3]). La loro comprensione teorica, in ogni
caso, resta ancora lacunosa sotto molti aspetti, ed i modelli di calcolo che ne risultano
sono necessariamente inadeguati: l’unica strada percorribile, per ottenere un livello
sufficiente di resistenza ed affidabilità delle macchine progettate, è quindi rappresentata
dalla sperimentazione su prototipi (spesso scalati).
A titolo di esempio, si riportano di seguito alcuni casi di turbomacchine, usate in
campo spaziale e non, le cui prestazioni sono state fortemente influenzate da problemi di
instabilità rotodinamica e/o di cavitazione:
La pompa di alta pressione per l’idrogeno liquido del motore principale dello Space
Shuttle (Space Shuttle Main Engine, SSME), avente una potenza di pompaggio di
circa 57 MW ed un peso strutturale di 345 kg, fu progettata per girare ad una velocità
massima di 37000 rpm, compresa tra la seconda e la terza velocità critica. Essa, però,
presentò vibrazioni inaspettate già a 19000 rpm; si scoprì che tali vibrazioni erano
dovute ad una particolare forma di instabilità laterale del rotore, il quale compiva un
moto di precessione (whirl) intorno alla sua posizione nominale, con frequenza pari a
circa 0.5 volte la frequenza di rotazione dell’albero.
Le pompe di circolazione dell’acqua di refrigerazione primaria della centrale nucleare
di Three Miles Island, progettate per erogare potenze nell’ordine delle decine di MW,
subirono un evidente degrado delle prestazioni, accompagnato da fenomeni vibratori
di notevole intensità, a causa di forze rotodinamiche sviluppatesi in condizioni
cavitanti.
I compressori di alta pressione dell’impianto Kaybob per l’estrazione del gas naturale,
progettati per lavorare vicino alla terza velocità critica, soffrirono a loro volta
problemi di instabilità rotodinamica.
Capitolo 1 - Introduzione
T
1.2 Cavitazione
Si definisce “cavitazione” la formazione di bolle di vapore in regioni di bassa
pressione del flusso di un liquido. La cavitazione è assimilabile ad un cambiamento di
fase liquido-gas, ottenuto mediante un abbassamento di pressione a temperatura costante,
in modo da scendere al di sotto della pressione di vapore del liquido alla temperatura
considerata; essa va perciò distinta dalla “ebollizione”, nella quale il cambiamento di fase
viene raggiunto aumentando la temperatura a pressione costante (figura 1.1).
Figura 1.1 – Diagramma delle fasi di una generica sostanza nel piano p-T
La differenza tra cavitazione ed ebollizione è molto più rilevante di quanto si possa
immaginare a prima vista. In realtà, infatti, è virtualmente impossibile causare per
convezione un cambiamento di temperatura rapido ed uniforme all’interno di un volume
finito di liquido; le variazioni di temperatura in un liquido sono in genere dovute al
passaggio di calore, per conduzione, attraverso una superficie solida. L’ebollizione,
perciò, è un fenomeno che interessa solo la regione di fluido a diretto contatto con la
parete calda. Un rapido ed uniforme cambiamento della pressione di un liquido è invece
tutt’altro che infrequente, soprattutto all’interno di flussi relativamente veloci: la
cavitazione è quindi un processo globale, che interessa l’intero volume di liquido che ne è
soggetto.
La cavitazione è in genere un fenomeno da evitare, in quanto causa di almeno tre
ordini di problemi:
In primo luogo, essa provoca evidenti danneggiamenti alle superfici solide su cui
collassano le bolle. Il collasso di una bolla, infatti, è un processo estremamente
ebollizione
cavitazione
GAS
SOLIDO
LIQUIDO
p
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cavitanti
violento, che porta alla generazione di microgetti supersonici i quali, investendo una
superficie solida, fanno nascere su di essa forti tensioni localizzate. La ripetitività di
tale condizione di carico, dovuta al collasso delle numerose bolle che si formano in
condizioni cavitanti, porta al cedimento locale per fatica della superficie, ed al
distacco di piccoli frammenti di materiale: la figura 1.2 illustra, a titolo di esempio, il
danneggiamento localizzato, provocato dalla cavitazione, sulle pale di una pompa a
flusso misto in lega di alluminio.
Figura 1.2 – Danneggiamento localizzato, dovuto a cavitazione, sulle pale di una pompa
(Brennen, 1994)
La figura 1.3 mostra un caso di danneggiamento più esteso, rilevato sulle pale di
scarico di una turbina di Francis: si può notare come, in questo caso, i crateri di
danneggiamento si siano estesi a tal punto da penetrare completamente le pale.
Figura 1.3 – Danneggiamento esteso sulle pale di una turbina (Brennen, 1994)
In secondo luogo, la cavitazione provoca un forte degradamento delle prestazioni
della macchina. Nel caso delle pompe, in particolare, si può identificare un valore
Capitolo 1 - Introduzione
della pressione di ingresso del fluido per il quale il lavoro di pompaggio subisce una
drammatica diminuzione (cavitation breakdown).
La cavitazione, infine, influenza la risposta dinamica della macchina, innescando
instabilità che danno origine ad oscillazioni di portata e di distribuzione di pressione.
Un esempio di tali instabilità è rappresentato dalla “cavitazione rotante”: quando una
turbomacchina lavora ad angoli di incidenza delle pale vicini allo stallo, la
cavitazione si manifesta prima su un numero di pale limitato, propagandosi poi
circonferenzialmente alle pale adiacenti. Un altro esempio è costituito dalle “auto-
oscillazioni” (oscillazioni di pressione e portata all’interno di tutto il sistema di cui fa
parte la pompa): esse si manifestano quando la macchina è spinta ad operare in
condizioni di carico molto severe, e vi contribuiscono tutti gli elementi collegati alla
pompa (serbatoi, linea di alimentazione e linea di scarico). In campo spaziale, un caso
di questo genere è rappresentato dalle POGO: oscillazioni, anche molto rilevanti,
nella spinta fornita dal sistema propulsivo, originate a monte da fenomeni di
cavitazione nelle pompe di alimentazione del motore.
Il verificarsi della cavitazione, in definitiva, è accompagnato da una serie di effetti
potenzialmente nocivi; in linea di principio, quindi, la progettazione di una pompa
dovrebbe essere eseguita in maniera tale che essa, in normali condizioni operative, non
caviti. Ciò, però, non è sempre desiderabile per le turbopompe di uso spaziale: il modo
più efficace per evitare la cavitazione, infatti, consiste nel far lavorare la macchina con
pressioni di ingresso sufficientemente elevate; questo, a sua volta, significherebbe
aumentare la pressione di stoccaggio dell’ossidante e del combustibile nei rispettivi
serbatoi, con conseguente penalizzazione in termini di peso.
Le pompe per impiego spaziale, in realtà, sono spesso progettate per funzionare in
regime parzialmente cavitante, cercando di trovare il giusto compromesso tra effetti
dannosi della cavitazione, da un lato, ed “alleggerimento” complessivo del veicolo,
dall’altro. Un utile accorgimento, per limitare i problemi legati alla cavitazione, può
essere quello di far precedere la girante della pompa vera e propria da un induttore
assiale: si tratta di un dispositivo che fa compiere al fluido un salto di pressione piccolo,
ma tale comunque da avere una pressione sufficientemente alta all’ingresso della girante;
in questo modo, la cavitazione si manifesta prevalentemente sull’induttore, e quasi tutte le
bolle collassano prima di entrare nella parte principale della macchina.
In figura 1.4 sono schematicamente rappresentati due diversi tipi di induttore,
progettati appositamente per funzionare in regime cavitante.
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cavitanti
Figura 1.4 – Geometria di due diversi tipi di induttore assiale (Brennen, 1994)
1.2.1 Tipologie di cavitazione
All’interno di una turbopompa, la cavitazione può avvenire in una varietà di forme
diverse, spesso classificate in maniera non univoca dai diversi autori. Verrà qui riportata
la classificazione fornita da Brennen in [1], rappresentata schematicamente in figura 1.5.
Figura 1.5 – Tipologie di cavitazione (Brennen, 1994)
Nuclei di
cavitazione
Cavitazione di paletta
Palette della girante
Flusso
secondario
Regione di
cavitazione
Cavitazione
di estremità
Cavitazione bollosa
FLUSSO
Capitolo 1 - Introduzione
Supponendo di abbassare gradualmente la pressione di immissione del fluido di
lavoro, la prima forma di cavitazione che si presenta è quella “di estremità di pala” (tip
vortex cavitation); essa si innesca in corrispondenza del centro del vortice che si genera
all’uscita delle pale, nella zona dove avviene il brusco passaggio tra bordo d’attacco ed
estremità della pala stessa. L’entità del fenomeno è messa in evidenza in figura 1.6, nella
quale sono facilmente identificabili i “filamenti”, dovuti a cavitazione di estremità,
originati dalle pale di due modelli in scala di eliche per uso marino.
Figura 1.6 – Esempi di cavitazione di estremità su eliche per uso marino (Brennen, 1995)
Abbassando ulteriormente la pressione di ingresso, si arriva ad ottenere la cavitazione
“bollosa” (bubble cavitation): i nuclei di cavitazione, già presenti nel flusso a monte,
tendono ad accrescere le proprie dimensioni passando attraverso la zona di bassa
pressione sul dorso del profilo, per poi collassare quando ritornano in regioni a pressione
maggiore. La figura 1.7, ad esempio, mostra una diffusa zona di cavitazione bollosa,
originata da un singolo profilo idrodinamico.
Figura 1.7 – Cavitazione bollosa originata da un profilo idrodinamico (Brennen, 1995)
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Man mano che la pressione di ingresso scende ancora, le bolle si combinano tra loro,
fino a formare estese cavità di vapore attaccate alle pale: si ha così la cavitazione “di
paletta” (blade cavitation). La cavitazione di paletta può essere parziale, se la cavità si
richiude su un punto più a valle della stessa pala; se, invece, essa si estende fin oltre la
palettatura, si parla di “supercavitazione”.
Alcune pompe hanno le giranti progettate per funzionare in condizioni di
supercavitazione: essendo il punto di chiusura della cavità esterno alla pala, infatti, il
danneggiamento strutturale che ne consegue risulta essere molto minore.
Quando la pompa si trova a lavorare con portate al di sotto di quella di progetto,
infine, si manifesta un ulteriore tipo di cavitazione, detta “di flusso secondario” (backflow
cavitation): in queste condizioni, infatti, si genera un flusso di ritorno (o secondario), il
quale può arrivare ad estendersi anche per parecchi diametri a monte dell’imbocco della
pompa. La cavitazione di flusso secondario è visibile con facilità, poiché avviene nella
regione anulare che precede la sezione di aspirazione; la figura 1.8 mostra un tipico caso
di backflow cavitation, riscontrato su un modello scalato dell’induttore della turbopompa
per l’ossigeno liquido dello SSME.
Figura 1.8 – Cavitazione di flusso secondario su un induttore assiale (Brennen, 1994)
Le modalità di cavitazione finora descritte non sono naturalmente esaustive di tutti i
casi possibili, vista la complessità del fenomeno di cui si parla.
Se la superficie delle pale ha un’elevata rugosità, ad esempio, il flusso che ne risulta è
particolarmente turbolento: viene così facilitata la cavitazione bollosa, mentre è ostacolata
quella di pala, perché lo strato limite si separa meno facilmente. Oppure, se la pompa ha
una geometria di tipo shrouded (in cui, cioè, le pale sono ricavate all’interno del materiale
della girante, e non presentano quindi l’estremità di pala libera), non si può ovviamente
avere cavitazione di estremità.
Capitolo 1 - Introduzione
1.3 Fenomeni rotodinamici
Tra le instabilità rotodinamiche che si verificano nelle turbopompe, la più critica è
senz’altro rappresentata dallo sviluppo di un moto laterale autosostentato della girante,
detto whirl: si tratta, in altri termini, di un moto di precessione dell’asse dell’albero, il
quale tende a spostarsi dalla sua posizione nominale, seguendo un’orbita più o meno
regolare. Se, in particolare, le forze generate dal moto di whirl sono tali da provocare un
aumento del raggio dell’orbita, la girante si trova a lavorare in condizioni di equilibrio
instabile.
Le cause che generano il whirl possono essere classificate in due gruppi:
Forze di origine meccanica, tra le quali assumono particolare importanza:
ξ Lo sbilanciamento delle masse, che può a sua volta essere statico o dinamico.
Nello sbilanciamento statico, l’asse di rotazione coincide con un asse principale
d’inerzia, che però non è baricentrico: il comportamento dell’albero è fortemente
influenzato dalla forza centrifuga dovuta alla traiettoria eccentrica seguita dal
centro di massa. Nello sbilanciamento dinamico, l’asse di rotazione è baricentrico,
ma non principale d’inerzia. I problemi dovuti allo sbilanciamento delle masse,
comunque, possono essere eliminati con un’efficace equilibratura del rotore.
ξ L’anisotropia delle rigidezze (dovuta, per esempio, alla presenza sull’albero di
una cava per l’alloggiamento di una linguetta).
ξ Le interferenze tra elementi rotanti ed elementi statorici.
Forze di origine fluidodinamica, dovute ad esempio ad asimmetrie di flusso, perdite,
o ricircolazione.
Qualunque ne sia la causa, il moto di precessione dell’asse, una volta innescato, è
fortemente accoppiato con quello del flusso: il campo fluidodinamico perturbato genera
sulla girante ulteriori forze rotodinamiche destabilizzanti, che sostengono il moto
eccentrico, e diventano ancora più pericolose in presenza di cavitazione. In genere, infatti,
la cavitazione ha un effetto destabilizzante sul moto di whirl; essa riduce inoltre le forze
rotodinamiche laterali agenti sul rotore, provocando così una diminuzione della massa
aggiunta ed un aumento delle velocità critiche. Può perciò succedere che una macchina,
progettata come supercritica in condizioni non cavitanti, non lo sia più quando si ha
cavitazione.
Se si indicano con Ζ la velocità angolare del moto di precessione del rotore e con : la
velocità di rotazione della pompa, può essere compiuta la seguente classificazione: whirl
“subsincrono” ( Ζ : ), “sincrono” ( Ζ : ), o “supersincrono” ( Ζ ! : ). Si parla,
inoltre, di whirl “positivo” o “negativo”, a seconda che il verso di Ζ sia concorde o
discorde a quello di :.
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cavitanti
Il caso più semplice è quello di whirl sincrono: in questo caso, in genere, la forza
eccitatrice è lo sbilanciamento delle masse, e l’ampiezza delle oscillazioni può essere
tenuta sotto controllo operando lontano dalle velocità critiche, oppure eseguendo
un’operazione di bilanciamento. In molte applicazioni, però, sono stati osservati whirl
subsincroni: è il caso, ad esempio, delle pompe criogeniche dello SSME, di alcuni tipi di
turbine a vapore e di compressori multistadio, e degli impianti di estrazione petrolifera.
Il moto di precessione, in realtà, non è sempre pericoloso: molti alberi, infatti, sono
progettati in modo da funzionare correttamente anche quando il loro asse si discosta
parzialmente dalla posizione nominale. Se, però, l’eccentricità assume un valore
eccessivo, si possono comunque avere effetti negativi (si pensi, ad esempio, al
danneggiamento per interferenza tra parti rotanti e statoriche, oppure alla possibile rottura
di guarnizioni); nelle pompe per ossigeno liquido, in particolare, c’è un concreto pericolo
di esplosione.
A causa della loro notevole complessità, le forze rotodinamiche non stazionarie, agenti
su turbopompe cavitanti o non cavitanti, sono tuttora comprese solo parzialmente, e
nessuno dei modelli teorici finora sviluppati risulta del tutto soddisfacente. Possono
essere citati, a titolo di esempio, i modelli realizzati presso Centrospazio da F. d’Auria [4]
e R. Marsili [5]: in essi si è riuscito a caratterizzare il comportamento generale del flusso,
predicendo con una certa precisione i campi di funzionamento stabile o instabile, ma si è
ancora lontani da una valutazione soddisfacente dell’intensità delle forze rotodinamiche
agenti sul rotore.
Risulta quindi necessario, sia per un corretto dimensionamento delle turbopompe ad
elevate prestazioni, sia per la validazione di eventuali modelli teorici o numerici, affidarsi
a risultati sperimentali; il numero di impianti attualmente attrezzati per la misurazione
delle forze rotodinamiche, però, è molto piccolo, e le esperienze sperimentali disponibili
sono estremamente limitate. Le più importanti sono quelle condotte al California Institute
of Technology, tra cui possono essere ricordate, in particolare, quelle di B. Jery [6], R J.
Franz [7], e A. Bhattacharyya [8].
Capitolo 1 - Introduzione
1.4 Obiettivi della tesi
Per quanto detto al paragrafo precedente, lo sviluppo di un impianto di prova versatile,
specificamente adatto alla misurazione delle forze rotodinamiche esercitate dal fluido di
lavoro su diversi modelli di turbopompe, è un obiettivo di primaria importanza per il
miglioramento delle tecnologie di realizzazione di questo tipo di macchine. A tale scopo,
Centrospazio ha proposto la realizzazione di un circuito di prova per modelli scalati di
turbopompe, designato con la sigla CPRTF (Cavitating Pump Rotordynamic Test
Facility).
Una prima stesura del progetto, oggetto del lavoro di tesi di S. Bondi [9], D. Mazzini
[10] e R. Menoni [11], è stata approvata dall’ESA nell’ambito del programma FESTIP; la
stessa proposta è stata poi approvata anche dall’ASI, all’interno del programma di
Ricerca Fondamentale relativo all’anno 2000.
La CPRTF nasce come impianto particolarmente semplice e versatile, con costi di
realizzazione e di mantenimento relativamente contenuti, e permetterà di svolgere prove
su un numero piuttosto alto di turbopompe, in condizioni cavitanti e non; per come è stato
concepito, il circuito consentirà di effettuare gli esperimenti in condizioni di similitudine
fluidodinamica, geometrica e termica, usando esclusivamente acqua come fluido di
lavoro. In questo modo vengono garantite sufficienti condizioni di sicurezza (si ricordi
che l’impianto sarà prevalentemente usato da personale non specializzato), assicurando
allo stesso tempo risultati sperimentali perfettamente estendibili ai modelli in scala reale.
Allo stato attuale delle cose, la CPRTF sarebbe il primo impianto con queste
potenzialità in Europa, e rappresenterebbe perciò un elemento particolarmente innovativo
nel contesto industriale italiano ed europeo. Attualmente, infatti, i pochi banchi di prova
disponibili nel nostro continente, scarsamente strumentati, sono orientati soprattutto verso
la certificazione finale dei prototipi, piuttosto che verso lo sviluppo del progetto.
Una delle caratteristiche più qualificanti della CPRTF è la sua estrema versatilità;
nella sua configurazione iniziale, infatti, l’impianto permetterà di svolgere prove su un
numero relativamente esteso di fenomeni, ed in particolare:
Le forze rotodinamiche indotte dai moti di whirl;
Le forze, stazionarie e non, agenti sul rotore;
Le caratteristiche di pompaggio ed aspirazione, in condizioni stazionarie e transitorie;
I fenomeni di interazione tra girante e voluta, e la loro influenza sulle prestazioni;
Le forze dovute a tenute, trafilamenti e flussi secondari;
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Le prestazioni in regime cavitante, ad alte e basse temperature (con la possibilità di
mettere in evidenza gli effetti termodinamici sulla cavitazione).
Il circuito, inoltre, è stato pensato come un’apparecchiatura facilmente riconfigurabile;
con poche modifiche, perciò, esso può essere messo in grado di studiare praticamente
ogni tipo di fenomeno fluidodinamico, ed in particolare:
La stabilità e le auto-oscillazioni del sistema;
Le instabilità indotte dalla cavitazione (cavitazione rotante, instabilità POGO, auto-
oscillazioni, etc.);
Il controllo attivo delle instabilità delle turbopompe;
La risonanza assiale ed i transitori;
Il rumore provocato dalla cavitazione;
Il flutter di paletta;
Il vortex shedding;
I fenomeni transitori nel flusso (accelerazioni, accensioni, spegnimenti, etc.);
L’analisi del flusso all’imbocco della pompa (visualizzazione e misurazione del
profilo di velocità con strumentazioni del tipo Laser Doppler Velocimeter, Laser 2
Focus Velocimeter o Particle Image Velocimeter);
L’analisi della qualità del liquido (contenuto di nuclei di cavitazione) e degli effetti di
scalatura;
Lo studio del flusso attorno a profili (utilizzo dell’impianto come “galleria
idrodinamica”).
Il presente lavoro di tesi si è posto lo scopo di revisionare e modificare il progetto
preliminare della CPRTF (così come presentato in [9], [10] e [11]), in modo da porre le
basi per la realizzazione effettiva dell’impianto, prevista per la seconda metà dell’anno
2000. Il progetto preliminare, infatti, pur rappresentando un buono studio di fattibilità
dell’impianto, è risultato poco efficace sotto molti aspetti, sia concettuali che progettuali.
Gli obiettivi del lavoro di revisione, quindi, sono stati dettati dalle principali pecche
riscontrate nel progetto preliminare, e possono essere così riassunti:
Necessità di adattare il progetto dell’impianto alle nuove tecnologie sviluppatesi negli
anni più recenti (si ricorda, infatti, che il progetto preliminare risale all’anno 1996);
Capitolo 1 - Introduzione
Abbattimento ulteriore dei costi di realizzazione dell’impianto (comunque già
abbastanza bassi nel progetto preliminare);
Estensione delle specifiche di progetto e dell’inviluppo operativo del circuito, in
particolare prevedendo la possibilità di effettuare, in condizioni particolari (ad
esempio, usando come modello di prova il solo induttore assiale), prove a velocità di
rotazione più elevate;
Aumento delle dimensioni della camera di prova, in modo da renderla adatta ad
effettuare prove su pompe di utilizzo spaziale in vera grandezza (ad esempio la
turbopompa di alimentazione dell’ossigeno liquido del motore Vulcain, ma anche le
sue evoluzioni future come la MK2);
Semplificazione del progetto dell’impianto, ed in particolare della camera che
alloggia il modello di prova, eliminando gli elementi considerati superflui e
modificando quelli per cui si prevede di avere un montaggio particolarmente
difficoltoso (non bisogna trascurare il fatto che il circuito verrà impiegato da
personale non specializzato);
Potenziamento degli accessi ottici alla zona del modello di prova, in particolare
aggiungendone uno che ne consenta la visualizzazione frontale;
Variazione del layout del circuito, in modo che i suoi ingombri complessivi ne
consentano l’effettiva installazione negli spazi per esso previsti all’interno del
laboratorio;
Nei prossimi capitoli saranno dapprima presentate le basi teoriche necessarie per la
comprensione del funzionamento del circuito; successivamente, saranno esaustivamente
descritti tutti gli aspetti progettuali e realizzativi su cui è stato incentrato il lavoro.
Progetto costruttivo definitivo di un impianto di prova in similitudine di turbopompe
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Note bibliografiche al capitolo 1
[1] C.E.Brennen, Hydrodynamics of Pumps, Oxford University Press, 1994
[2] C.E.Brennen, Cavitation and Bubble Dynamics, Oxford University Press, 1995
[3] D.Childs, Turbomachinery Rotordynamics, John Wiley & Sons, 1993
[4] F.d’Auria, “Analisi di instabilità fluidodinamiche in applicazioni propulsive”,
Dottorato di Ricerca in Ingegneria Aerospaziale, Università degli Studi di Pisa,
1996
[5] R.Marsili, “Analisi tridimensionale delle forze rotordinamiche su induttori assiali
cavitanti soggetti a moto di precessione”, Tesi di Laurea in Ingegneria
Aerospaziale, Università degli Studi di Pisa, 1996
[6] B.Jery, “Experimental study of unsteady hydrodynamic force matrices on whirling
centrifugal pump impellers”, Ph.D. Thesis, California Institute of Technology, 1987
[7] R.J.Franz, “Experimental investigation of the effect of cavitation on the
rotordynamic forces on a whirling centrifugal pump impeller”, Ph.D. Thesis,
California Institute of Technology, 1989
[8] A.Bhattacharyya, “Internal flows and force matrices in axial flow inducers”, Ph.D.
Thesis, California Institute of Technology, 1994
[9] S.Bondi, “Progettazione di un circuito di prova per modelli di turbopompe
cavitanti”, Tesi di Laurea in Ingegneria Aeronautica, Università degli Studi di Pisa,
1996
[10] D.Mazzini, “Progettazione di un impianto per la misura delle forze rotordinamiche
in turbopompe cavitanti”, Tesi di Laurea in Ingegneria Aerospaziale, Università
degli Studi di Pisa, 1996
[11] R.Menoni, “Progettazione di un dispositivo per la caratterizzazione delle forze
fluidodinamiche agenti su rotori di turbopompe dotati di moto eccentrico”, Tesi di
Laurea in Ingegneria Aerospaziale, Università degli Studi di Pisa, 1999