7
Nella seconda parte, “La realicità intrattiene ed informa: La vita in diretta”,
analizzerò il programma di Cucuzza alla luce delle dinamiche descritte, per
dimostrare due ipotesi: in primo luogo come esso rappresenti il tentativo di un
programma di informazione e intrattenimento di stare al passo con i nuovi
linguaggi e formati di successo; successivamente, come il processo di
popolarizzazione del giornalismo televisivo si realizzi in format che utilizzano
le dinamiche del reality show.
I capitoli 3, 4 e 5 sono dedicati alle strutture e ai contenuti del programma, sia
quelli legati all’intrattenimento e comunque alla messa in scena di situazioni
della vita, che quelli più strettamente informativi. Emerge un quadro netto: la
vita rappresentata è quasi sempre televisiva, nel senso che attinge a piene mani
da un macrogenere narrativo che definisco “mondo TV” e che ingloba tutti gli
altri eventi in precise dinamiche, tipiche del mezzo.
Nella parte successiva, “La TV al centro: strumenti e strategie”, cercherò di
dimostrare come la reality television esprima se stessa e definisca la propria
realtà, mettendo al centro del discorso le funzioni e il ruolo della televisione.
La vita è un’esperienza determinata dalla presenza della TV e ciò è reso
possibile ed accettabile soltanto attraverso particolari strumenti e strategie.
Il capitolo 6 considera il significato dell’uso della diretta, elemento capace di
garantire coerenza alla frammentazione del programma. In presenza di un
contenuto altamente eterogeneo, infatti, la diretta si pone come filo conduttore
e al tempo stesso come esempio più alto dell’autoreferenzialità del mezzo.
Essa è una sorta di metafora della vita, ciò che rende possibile sia da un punto
di vista tecnico che stilistico, la visibilità di un flusso televisivo che continua a
dipanarsi anche a televisore spento.
Nel capitolo 7, si prende in considerazione un aspetto particolare del patto
comunicativo, l’accordo tra spettatore ed enunciatore presente in ogni
programma e basato in questo caso su un atto di visione che coinvolge più
attori: il pubblico in studio, lo spettatore e in modo emblematico lo stesso
Michele Cucuzza, vero soggetto collettivo. L’accettazione della proposta del
programma garantisce credibilità e immedesimazione e dà la possibilità al
mezzo di dispensare tutta una serie di norme e valori degni di interesse.
L’obiettivo tuttavia, per essere raggiunto pienamente, necessita di altri
strumenti che rendano accettabile la presenza finzionante del mezzo.
Nel capitolo 8 si vedrà come ne La vita in diretta tutto sembri passare da forti
rapporti di socializzazione del pubblico e da diverse strategie di
oggettivazione.
Attraverso il ricorso a precisi artifici scenografici e disposizioni spaziali, lo
spettatore viene condotto per mano nei meandri di un’esperienza che prevede
degli snodi narrativi bloccati, la rappresentazione di situazioni apparentemente
normali, ma soprattutto la costante presenza della televisione.
Si potrebbe dire che alla base di tutto ci sia la volontà di disarmare lo
spettatore da ogni possibile perplessità, facendolo sentire a casa,
immergendolo in una dimensione quotidiana, portandolo gradualmente a
spostare la sua attenzione dallo statuto dell’enunciato al valore, alla credibilità
e alla salienza delle istanze di enunciazione.
8
L’ultimo capitolo, infine, dà spazio ad una valutazione sulle funzioni della
trasmissione e soprattutto su come i linguaggi e le dinamiche descritte possano
influenzare i programmi informativi canonici. La risposta non è affatto
scontata; tuttavia ci sono dei segnali che vanno nella direzione indicata,
secondo cui il generale alleggerimento delle modalità espositive della
informazione, passa in modo significativo attraverso le logiche della reality
television.
Prima di procedere, sono necessarie alcune indicazioni di metodo. Il campione
di analisi è formato da 12 puntate de La vita in diretta relative al periodo
ottobre 2002 – maggio 2003 e considerate a livello generale.Questo per dire
che non si sono adottati dei modelli specifici dell’ambito della ricerca sociale,
ma si è voluto considerare soltanto una visione d’insieme per poter rendere il
più possibile generalizzabili le conclusioni. La scelta è caduta su La vita in
diretta, in quanto programma di successo assai rappresentativo di tendenze
che, comunque, coinvolgono anche altri casi. Nel lavoro non si troveranno
quindi, né dati, né analisi qualitative rigide, ma degli spunti di riflessione che
vogliono porsi come un contributo, si spera utile, al dibattito attuale sulle
nuove forme e linguaggi della televisione.
9
REALTA’, UN’ IDEA IN MOVIMENTO
Capitolo 1
Dalla realtà alla realicità
1.1 Televisione e realtà: la costruzione dell’immaginario
“La televisione è oggi centrale per la società americana. Mezzo primario di
comunicazione pubblica, in un mondo complicato come il nostro, la
televisione è un fattore straordinario: è l’elemento più comunemente
condiviso”
1
.
Nel 1983, Horace Newcomb descriveva così il ruolo che il mezzo televisivo
aveva assunto nella vita sociale del suo paese. Sono interessanti in particolare
due aspetti, riscontrabili anche nel caso italiano, ovvero la capacità della TV di
semplificare il mondo e di porsi come oggetto di condivisione. La televisione,
attraverso l’erogazione di informazione sui fatti principali della comunità di
appartenenza, di fiction e intrattenimento, capaci di descrivere “modelli di
vita, regole sociali, sentimenti, ruoli, ambienti”, è senza dubbio diventata “uno
dei grandi regolatori dei ritmi della vita collettiva nei suoi aspetti quotidiani:
realistici, immaginati e simbolici”
2
.
È una bussola che permette agli individui di codificare la complessità
dell’epoca contemporanea e di districarsi nella rete di relazioni personali, di
valori e di convinzioni più o meno radicate che caratterizzano la vita sociale.
La paleo e poi la neotelevisione, in sostanza, oltre a proporsi come mezzo
capace di portare il mondo nelle case, sono state anche fonte di un
immaginario che le persone hanno speso concretamente nel quotidiano.
3
Del resto gli atti di consumo, a maggior ragione quelli di testi mediatici, non
sono mai neutri: essi “dicono di noi, ci raccontano”, offrono percorsi di
costruzione di senso, “sono artefatti simbolici che generano le interazioni che
definiscono i nostri rapporti”.
4
Alla base del consumo c’è sempre un atto creativo, volto a delineare identità e
a dare forma all’esperienza. Attraverso la sua ritualità, i suoi personaggi,
luoghi e situazioni, il mezzo televisivo ha creato veri e propri repertori
simbolici che agiscono in uno “spazio di immaginazione in cui valutare che
cosa siamo e che cosa saremo”
5
o che cosa potremmo essere. Per molti anni il
pubblico ha così attinto a piene mani da un immaginario fatto di lustrini, di
personaggi famosi, di studi dove assistere a spettacoli memorabili, “un mondo
in cui non esistevano i problemi e le convenzioni di quello reale”.
6
1
Horace Newcomb, La televisione da forum a biblioteca, Sansoni, Milano 1999, pag. 29
2
Giovanni Bechelloni, Televisione come cultura, Liguori, Napoli 1995, pag. 37
3
Gian Paolo Caprettini, Totem e tivù, Meltemi, Roma 2001, pag. 8
4
Carlo Sorrentino, Il giornalismo, Carocci, Roma 2002, pag.117
5
Horace Newcomb, La televisione da forum a biblioteca”, Sansoni, Milano 1999, pag. 38
6
Marino Livolsi, La realtà televisiva, Laterza, Roma 1998, pag. 17
10
Abbiamo a che fare con una dimensione onirica, caratterizzata da un’estrema
leggerezza, che permette di evadere e trovare comode alternative alla
mediocrità della vita normale. Nell’immaginario televisivo, “ognuno può
avere tutti gli amori che riesce a sognare. Non c’è il dolore delle storie finite.
Non ci sono i problemi dell’abbandono: i figli sono sempre felici e
comprensivi, con gli ex amori si stabiliscono rapporti civili e affettuosi. Nello
stesso modo si può credere di non avere problemi economici. Anche senza
essere miliardari, ci si illude che si potranno avere le cose che si desiderano”.
7
È un mondo in cui si ricercano immediate gratificazioni al di là di norme e
vincoli soprattutto morali e il sistema valoriale è completamente antitetico a
quello di massima condiviso dal sentire comune: “il sesso, per esempio, è
libero, la violenza accettabile”
8
, mentre la spregiudicatezza e una certa dose di
egoismo vengono richieste per ottenere successo, unico traguardo per cui
lottare e sacrificare ogni cosa. Se poi un arrivismo esasperato danneggia gli
altri, saranno sempre a disposizione delle giustificazioni e la ferma
convinzione che in questo mondo “non c’è molto spazio per i perdenti”.
9
In definitiva, l’immaginario offre l’idea di un ambiente sociale “che sembra
aver lasciato indietro la morale delle società pretelevisive. Tutto è possibile e
dipende da ciò che si desidera e dall’abilità di ottenerlo”.
10
Il dato di fondo, però, è il fatto che in origine mondo televisivo e mondo reale,
pur interagendo continuamente e influenzandosi a vicenda, rimangano ben
distinti: l’immaginario nasce dentro la cornice del mezzo, le persone attingono
quello che vogliono e subiscono il fascino immaginifico della televisione, ma
lo schermo riesce sostanzialmente a separare la vita reale da quella
immaginata.
Quanto detto tiene conto non tanto della realtà dei fatti, dato che è difficile
definire con certezza il grado di rigidità dei bordi e dei confini tra TV e
mondo, piuttosto della percezione del sentire comune, utile per comprendere
le successive trasformazioni. Bisogna infatti, partire dalla considerazione che
la presenza dei mezzi elettronici e in generale dei mezzi di comunicazione di
massa e il loro rapporto con la realtà non sono affatto impliciti.
Per molto tempo, il mondo dei media è stato percepito come qualcosa di
estraneo dalla società e dalla dimensione culturale; ciò ha fatto sì che la
televisione per diversi decenni, fosse considerata esclusivamente uno specchio
neutro del reale, investendola di un compito ambizioso che difficilmente le
può appartenere.
Oggi in molti settori dell’opinione pubblica questa convinzione rimane solida
e dà vita ai numerosi pregiudizi ideologici contro il mezzo che sono quasi
sempre fuori luogo: la TV viene accusata di volgarità, di estrema leggerezza,
di essere inconsistente, venendo meno ai suoi compiti educativi e pedagogici,
propri di un’osservatrice asettica della vita sociale.
7
Marino Livolsi, La realtà televisiva, cit., pag.17
8
Marino Livolsi, La realtà televisiva, cit., pag.17
9
Marino Livolsi, La realtà televisiva, cit., pag.17
10
Marino Livolsi, La realtà televisiva, cit., pag.17
11
Le cose invece stanno diversamente perché, al di là delle singole opinioni e
moralismi, il cuore della questione è un altro: la televisione è parte integrante
della realtà sociale e la sua presenza funziona “come nuovo linguaggio e
insieme di definizioni di realtà”.
11
Con il passare degli anni, il mezzo e la sua forma culturale sono arrivati in una
fase di maturazione, naturalizzandosi con quanto hanno trovato intorno a sé:
immaginario e realtà hanno cominciato lentamente a sovrapporsi e i loro
confini non sono più chiaramente definiti, soprattutto grazie al processo di
mediatizzazione, attraverso cui la società ha fatto proprie le logiche mediali.
“La televisione ha determinato insomma una trasformazione paradossale dei
regimi percettivi dell’interazione e, non solo i ruoli spettacolari, ma in alcuni
casi l’esistenza stessa del diaframma dello schermo diventa un fatto
opinabile”.
12
11
Giovanni Bechelloni, Televisione come cultura, Liguori, Napoli 1995, pag. 19
12
Maria Pia Pozzato, Dal Gentile pubblico all'Auditel : quarant'anni di rappresentazione televisiva dello
spettatore , ERI, Torino 1992, pag. 70
12
1.2 Mediatizzazione e neotelevisione
La televisione e i media in generale, rappresentano dunque “un nuovo
linguaggio che ridefinisce lo spazio sociale, le situazioni di interazione umana,
l’ambiente nel quale gli essere umani costituiscono la propria realtà”.
13
Ne consegue che lo statuto stesso di realtà esca modificato e tenda ad essere
piuttosto la somma di più elementi, il risultato di precise dinamiche di
costruzione: una realtà autonoma che prescinda dalle logiche e dalle
rappresentazioni dei media non è più immaginabile. Una conclusione di questo
tipo, tuttavia, non è ancora accettata completamente dal mondo scientifico, ma
sarà comunque alla base delle ipotesi di questo lavoro. Il sociologo Giovanni
Bechelloni, in un suo saggio sul rapporto tra la televisione e la cultura
14
,
descrive bene la situazione venutasi a creare, attraverso una efficace
contrapposizione tra i concetti di realtà mediatizzata e di mediazione dei
media.
La mediazione fa riferimento ad una funzione neutra del mezzo di fotografare
la realtà da una posizione esterna ad essa, la mediatizzazione al contrario
mette al centro una dimensione sociale indistinguibile da quella prodotta dai
mezzi di comunicazione di massa. Da ciò derivano due teorie contrapposte: la
concezione trasmissiva della comunicazione che vuole i mass-media semplici
canali di trasmissione e la concezione rituale che li considera come agenti
sociali e al tempo stesso come oggetti di negoziazione.
Se si accetta la seconda posizione, emerge un’idea di realtà complessa e
diversificata, composta dall’insieme dei contenuti veicolati e da “una realtà
immaginaria e immaginata costruita dai testi, ma anche dalle decodifiche e
dalle interpretazioni, dalle attribuzioni di significato di pubblici e di audience
costituiti da individui e gruppi i più disparati e diversi”.
15
In un nuovo spazio di confronto ed interazione, le dinamiche e le logiche
mediali tendono ad essere sempre più pervasive e a porsi come elemento di
unione tra dimensioni prima distinte: quella temporale, quella spaziale e infine
quella culturale. In concreto, si assiste alla giustapposizione di presente e
passato, del qui e dell’altrove e della sfera pubblica e di quella privata.
“Non c’è sfera dell’azione umana e sociale, – scrive sempre Bechelloni – che
resti estranea al mondo dei media. La realtà della nostra vita e della nostra
cultura, in modi sempre più pervasivi e impercettibili man mano che la
naturalizzazione del nostro rapporto coi media procede, è sempre più
intrecciata a quella dei media. Tanto che ci riesce difficile, a ben pensare,
distinguere ciò che siamo, in termini culturali, da ciò che saremmo potuti
essere senza la presenza dei media”.
16
13
Giovanni Bechelloni, Televisione come cultura, Liguori, Napoli 1995, pag. 16
14
Giovanni Bechelloni, Televisione come cultura, Liguori, Napoli 1995
15
Giovanni Bechelloni, Televisione come cultura, Liguori, Napoli 1995, pag. 16
16
Giovanni Bechelloni, Televisione come cultura, Liguori, Napoli 1995, pag. 106
13
La comparsa della neotelevisione alla fine degli anni ’70 accelera queste
tendenze grazie alla quotidianizzazione del mezzo, quella che Francesco
Casetti definisce ferialità: il palinsesto diventa giornaliero, non esistono più
appuntamenti rivolti a singole fasce di pubblico, ma si impone un modello di
TV di flusso che riduce le differenze tra i generi con l’obiettivo di coinvolgere
più persone possibili. Secondo Raymond Williams, autore della definizione di
flusso, esso “è unificazione, combinazione e fusione programmata di pezzi tra
loro differenti e solo vagamente correlati”
17
.
“Mentre la televisione degli anni ’60 era un ordinato avvicendamento di
appuntamenti, adesso si tratta di fare i conti con una visione casuale, distratta e
disincantata, spesso svolta insieme ad altre attività, dai lavori domestici, al
gioco, alla consumazione dei pasti, al sonnellino pomeridiano”.
18
Il concetto è molto importante al fine dell’analisi, perché dà lo spunto per
descrivere non solo le trasformazioni del mezzo televisivo e le caratteristiche
della neo televisione, ma anche i cambiamenti legati agli usi sociali del
medium. Il passaggio da una TV festiva, fatta di singoli testi e caratterizzata
da programmi sostanzialmente rigidi, sia da un punto di vista quantitativo che
qualitativo, ad una televisione continua, che non chiude mai, aperta 24 ore su
24 e inserita pienamente nei ritmi e nella vita delle singole persone, determina
un cambiamento significativo nella percezione degli individui.
La TV rappresenta quasi una sorta di vita parallela, un ambiente accattivante
in cui è possibile accedere quando si vuole. È con la neo televisione che il
mezzo televisivo entra a pieno titolo a far parte della vita del pubblico e
gradualmente a trasformarla per diventare, come vedremo, un tutt’uno con
essa.
Una prima e significativa conseguenza della TV feriale di flusso è la
mediatizzazione dei rapporti sociali di cui si parlava, che nasce da una
esperienza di vita a stretto contatto con i media. “I nostri rapporti sono intrisi
di televisione, raccontati, costruiti e interpretati dal linguaggio televisivo. (…)
Vivere con la televisione significa imparare in modo veloce, incessante e
inconsapevole, a ridefinire di continuo identità individuali e collettive”.
19
Quest’ultimo aspetto fa nuovamente riferimento alla condivisione di elementi
comuni, alla capacità del mezzo di perpetuare rappresentazioni e visioni del
mondo. La neotelevisione, inoltre, rafforzando la pervasività del mezzo, crea
le premesse per una un’ulteriore radicalizzazione che porterà gli individui a
mettere in comune non solo la propria cultura e i caratteri di una medesima
appartenenza, ma la stessa vita personale.
17
Marcello Walter Bruno, Neotelevisione, Rubettino, Messina 1994, pag. 18
18
Enrico Menduni, Appunti corso istituzionale 2001 - 2002
19
Giovanni Bechelloni, Televisione come cultura, Liguori, Napoli 1995, pag. 19
14
1.3 Nuove realtà: la TV verità
Alla fine degli anni ’80 si assiste ad un nuovo rapporto tra rappresentazione
televisiva e realtà che può essere considerato il risultato dei processi di
mediatizzazione: il ruolo della TV è pienamente riconosciuto e si comincia a
verificare la graduale sovrapposizione tra immaginario e realtà. Il fenomeno
riguarda soprattutto la Rai Tre di Angelo Guglielmi, artefice di quella che
viene definita TV verità, da cui si fa discendere gran parte delle tecniche e dei
linguaggi della televisione di oggi. Partendo da intenzioni pedagogiche e di
servizio
20
, il nuovo metagenere introduce nel discorso televisivo la gente
comune, i suoi problemi e gli aspetti della vita quotidiana, mettendo al centro
della scena pubblica la testimonianza privata.
21
Se dagli anni ’50 in poi, il pubblico era puro fruitore di quanto il mezzo
generosamente gli offriva, con la TV verità il suo ruolo cambia: si assiste ad
“un doppio movimento di specificazione dello spettatore, come rappresentante
di una realtà locale e come rappresentante di una realtà individuale
scandagliata negli aspetti più privati”.
22
La vita personale non è più un segreto e si offre alla conoscenza e curiosità
altrui in modo naturale. Alla base di tutto, il proposito di raccontare la realtà
così come si presenta, partendo dall’idea che “sia possibile rendere il mezzo
trasparente, puro canale di trasmissione del reale e che in questo consista
l’autentica TV di servizio”.
23
Sembra quasi un ritorno alla concezione trasmissiva della comunicazione
descritta da Bechelloni anche se in realtà, la supposta trasparenza del mezzo è
solo un artificio narrativo che copre ben altro. Sebbene Corrado Augias, autore
di Telefono Giallo, esempio tipico della TV verità, consideri i programmi del
genere dei “tentativi di mettere in onda la vita con il minor numero possibile di
mediazioni formali”, credere in un rapporto diretto TV-mondo è illusorio. La
presenza anche tacita del mezzo televisivo, infatti, è preponderante, dato che la
TV verità non solo si limita a mostrare il fatto accaduto, ma anche se stessa, le
sue capacità e il suo apparato tecnologico.
Programmi come Telefono Giallo, Un giorno in Pretura, Chi l’ha visto?
hanno l’ambizione di presentare una realtà senza filtri, “attraverso il racconto
di eventi realmente accaduti (persone effettivamente scomparse o delitti
rimasti insoluti) di cui si cerca di raccontare la dinamica il più fedelmente
possibile, senza però dimenticarsi di sfruttarne il potenziale drammatico, o la
presentazione di fatti che ci vengono restituiti nella loro realtà di eventi, e cioè
nel momento in cui accadono. In questi casi il tempo dell’evento coincide con
quello dell’enunciato e quello dell’enunciazione televisiva con quello della
ricezione (come accade anche nei casi in cui l’evento è accaduto, ma il
pubblico telefona e si risolve il mistero – Telefono Giallo, o si ritrova la
persona scomparsa la cui storia è stata presentata da Chi l’ha visto)”.
24
20
Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, Milano 2000
21
Enrico Menduni, I linguaggi della radio e della televisione, Laterza, Roma 2002
22
Maria Pia Pozzato, Dal Gentile pubblico all'Auditel : quarant'anni di rappresentazione televisiva dello
spettatore, ERI, Torino 1992, pag. 31
23
Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, Milano 2000, pag.834
24
Cristina Demaria et al., Reality show – La televisione ai confini della realtà, Eri, Roma 2003, pag. 22
15
Proprio quest’ultimo aspetto evidenzia la vera innovazione della TV verità,
cioè la capacità riconosciuta e attribuita al mezzo di intervenire sulla realtà. È
la TV che “mostra se stessa nel suo farsi”
25
e disvela la centralità del proprio
ruolo e funzione da cui deriva una sfera d’azione ampia e decisiva. La TV
verità ha già in embrione il potere del mezzo a risolvere i problemi, a cambiare
il mondo e a dare una svolta significativa alla vita delle persone, potere che
vedrà la sua consacrazione nel reality show di fine millennio. Da soggetto e
autore della rappresentazione, la televisione diventa promotrice di azioni,
condotte autonomamente o con la collaborazione dello spettatore (si pensi alle
telefonate di Chi l’ha visto?). I fatti di cui parla appartengono ancora ad una
realtà esterna, tuttavia, nello stesso momento in cui essa li descrive, non può
che modificarne in qualche misura lo svolgimento.
Questa situazione fa sì che l’attenzione si sposti dall’evento in sé al modo in
cui la televisione si rapporta ad esso: la realtà non è più solo quella relativa al
mondo esterno, ma anche l’insieme degli aspetti legati alle istanze di
enunciazione. Si realizza quanto scritto da Umberto Eco in una ricerca sui
programmi di intrattenimento (Wolf 1981) secondo cui il rapporto tra
enunciato e fatti diventa sempre meno rilevante rispetto al rapporto tra verità
ed atto di enunciazione. In sostanza, non è tanto l’evento in sé che riveste
importanza, quanto il modo in cui viene presentato: “la TV è vera non solo
perché si occupa di cose vere, ma perché costruisce i suoi enunciati a
telecamere accese e in trasmissione, perché rinuncia al proprio retroscena, o
meglio perché lo integra pienamente alla propria messa in scena o ne fa
spettacoli propri e perché integra nel proprio funzionamento anche lo
spettatore, attribuendogli dei ruoli e chiedendogli di assumerli attivamente”.
26
Lo spettatore diviene così attivo, non solo nel momento in cui viene favorita la
sua partecipazione alla realtà televisiva, ma soprattutto quando si verifica uno
spostamento di interesse dal pubblico al privato. La TV verità, scavando
nell’intimità dei protagonisti di vicende pubbliche, attraverso l’uso della
drammatizzazione e della personalizzazione, ottiene due risultati: da una parte,
crea le premesse della tendenza di questi anni che ha legittimato l’interesse
verso la sfera privata a prescindere da tutto, dall’altra conferma “il patto
comunicativo della neotelevisione, contribuendo a rafforzarne il regime di
convivialità e di confidenza con lo spettatore”.
27
25
Sandra Cavicchioli, Isabella Pezzini, La TV verità. Da finestra sul mondo a panopticon, Eri, Roma 1993,
pag. 21
26
Sandra Cavicchioli, Isabella Pezzini, La TV verità - Da finestra sul mondo a panopticon, Eri, Roma 1993,
pag. 21
27
Cristina Demaria et al., Reality show – La televisione ai confini della realtà, Eri, Roma 2003, pag. 23