3
soggettività o semplicemente come res; 2) se la tutela debba essere penale o
extrapenale.
Premettiamo che una tutela giuridica deve esserci e ciò per due ordini di
motivi: uno prettamente antropocentrico per il quale gli animali vanno protetti in
quanto la loro distruzione altera l’equilibrio dell’ecosistema e mette,
conseguenzialmente, in pericolo l’uomo stesso; l’altro pleromatico (dal greco
plèroma, cioè pienezza della vita divina comprendente tutti gli esseri che da Dio
promanano), per il quale l’uomo è solo un animale con superiorità intellettiva, e
questo non gli attribuisce il diritto di fare degli altri animali qualunque uso e
abuso; anzi deve rispettarli e non può strumentalizzarli come se fossero res
inanimate.
Venendo al primo degli interrogativi, due possono essere i modi di
considerare l’animale: come oggettività o valore estrinseco per l’individuo (res
avente valore economico od affettivo), e rispetto all’ambiente (fauna, bellezza
naturale); ovvero come soggettività o valore intrinseco, in quanto essere
sensibile, cioè che ha la capacità di avere percezioni positive e negative (piacere
e dolore) .
Appare necessario considerare l’animale sotto entrambi i profili poiché, se
è indubbio che l’animale serve all’uomo (per cibarsi, per compagnia, etc.), serve
alla conservazione dell’equilibrio della natura, e va di conseguenza tutelato
”indirettamente” come valore estrinseco, è parimenti incontestabile che
l’animale, anche se in forme differenti a seconda delle diverse specie, è in grado
di provare dolore e piacere, e va dunque tutelato “direttamente” come
soggettività, perché capace di soffrire. Questo, almeno, secondo una concezione
che individua nella capacità di avere percezioni positive e negative, il criterio in
base al quale tutelare gli esseri viventi.
La tutela indiretta si può attuare facilmente perché guardando all’animale
come res, il parametro rimane esclusivamente l’uomo: è una tutela dell’animale
per l’uomo, cioè in quanto funzionale a quest’ultimo, o con l’uomo, in quanto
funzionale all’ambiente in cui l’uomo vive; inoltre anche se può comportare il
4
sacrificio dell’interesse del singolo individuo, persegue interessi compatibili o
addirittura coincidenti con quelli della collettività umana.
La tutela diretta pone rilevanti problemi ai fini della sua attuazione poiché,
avendo ad oggetto l’animale come soggetto, persegue interessi confliggenti,
incompatibili con taluni interessi umani, i quali verrebbero, dunque, sacrificati: è
una tutela dell’animale dall’uomo contro l’uomo. E’ una tutela che si scontra con
un sistema giuridico
3
costruito in una prospettiva tradizionalmente
antropocentrica: l’uomo, per tutelare gli animali deve autolimitare se stesso.
Inoltre, nel momento in cui si ammette che l’animale è soggetto, si deve
affrontare la questione sui diritti degli animali, cioè se è possibile riconoscerli
come portatori di “diritti soggettivi”.
Questo spiega perché l’evoluzione della normativa sulla tutela penale
degli animali ha avuto un iter assai lento e travagliato, stentandosi a trovare
soluzioni appaganti al problema della antigiuridicità dell’azione umana contro
gli animali. Ciò è confermato dal fatto che tale tutela
4
viene attuata non
integralmente nel nostro ordinamento: le vengono applicati notevoli limiti ed è
realizzata mediante la previsione di contravvenzioni o illeciti amministrativi.
Appare difficile ipotizzare che l’essere umano rinunci a quella
“superiorità” che la divinità o la natura gli hanno dato, per porsi al livello degli
altri animali. L’animale sarebbe meritevole sia della tutela diretta sia di quella
indiretta in quanto è sia un valore per l’uomo, cioè capace di soddisfare bisogni
economici od affettivi di quest’ultimo, sia un valore faunistico, in quanto parte
dell’ambiente, sia una soggettività, in quanto essere sensibile.
Il secondo interrogativo, relativo alla questione sulla natura della tutela, in
particolare quella diretta, cioè se debba essere penale od extrapenale e, quindi
amministrativa, viene affrontato dalla dottrina facendo riferimento ai criteri di
meritevolezza e di sussidiarietà del diritto penale, per cui si dovrà ricorrere alla
3
A. Valastro, La tutela penale degli animali e l’ammissibilità delle sentenze manipolatrici in campo penale, in Giur.
Cost., 1995, 3751
4
A. Calabria, La tutela penale …, cit., p. 445, 447 e p. 452 .
5
sanzione penale nei soli casi in cui si debba tutelare un bene costituzionalmente
riconosciuto o, almeno, non incompatibile con la Costituzione; si potrà
prevedere una tutela penale diretta dell’animale, dunque, nel momento in cui si
ritiene che il bene dell’animale-soggettività sia quantomeno non incompatibile
con la Costituzione, e che non possa essere adeguatamente tutelato da altri rami
del diritto.
6
CAPITOLO I:
TUTELA PENALE INDIRETTA
DEGLI ANIMALI: L’ART. 727 C.P.
7
La tutela penale degli animali, nel nostro ordinamento, ha la sua fonte
nell’articolo 727 del codice penale, così come modificato dalla legge 22/11/93 n.
473, che recita: “Chiunque incrudelisce verso animali senza necessità o li
sottopone a strazio o sevizie o a comportamenti e fatiche insopportabili per le
loro caratteristiche, ovvero li adopera in giuochi, spettacoli, o lavori insostenibili
per la loro natura, valutata secondo le loro caratteristiche anche etologiche, o li
detiene in condizioni incompatibili con la loro natura o abbandona animali
domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con
l’ammenda da LIT. 2.000.000 a LIT. 10.000.000. La pena è aumentata se il fatto
è commesso con mezzi particolarmente dolorosi, quale modalità del traffico, del
commercio, del trasporto, dell’allevamento, della mattazione o di uno spettacolo
di animali, o se causa la morte dell’animale: in questi casi la condanna comporta
la pubblicazione della sentenza e la confisca degli animali oggetto del
maltrattamento, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Nel caso di
recidiva la condanna comporta l’interdizione dall’esercizio dell’attività di
commercio, di trasporto, di allevamento, di mattazione o di spettacolo. Chiunque
organizza o partecipa a spettacoli o manifestazioni che comportino strazio o
sevizie per gli animali è punito con l’ammenda da LIT. 2.000.000 a LIT.
10.000.000. La condanna comporta la sospensione per almeno tre mesi della
licenza inerente l’attività commerciale o di servizio e, in caso di morte degli
animali o di recidiva, l’interdizione dall’esercizio dell’attività svolta. Qualora i
fatti di cui ai commi precedenti siano commessi in relazione all’esercizio di
scommesse clandestine la pena è aumentata della metà e la condanna comporta
la sospensione della licenza di attività commerciale, di trasporto o di
allevamento per almeno 12 mesi.”
Tale disposizione è collocata nel Libro III, Capo II, Sezione I del codice
penale, da ciò si constata che trattasi di contravvenzione concernente la polizia
dei costumi. Tale collocazione si spiega per il fatto che l’animale, nel vigente
8
codice penale italiano, è oggetto di tutela indiretta
5
: in quanto essere capace, se
maltrattato, di suscitare sentimenti di ribrezzo o pietà nell’uomo, è tutelato come
riflesso della tutela di tali sentimenti; la tutela dell’animale è funzionale alla
tutela di tale valore umano.
Gli animali
6
, dunque, di fronte al sistema normativo, si pongono non come
soggetti di diritto, ma come oggetto di diritti ascrivibili all’uomo. Questi rilievi,
comunque, non riescono ad esaurire le diverse argomentazioni che animano il
dibattito attuale sulla protezione accordata o da accordarsi agli animali da parte
e, non solo, dello stesso ordinamento.
Visto e considerato che l’uomo si serve degli animali per ricavarne
compagnia o diletto, servigi e nutrimento, li impiega in esperimenti o da essi è
costretto a difendersi, alla base della norma il legislatore ha posto l’interesse a
che il rapporto uomo-animale si svolga nel rispetto di tale principio: evitare
all’animale, anche quando debba essere sacrificato per un ragionevole motivo,
inutili crudeltà e ingiustificate sofferenze
7
.
5
A. Calabria, La tutela…, cit., p. 444
6
A. Cosseddu, voce Maltrattamento di animali, in Digesto di diritto penale, VII, Utet, 1993, p. 523.
7
F. Coppi, voce Maltrattamento o malgoverno di animali, in Enc. Dir., vol. XXV, Giuffrè, 1975, p. 265.
9
1.1- Precedenti legislativi
Le origini della normativa a tutela degli animali, risalgono al clima liberal-
illuministico che permeava le legislazioni europee all’inizio del XIX secolo; in
particolare, si può affermare che tutti i provvedimenti moderni contro il
maltrattamento degli animali
8
provengono dall’Inghilterra. La prima legge
inglese sull’argomento risale al 1822; nel 1824 si costituisce a Londra la prima
associazione europea a difesa degli animali; nel 1871 viene fondata a Torino la
Regia Società Torinese Protettrice degli Animali, i cui scopi erano più che altro
etico-sociali, piuttosto che giuridici. Nel 1911 venne emanato il protection of
animals act, che dà la nozione dei maltrattamenti punibili.
L’origine della fattispecie contravvenzionale di cui all’articolo 727 del
codice penale risale, nella nostra legislazione, al codice penale sardo-italiano del
1859 che, tra le contravvenzioni riguardanti “ l’ordine pubblico”, prevedeva
all’art. 685, n. 7, il fatto di “coloro che in luoghi pubblici incrudeliscono contro
animali domestici”. Successivamente, la fattispecie trovava la sua collocazione
all’art. 491 del codice Zanardelli del 1889, nel Titolo delle “contravvenzioni
concernenti la pubblica moralità”, che sanciva: “Chiunque incrudelisce verso
animali o, senza necessità, li maltratta, ovvero li costringe a fatiche
manifestamente eccessive, è punito con l’ammenda sino a lire cento. Alla stessa
pena soggiace colui il quale, anche per solo fine scientifico o didattico, ma fuori
dei luoghi destinati all’insegnamento, sottopone animali a esperimenti tali da
destare ribrezzo”; in questa legislazione del 1889, come si può notare, la
contravvenzione cambia significativamente sede
9
, venendo collocata tra quelle
concernenti “la pubblica moralità”; cade la limitazione della tutela ai soli animali
domestici e rimane l’idea del luogo pubblico limitatamente agli esperimenti
scientifici e didattici, con la formula “al di fuori dei luoghi destinati
8
V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, X, Torino, rist. 1986, p. 1090.
9
Coppi, Maltrattamento…, cit., p. 267.
10
all’insegnamento”. Sottolinea, infatti, la Relazione del Guardasigilli
10
: “Il
sentimento di pietà che ha ispirato la … disposizione può essere offeso in ogni
luogo e indipendentemente dalla natura domestica o meno dell’animale”. La
soppressione dell’estremo che i maltrattamenti avvengano in pubblico si spiega
per il fatto che, in molti casi, i maltrattamenti venivano commessi o in luoghi
non pubblici ma, frequentati da molte persone, come stabilimenti, officine e
simili, ovvero in luoghi, anche privati, ma in modo che il pubblico raccapriccio
venisse destato dai lamenti o dalle strida degli animali o dalla notorietà degli
atroci tormenti. Nei luoghi destinati all’insegnamento, invece, si escludeva ogni
ragionevole censura. In realtà, si voleva porre un freno al proliferare di
esperimenti condotti da gente non autorizzata e in luoghi non deputati: pare che
non ci fosse studente di medicina, o quasi, che non si dedicasse ad operazioni di
vivisezione in casa
11
.
Si tratta, in entrambi i codici, di tutela penale indiretta degli animali, che
ha, cioè, ad oggetto il sentimento di pietà che l’uomo prova nei confronti degli
animali, mentre l’animale non è tutelato in sé; nella struttura del reato è soltanto
l’oggetto materiale, la res su cui ricade la condotta del reo
12
; ciò è confermato
dal fatto che la “pubblicità” dei fatti, in entrambi i codici, è l’elemento
fondamentale per integrare il reato. Così, nella relazione ministeriale,
13
che
accompagnava la stesura dell’art. 491 del codice Zanardelli, veniva scritto: “I
maltrattamenti agli animali devono essere puniti in quanto contrastano ad ogni
senso di umanità, di compassione, di benevolenza; spengono, nell’uomo
avvezzo a infierire contro le creature animate che lo circondano, ogni sentimento
mite, pietoso e gentile; lo rendono insensibile alle altrui sofferenze e così lo
10
Relazione al Re del Guardasigilli, in Lavori preparatori del Codice Penale e del Codice di Procedura Penale,
Roma, 1929, CXLIII.
11
S. Castignone, Povere bestie. I diritti degli animali. Venezia, 1997, p. 103.
12
Coppi, Maltrattamento…, cit., p. 266.
13
Zanardelli, sul Progetto del codice penale per il Regno d’Italia, preceduto dalla Relazione Ministeriale (22-11-
1887), Roma, 1888, 715.
11
induriscono anche contro i suoi simili
14
, giusta l’adagio saevitia in bruta est
tirocinium crudelitatis in homines: laonde destano ed alimentano nella società
effetti feroci e barbari, segnatamente nei fanciulli, con gravissimo nocumento
della educazione loro“. Ulteriore scopo dell’incriminazione
15
, dunque, era
ritenuto quello di favorire la mitezza dei costumi e promuovere l’educazione
civile, evitando esempi di crudeltà che abituano l’uomo alla durezza e
all’insensibilità per il dolore altrui. Si evince
16
, quindi, che gli atti compiuti
sopra gli animali non erano in se stessi punibili, ma, potevano diventarlo solo se
compiuti in circostanze tali da offendere il pubblico sentimento di moralità e
pietà e che l’animale, nei rapporti giuridici, non era “soggetto”, ma oggetto dei
medesimi; ma già nel diritto romano era così: allorché si distingueva tra res
mancipi e res nec mancipi, si ricomprendevano tra le prime “ea animalia quae
collo dorsove domari solent…”.
Fino al 1993, anno della legge modificativa, l’articolo 727 aveva
mantenuto la stessa formulazione che aveva nel codice Rocco, la quale, a sua
volta, non era altro che la formulazione dell’articolo 491 del codice Zanardelli,
integrata dalla legge 12-6-1913 n. 611 sulla protezione degli animali;
quest’ultima fu emanata perché “atta ad interpretare, con virtù di legge, il
disposto del primo capoverso dell’art. 491”
17
: l’input in particolare era stato dato
dalle controversie giurisprudenziali circa l’accecamento degli uccelli da
richiamo
18
. Tale legge, all’articolo 1, prevedeva espressamente una serie di
comportamenti “specialmente proibiti”, tra cui, per esempio: atti crudeli su
animali, sevizie nel trasporto del bestiame, appunto l’accecamento degli uccelli,
ed, in genere le inutili torture per lo sfruttamento industriale di qualsiasi specie
14
Già nel pensiero di Kant troviamo espresso un concetto analogo: “ l’uomo deve mostrare bontà di cuore già verso
gli animali, perché chi usa essere crudele verso di essi, è altrettanto insensibile verso gli uomini”, in I. Kant,
Lezioni di Etica, Bari, 1971, p. 273.
15
A. Cosseddu, Maltrattamento, cit., p. 532.
16
A. Casseddu, Maltrattamento,cit., p. 529 e p. 532.
17
Relazione ministeriale sul progetto di legge n. 941, presentato alla Camera dei deputati il 20-06-1911.
18
Manzini, Trattato, cit., p. 1090.
12
animale. All’articolo 9, prevedeva le condizioni sulla base delle quali avrebbero
dovuto essere attuati gli esperimenti scientifici su animali viventi.
19
L’articolo 727, nella sua formulazione anteriore alla riforma del 1993,
trovava la collocazione all’interno della categoria dei reati contro la decenza e la
moralità pubblica ed era così configurato: “ Chiunque incrudelisce contro gli
animali o senza necessità li sottopone a eccessive fatiche o torture oppure li
adopera in lavori a cui non siano adatti per malattie e per età, è punito con
l’ammenda da lire cinquecento mila a tre milioni. Alla stessa pena soggiace chi,
anche per solo fine scientifico o didattico, in un luogo pubblico o aperto o
esposto al pubblico, sottopone animali vivi a esperimenti tali da destare ribrezzo.
La pena è aumentata se gli animali sono adoperati in giuochi o spettacoli
pubblici, i quali importino strazio o sevizie”. Nel caso previsto dalla prima parte
di questo articolo, “se il colpevole è un conducente di animali, la condanna
importa la sospensione dall’esercizio del mestiere, quando si tratta di un
contravventore abituale o professionale”.
Ciò che bisogna immediatamente sottolineare, è che, rispetto al codice
Zanardelli, nulla è cambiato in ordine all’interesse tutelato, che rimane il
sentimento etico-sociale di umanità verso gli animali, che può venire turbato
gravemente, con pericolo di dannosi riflessi sul sentimento di civile mitezza in
genere, dal maltrattamento di animali
20
. E’ il sentimento di ribrezzo e di
ripugnanza che la comunità prova di fronte a condotte comportanti ingiustificate
sofferenze ad esseri indifesi
21
: condotte che, costituendo un malo esempio, sono,
altresì, contrarie alle esigenze minime dell’educazione civile
22
. E’ rimasto,
quindi, anche lo scopo di promozione dell’educazione civile: tale sentimento
23
impone a ciascuno di astenersi dal maltrattare gli animali ingiustificatamente,
19
A. Casseddu, Maltrattamento, cit., p. 530.
20
Manzini, Trattato, cit., p. 1091.
21
G. Sabatini, voce Maltrattamento di animali, in Nss. Dig. I., vol. X, Utet, 1964, p. 81.
22
Manzini, Trattato, cit., p. 1092.
23
M. Mazza, Sul maltrattamento di animali, in GAI, 1984, p. 548, in nota adesiva a Cass. 16 –11-1983, Garnero.
13
allo scopo di promuovere quel buon costume sociale che, dalla collettività è
sentito come indispensabile per la civile convivenza. L’interesse tutelato dall’art.
727 è di ordine etico: il sentimento di pietà fa parte di “quel minimo etico, che è
patrimonio della nostra attuale civiltà e, perciò, la legge penale, non può
trascurarlo, non già per imporre ai singoli individui un minimo di perfezione
morale, ma perché gli atti contrari a tale minimo offendono il sentimento morale
medio della comunità
24
; non viene, dunque, in considerazione la morale
superiore, ma la morale minima, l’osservanza delle cui norme deve essere
esigibile coattivamente da tutti. La vista o la notizia di maltrattamenti non
giustificabili ad animali offende necessariamente la nostra civiltà, della quale
una delle più essenziali caratteristiche è la gentilezza dei costumi.
25
La conferma
di questa impostazione proviene dal comma 2 dell’art. 727, il quale punisce gli
esperimenti scientifici su animali, atti a destare ribrezzo, solo quando avvengono
“in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico”, e, cioè, quando possono
offendere il sentimento morale medio.
La legge penale, insomma, non si spinge verso le vette della perfezione
morale, ma interviene con le sue sanzioni per assicurare il rispetto di quelle
regole più elementari, che il costume generale indica come essenziali della
civiltà. La disposizione in esame concorre a mantenere e a promuovere la
gentilezza del costume, ma per il conseguimento di tale scopo è necessario, oltre
il vigile e assiduo concorso dell’Autorità, anche quello dell’educazione familiare
e scolastica
26
: “la tutela degli animali ha connessione stretta col problema
dell’educazione, perché ogni mezzo diretto ad addolcire il cuore del fanciullo e a
migliorarlo, resterà sterile, se egli dovrà, nel fatto, assistere a crudeli sofferenze
24
R. Coppari, Appunti sull’art. 727 c. p. (maltrattamento di animali), in Riv. Dir. Agr., 1968, II, p. 161.
25
Manzini, Trattato, cit., p. 1092-1093.
26
Manzini, Trattato, cit., p. 1093.
14
degli animali
27
”. La crudeltà di qualsiasi specie contrasta con ogni senso umano
di compassione, divenendo scuola di insensibilità alle altrui sofferenze.
28
E’ evidente che non sono puniti in sé la cattiveria, il malanimo,
l’inclinazione alla violenza e alla brutalità ma, solo in funzione di un interesse
dell’uomo, “la mitezza dei costumi”: l’esistenza e la salute dell’animale
acquistano rilievo nel momento in cui si presentano funzionali al
soddisfacimento dell’interesse umano a non essere “ferito” nella sua
compassione verso gli animali
29
. Relativamente alla questione sull’ interesse
tutelato dall’art. 727, è opportuno, a questo punto, fare un raffronto con l’art. 724
del cod. pen. (bestemmia e manifestazioni oltraggiose verso i defunti): ebbene
quest’articolo è stato interpretato nel senso che oggetto di tutela non è la Divinità
in sé, non sono i Simboli e le Persone venerate dalla religione (cattolica), ma il
sentimento nutrito da ciascuno dei consociati nei confronti dei medesimi
30
.
Una interessante differenza tra l’art. 727 del codice Rocco e l’articolo 491
del codice del 1889 è che quest’ultimo era collocato in un capo intestato “Dei
maltrattamenti di animali”, laddove il primo era intitolato “ Maltrattamento di
animali”. L’uso della parola “maltrattamento” al singolare esprime l’ipotesi che
anche un solo atto integra il reato, perché la crudeltà imposta all’animale, una
volta soltanto, già scuote ed offende il sentimento di pietà dell’uomo: non si
tratta di proteggere gli animali più intensamente dell’uomo (il reato di
maltrattamenti in famiglia si consuma, infatti, attraverso la ripetizione abituale di
una serie di atti), ma di tutelare direttamente un sentimento dell’uomo di fronte a
condotte altrui che lo possono turbare anche se svolte una volta soltanto.
Egualmente significativo è il passaggio dal verbo “maltrattare”, usato nell’art.
491 all’espressione usata nell’art. 727 “li sottopone ad eccessive fatiche o a
27
Relazione ministeriale…, ult. cit.
28
G. Sabatini, voce Maltrattamento, cit., p. 81.
29
F. Coppi, voce Maltrattamento, cit., p. 266.
30
Marini, Bestemmia, in NN. D. I., App., I, Torino, 1980, p. 734.
15
torture”, in quanto il verbo “maltrattare” descrive, appunto, un comportamento
del reo protratto nel tempo
31
.
Un’altra conseguenza del fatto che ad essere tutelato è il sentimento di
pietà dell’uomo verso gli animali è che, per quanto l’articolo si riferisse a tutti
gli animali, senza distinzione di specie e condizioni, in pratica si aveva una
notevole restrizione della sfera di operatività, a livello normativo, della
contravvenzione in esame, solo nei confronti di quegli animali che sono
maggiormente vicini all’uomo e che, pertanto non si tollera veder soffrire
32
; una
mosca, uno scarafaggio, una pulce non sono, nel sentire comune la stessa cosa di
un gatto, un cavallo, un leone; di certo si può provare fastidio nel vedere
qualcuno impegnato in un giuoco crudele a tormentare un grillo e si potrà
intervenire per farlo smettere, ma è anche certo che non è questo il sentimento
che si prova quando si vede sottoposto a crudeltà un cane o un cavallo. Tutto ciò
si coglieva, per esempio, anche nella legge sulla vivisezione, allora vigente (l.
12-6-1931 modificata poi dalla l. 1-5-1941 n. 615): infatti essa cercava, in
qualche misura, di limitare l’impiego dei cani e dei gatti, cioè di quegli animali
che sono fra i più richiesti per gli esperimenti, ma che più degli altri l’uomo
predilige e dei quali, quindi, è meno disposto a tollerare la sofferenza
33
.
Fare riferimento a tutti gli animali, indistintamente, sarebbe stato
contraddittorio rispetto all’oggetto giuridico del reato, il sentimento collettivo di
umanità, per cui si può concludere dicendo che l’art. 727 facesse riferimento a
quegli animali, di qualunque specie e che fossero o meno di proprietà di
qualcuno, che per la loro domesticità o mansuefazione, o per il loro stato di
cattività, o per la benevolenza generale che ispirano sono oggetto del comune
senso di compassione
34
.
31
F. Coppi, voce Maltrattamento, cit., p. 267.
32
L. Mazza, Tipicità e colpevolezza nel reato di maltrattamento di animali, in G. A. I., 1989, p. 300.
33
F. Coppi, Maltrattamento, cit., p. 266-267.
34
Manzini, Trattato, cit., p. 1095.
16
Ulteriori considerazioni vanno fatte in riferimento all’elemento della
pubblicità del maltrattamento: l’importanza di tale elemento ai fini
dell’integrazione della contravvenzione, riguardava in maniera specifica la
vivisezione e gli spettacoli e non il maltrattamento in generale, anche se la
“pubblicità” del fatto rimaneva sempre elemento portante dell’intero articolo. In
particolare gli esperimenti su animali vivi, che fossero fatti per fini scientifici,
didattici o meno, per costituire reato, richiedevano, almeno potenzialmente, la
presenza del pubblico, sul presupposto che tale presenza è necessaria per
offendere il senso di pietà dell’uomo verso gli animali
35
. Nel luogo pubblico e
nel ribrezzo è evidente il riferimento allo “scandalo” che verrebbe destato: la
norma intendeva colpire le manifestazioni di rozzezza d’animo, di ignoranza e
arretratezza culturale e non la sperimentazione su animali (se non nel caso in cui
sia pubblica), che è una “pratica moderna, scientifica, condotta da persone colte,
con nobili scopi”
36
. Non bisogna dimenticare, che, per lungo tempo, la
vivisezione è stata uno “spettacolo”, ne fa cenno, per esempio, Grmek: “Con
grande teatralità, nel 1680, Raymond Vieussens, introducendo un tubo metallico
nell’aorta discendente di un cane, nel corso di una dimostrazione pubblica a
Montpellier…”
37
. D’altra parte, per secoli, anche le esecuzioni capitali sono state
uno spettacolo pubblico. E’ tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX
(periodo in cui avviene quel cambiamento di sensibilità che porterà
all’abolizione delle esecuzioni pubbliche), che il piacere di assistere a una scena
cruenta diventa qualcosa di inconfessabile
38
, in corrispondenza, anche, della
mutata legislazione, anche per ciò che riguarda le attività che coinvolgono la
sofferenza e la morte degli animali.
P
d
35
A Cosseddu, Maltrattamento, cit., p. 532.
36
A. Mannucci, Animali e diritto italiano: una storia, in Per un codice degli animali, Milano, 2001, p. 11.
37
M. D. Grmek, Il calderone di Medea, Roma-Bari, 1996, p. 57.
38
S. D. Bernardina, Il ritorno alla natura. L’utopia verde tra caccia ed ecologia, Milano, 1996, p. 23.Questo libro
analizza le giustificazioni che i cacciatori si danno per nascondere, anche a se stessi, il piacere di uccidere.