Introduzione
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Con la ripetizione, elemento fondamentale che sostiene la
struttura della musica e della danza africana, mi sono collegata
alle teorie che vedono in questo elemento - che insieme con altri
è presente nelle attività performative e rituali - un mezzo per lo
scaricamento delle tensioni sociali.
La danza nella società africana è espressione della vita delle
persone, perché è parte integrante delle religioni, delle attività
sociali e ricreative, infatti nel secondo capitolo ho raccolto le
occasioni in cui la danza è presente, e più precisamente le ho
individuate nei tre tipi di contesto che, soprattutto per quanto
riguarda quello rituale, stanno poco a poco modificandosi a causa
dell'odierno "traffico delle culture", il quale porta ad un continuo
mutamento delle tradizioni locali da una parte, e dell'universo
socio-psicologico dei danzatori dall'altra.
Gli artisti, infatti, s'impadroniscono anche delle influenze
straniere di approccio alla danza per smontare e ricostruire il loro
modo di rapportarsi ad essa. È il caso di Elsa Wolliaston,
danzatrice-coreografa di origini keniane che vive in Europa da
circa quaranta anni. Ha lavorato ad un metodo che provi a far
esprimere la danza d’espressione africana in un nuovo ambiente e
in una prospettiva interculturale. In altre parole, si è resa conto di
aver bisogno dell’invenzione di una pratica che potesse far
apprendere la gestualità africana attraverso un graduale
avvicinamento corporeo e mentale da lei stimolato nei suoi allievi
europei.
Nel terzo capitolo ho preso in considerazione la differenza che
intercorre nelle danze tra i movimenti maschili e quelli
femminili; ho poi riadattato gli stessi criteri utilizzati da Disoteo
Introduzione
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(2001) per la costruzione dell’identità nella musica, alla danza,
ritenendo che il percorso di vita sia fondamentale per la
formazione dell’identità in generale e che quindi lo sia pure per
quella di un danzatore.
Ho preso in esame i casi dei professionisti divenuti tali attraverso
le pratiche di iniziazione o di apprendistato e quelli che, in
ambito contemporaneo, si formano attraverso nuovi percorsi di
apprendimento quali "l’Institute of art and culture school of
music, dance and drama" a Legon, in Ghana (v. Adinku 1994).
Così, ho pensato di concludere il percorso dell’identità nella
danza, riportando delle interviste fatte ad alcuni dei membri della
compagnia di danza, musica e teatro residente a Cape Coast,
dove ho svolto la mia esperienza di campo.
Il quinto capitolo inizia con il mio viaggio. Quello che mi ha
portato a contatto con Agoro Theatre Company, compagnia che
mi colpì immediatamente per la sua organizzazione, frutto di un
articolato progetto che ho spiegato anche grazie alle stesse parole
dei suoi organizzatori. A Cape Coast la danza e la musica hanno
fatto parte del mio quotidiano, a contatto con bravissimi
professionisti che ogni giorno osservavo migliorarsi in vista di
spettacoli o esibizioni. Oltre ad aver osservato, ho appreso alcune
danze della tradizione ghanese; alcune di queste le ho imparate
sola con un danzatore, altre, insieme a delle studentesse inglesi.
Questa particolare situazione multiculturale ha dato vita a
conversazioni molto utili per riflessioni sulla differenza di
metodo di insegnamento e apprendimento tra africani e non
africani.
Introduzione
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Spero di aver trovato le parole più adatte a spiegare i movimenti
delle danze “partecipativamente osservate”.
Lungo questo percorso non ho omesso le mie iniziali difficoltà
provocate dal tipico senso di “spaesamento”.
Ho cercato di narrare al meglio tutti gli eventi e situazioni a cui
ho assistito e partecipato, dove la danza di Agoro occupava uno
spazio importante. Eventi in contesti anche molto diversi tra loro
(si veda il funerale e l’esibizione per un grande albergo) che
davano adito anche a mutamenti coreografici. Ho, infatti, parlato
di come la stessa danza potesse cambiare per un tipo di utenza o
per un altro. Ho, inoltre, fatto un’analisi di Husago dance, nella
diversità di esecuzione da parte di Agoro e di Timora, un’altra
compagnia che ho avuto modo di descrivere.
Purtroppo, proprio quando stavo per ambientarmi e la porta su
quel mondo sembrava aprirsi ogni giorno di più, qualcosa è
arrivato a richiuderla violentemente. La malaria, spaventadomi,
ha fortemente contribuito ad interrompere l'esperienza di campo
di un’aspirante antropologa.
CAPITOLO PRIMO
L’AFRICA DANZANTE
"Canta e danza e vivi e ridi e sii felice.
Ecco la lezione del mio popolo.
Popolo di pene e di gioie tutte intrise
di musiche e danze.
Per fare nascere il bambino,
per aiutarlo a crescere e a vivere una
lunga vita da uomo. Per aprirgli,
alla fine, le porte di un' altra vita, quando avrà
chiuso gli occhi per vederci meglio."
(Bebey F. cit. in Tosi 1990)
1. Musica, gesto, danza
Possiamo iniziare col dire che esistono almeno tre grandi
situazioni nel rapporto tra musica e gesto: il gesto che
produce suono, il gesto che "disegna" e accompagna il
suono in modo simbolico (come quello dei direttori
d'orchestra), il gesto indotto dalla musica. Il gesto è
necessario per produrre suono e qualunque suono è la
traccia sonora di un gesto.
Un aspetto particolarmente importante del rapporto tra
musica, gesto e corpo riguarda evidentemente la danza: "Se
nella società europea attuale la musica e la danza sono
considerati due ambiti d'esperienza interdipendenti ma
comunque distinti, non è affatto così per numerose
popolazioni come nel caso di quelle africane in generale,
L’Africa danzante
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presso le quali musica e danza sono tanto compenetrate da
non essere distinte, a volte nemmeno con termini linguistici
differenti" (Disoteo 2001:124).
La danza condivide con la musica il fatto di poter essere un
potente fattore di identità culturale, sessuale, sociale,
generazionale.
Per poter rivolgere la discussione principalmente alla
situazione in Africa, mi sembra opportuno fare prima
riferimento ad una definizione interculturale della danza
proposta da Judith Hanna, che si trova in forte sintonia con
la definizione di musica come comportamento umano di
Allan Merriam (1983). La definizione che segue può
utilmente essere applicata a culture anche molto diverse.
Hanna sostiene che "la danza può essere definita
efficacemente un comportamento umano composto da
sequenze volontarie che sono intenzionalmente ritmiche e
culturalmente strutturate; queste sequenze sono formate da
movimenti corporei non verbali diversi dalle attività motorie
ordinarie e con valori immanenti ed estetici" (1979:19).
Rileggendo questa definizione si trovano almeno tre punti in
comune con la musica. Anzitutto la volontarietà delle
sequenze dei movimenti, caratterizza la danza ma ci ricorda
anche che "un elemento importante per poter definire
musica una sequenza di suoni è la loro organizzazione
volontaria da parte di un musicista" (Disoteo 2001:125). In
secondo luogo la sequenza motoria è culturalmente
strutturata, come del resto la musica, quindi nella sua
universalità come comportamento, la danza condivide con la
musica il carattere di specificità ad un contesto. Infine i
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movimenti, per essere definiti danza, devono essere diversi
dalle attività ordinarie e avere valore estetico e qui ci si può
collegare alla “teoria dell'azione extraquotidiana” di Barba,
azione intrinseca nella musica, nella danza e nel teatro;
extraquotidiano è tutto ciò che viene svolto in uno spazio
particolare, distinto dalle attività volte alla soddisfazione di
bisogni quotidiani privi dell'intenzione della
rappresentazione (v. Barba 1993).
Un ulteriore, interessante problema riguarda la questione
dell'induzione all'azione. In genere, nella cultura europea,
siamo abituati a concepire il rapporto tra musica e danza
come una stimolazione motoria che parte dalla musica e
mette in azione il corpo. Tuttavia non è così in tutte le
culture, non per quella africana almeno, infatti come
vedremo esistono numerose situazioni in cui è il movimento
del danzatore o della danzatrice che stabilisce o modifica il
ritmo della musica, attraverso un gioco interattivo con il
musicista.
Infine vorrei ricordare la teoria di André Shaeffner, citata da
Disoteo, secondo il quale "i primi strumenti musicali
sarebbero stati sonagli od oggetti applicati al corpo che
avrebbero prodotto suoni rispondendo ai movimenti. In un
secondo tempo questi oggetti sarebbero stati resi autonomi e
sarebbero così diventati gli strumenti musicali da
manipolare con le mani e con il fiato" (2001:129).
Ora che abbiamo visto quanto la musica e la danza siano tra
loro vicine, vediamo quanto siano altamente legate
all'interno della cultura africana.
L’Africa danzante
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1.1 L'unione musica-danza nella cultura africana
E' necessario premettere che quando si parla di danza nella
cultura africana è implicito il fatto che si stia parlando anche
di musica. Nelle società tradizionali musica e danza non
esistevano come attività artistiche separate tra loro, ma
erano una sola cosa, insieme azione sociale che operava
nella vita dell'individuo e della collettività.
Secondo i principi metodologici formulati da Asante:
“l'analisi della musica e danza africana deve essere eseguita
in modo unitario; o altrimenti perdere di vitalità per la
continua fluidità delle due aree” (1998a:208).
La danza e la musica delle percussioni, in particolare,
possono essere considerate come un'entità duale. L'elemento
strutturale che sostiene questa unità è il ritmo, attorno a cui
si organizza ogni manifestazione della cultura africana.
Appare quindi utile studiare il rapporto del testo coreutico e
musicale con il suo contesto. Osservando i modi in cui si
dispiega l'esperienza musicale, ne scaturiscono le sue
funzioni, qualità formali, requisiti estetici, nonché il
rapporto che intercorre tra musicisti, danzatori e spettatori.
Ci si accorge quanto un elemento ne condizioni o ne generi
un altro in una continua reciprocità.
Nella zona dell'Africa Occidentale esiste una ricca varietà di
strumenti musicali. In tempi passati era il musicista stesso a
costruire il proprio strumento e ancora oggi ci sono persone
che preferiscono continuare a farlo.
Ogni strumento musicale è un pezzo unico in quanto sempre
fatto artigianalmente. La forma e le dimensioni degli
strumenti sono soggette a innumerevoli varianti regionali.
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La tecnica di costruzione strumentale non è omologata e
rimane anch'essa dipendente dalla zona dove lo strumento
viene prodotto. Uno stesso strumento si suona in molti modi
diversi, con la tecnica che varia da individuo a individuo. Il
musicista si dice che comunichi al suo strumento la lingua
che deve parlare che è la stessa di chi lo suona e si dice che
due strumenti dello stesso tipo, provenienti da etnie diverse,
"parlino" con diversità di accenti.
Secondo Chernoff (1979), è difficile stabilire se sia venuta
prima la musica o la parola; ma quel che è certo è che la
musica africana dipende dalla lingua parlata da coloro che la
praticano. Poiché la voce e gli strumenti parlano la stessa
lingua, musica vocale e strumentale sono tra loro
solidamente legate.
Vista l'abbondanza di studi generali e monografici sulla
musica e sugli strumenti africani, mi limiterò a parlare solo
di quegli aspetti fondamentali per comprendere meglio il
funzionamento dell'unità musica-danza.
Nella musica occidentale, di solito il ritmo è secondario, per
evidenza e complessità, rispetto all'enfasi posta sulla
melodia e sull'armonia. Quando più musicisti suonano
insieme, le parti sono subordinate ad un tempo comune.
Nella musica tradizionale africana questa logica è
praticamente ribaltata: ci sono sempre almeno due ritmi che
procedono insieme e sembra assente un ritmo unitario o
principale. La musica africana è spesso designata dagli
etnomusicologi come poliritmica e non può essere trascritta
nella notazione standard occidentale. Inoltre, mentre in
Occidente c'è la tendenza ad accentare in un metro di
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quattro battiti, il primo ed il terzo, gli accenti importanti
nella musica africana sono il secondo ed il quarto. I
musicisti non hanno entrate stabilite contando a partire da
un tempo principale, ma devono con attenzione trovare le
loro entrate in relazione estetica con gli altri strumenti. Il
principio non è quello di entrare a tempo, ma piuttosto
quello di risposta agli altri ritmi. Di solito i singoli ritmi
sono piuttosto semplici e ripetitivi, ma è la loro
combinazione e lo scontro tra diversi ritmi incrociati a
creare complessità. Ogni musicista contribuisce con la sua
parte alla costruzione poliritmica totale (v. Chernoff 1979).
Il ritmo che potremmo considerare "di base", quello che
“segna il tempo”, non è enfatizzato, spesso è tenuto soltanto
da piccoli strumenti come campane o sonagli. I musicisti ed
i danzatori evitano di lasciarsi confondere concentrandosi
ognuno sulla propria parte; sono attivamente impegnati nel
dare senso alla musica completando l'insieme ritmico con il
canto ed il movimento del corpo (a cui, come vedremo, si fa
spesso indossare oggetti che provocano suono con il
movimento, come per esempio cavigliere ai piedi o
conchiglie ai fianchi).
Nel metodo di apprendimento usato nel contesto africano, il
tutto viene insegnato simultaneamente alle parti perché
queste non devono risultare separate tra loro. Infatti, non è
un caso che un occidentale si senta ''confuso"
nell'apprendere questo metodo e più avanti riporterò un
dialogo tra ghanesi e non-ghanesi che fa riflettere proprio
sulla diversità di approccio di insegnamento e
apprendimento (v.cap.4, par.7).
L’Africa danzante
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Oltre all'incrocio di ritmi che si tagliano vicendevolmente,
tipica della sensibilità musicale africana è la conversazione
in forma di risposta dei ritmi che si incrociano: i ritmi del
solista vengono intrecciati alla ripetizione continua dei
suoni corali. Esistono tecniche comunicative di interazione
musicale per annunciare cambiamenti di velocità di ritmo e
di danza conseguentemente. Queste forme di comunicazione
possono generare anche delle sfide tra musicisti,
percussionisti, solista (master drummer o djembéfola) e
danzatori nel giocare all'andare oltre l'abilità tecnica e la
comprensione dei partner.
Per esempio il master drummer può costruire la sua
improvvisazione sul movimento di un singolo danzatore o
singola danzatrice.
La chiamata (in italiano), appel (in francese) e the kiù
(come lo dicono in Cape Coast) è una piccola cellula ritmica
ripetuta, un segnale col quale il percussionista avverte il
danzatore, prima di cambiare passo. E' quindi fondamentale
che ci sia un ascolto comune perché lo sbaglio di uno
influirebbe sull'esecuzione dell'altro, quindi, per esempio, il
musicista deve conoscere la danza nei suoi movimenti e
sviluppi ed iniziare la chiamata al momento giusto e seguire
perfettamente il danzatore nei gesti di chiusura; queste
reazioni simultanee devono apparire come se fossero
intuitive e spontanee.
Un'altra variazione musicale molto usata è la ripetizione del
ritmo con un crescente aumento del livello di energia, con
una progressione da un tempo lento ad uno estremamente
veloce.
L’Africa danzante
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La ripetizione è un aspetto fondamentale della musica, è
necessaria per lasciar sviluppare tutta la tensione ritmica e
dinamica. La ripetizione fornisce ai musicisti una struttura
aperta all'interno della quale poter inserire le
improvvisazioni. Ciò che rende interessante un assolo, non è
soltanto la sua complessità ritmica, ma la decisione cruciale
di quando cambiare per ottenere il massimo effetto. Il modo
in cui un musicista esegue un cambiamento di ritmo è
apprezzato soprattutto per la morbidezza e la fluidità, infatti
"la musica deve cambiare e progredire nel tempo ma anche
rimanere stabile per adattarsi alla danza"(Chernoff
1979:27). Quando un movimento corporeo è regolare, è già
un ritmo e facilita l'andamento musicale del percussionista.
E' nel rapporto tra ritmo e danza che il musicista si evolve e
la libertà di una danzatrice è simile alla libertà del master
drummer. Normalmente è la danzatrice ad avere più libertà
nella scelta delle variazioni che vuole fare; il percussionista
la segue.
Esistono comunque dei passi ben precisi nelle danze con un
nome ed un ritmo distinto all'interno del quale possono
essere decise variazioni soprattutto di velocità che il
percussionista e i movimenti dei danzatori sostengono. Ci
sono poi le improvvisazioni anche per quanto riguarda le
danze; a quel punto tutto è rimandato alla fantasia del
danzatore che "crea" sequenze di passi a suo piacimento, in
una velocità di ritmo corporeo che fa in modo di
"pretendere" per farsi sostenere e seguire dai musicisti.
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1.2 Gli strumenti
Tra l'immensa varietà degli strumenti musicali, darò una
sommaria descrizione di quelli che accompagnano più di
frequente la danza nelle zone dell'Africa occidentale.
Agli strumenti vengono spesso aggiunti elementi esterni che
ne amplificano il timbro come lamine metalliche aggiunte
come "orecchie" nel punto dell'inserimento della pelle del
djembé, anelli, campane e sonagli che aiutano ad ottenere
sonorità complesse. (v.Nkentia 1986).
~ Balafon
E' diffuso in quasi tutti i paesi dell'Africa Occidentale, ed è
usato anche per accompagnare le danze. Esistono danze
fatte per essere ballate solo con il suono del balafon.
E' costruito con lamine di legno di diverse lunghezze,
montate su un'intelaiatura. Al di sotto di esse si trovano
zucche essiccate di diverse grandezze che servono come
casse di risonanza. La forma dello strumento e il modo in
cui lo si suona, percotendo con due bastoncini i vari
segmenti lignei, ricorda un pò il nostro xilofono.
~ Tama o Talking Drum
Piccolo, medio tamburo con due pelli mantenute in tensione
per mezzo di tiranti azionati con la pressione
dell'avambraccio. In genere è a forma di clessidra. Viene
suonato tenendolo sotto l'ascella e battuto con una bacchetta
ricurva nella sua parte finale.Le variazioni di tensione delle
pelli permettono di ottenere sonorità differenti e di
riprodurre tutti i toni del linguaggio parlato. Nonostante il
suo minore interesse dal punto di vista della danza, è
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importante ricordare che questo strumento lo si fa “parlare”,
appunto, per radunare le persone in occasione di una
riunione, per annunciare un matrimonio o un funerale.
~ Doumdoum
E' difficile tracciare le origini di questo strumento perché
arrivò in luoghi e in epoche differenti. E' un tamburo
cilindrico a due teste, con pelli tese da tiranti, percosse con
bacchette di legno ricurve. Fornisce le principali frequenze
di basso. A livello della struttura musicale si dice essere lo
strumento fondamentale, perché assicura un solido
fondamento ritmico che facilita tutti gli altri musicisti. I
gruppi musicali contemporanei usano di solito un set di tre
di questi tamburi chiamati doumdoum, sangbé e kenken.
~ Djembé
La Guinea è considerata la terra di origine di questo
strumento. I commercianti Dioula sono probabilmente
responsabili della diffusione dello strumento presso molti
gruppi etnici. Oltre che in Guinea lo si trova in Mali,
Burkina Faso, Costa d'Avorio, Sierra Leone, Liberia e
Gambia; mentre in Ghana è poco usato se non
principalmente nella Volta Region. E' questo lo strumento
che suona di solito il solista. Ha principalmente tre toni
diversi a seconda del punto che la mano percuote sulla
superficie della pelle tirata e dal modo in cui la mano si
appoggia.
Di solito il musicista sta in piedi fermo o cammina mentre
suona, avendo delle corde che lo legano al djembé e lo
aiutano a sorreggerlo. La postura tipica del solista è
comunque quella in piedi con le ginocchia piegate, la
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schiena fortemente arcuata, il petto aperto e spinto al
massimo in fuori, le spalle indietro e la testa verso l'alto con
fierezza di intenti mimici.(v.Gaeme 1993).
Dalla mia esperienza in Ghana ho potuto documentarmi sul
fatto che esistono tre tamburi tradizionali, che si somigliano
per forma e si differenziano per grandezza e timbro.La loro
forma è conica e si suonano completamente poggiati a terra,
a differenza del djémbe che richiede almeno una parte del
tronco dello strumento, staccato dal punto dove si poggia
per suonarlo.
Questi strumenti della tradizione ghanesi sono:
~ Sogo, il più grande dei tre che a volte può svolgere la
funzione del doumdoum;
~ Kidi, il medio e solitamente il più variopinto di tutti con
vernici applicate al tronco di legno;
~ Kaga, il più piccolo e quindi suonato spesso dai più
giovani.
Sempre in Ghana esiste un tamburo di dimensioni enormi
chiamato Atzimu con un'altezza simile a quella delle
persone, che viene suonato solo in occasioni molto
particolari come il funerale di una persona anziana molto
importante della comunità.