Capitolo 1. Introduzione
8
città antica di Matera
1
. Durante l’età del bronzo, circa 7000 anni a.c., in un luogo privo di una
risorsa naturale come l’acqua, gli uomini del tempo hanno sfruttato le loro conoscenze per
sopravvivere, costruendo un sistema di canali e cisterne per raccogliere l’acqua piovana,
utilizzabile a tutt’oggi. Inoltre, le caverne scavate nel tufo, sono realizzate in modo che i raggi
solari filtrino all’interno nella stagione invernale, quando il tragitto del sole nel cielo disegna
un orizzonte più basso, ma che rimangano a picco sull’uscio nel periodo estivo, per
ottimizzare l’esposizione al sole. Da un periodo così lontano dal nostro mondo da definirlo
“pre-istoria”, riceviamo un inconsueto esempio di applicazioni paleo-tecnologiche. La storia
non potrà che essere generica su quale popolazione fu a concepire a quel modo un
insediamento umano. Anche se la loro tecnica era pregevole, non li si può chiamare ingegneri,
architetti, scienziati o economisti, ma artisti, poiché, in un epoca in cui la soddisfazione dei
bisogni primari non era garantita, ogni individuo doveva saper fare di tutto per sopravvivere,
individui che osservando la natura concepivano simili meccanismi non potevano che
possedere una sensibilità da artista.
Oggi, nel nostro periodo moderno, in cui il soddisfacimento dei bisogni primari è garantito,
anche se solo per il 20% della popolazione mondiale, la suddivisione del lavoro ha portato
anche alla suddivisione della conoscenza. La specializzazione delle carriere, che ne è il
corollario, ha reso necessario coniare nuove definizioni, per le nuove categorie di studiosi, che
impegnano i loro sforzi nei campi più diversi, guidati dalla medesima curiosità e creatività.
Prerogative queste che trasformano gli scienziati in investigatori del sapere, i quali osservano
in modo diretto la realtà nelle sue evidenze empiriche, cercando di comprenderne le cause per
ricrearle in ambienti controllati, così da poter disporre del fenomeno a piacimento.
Ed è proprio per questo che una considerevole parte del tempo che lo scienziato impiega nei
suoi studi è rivolta alla descrizione, alla misurazione, all’osservazione della realtà. L’analisi
che lo studioso esegue, deve essere diretta, cioè percepita con i propri sensi, cercando di
evitare che interpretazioni o racconti mal riportati, distorcano la raccolta dei dati sul
fenomeno. Spesso gli occhi non bastano all’uomo per indagare la natura delle cose, così la
scienza si autoalimenta creando protesi che rivelano cose che ad occhio nudo potremmo solo
immaginare, basti pensare all’altro infinito della materia che ci fanno vedere i microscopi, o,
all’opposto, ai telescopi, utilizzati per le scienze spaziali, e molti altri ancora. Altre volte lo
studio si concentra non direttamente sui fenomeni che si vuole analizzare, ma sulle
conseguenze, sui resti di questi, come accade in paleontologia, in archeologia ed in generale
in tutte le scienze storiche.
1
Questo l’esempio italiano, Matera dall’ebraico ma-tara, il luogo delle acque. Datati e da ricondurre allo stesso
periodo anche Petra in Giordania, e le canalizzazioni delle piene del Nilo nei regni dell’Alto e Basso Egitto.
Capitolo 1. Introduzione
9
Tuttavia quale che sia la situazione di quelle citate sopra, il soggetto compie osservazioni,
analisi, studi in prima persona. La motivazione che spinge gli scienziati a dedicare tanto del
loro tempo alla ricerca di testimonianze empiriche, risiede nel fatto che l’osservazione della
realtà è la prova della veridicità o meno delle loro teorie.
Diversamente accade per le scienze che studiano l’uomo non nei suoi aspetti materiali, ma in
ciò che non si può misurare. Questi studi, contrariamente alle scienze della natura, si
indirizzano principalmente verso la formulazione di teorie dimostrabili solo in sede di
dissertazione e di ragionamento, poiché soffrono la grande complessità del loro soggetto di
studio, senza poter offrire dati empirici a prova delle stesse. Sarebbe quindi arduo tentare di
dimostrare una teoria filosofica con prove materiali e fatti empirici, poiché tali riscontri non
esistono. A differenza di una teoria Fisica, in cui sono le manifestazioni dei fenomeni ad
essere protagonisti. Si potrebbe obiettare allora che, chiunque nella vita di tutti i giorni
osserva la realtà per farsi proprie idee di questa e per comportarsi conseguentemente ad esse;
ciò è fuorviante, infatti, lo scienziato è caratterizzato dalla sistematicità, dalla metodicità,
dalla accuratezza e dalla professionalità delle sue osservazioni ed analisi.
Per Lazear (1999), l’economia non può essere considerata una scienza sociale, ma una scienza
vera e propria, poiché ricerca le prove per le sue ipotesi in modo rigoroso e formula le proprie
teorie generali, cercando di sfuggire dalle peculiarità del singolo esempio, in modo che
possano essere usate per prevedere lo sviluppo dei sistemi economici. Anche se come osserva
Terna (2003), “…Come sappiamo, i modelli degli economisti producono previsioni spesso
sbagliate nel segno della variazione…”, i criteri di rigorosità ed il linguaggio economico sono
propri del corredo di strumenti di uno scienziato.
Infatti lo scienziato cerca:
• Di evitare di trarre conclusioni generali da osservazioni singole che potrebbero non
essere correttamente rappresentative.
• Di controllare le condizioni ambientali in cui si svolgono le osservazioni, al fine di
escludere l’influenza di fattori estranei.
• Di utilizzare una descrizione dei fatti di tipo quantitativo cosicché i risultati delle
osservazioni risultino il più possibile oggettive e precise.
• Di assicurarsi dell’oggettività delle sue osservazioni, cioè, si accerta del fatto che, se al
suo posto ci fosse stato un altro scienziato, questi avrebbe verosimilmente tratto le sue
stesse conclusioni.
Tuttavia, per quanto tale aspetto empirico risulti essere di primaria importanza nel definire
cosa sia la scienza, non sono da meno le teorie stesse, che dopo ripetute analisi di fenomeni,
Capitolo 1. Introduzione
10
ne spiegano la dinamica, l’essenza, le cause che li generano, li prevedono e cercano di
controllarli. Così il semplice osservare e descrivere accuratamente ed oggettivamente i fatti
risulta essere conoscenza della realtà, non comprensione di questa; soltanto scoprendo cosa
genera il fenomeno, lo scienziato, può essere in grado di dare una vera spiegazione della
realtà. Vengono così formulate teorie scientifiche, insiemi di regole, concetti, idee, attraverso
le quali si tenta di comprendere la realtà, oltre che conoscerla, individuando le motivazioni
per cui si verifica un evento piuttosto che un altro.
Il miglior frutto che si può chiedere ad una teoria, è che sia possibile estrapolarne delle
previsioni sugli andamenti futuri del fenomeno che dovrebbe descrivere, dati determinati
presupposti. Ciò differenzia decisamente le scienze ed i suoi teoremi, da altri studi, come
quelli filosofici, religiosi, i quali non danno precise previsioni sulla realtà e nemmeno si
adoperano nel valutarla empiricamente o nel sottoporre ad analisi le teorie, come accade in
ambito scientifico. I letterati spesso dicono che gli scienziati si arrampicano sul monte delle
dimostrazioni, per arrivare dove i filosofi li stanno già aspettando; ma, visto che non è tanto
importante la meta quanto il viaggio, l’aspetto empirico è da considerare come elemento di
giunzione tra la realtà e le teorie che la spiegano: la realtà è compresa attraverso lo studio di
essa ed i risultati dei modelli si verificano quando si traducono in eventi.
L’attività di osservazione della realtà e di creazione di una teoria, sono due parti indissolubili
di un unico procedimento, la cui esistenza è legata alla presenza di entrambe. Ma non si deve
pensare a tali attività come obiettive e spassionate in assoluto, infatti: “la scienza non è
necessariamente oggettiva. Tuttavia la scienza per chiamarsi scienza deve necessariamente
cercare di essere oggettiva”, Parisi (2001). Così, è la sensibilità del ricercatore a dare il via al
progetto, e la speranza di ottenere dei risultati a mantenere l’interesse, ma tale entusiasmo non
dovrebbe far perdere il senso critico verso i propri risultati. Quest’aspetto può essere un
problema serio se sottovalutato, poiché rischia di far incorrere in errori lo scienziato, il quale
determinate regole di condotta per prevenirli.
Esso assumerà:
• Che la ricerca scientifica è un’impresa collettiva, nel senso che ogni scienziato ha la
possibilità di poter verificare egli stesso la robustezza di qualsiasi teoria proposta da
altri colleghi.
• Che elemento basilare di una teoria è la formulazione quantitativa della teoria e non
solo quella qualitativa o descrittiva; questo permette di avere una visione più nitida,
oggettiva e scevra da influenze del linguaggio.
Capitolo 1. Introduzione
11
• Che si utilizzano esperimenti in laboratorio, così lo scienziato può controllare le
condizioni nelle quali i fenomeni avvengono ed anzi li provoca, comprendendo bene
quali sono gli elementi e le concomitanze di essi che ne causano il verificarsi.
Ciò che contraddistingue e caratterizza il sapere scientifico è il legame tra le teorie elaborate
ed i fatti empirici a cui si riferiscono. Così non è scienza l’elaborazione di teorie priva di
analisi dei fatti empirici ed altrettanto non è sufficiente a far sì che si parli di scienza,
l’osservazione dei fatti empirici, senza che essi vengano poi elaborati in teorie che ne possano
dare una spiegazione e una comprensione.
1.2 Modelli economici
Non è il caso di dare una definizione univoca e certa di cosa sia la complessità nello studio dei
fenomeni reali, ma è necessario chiarire cosa intendiamo qui quando ci riferiamo ad un
fenomeno economico complesso. Per complessità intendiamo l’insieme di relazioni e di
collegamenti che si instaurano in un sistema popolato da individui che svolgono azioni
semplici. Il termine “complesso” non deve essere confuso con “complicato”, da Terna (2003),
se prendiamo ad esempio un motore a scoppio, è certamente molto complicato, ma
smontandolo riusciamo a comprendere il funzionamento di ogni sua parte, e quale sia il suo
contributo al funzionamento del sistema. Un formicaio, invece, è un sistema complesso,
difficile da comprendere, pur osservando il suo funzionamento, poiché attuando un
approfondito esame delle sue diverse componenti (i diversi tipi di formiche), le informazioni
che possiamo trarre non spiegano nulla, né dei meccanismi con cui agiscono le diverse parti,
né sulla meccanica del sistema. Per comprendere il formicaio, ma si può estendere il concetto
all’economia ed ai suoi sub-sistemi come ad esempio i consumatori ed il mercato, occorre
studiare contemporaneamente le componenti (le formiche, differenziate per funzioni, o i
“semplici” agenti economici) ed il sistema aggregato che ne deriva (formicaio o mercato).
La teoria sulla complessità tenta di cambiare la visione classica che si ha dell’economia,
concentrando l’attenzione non sulla spiegazione del fenomeno economico, ma sulla
comprensione della natura dello stesso. L’analisi proposta dagli studiosi prende il via
dall’assunzione di complessità, ed intorno a tale concetto fa ruotare più che una teoria, una
tecnica di avvicinamento all’economia. Non si vuole spiegare un particolare evento, con un
definito modello teorico; piuttosto si cerca di vedere i fatti da un punto di vista diverso. Gli
studiosi di complessità non cercano una definizione del concetto, ma solo la sua
esemplificazione. Definire la complessità implicherebbe perdere il significato intrinseco del
Capitolo 1. Introduzione
12
termine, se definita diverrebbe non più complessa, ma solo complicata. Il concetto di
complessità va quindi ribaltato nella modellizzazione, obiettivo dell’economista sarà quello di
spiegare i fenomeni senza definire, capire e controllare ogni singola variabile, ma cercando di
comprendere, avvalendosi di modelli anche solo descrittivi, i significati dei singoli fatti.
Ma l’osservazione empirica dei fenomeni sociali è la base da cui iniziare, per formulare
qualsiasi teoria. Per Durlauff (2003), il principale obiettivo della ricerca sulla complessità
economica è stata la determinazione dei modi nei quali i sistemi complessi rappresentano
un’alternativa da opporre al consueto approccio alla teoria economica. Parallelamente, lo
studio della complessità in economia è stato sostenuto dal desiderio di spiegare i fenomeni
sociali e le dinamiche tra gli agenti economici. Pressoché dal suo inizio, la ricerca empirica è
stata parte del programma di ricerca sulla complessità, ma restando disgiunta dalla letteratura
teorica. Attualmente, vi sono tre principali aree di lavoro sull’argomento. La prima raccoglie
gli studi storici, poiché originariamente l’attenzione sulla complessità economica fu espressa
in gran parte da storici economici, nell’ambito di studi empirici sulla dipendenza storica
dell’attività economica da particolari eventi che ne hanno segnato l’evoluzione. La seconda è
dedicata all’individuazione di insiemi di dati significativi correlati con alcune delle
caratteristiche e dei possibili sviluppi di ambienti complessi. La principale difficoltà di questo
approccio, è l’identificazione delle leggi influenti, che rappresentano una classe particolare di
distribuzione di probabilità, e leggi scalari, le quali descrivono relazioni tra variabili che
sembrano essere indipendenti dall’unità di misura, che emergono in varie serie di dati
economici. Questo metodo è sostanzialmente un’estensione fisicalista tratta dallo studio dei
fenomeni naturali in cui esiste un’ampia gamma di modelli complessi, nei quali tali leggi sono
comuni. Una terza area di ricerca ha concentrato i suoi studi sulle interazioni sociali. Per larga
parte, questo lavoro ha evitato un’esplicita connessione con la complessità, tuttavia alcuni di
tali modelli di interazioni sociali, possiedono strutture matematicamente equivalenti a certi
sistemi complessi. Maggior interesse risiede invece nel lavoro empirico sulle interazioni
sociali, concentrato sull’analisi dei tipi di interdipendenze tra gli attori individuali, che
rappresentano il cuore della microstruttura dei modelli basati sulla complessità.
Le tracce di tale impostazione si possono leggere, risalendo ad argomenti contenuti nel
pensiero di Adam Smith, in particolare quando descrive l’economia come il risultato
dell’azione umana, ma non di un progetto degli uomini.
Lo sviluppo di modelli che ci consentano di descrivere e interpretare meglio la realtà
economica è lo scopo che si prefigge il Santa Fe Institute, nel New Mexico, dedicato agli
studi sulla complessità, in cui si tenta di percorrere la terza via nella costruzione dei modelli.
Capitolo 1. Introduzione
13
Gli approcci citati sopra, concretizzano i loro lavori in una ulteriore tecnica di indagine ed
esposizione rispetto a quelle consolidate dei modelli verbali e dei modelli statistico
matematici. Un libro di storia è un esempio di modello verbale, in quanto riporta una
descrizione del passato che certo non è redatta in scala uno a uno. I modelli verbali sono
infinitamente flessibili, ma non computabili. Un modello matematico statistico è invece
intrinsecamente adatto al calcolo, ma paga il prezzo dell’adozione di semplificazioni e
astrazioni spesso indispensabili per rendere possibili le applicazioni interpretative,
previsionali e decisionali.
La terza via (Parisi, 2001; Gilbert e Terna, 2000) è quella dei modelli di simulazione fondati
su agenti, realizzati con un computer, descrivendo il comportamento di agenti economici
costruiti con regole plausibili di comportamento, semplici o difficili che siano. La complessità
emergerà, se emergerà, dalla loro interazione, Terna (2003).
I limiti di una visione meccanica dei rapporti tra gli esseri umani, fanno apparire le imprese
come affette da una cronica incapacità di prevederne i comportamenti, Ormerod (2003). I
mercati di beni come quello cinematografico mettono la teoria economica standard di fronte
ad una certa difficoltà. Secondo questa teoria i gusti e le preferenze degli individui sono fissi,
poiché la scelta ottima è unica, ed i prezzi si assestano in modo meccanico al livello che
assicura l’equilibrio tra domanda e offerta. Ma nel caso dell’industria della celluloide, i
consumatori non sanno in anticipo se un nuovo film sarà di loro gradimento. La gente deve
infatti capire le proprie preferenze, e le scelte di ciascun individuo sono fortemente
influenzate dalle opinioni e dalle azioni degli altri. Proprio perché sono popolari, certi film
diventano ancora più popolari. Da qui le enormi differenze di incasso tra il film più visto e
quello meno visto. Altri esempi di questo tipo di fenomeni, spesso non razionali, per cui
prodotti oggettivamente migliori di altri, alle volte, sono scartati dal mercato. Questi lock-in-
effects si sono verificati in svariati momenti, per fare alcuni esempi possiamo fare riferimento
agli orologi delle cattedrali medievali, i quali non giravano tutti da sinistra verso destra
(l’attuale senso orario), alla sconfitta del Betamax rispetto al VHS. L’accesso per
comprendere tali fenomeni può essere l’ipotesi che il comportamento di un individuo possa
influire direttamente su quello degli altri, che i consumatori formano le proprie aspettative
basandosi sui comportamenti e sul benessere apparente dei loro compagni. Per quanto possa
apparire ovvia, quest’ipotesi porta a situazioni di grande complessità analitica.
Osservando le politiche di intervento economico, ci pare che ogni mezzo per modificare il
corso dell’economia sia dannoso o al più vano. All’azione dei governi è spesso applicabile la
legge delle conseguenze involontarie: il risultato ottenuto è l’opposto di ciò che si voleva,
Capitolo 1. Introduzione
14
oppure, anche se l’obiettivo viene raggiunto si verificano effetti imprevisti in altre parti del
sistema. Ciò non significa affatto che i governi siano impotenti, o che l’economia e la società
siano anarchiche. La regolarità e l’auto-organizzazione esistono, ma non nel modo postulato
dalla teoria convenzionale. Anziché sforzarsi di correggere ogni piccolo sobbalzo, potrebbe
valere la pena di osservare le cose da una prospettiva più ampia. Non sempre fare A, B e C,
conduce invariabilmente ad X. Ciò che ha a che fare con l’insieme delle azioni umane, non
dovrebbe sorvolare sulla descrizione degli aspetti salienti del protagonista fondamentale dei
temi analizzati, l’uomo.
Capitolo 2. La visione standard del mercato
15
Capitolo 2.
La visione standard del mercato
2.1 Descrizione generale
Per mercato spesso si intende quel luogo, fisico o astratto che sia, in cui si realizza l’incontro
delle imprese, produttrici di beni e servizi, con i loro possibili acquirenti.. La teoria descrive
varie forme organizzative di questo meccanismo, studiandolo sotto la prospettiva del numero
di imprese che vi operano. Per cui si possono specificare tre grandi tipologie di mercato, a
seconda della predominanza delle aziende su di esso, il monopolio, l’oligopolio e la
concorrenza perfetta.
L’ideazione di un nuovo prodotto fa in modo che, il proprietario della tecnologia necessaria a
produrlo, diventi l’unico soggetto in grado di iniziarne la distribuzione presso i clienti. Essere
il primo a poter soddisfare un bisogno non ancora esaudito, permette di dominare il nascente
mercato ed attribuisce al produttore il ruolo monopolista per quel particolare segmento
2
. Se
tale situazione di dominanza riesce ad essere difesa efficacemente, o meglio, se si tratta di un
monopolio naturale, Schotter (1996), la posizione può essere mantenuta indefinitamente;
viceversa, l’estro creativo dei possibili concorrenti non tarderà a manifestarsi, con tecnologie
analoghe o sviluppando metodi di produzione meno costosi, e l’entrata sul mercato di almeno
un secondo produttore sarà inevitabile, inizia a delinearsi una situazione di oligopolio. Infine,
nel caso in cui le imprese che trattano un bene, ad ogni livello della filiera produttiva, siano in
numero tale da non consentire l’uso dell’aggettivo “pochi”
3
, ci troviamo in presenza di una
situazione di mercato perfettamente concorrenziale. È proprio la concorrenza tra aziende e
l’interazione con i possibili acquirenti, uno dei campi in cui una scienza sociale come
l’economia meglio si esprime.
2
Quest’esempio è così semplicistico da non considerare nessuno degli aspetti finanziari di un inizio di
produzione industriale e da presupporre che lo sviluppatore del know-how sia anche interessato alla sua
commercializzazione. Forse tale discorso sarebbe stato più reale in passato, ma la profonda specializzazione e la
diffusione dell’informazione che contraddistinguono il tessuto produttivo odierno, lo rendono anacronistico.
3
Per le caratteristiche che delineano la definizione di concorrenza perfetta si rimanda successivamente lungo la
trattazione.
Capitolo 2. La visione standard del mercato
16
La rigorosa impostazione dello studioso di economia, non si sottrae alla sfida della
descrizione di un mercato concorrenziale. Secondo Lazear (1999), la forza della teoria
economica è che utilizza metodi rigorosi e considera ogni attore
4
del processo in studio, come
un individuo che agisce in modo razionale, ed è spinto verso la massimizzazione dell’utilità
del suo comportamento. Nel modello di concorrenza perfetta l’aspetto da considerare è
duplice, ciò significa che, i singoli consumatori scelgono i prodotti da acquistare sapendo in
modo chiaro quali combinazioni di beni possono acquisire con il loro bilancio, e quale tra di
esse darà loro maggior soddisfazione. Mentre i venditori massimizzano il loro profitto
calcolando la quantità che sarà venduta, in base alle curve di domanda aggregate tipiche di
quel mercato, poiché per loro il prezzo è un dato esogeno (price taker), che corrisponde al
prezzo medio di mercato.
Un ulteriore punto di forza degli economisti sta nella ricerca di un punto di equilibrio, in cui
le forze in contrapposizione in determinate fasi del processo, si stabilizzano per un periodo
significativo. Il mercato con molti produttori è pensato come la progressiva addizione di
nuove imprese ad un mercato monopolistico, per cui è lecito pensare che vi sia stata una fase,
nel passaggio da oligopolio a concorrenza, in cui i consumatori, tenendo conto della perfetta
sostituibilità della merce di un produttore rispetto ad un altro, erano spinti a preferirne uno in
particolare unicamente in base al prezzo. Quest’aspetto, unito all’assenza di costi di ricerca di
nuovi fornitori, scatenano il meccanismo della concorrenza, ciò comporta che i venditori, uno
dopo l’altro, abbassino il prezzo, che si approssima al costo marginale man mano che cresce il
numero di concorrenti, di conseguenza l’ulteriore ingresso di nuove aziende le costringe ad
uniformarsi all’offerta già presente. Tale situazione rende il prezzo una variabile esogena, che
non può essere influenzata dai venditori presenti sul mercato.
L’ultimo aspetto saliente dell’osservazione del fenomeno è la sua efficienza. Nel modello
classico il mercato segue la sua evoluzione fino al punto di equilibrio, in tale situazione
un’analisi più accurata dei protagonisti dello scambio, rivela che la somma dei surplus dei
consumatori e dei venditori è la più alta rispetto alle altre forme organizzative di mercato. A
ciò è da ricondurre la stima che gli economisti ripongono nel meccanismo della concorrenza
perfetta, nella sua capacità di massimizzare l’utile per l’economia e nella caratteristica di
distribuire il surplus tra consumatori e produttori.
4
Inteso come colui che agisce.
Capitolo 2. La visione standard del mercato
17
2.2 Caratteristiche del modello di mercato
Nel modello matematico che descrive il comportamento che si dovrebbe verificare in caso di
concorrenza perfetta, per rendere calcolabile l’esito di un evento e quindi anticipare
l’evoluzione delle dinamiche interne di un determinato settore, si sono dovute introdurre delle
ipotesi semplificatrici, le quali eliminano dei comportamenti ritenuti di disturbo e permettono
una maggiore generalità del modello. Le caratteristiche di un mercato perfettamente
concorrenziale sono: la presenza di un gran numero di imprese, la libertà di entrata di nuovi
produttori, l’omogeneità del prodotto, la mobilità dei fattori di produzione ed un’informazione
perfetta. Ogni singola impresa possiede una quota infinitamente piccola del mercato, perciò
con il suo comportamento non può influenzare il prezzo che in esso si determina.
Gli strumenti con cui si definisce il modello sono le equazioni di bilancio, le curve di
indifferenza (intese come combinazioni di panieri di beni che sono equivalenti in termini di
utilità per il consumatore) e delle sottostanti caratteristiche di perfetta razionalità, conoscenza
completa dei prezzi, capacità illimitata di calcolo; il tutto, fondato su una funzione di utilità
dei consumatori più o meno complicata.
2.2.1 Le curve di indifferenza del consumatore
Alla base delle equazioni che descrivono il modello di mercato concorrenziale vi è la curva di
domanda aggregata dei consumatori, che è la somma lineare delle singole curve di domanda
che a loro volta si basano sui criteri di Scelta del consumatore. Tale modello si pone
l’obiettivo di spiegare il comportamento delle persone durante i loro consumi e di prevederne
i cambiamenti al variare delle condizioni iniziali.
Le semplificazioni introdotte nella formulazione della teoria escludono che i soggetti possano
contemplare delle stime sui redditi futuri in base a quelli passati (assenza di dinamicità
intertemporale), che le loro preferenze non mutino nel tempo, che tutti i consumatori scelgano
il paniere ottimo, quella combinazione di beni disponibili che ne massimizza l’utilità e che la
scelta sia limitata ad un paniere composto da due beni.
Le altre condizioni coinvolgono le preferenze dei consumatori, sono enunciate sotto forma di
assiomi. Il soggetto non limita i consumi, ma esaurisce il proprio reddito tra i beni disponibili,
non sazietà
5
.
5
Si può considerare come se la scelta fosse tra un bene ed il resto dei consumi presi complessivamente.
Capitolo 2. La visione standard del mercato
18
Tra due panieri composti da beni “normali”
6
, l’attore preferirà quello che garantisce un
consumo, perciò un utilità, maggiore. Il consumatore può in ogni momento confrontare in
modo certo i panieri possibili, così da riconoscere quello migliore. Si forma in questo modo
un ordine di preferenza su cui il soggetto si basa per scegliere. Seguendo la scala di scelta, si
considera che un qualsiasi paniere sia desiderabile almeno quanto se stesso, parallelamente, se
una combinazione di beni garantisce un’utilità maggiore o uguale ad un’altra, e a sua volta la
seconda ha un’utilità maggiore o uguale di una terza, si assume che la prima abbia un’utilità
maggiore o uguale alla terza; discorso analogo se minore. Riassumendo:
Esaurimento Il reddito del consumatore è sempre speso interamente.
Non sazietà Una quantità maggiore di bene è sempre preferita ad una minore.
Completezza (x
1
, y
1
) > (x
2
, y
2
); (x
1
, y
1
) ≈ (x
2
, y
2
); (x
1
, y
1
) < (x
2
, y
2
)
Riflessività (x
1
, y
1
) ≈ (x
1
, y
1
)
Transitività ⇒ (x
1
, y
1
) ≥ (x
2
, y
2
) ∧ (x
2
, y
2
) ≥ (x
3
, y
3
) → (x
1
, y
1
) ≥ (x
3
, y
3
)
⇒ (x
1
, y
1
) ≤ (x
2
, y
2
) ∧ (x
2
, y
2
) ≤ (x
3
, y
3
) → (x
1
, y
1
) ≤ (x
3
, y
3
)
Queste osservazioni introducono la necessità di definire quanto un paniere di beni sia preferito
ad un altro. Per delineare una classifica di preferenze occorre attribuire un valore numerico a
questa scelta, tale quantificazione è chiamata Utilità. Tale concetto racchiude dentro di se
l’ipotesi di benessere complessivo, traducendo in un valore numerico la felicità della persona.
Di conseguenza sembra naturale pensare che il consumatore compia delle decisioni per
massimizzare la propria utilità. Ma stabilire quanto un oggetto sia utile rispetto ad un altro, o
quanto la combinazione di due o più beni lo sia rispetto ad un’altra, in termini assoluti e
rigorosi, non relativi, è inverosimile anche assumendo che le preferenze non cambino nel
corso del tempo. A causa di tali problemi concettuali, si è affermata la teoria comportamentale
del consumatore, formulata in termini di preferenze e l’utilità è interpretata come un modo per
descrivere le preferenze stesse.
I modelli di scelta attuali utilizzano l’utilità sotto forma di funzione per ricavare una mappa di
curve di indifferenza, su cui giacciono i panieri di beni che danno la medesima utilità al
consumatore. La relazione fra la quantità dei beni nel paniere e la gratificazione che se ne può
trarre è la funzione di l’utilità. Nel caso di due beni X e Y, l’utilità U si può formalizzare con:
),( YXU , la sua rappresentazione grafica potrebbe essere:
6
Tra virgolette per differenziarli dai beni perfetti sostituti, perfetti complementi, mali e di Ghiffen.
Capitolo 2. La visione standard del mercato
19
50
100
150
X
50
100
150
Y
0
50000
100000
Z
Figura 1. Rappresentazione grafica di una funzione di Utilità.
La Figura 1 mostra la riproduzione di una semplice funzione di utilità, il valore sull’asse
verticale sintetizza la gratificazione che il consumatore trarrebbe da quella combinazione di
beni, le osservazioni che si possono fare non devono essere interpretate in modo cardinale, un
paniere con utilità 100.000 è dieci volte meglio di uno con utilità 10.000, ma in modo ordinale
100.000 è sicuramente meglio di 10.000 anche se non sappiamo quanto. Lo stesso principio ci
seguirà nel continuare a descrivere il processo di scelta del consumatore.
Per utilizzare meglio i dati forniti dalla rappresentazione di Figura 1 ci si giova della
proiezione di alcuni livelli di utilità sul piano di base X, Y. Ad ogni curva è associato un
differente valore di utilità.
Figura 2. Fascio di curve di indifferenza della funzione precedente.
Capitolo 2. La visione standard del mercato
20
Le curve di indifferenza sono la proiezione sul piano dei beni X ed Y dei panieri che
possiedono la medesima Utilità. Ognuna di quelle linee rappresenta un’infinità di
combinazioni, tra il bene X ed Y, equivalenti tra loro per quanto riguarda la preferenza del
consumatore. Partendo dalla curva più vicina all’origine, man mano che ci spostiamo verso
l’estremo opposto del grafico, passiamo a valori di Utilità sempre maggiori.
Rispettando le condizioni precedentemente elencate, possiamo riscontrare alcune proprietà
che caratterizzano le curve di indifferenza dei beni con preferenze regolari (well-behaved),
sono monotone, strettamente convesse e hanno pendenza negativa.
Innanzi tutto si impone il rispetto dei vincoli posti dalla teoria assiomatica, che comporta una
serie di semplificazioni. Trattare esclusivamente beni rispondenti al principio di non sazietà,
implica l’avere curve di indifferenza monotone. Sempre l’assioma di non sazietà garantisce
che, tra due panieri indifferenti, quantitativi maggiori di un determinato bene comportino un
livello maggiore di soddisfazione a parità di quantità dell’altro bene: ()( )
22111
,, yxyxx >∆+
Figura 3. Dall’ipotesi di monotonicità deriva che le curve di indifferenza hanno inclinazione
sempre negativa, per esempio se si prende un paniere qualsiasi e si aumenta la quantità di uno
dei due beni, ci si trova su un livello di utilità maggiore, per tornare sulla precedente curva di
indifferenza è necessario diminuire la quantità dell’altro bene. Ulteriore conseguenza delle
precedenti ipotesi è che presi due panieri, collocati su di una medesima curva di indifferenza,
il paniere medio tra i due, sarà su una curva di indifferenza superiore alla precedente, ciò
implica che l’insieme dei panieri preferibili è convesso Figura 4.
),(
11
yx
),(
22
yx
),(
111
yxx ∆+
Figura 3. Curve di indifferenza monotone.
),(
11
yx
),(
22
yx
⎟
⎠
⎞
⎜
⎝
⎛
++
2
,
2
2121
yyxx
Figura 4. Curve di indifferenza convesse.
Capitolo 2. La visione standard del mercato
21
2.2.2 Il vincolo di bilancio.
Il secondo aspetto alla base della teoria scaturisce dalla considerazione che le risorse dei
soggetti coinvolti nella scelta sono limitate. Per rappresentare questa limitazione, il sistema
delle curve di indifferenza si combina con una retta costituita dalla combinazione di tutte le
scelte di panieri acquistabili.
La teoria cerca di spiegare il fenomeno, semplificando quanto accade nel mondo reale: si
supponga che esista una certa dotazione di beni tra i quali il consumatore può scegliere, con i
rispettivi prezzi, ed una corrispondente dotazione di reddito spendibile, si cercherà di definire
come e quanto spenderà il consumatore del suo reddito. Se indichiamo con R il reddito del
consumatore, con
x
p e
y
p i prezzi dei beni X e Y ed infine x e y le quantità dei rispettivi
beni presenti nel paniere, possiamo scrivere un esempio di retta di bilancio: ypxpR
yx
+= ; la
quale diventa vincolo quando sono noti il reddito ed i prezzi.
( )
OO
yx ,
ypxpR
yx
+=
Figura 5. Vincolo di bilancio.
Nel vincolo di bilancio le uniche grandezze che sono ritenute significative sono il reddito
disponibile, ed il prezzo dei due beni, non vi è quindi nessuna nozione di localizzazione,
tempo o di quantità; inoltre in esso si definiscono unicamente alcune caratteristiche oggettive
del modello, con questa funzione si evidenzia la capacità di acquisto, non il che cosa
acquistare.