CAPITOLO 1: IL PROCESSO INFERENZIALE
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1.1 L’inferenza sociale
In un articolo di Hastie (1983), viene formulata una definizione di
inferenza sociale: “processo mediante il quale da un insieme di
proposizioni (premesse), è possibile giungere ad un’altra proposizione
(conclusione)”. L’inferenza è ritenuta accettabile quando le premesse
offrono delle ragioni logiche per sostenere la conclusione.
L’inferenza, quindi, consta di tre componenti: a) un insieme di
premesse; b) una conclusione; c) delle regole o principi che connettono
le premesse alla conclusione in un modo che risulti ragionevole. Questa
definizione evidenzia l’ampiezza del campo delle inferenze sociali.
Beike e Sherman (1994) distinguono tre livelli dell’inferenza: il
livello più basso riguarda le inferenze relative a comportamenti specifici;
il livello intermedio ha a che fare con le inferenze circa i tratti, visti
come caratteristiche di personalità degli individui; il livello più alto è in
relazione con le inferenze riguardanti qualità e caratteristiche dei gruppi
sociali.
Questi tre livelli corrispondono, rispettivamente, alla
predisposizione comportamentale, alla formazione delle impressioni e
allo sviluppo di stereotipi. Relativamente a questi tre livelli, Beike e
Sherman (1994) individuano tre possibili direzioni dell’inferenza: da un
livello inferiore ad uno superiore (induzione), da uno superiore ad uno
inferiore (deduzione), oppure all’interno dello stesso livello (analogia).
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1.2 Come funziona l’inferenza
Quando ci si relaziona con altre persone è importante che
l’informazione riguardo ad esse sia organizzata in modo efficiente. I
tratti di personalità, siano essi concetti stabili o temporanei, servono per
questa organizzazione (Chaplin, John & Goldberg, 1988).
Il soggetto che percepisce, assume che ci sia unità nella
personalità degli altri, quindi le persone sono viste come entità coerenti:
dunque, l’impressione che ci si forma circa un’altra persona dovrebbe
riflettere quella unità e coerenza (Hamilton & Sherman, 1996). Si può
dire che i tratti guidano profondamente la percezione sociale, per essere
raggruppati insieme entro un sistema organizzato e chiuso (Asch, 1946).
Appena due o più tratti sono visti come caratteristici di una persona, essi
cessano di esistere come tratti isolati e si pongono in relazione dinamica
l’un con l’altro (Asch, 1946).
Assumendo che i tratti rappresentino costrutti generali, mentre i
comportamenti esempi più specifici, si può parlare di inferenze deduttive
per descrivere le inferenze da un tratto generale ad un comportamento
specifico (ad es. ‘onesto’ e ‘ci ha restituito i soldi’) e di inferenze
induttive quando si inferiscono i tratti sulla base dell’informazione
comportamentale (ad es. ‘ha degli ottimi voti’ e ‘studioso’) (Boni, 1998).
Il fatto di trasformare i comportamenti nei tratti corrispondenti permette
di capire più facilmente le tendenze stabili dei nostri simili e di fare
previsioni su futuri comportamenti.
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Il soggetto che osserva, viene a conoscenza di un comportamento
altrui e cerca di fare inferenze circa le caratteristiche disposizionali
costituenti il nucleo della personalità di un individuo (Hamilton &
Sherman, 1996). Molte delle informazioni specifiche (comportamenti)
che vengono apprese circa una persona, sono viste come una
manifestazione superficiale di disposizioni più fondamentali. Si assume
che i comportamenti di una determinata persona implichino delle
proprietà sottostanti più generali, riflettano qualità più fondamentali.
Dunque, l’informazione immediatamente disponibile è usata come base
per fare corrispondenti inferenze di tratto e giudizi valutativi riguardo le
caratteristiche disposizionali più generali di un individuo (Hamilton &
Sherman, 1996).
Inferire i tratti non rende la vita più predicibile, tranne nel
momento in cui il tratto stesso può permettere la derivazione di
comportamenti successivi (Maass, Sherman, Colombo & Colombo,
2001). Ciò suggerisce che entrambi i processi di induzione e deduzione
sono essenziali per un agevole funzionamento cognitivo e sociale
(Colombo, 1999).
Nonostante ciò, viene dato un peso diverso ai due processi: infatti,
mentre si trova una cospicua letteratura che riguarda le inferenze da
comportamento a tratto, relativamente scarse sono le ricerche che
indagano l’inferenza opposta, da tratto a comportamento (Boni, 1998).
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1.3 Le inferenze da comportamento a tratto
Questo tipo di inferenza è stata studiata a lungo dai ricercatori. Già
il lavoro di Asch (1946) si basava sul processo inferenziale, assumendo
implicitamente come esso fosse una tendenza all’espansione partendo
dall’informazione disponibile per giungere ad un livello più generale di
conoscenza, ad una più completa e unica concezione delle persone. Egli
aveva suggerito due modelli per la formazione delle impressioni: a) un
modello configurale (si veda Fig. 1.1) e b) un modello degli elementi.
Fig. 1.1 Il modello configurale di Asch (1946)
IMPRESSIONE =
A,b,c,d,e = tratti
a b
c d
e
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Il primo assumeva che l’impressione era olistica (cioè
strettamente legata al contesto) e che la specifica configurazione degli
attributi e le loro reciproche relazioni determinavano l’impressione
globale. Quindi, una persona non sarebbe costituita da questo o da quel
tratto visti come indipendenti, ma come un insieme di tratti in relazione
tra loro formanti un certo tipo di personalità. Il secondo modello
sosteneva, invece, che ogni attributo entrava separatamente
nell’impressione di una persona indipendentemente dagli altri tratti ed
ogni elemento si legava agli altri in modo additivo; ogni tratto era,
dunque, in grado di produrre una particolare impressione.
In modo simile il lavoro di Anderson sull’integrazione
dell’informazione (cf. Anderson, 1974, 1981) enfatizzava la tendenza
spontanea delle persone ad esprimere giudizi valutativi che
sintetizzassero la loro reazione complessiva verso gli altri. Egli, infatti,
prendendo spunto dal modello degli elementi proposto da Asch, aveva
formulato la teoria dell’integrazione dell’informazione in cui
l’informazione riguardo le persone era calcolata e combinata
algebricamente in un’impressione generale. Specificatamente, la teoria
dell’integrazione dell’informazione comprendeva un’analisi riguardante
la selezione e la valutazione degli stimoli, un’analisi algebrica dell’intera
informazione raccolta ed un’analisi della generazione delle risposte.
Attraverso le regole dell’addizione e della moltiplicazione, si riusciva ad
ottenere un’economica, precisa e generale analisi della formazione delle
impressioni e di altre inferenze sociali. Il modello psicologico di base per
questa teoria, con la sua enfasi verso la rappresentazione numerica degli
stimoli e la sua applicazione di regole, potrebbe essere la sistematica e
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funzionale teoria della misurazione (Anderson, 1968, 1981, in Beike &
Sherman, 1984).
Un’altra teoria da prendere in considerazione è quella dell’inferenza
corrispondente proposta da Jones e Davis (1965): essa riguardava,
specificatamente, come le persone vanno ‘dagli atti alle disposizioni’,
inferendo tratti, attitudini, motivi e altre caratteristiche disposizionali che
sottostanno alla specifica informazione su cui l’impressione è basata
(Hamilton & Sherman, 1996). Un’inferenza corrispondente suggerisce in
che misura il comportamento degli individui corrisponde o riflette
disposizioni interne di tipo stabile. Ad esempio, davanti ad un
comportamento aggressivo, l'inferenza corrispondente dice in che misura
chi si comporta in quella maniera lo fa perché è una persona che, ‘per
disposizione’, è portata ad essere aggressiva. Ossia, il comportamento di
una persona risulta informativo agli occhi di chi produce un’inferenza,
quando esso è frutto di un’intenzione e quando tale intenzione si
mantiene stabile nel tempo, non modificandosi da situazione a
situazione.
Dunque, nelle situazioni di giudizio quotidiane, i soggetti, sulla base
delle caratteristiche del comportamento messo in atto dagli attori e
considerando il contesto in cui esso si è manifestato, producono delle
inferenze sul grado di intenzionalità che lo precedeva e sulle disposizioni
personali stabili che lo hanno determinato (Arcuri, 1995).
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1.4 Le inferenze da tratto a comportamento
Un tipo di inferenza comportamentale è particolarmente critico nel
funzionamento quotidiano: la predizione di comportamenti futuri sia
propri che di altri. Il processo deduttivo coinvolge l’uso di impressioni
generali riguardo un individuo per trarre predizioni circa le
caratteristiche specifiche od i comportamenti di quello stesso individuo.
Rispetto al processo inverso, quello che riguarda le inferenze da
tratti generali a comportamenti specifici (ad es. da ‘socievole’ ad ‘ama
organizzare feste’), sembra meno comune.
Ci sono alcune ragioni per le quali è difficile trarre inferenze deduttive
(Beike & Sherman, 1994):
1. generalmente è molto più facile trarre inferenze da comportamenti
specifici a caratteristiche generali che viceversa (Carlston, 1992).
Questa differenza potrebbe essere dovuta al fatto che le inferenze da
comportamento a tratto sono molto più comuni e molto più utilizzate
delle inferenze da tratto a comportamento.
2. Come hanno puntualizzato Epstein (1979), Sherman e Fazio (1983), è
difficile predire ogni singolo comportamento da attitudini o tratti
globali. Si ottengono inferenze deduttive migliori quando si predice
un insieme di comportamenti; tuttavia è anche vero che è spesso più
utile l’accurata predizione di un singolo comportamento.
3. I comportamenti specifici sono in funzione delle qualità
disposizionali dell’individuo, come pure dei vincoli situazionali in cui
si manifestano. Dunque, le inferenze deduttive circa comportamenti
specifici, possono essere tratte solo con grande incertezza.
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Considerata la difficoltà nel predire comportamenti specifici a partire
da tratti globali, vengono intrapresi altri cammini dalle inferenze
comportamento - tratto (Beike & Sherman, 1994):
1. un comportamento precedente di una persona è da usarsi,
ovviamente, come predizione di uno futuro. Un comportamento
passato è, infatti, l’indicatore migliore di ciò che l’individuo farà
probabilmente in futuro.
2. Alternativamente, se non sono disponibili comportamenti passati di
un certo individuo, si utilizzeranno quelli di altre persone simili a lui.
Reeder, Pryor e Wojciszke (1993) hanno evidenziato quattro principi che
sottostanno alla relazione tratto-comportamento: il primo ha a che fare
con il principio dell’economia secondo il quale i tratti sono considerati
un modo parsimonioso per rappresentare i comportamenti osservati. In
accordo con Heider (1958), ‘le caratteristiche disposizionali servono ad
integrare un insieme confuso di dati in un termine più economico’. Il
secondo è il principio di adattamento all’ambiente sociale, il quale
suggerisce che i giudizi di tratto vengono compiuti per favorire la
sopravvivenza di colui che percepisce (Anderson, 1990; Swann, 1984;
Wright & Dawson, 1988). L’adattamento potrebbe essere utile se il
soggetto adotta strategie che gli permettono di identificare quelle persone
che mettono in pratica atteggiamenti minacciosi. Per esempio, un’azione
aggressiva di una persona può avere particolari implicazioni per la
sopravvivenza degli altri. Un individuo, anche solo in parte fisicamente
aggressivo può essere una minaccia; può essere adattivo, dunque, basare
i giudizi nel momento in cui si verifica la condotta aggressiva. Il terzo
principio è quello dell’indice di base secondo cui gli individui si
aspettano che determinati comportamenti varino in modo probabilistico.
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Se una persona ha compiuto più azioni disoneste rispetto ad un’altra,
sarà etichettata come ‘disonesta’; non bisogna, però, pensare che la
persona in questione si comporti in modo più disonesto che onesto,
quanto piuttosto che quella persona è più disonesta rispetto ad un’altra.
L’ultimo principio, infine, considera le nozioni di causa ed effetto: in
accordo con il principio di causalità gli individui si accorgono che i
risultati di alcuni comportamenti richiedono un certo grado di abilità da
parte del soggetto. Per esempio, eccezionali performance atletiche,
esperimenti scientifici o capolavori artistici sono ottenuti solo da coloro
che possiedono requisiti fisici come coordinazione, intelligenza e
creatività e che, di conseguenza, sono in grado di produrre o causare
certi risultati.
Da tali considerazioni si è notato, quindi, come sia difficile parlare
in termini di comportamenti e, quanto, d’altro canto, sia estremamente
semplice parlare in termini di tratti. La figura 1.2 mostra uno schema
molto generale che illustra la posizione delle inferenze di tratto nella
percezione delle persone.
Fig. 1.2 Determinanti della percezione delle persone e predizioni (da Reeder,
Pryor e Wojciszke, 1993, pag.38)
Comportamento
Situazione nuova
Situazione Tratto Aspettative
inferito circa il comportam.
Informazione
Precedente
← PERCEZIONE DELLE PERSONE … ← PREDIZIONE DI UN COMPORTAMENTO …
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1.5 Quale tipo di informazione?
Nel trarre inferenze circa gli altri, un ruolo importante è giocato
dalle informazioni in entrata. Una di queste, ad esempio, potrebbe essere
l’informazione trasmessa dalla semplice apparenza fisica; il fatto, cioè,
che caratteristiche facciali diverse sono associate a diversi tratti (Secord,
1958; Secord & Muthard, 1955). Un’altra caratteristica legata
all’apparenza è l’attrattività (Dion, Berscheid & Walster, 1972):
anch’essa può servire come stimolo per generare inferenze verso le
persone.
I tratti di personalità rappresentano una seconda categoria di
informazione che è importante nella formazione di un’impressione
globale (Beike & Sherman, 1994). Questo tipo di informazione può
essere fornita direttamente sotto forma di etichetta verbale (come è stato
fatto nella maggior parte dei precedenti studi sulla formazione delle
impressioni: N.H. Anderson, 1968; Kaplan, 1971; Wyer, 1974) o estratta
durante l’interazione o ricavata sulla base dell’osservazione di un
individuo. Anche il contenuto di certi comportamenti ed i vincoli
situazionali hanno un importante ruolo nelle inferenze (Jones & Davis,
1965; A.G. Miller, Ashton & Mishal, 1990; Quattrone, 1982).
Di tutti i vari tipi di informazione disponibile riguardo le persone,
ce ne sono alcuni più importanti di altri? In generale, è vero che
l’informazione più saliente, vivida e distintiva, gioca un ruolo più forte
nell’impressione globale (Nisbett & Ross, 1980).
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Un altro aspetto della disponibilità dell’informazione è il suo
valore diagnostico (Beike & Sherman, 1994). Per esempio, Carlston e
Skowronski (1987) hanno evidenziato che i comportamenti negativi sono
considerati più diagnostici di quelli positivi in relazione alle inferenze
riguardanti l’aspetto morale, mentre accade il contrario per le inferenze
circa le abilità. In aggiunta a ciò, i comportamenti estremi sono giudicati
più diagnostici di quelli moderati per le inferenze che coinvolgono sia la
moralità che le abilità.
Nel loro insieme, questi studi dimostrano che l’importanza relativa
delle informazioni in entrata per le inferenze induttive circa gli individui
è, in parte, in funzione delle proprietà di quegli stimoli come la salienza,
la primacy e la positività / negatività.
Ricerche recenti hanno cercato di stabilire i tipi di informazioni
che guidano le impressioni delle persone circa gli altri. Per esempio, le
procedure di priming possono rendere determinati tipi di informazioni
più accessibili le quali, a loro volta, incanaleranno l’attenzione verso
altra informazione (Sherman, Mackie & Driscoll, 1990) e verso la sua
interpretazione in modo da ottenere un’impressione complessiva
(Higgins, Rholes & Jones, 1977; Srull & Wyer, 1979). Le procedure di
priming possono favorire l’interpretazione dei comportamenti sia
aumentando l’accessibilità di una rappresentazione generale astratta che
è rilevante per il comportamento stesso (Wyer & Srull, 1986), sia
aggiungendo nuovi esempi sotto forma di registrazioni episodiche
(Smith, 1990). Cioè, la praticità nel fare specifici tipi di inferenze, può
predire quelle successive, generate dall’osservazione di nuovi
comportamenti.