esigenze della verità e della giustizia reale
2
. Si suole ripetere che la
revisione è un mezzo di impugnazione straordinario, mediante il quale è
possibile rimuovere sentenze di condanna o decreti penali di condanna
già irrevocabili, che alla luce di emergenze conosciute successivamente
al giudizio, appaiono frutto di ingiustizia
3
. La caratteristica più vistosa
della revisione è costituita, dunque, dal fatto che presuppone l’avvenuta
formazione del giudicato per sovvertirne gli effetti. Donde la
straordinarietà del rimedio, il quale risulta svincolato dall’osservanza
di qualsiasi termine. Postulando soltanto l’esistenza di un interesse
giuridico attuale alla modificazione del provvedimento censurato
4
.
La revisione è impugnazione priva di efficacia sospensiva, posto che
spetta esclusivamente all’organo giudicante il potere di disporre – sia
pur in qualunque momento – la sospensione dell’esecuzione della pena
e della misura di sicurezza.
Resta il problema di precisare quando quella condanna debba
qualificarsi ingiusta. Vero è che quello di sentenza ingiusta non
costituisce di per sé un concetto giuridico, ma lo diventa soltanto
mediante la revisione; prima non esiste, esiste solo il giudicato. La
revisione è, appunto, destinata a porre nel nulla il valore del giudicato
Il sistema dei rimedi revocatori del giudicato penale, Torino 1996, p. 103; SCALFATI, L’esame sul
merito nel giudizio preliminare di revisione, Padova, 1995, p. 25.
2
Così DE MARSICO, Diritto processuale penale, 4 ed., Napoli, 1966, p. 328.
3
V., da ultimo, GALATI, Le impugnazioni, in SIRACUSANO-GALATI-TRANCHINA-
ZAPPALA’, Diritto processuale penale, II, Milano, 1995, p. 547; e già in precedenza, fra gli altri,
LEONE, Trattato di diritto processuale penale, III, Napoli, 1961, p. 257; PETRELLA, Le
impugnazioni nel processo penale, II, Milano, 1965, p. 603.
4
Sull’interesse ad impugnare cfr., in generale, CRISTIANI, Contributo alla teoria dell’interesse ad
impugnare nel processo penale, in Studi in onore di F. Antolisei, I, Milano, 1965, p. 307.
penale, quando, per cause sopravvenute, gli effetti del giudicato non
sembrano coincidere più con la certezza giuridica
5
.
Precisato che fondamento dogmatico della revisione è quello di
rimediare alla crisi della certezza giuridica
6
, pare se ne debba
coerentemente desumere che l’accertamento e l’eliminazione dell’errore
giudiziario ne rappresenta non più che il risultato.
Lo si ricava, oltretutto, dal raffronto in chiave comparativa tra la
vecchia e la nuova disciplina dell’istituto: mentre nella vigenza del
codice di procedura penale del 1930 la rimozione del giudicato
avveniva già all’esito della fase rescindente, anticipando un risultato
che rischiava di essere smentito nel giudizio rescissorio, oggi, invece,
soltanto in caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice
revoca la … condanna e pronuncia il proscioglimento indicandone la
causa nel dispositivo (art. 637, comma 1 c.p.p.)
7
.
5
Così CRISTIANI, La revisione, cit., p. 105.
6
Ancora CRISTIANI, La revisione, cit., p. 105.
7
Così DEAN, La revisione, cit., p. 795.
2. Condanne soggette a revisione.
Consentita in ipotesi specificamente prestabilite e senza preclusioni
temporali a favore di condannati, la revisione è un mezzo di
impugnazione straordinario esperibile avverso le sentenze o i decreti
penali divenuti irrevocabili, anche se la pena risulti già eseguita o,
addirittura, estinta
1
.
Soggetti a revisione, sono dunque, i soli provvedimenti di
condanna
2
, perché, in un sistema che consacra il divieto del bis in idem
al rango di principio generale, il sacrificio del giudicato può essere
ammesso solo quando l’interesse del singolo alla modificazione della
sentenza irrevocabile coincida con l’interesse della collettività alla
riparazione dell’errore giudiziario mediante la prevalenza della
giustizia sostanziale su quella formale
3
. Intanto, la regola dettata
dall’art. 629 c.p.p. va riferita esclusivamente alle decisioni del giudice
ordinario, posto che quelle deliberate dai giudici speciali godono,
ciascuna, di un’autonoma disciplina. Quanto al provvedimento con cui
viene applicata la pena su richiesta, il panorama interpretativo registra
sensibili oscillazioni. In particolare, la giurisprudenza, dopo essersi
1
V. in generale, DALIA-FERRAIOLI, Manuale di diritto processuale penale, Padova, 1997, p. 718;
CORDERO, Procedura penale, 4. ed., Milano, 1998, p. 1099; CRISTIANI, Manuale del nuovo
processo penale, 2
a
ed., Torino, 1991, p. 491; GALATI, Le impugnazioni, cit., p. 547; JANNELLI,
Commento agli artt. 629-642 c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato
da Chiavario, VI, Torino, 1991, p. 325.
mostrata inizialmente concorde nel giudicare assoggettabile
all’impugnazione straordinaria, la sentenza ex art. 444 c.p.p.
4
, sembra
ora avviata ad un brusco revirement, sulla scia di un perentorio
intervento delle Sezioni Unite
5
, le quali, rimarcando l’ontologica
diversità tra il provvedimento in parola e la sentenza di condanna,
escludono che il devolutum nel giudizio di revisione sia compatibile con
le intrinseche peculiarità di una statuizione a fondamento negoziale
6
. La
Suprema Corte ha affermato tale principio come corollario della natura
della sentenza di patteggiamento, non equiparabile a una pronuncia di
condanna, se non nella parte che la giustifica per l’affinità individuabile
nel solo punto relativo all’applicazione della pena, osservando anche
che sarebbe impossibile riprendere un giudizio ordinario quando il
processo si è svolto e concluso senza una plena cognitio e che sarebbe
improponibile un “conflitto” tra prove ed elementi che per definizione
normativa tali non sono, posto che l’applicazione della pena è disposta,
ai sensi dell’art. 444 comma 2 c.p.p., sulla base degli atti
7
.
2
Non, dunque, le ordinanze da qualunque giudice emesse (Cass., Sez. V, 8 novembre 1991, De
Fabritiis, in Arch. nuova proc. pen., 1992, p. 625)
3
Così Cass., Sez. I, 7 ottobre 1983, Spairani, in Cass. pen., 1985, p. 161.
4
Cass., Sez., IV, 31 marzo 1995, Palmisciano, in Giur. it., 1996, II, p. 225; Id., Sez. VI, 1° dicembre
1994, Costagliola, in Cass. pen., 1996, p. 605
5
Cass., Sez. un., 25 marzo 1998, Giangrasso, in Cass. pen., 1998, p. 2897; nonché ivi, 1999, p. 82,
con nota critica di SCALFATI, Inammissibile la revisione per la sentenza di pena concordata: un
corollario dalle premesse discutibili.
6
Cass., Sez. un., 25 marzo 1998, Giangrasso, cit. – “… non può logicamente eseguirsi … un
raffronto tra il novum costituito da un significativo materiale probatorio e l’inesistente acquisizione
probatoria che (di norma) connota la sentenza di patteggiamento”.
7
Cass. Sez. un., 8 luglio 1998, Giangrasso, cit.; Cass. un., 8 luglio 1998, Palazzo, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1998, p. 1378.
3. Casi di revisione.
L’art. 629 c.p.p., nel prevedere che la revisione è ammessa nei
casi determinati dalla legge, enuncia il principio della tassatività dei
casi di revisione
1
, principio che l’art. 630 c.p.p. traduce in chiave
operativa mediante indicazione di quattro fattispecie valutate come
sintomo di ingiustizia del giudicato di condanna.
Finalità, a tal proposito, della revisione, è proprio quella di
risolvere una contraddizione tra la verità formale e la successiva
verità reale emersa da situazioni nuove, non apprezzate nella
sentenza e tali da porne in evidenza l’ingiustizia.
Le fattispecie individuate dall’art. 630 c.p.p. risultano tutte
rapportabili, anche se in diversa misura, al concetto di novum,
quest’ultimo inteso nel senso non già che le situazioni addotte a
sostegno dei motivi di revisione siano sopravvenute alla sentenza di
condanna, ma che le stesse fossero, in quel momento, ignote al
giudice del procedimento, seppur preesistenti
2
.
1
Per questa sottolineatura v. PRESSUTTI, Revisione, cit., p. 3.
2
Così GALLI, Sentenza penale, cit., p. 1207.
3.1 (Segue): Inconciliabilità dei fatti stabiliti a fondamento della
condanna con quelli accertati in altra sentenza penale irrevocabile
del giudice ordinario o speciale.
La prima ipotesi di revisione è contemplata dall’art. 630, lett. a),
c.p.p.: si tratta del caso in cui i fatti stabiliti a fondamento della
sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi
con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del
giudice ordinario o di un giudice speciale. Comunemente indicata
come classico esempio di conflitto teorico di giudicati
1
.
Tuttavia, mentre simile inconciliabilità ricorre normalmente
quando un identico fatto sia oggetto di una duplice statuizione,
perché attribuito a persone diverse al di fuori di qualsiasi ipotesi di
concorso, qualora si tratti, invece, di fatti distinti, la revisione deve
ritenersi ammissibile solo se risulti accertata l’assoluta impossibilità
per il soggetto agente di porre in essere le condotte incriminate nel
medesimo lasso di tempo
2
.
1
V. soprattutto, CORDERO, Procedura penale, cit., p. 1099; JANNELLI, Commento, cit., p. 349;
GALATI, Le impugnazioni, cit., p. 548; SPANGHER, Revisione, cit., p. 136, nt. 19.
2
Sintetizza tutto ciò con la consueta efficacia CORDERO, Procedura penale, cit., p. 1100: “se due
sentenze condannano N, affermandolo presente in continenti diversi, nello stesso giorno, ora e
minuto, ognuna funge da alibi rispetto all’altra.” Per qualche esempio tratto dall’esperienza
giudiziaria, anche meno recente v. RAMAJOLI, Le impugnazioni, cit., pp. 203-204. In
giurisprudenza cfr. Cass., Sez. VI, 30 novembre 1995, Ponzonero, in Riv. pen., 1996, p. 1161.
Il rapporto di incompatibilità cui allude la norma in esame deve
essere riferibile direttamente all’oggetto dell’imputazione
3
ed
attiene non al dispositivo, ma alle premesse storiche su cui si basano
le decisione in contrasto
4
.
Termine di raffronto per verificare l’inconciliabilità dei giudicati
può essere soltanto la sentenza penale irrevocabile, sia di
assoluzione che di condanna.
Il richiamo alla sentenza comporta, ad esempio, che non possano
evocarsi in chiave comparativa tutti quei provvedimenti adottati con
diversa veste formale, come nel caso del decreto/ordinanza di
archiviazione; a sua volta, il riferimento al carattere penale, della
sentenza rende irrilevanti, ai fini della richiesta di revisione, i
contenuti della sentenza civile o amministrativa
5
; mentre il requisito
della irrevocabilità funge da sbarramento per tutti i provvedimenti
pronunciati rebus sic stantibus, tra i quali la sentenza di non luogo a
procedere e, anche qui, il decreto/ordinanza di archiviazione
6
.
3
Come precisa CRISTIANI, Manuale, cit., p. 495.
4
Così PRESUTTI, Revisione, cit., p. 3.
5
Per un cenno v. GIUSTOZZI, Le impugnazioni, in FORTUNA-DRAGONE-FASSONE-
GIUSTOZZI-PIGNATELLI, Manuale pratico del nuovo processo penale, 4
a
ed., Padova, 1995, p.
1091; NORMANDO, Il sistema, cit., p. 115.
6
La conclusione è pacifica in dottrina: v., per tutti, SPANGHER, Revisione, cit., p. 135.
3.2 (Segue): Inconciliabilità della condanna con la sentenza civile o
amministrativa, successivamente revocata, che ne abbia costituito il
presupposto.
L’art. 630, lett b), c.p.p. stabilisce che la revisione può essere
richiesta se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto
la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una
sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata,
che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’art. 3,
ovvero una delle questioni previste dall’art. 479
1
.
Il riferimento, qui operato, agli artt. 3 e 479 c.p.p. richiama le
ipotesi in cui la decisione di condanna abbia tratto fondamento,
rispettivamente, dalla risoluzione di una controversia sullo stato di
famiglia o di cittadinanza, ovvero dalla risoluzione di una controversia
civile o amministrativa di particolare complessità: occorre, comunque,
l’esistenza di una sentenza civile o amministrativa sulla quale il giudice
penale si era fondato per la condanna, perché con la successiva revoca
di quella si determini la consequenziale inconciliabilità tra giudicati
2
.
Per semplificare la fattispecie contemplata dall’art. 630, lett. b),
c.p.p. si fa riferimento al caso di una sentenza fallimentare revocata,
1
Al riguardo v., tra gli altri F.R. DINACCI, Novità e problemi in tema di questioni pregiudiziali, in
Giust. pen., 1998, I, p. 428; LEMMO, voce Questioni pregiudiziali (diritto processuale penale), in
Enc. giur., vol. XXV, Roma, 1991, p. 1; PAOLA, voce Questioni pregiudiziali, in Dig. disc. pen.,
vol. X, Torino, 1995, p. 600.
dopo il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna per
bancarotta fallimentare.
2
Sono parole di CRISTIANI, Manuale, cit., p. 496.
3.3 (Segue): Sopravvenienza o scoperta di nuove prove.
L’art. 630, lett. c) , c.p.p. ammette la revisione anche se dopo la
condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o
unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere
prosciolto a norma dell’art. 631.
L’analisi ruota da tempo attorno alla distinzione tra la prova noviter
reperta e quella noviter producta
1
, la prima caratterizzata dal
manifestarsi del fatto su cui essa verte dopo il passaggio in giudicato del
provvedimento di condanna, la seconda dalla preesistenza del fatto
stesso all’epilogo della vicenda giudiziaria.
Rimasto inascoltato, durante i lavori preparatori, l’invito a chiarire
inequivocabilmente se dovessero intendersi come nuove le prove
acquisite dopo il giudicato o le prove, viceversa, già esistenti nel
giudizio, ma pretermesse … dal giudice
2
, si ripropone, oggi, lo stesso
problema ermeneutico che ha caratterizzato il passato, anche meno
recente: stabilire, cioè, se integrino il novum gli elementi conoscitivi
acquisiti al processo, ma non valutati dal giudice
3
.
1
La paternità di questa distinzione spetta a FOSCHINI, La “novità della prova” per l’ammissibilità
della revisione, in Studi sulle impugnazioni penali, Milano, 1995, p. 167.
2
Così il Parere della Corte di Cassazione sull’art. 622 prog. prel., in CONSO-GREVI-NEPPI-
MODONA, Il nuovo codice, IV, cit., p. 1358.
3
E’, invero, proprio la valutazione del giudice a segnare il confine tra fattispecie rilevanti ai fini
della revisione e situazioni estranee all’area di pertinenza di tale rimedio straordinario: lo chiarisce
PERONI, Modelli, cit., p. 29.
Per parte sua, la dottrina continua ad includere nella nozione di “
prova nuova” gli elementi conoscitivi acquisiti al processo, ma
pretermessi dal giudice
4
, negando, altresì, qualsiasi rilievo all’eventuale
condotta omissiva o negligente della parte interessata ad introdurre, nel
precedente giudizio di merito, il dato probatorio posto a fondamento
dell’impugnazione straordinaria
5
.
Quanto alla giurisprudenza, occorre distinguere: mentre,
inizialmente, ha prevalso un indirizzo elastico, tendente a
ricomprendere nel novum ogni situazione in cui l’elemento probatorio,
sebbene esistente al tempo del giudizio e risultante dagli atti, non sia
stato conosciuto o anche valutato dal giudice
6
, a prescindere dalla
riferibilità di tale omissione ad un’eventuale negligenza della parte o del
difensore ovvero ad un difetto di iniziativa officiosa del giudice stesso
7
,
successivamente, sulla scorta di un retrivo intervento delle Sezioni
Unite
8
, si è diffuso un diverso orientamento, propenso a recuperare
attraverso il giudizio di revisione le sole prove non conosciute, né
4
Lo sostengono, tra gli altri, BATTISTELLI, Rilievi minimi in tema di “novità” della prova nel
giudizio di revisione, in Giur. it., 1997, II, p. 292; BARGIS, Prove nuove ai fini della revisione, ivi,
1992, II, p. 772; CRISTIANI, Manuale, cit., p. 498; DE DONNO, Prova “sopravvenuta” e prova
“non valutata” ai fini della revisione, in Giur. it., 1996, II, p. 173; ERMINI, Appunti sul concetto di
novum nel giudizio di revisione, in Cass. pen., 1992, p. 2798; GALATI, Le impugnazioni, cit., p.
520
5
A tal proposito, oltre agli Autori citati nella nota precedente, v. anche ERMINI, Revisione ed
omessa declaratoria di cause estintive del reato preesistenti alla condanna, in Cass. pen., 1992, p.
418; VESSICHELLI, Le “nuove prove” nella revisione, ivi, p. 1065.
6
Cfr. Cass., Sez. I, 14 dicembre 1992, Martello, in Arch. nuova proc. pen., 1993, p. 475.
7
Cfr. Cass., Sez. I, 27 febbraio 1993, Curreli, in Arch. nuova proc. pen., 1993, p. 816.
8
Si tratta di Cass., Sez. un., 11 maggio 1993, Ligresti, in Cass. pen., 1993, p. 2499; nonché in Arch.
pen., 1993, p. 410, con nota critica di SCALFATI, Omesso esame di risultati probatori sul fatto
estintivo e ammissibilità della revisione.
conoscibili al giudice a quo, ancorché preesistenti al giudicato e non
dedotte per causa imputabile ad inerzia dell’interessato
9
.
Concludendo, posto che il tratto distintivo del giudizio di
revisione è costituito dall’impossibilità giuridica di conseguire una
pronuncia di proscioglimento fondata esclusivamente su una diversa
valutazione della medesime prove assunte nel processo a quo, se ne
deve desumere che, agli effetti dell’art. 630, lett. c), c.p.p., il requisito
della novità dipende unicamente dal fatto che le prove abbiano o no
formato oggetto del precedente apprezzamento giudiziale, restando
irrilevante, invece, la circostanza della loro avvenuta acquisizione agli
atti del processo: sicché – per dirla con la più recente giurisprudenza
10
-
“anche in quest’ultimo caso, al pari di quanto avviene per le prove mai
prima dedotte, l’eventuale eliminazione della sentenza di condanna
divenuta irrevocabile trae origine non da un riesame critico delle
identiche risultanze probatorie, ma da una ricostruzione che muove da
ciò che anteriormente il giudice non aveva valutato”. Garantisce,
insomma, il rispetto della clausola di cui all’art. 637 comma 3 c.p.p.
proprio il fatto che, nel giudizio di revisione, la condanna irrevocabile
viene surrogata da una sentenza di proscioglimento adottata all’esito di
valutazioni fondate su prove comunque diverse da quelle
precedentemente esaminate.
9
Cfr. Cass., Sez. IV, 12 gennaio 1996, Arcudi, in Riv. pen., 1996, p. 1161.
3.4 (Segue): Condanna pronunciata in conseguenza di falsità in atti o
in giudizio ovvero di altro fatto previsto dalla legge come reato.
La quarta ed ultima ipotesi di revisione è prevista dall’art. 630,
lett. d), c.p.p., il quale consente il ricorso all’impugnazione straordinaria
se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di
falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come
reato
1
.
Qui, presupposto indefettibile della revisione è che il fatto
costituente reato abbia avuto un’efficacia causale diretta sulla pronuncia
della sentenza di condanna
2
.
Isolatamente considerato, l’art. 630 lett. d), c.p.p., non richiede
che sia intervenuta una pronuncia di condanna che abbia dichiarato la
sussistenza degli illeciti menzionati; soprattutto analizzando la lettera
dell’inciso finale ( “… o di altro fatto previsto dalla legge come reato”)
sembrerebbe proprio non emergere la necessità di un accertamento
giudiziale, bastando l’esistenza di un episodio che configura in astratto
l’ipotesi illecita
3
.
10
V. Cass., Sez. I, 6 ottobre 1998, Bompressi, in Guida dir., 1999, n. 1, p. 61, con commento
adesivo di PATALANO, Al vaglio della Corte d’Appello di Brescia il materiale probatorio assunto
ma non valutato. Si tratta di una delle sentenze pronunciate nell’ambito della c.d. “vicenda Sofri”.
1
Secondo JANNELLI, Commento, cit., p. 357, l’ipotesi in esame “avrebbe potuto inquadrarsi nei
casi di revisione già previsti”, perché qualora sia “intervenuto giudicato sul reato condizionante la
pronuncia di condanna, viene certo a crearsi un rapporto di inconciliabilità tra giudicati”.
2
Cfr., in particolare, GALLI, Sentenza penale, cit., p. 1210; PRESUTTI, Revisione, cit., p. 4.
3
SCALFATI, L’esame, cit., p. 146.
Tuttavia, l’ammissibilità del rimedio, qui, impone che le
circostanze penalmente rilevanti, dalle quali dipende il provvedimento
impugnabile, siano accertate con sentenza irrevocabile di condanna.
A differenza dall’omologa disposizione presente nel codice
abrogato, non è disciplinata l’ipotesi in cui l’accertamento dei “fatti” è
mancato a causa dell’improcedibilità o dell’estinzione del reato.
L’omissione legislativa sembra produrre un duplice effetto. In primo
luogo, definisce meglio la tipicità del “caso”, considerato che di esso ci
si può servire solo quando l’autore dell’illecito da cui è dipeso il
provvedimento impugnabile è stato irrevocabilmente condannato. In
secondo luogo, eliminato l’espresso riferimento alle due sole ipotesi
(estinzione e improcedibilità) per le quali l’art. 557, comma quarto,
c.p.p. 1930, prevedeva ugualmente l’accesso al rimedio, viene meno
anche la possibilità di adottare la revisione se il procedimento per il
reato causativo termina con una qualsiasi formula proscioglitiva
4
.
Occorre, pertanto, ribadire che non sembra legittimo utilizzare il
“caso” in esame quando gli estremi materiali del fatto illecito sono
accertati con sentenza diversa da quella di condanna.
4
CRISTIANI, Manuale, cit., p. 500; CORDERO, Procedura, cit., p. 1027; GALATI, Le
impugnazioni, cit., p. 550.