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Il secondo capitolo richiama il ruolo fondamentale e deter-
minante svolto dall’Unione Europea nel cambiamento con diverse di-
rettive sullo sviluppo delle ferrovie comunitarie, sulle infrastrutture e
sulla sicurezza.
Il terzo capitolo richiama i passi salienti del cambiamento
organizzativo di una struttura già fortemente accentrata, burocratizzata
che avvia un decentramento su base territoriale e di business, definisce
un posizionamento strategico, si focalizza sul core business, crea un
gruppo di imprese in un progetto sinergico e vede nella qualità perce-
pita e nella soddisfazione dell’utente, “promosso” cliente, il percorso
per giungere alla creazione di valore.
Il quarto capitolo di concentra sul tema delle risorse umane,
in chiave essenzialmente organizzativa: è evidente che per un’azienda
di servizi che “progetta” un orientamento al cliente ed alla creazione
di valore la risorsa umana assume un ruolo, seppure in una visione si-
stemica, assolutamente determinante.
Nel capitolo si accenna al complesso processo, sviluppato
in coerenza con il cambiamento organizzativo in corso, di revisione e
messa a punto di sistemi di valutazione delle posizioni di lavoro, dei
meriti e del potenziale, di sistemi retributivi, di incentivazione, di svi-
luppo del personale; sono stati altresì ricordati i programmi di mobili-
tà, di addestramento e di formazione ai diversi livelli ma anche gli in-
terventi sugli aspetti più legati agli atteggiamenti ed ai comportamenti
stimolando l’orientamento delle persone in azienda nella direzione di-
visata dalle strategie.
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Su tutto ciò si è concentrata la parte finale del lavoro, riflet-
tendo sulle conseguenze di questo processo di cambiamento su un
grande e indiscusso fattore di successo rappresentato dalle persone
nell’organizzazione.
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Capitolo I
EVOLUZIONE STORICA DELLE FERROVIE
DELLO STATO
1.1 La nascita in Italia del trasporto su ferro
1.1.1 Le ferrovie pre-unitarie: l’apertura della Napoli-
Granatello di Portici
Il treno è un’invenzione britannica e il primo viaggio su ro-
taia venne effettuato il 27 Settembre 1825 sul percorso Stockton -
Darlington. La protagonista, “Locomotion n. 1” di George Stephen-
son, percorse 39 chilometri in poco meno di quattro ore.
In Italia, la prima ferrovia fu inaugurata il 3 Ottobre del
1839; in quella storica data, con la benedizione del Re Ferdinando II
di Borbone, fu aperto il primo tronco della linea ferroviaria Napoli -
Nocera. Il treno viaggiò in nove minuti da Napoli a Granatello di Por-
tici. Pochi anni dopo l’estensione delle linee raggiungeva 609 Km,
mentre la rete del Regno Unito ne contava più di 10.000. I motivi di
questa differenza erano in parte dovuti alla frammentaria situazione
politica e istituzionale della penisola italiana.
10
Alla vigilia dell’unificazione, nel 1859, erano stati aperti
circa 1.758 km di linee, quasi tutte al Nord. Il regime utilizzato per la
costruzione e la gestione delle linee era quello, tranne rare eccezioni,
della concessione alle imprese private.
Alla nascita dello Stato unitario, la costruzione
dell’infrastruttura ferroviaria subì una forte accelerazione ed ebbe un
peso economico notevole nel neonato Regno d’Italia.
11
1.2 I primi provvedimenti nazionali, le nuove ferrovie
post-unitarie
Dopo l’unificazione del Regno, l’urgenza di un piano orga-
nico per lo sviluppo e l’ordinamento delle ferrovie non poteva sfuggi-
re né alla classe politica né all’opinione pubblica del tempo. Nel 1861,
ad eccezione di Lazio e Campania, le regioni del Sud del Regno erano
ancora sprovviste di collegamenti ferroviari.
La gestione di un’efficiente rete ferroviaria assumeva una
notevole rilevanza, anche in relazione ai molteplici problemi creati
dall’ unificazione, tra cui la necessità di collegare il Nord con il Sud,
due realtà socialmente ed economicamente molto distanti, attraverso
la costruzione di linee ferroviarie, per favorire la creazione di un mer-
cato nazionale.
Il divario di estensione delle linee italiane alla metà
dell’800 era diventato incolmabile rispetto ad altre realtà europee, col-
locando l’Italia tra i paesi più arretrati. Questi motivi convinsero la
classe politica all’adozione di una serie di provvedimenti legislativi ed
allo stanziamento di massicci investimenti destinati alla realizzazione
di una capillare rete di trasporto, cui erano legati i destini economici
del paese.
Alla fine del 1864, l’estensione della rete era aumentata: le
linee in esercizio ammontavano a circa 3.400 km ed altri 3.300 erano
in progetto o in costruzione.
12
Complessivamente le società presenti nella gestione ferro-
viaria erano ventidue
1
.
I motivi legati alla frammentazione della rete ferroviaria
post unitaria rendevano necessario un profondo riassetto della rete e
del sistema di gestione al fine di garantirle maggiore stabilità ed uno
sviluppo organico. Era necessario collegare, inoltre, le tratte costruite
in epoca pre-unitaria, a suo tempo rispondenti alle esigenze degli sta-
terelli locali, perché si venisse a creare una rete ferroviaria nazionale.
La svolta che caratterizzò questo complesso processo fu la nazionaliz-
zazione del 1905.
1.2.1 Le”Grandi Reti”
Il parlamento del Regno d’Italia s’impegnò ad affrontare la
complessa situazione con due importantissimi provvedimenti legisla-
tivi.
La legge del 20 Marzo 1865, n. 2248 “per l’unificazione
amministrativa del Regno d’Italia” disciplinava, e in parte ancora og-
gi, disciplina, i trasporti su ferro, in particolare la suddivisione tra
pubbliche e private, le norme per la costruzione, per l’esercizio ed altri
svariati aspetti.
1 Tra le società ferroviarie primeggiavano la “Vittorio Emanuele” con un’estensione di
230 km., la “Strade Lombarde e dell’Italia Centrale” con 347 km., la “Livornesi” con
194 Km., la “Romane” con 400 km. in regime di concessione e le “Lombarde” con 367
Km.
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Di notevole importanza è la parte relativa “alle concessioni
delle ferrovie all’Industria privata”, in cui si affrontava il rapporto tra
lo Stato e i concessionari, formula che caratterizzò quel periodo stori-
co. La legge poneva le basi sulle quali negli anni successivi si sarebbe
costruita la riforma dell’industria ferroviaria. La chiave era il rapporto
sinergico tra lo Stato, tutore e regolatore del pubblico interesse, e
l’iniziativa privata che, incentivata, doveva contribuire allo sviluppo
del sistema, secondo i criteri di efficienza e di efficacia caratteristici
dell’operatore privato.
La legge 14 Maggio 1865, n. 2279, per il “riordinamento
ed ampliamento delle strade ferrate del Regno, con la cessione di quel-
le governative” stabiliva la cessione delle ferrovie all’industria priva-
ta.
Le società concessionarie si ridussero da ventidue a quat-
tro
2
, con capacità finanziarie ed economiche molto più consistenti.
2 •Compagnia delle Strade Ferrate Romane, a capitale principalmente francese, faceva
anche capo ad alcune società romane e toscane. Le furono affidate le linee del centro I-
talia, dello Stato Pontificio,e alcune minori in Umbria, Abruzzo e Liguria. La fissazione
delle tariffe era riservata al Governo. •Società ferroviaria dell’Alta Italia, di proprietà
del banchiere Rotschild, riuniva le linee del Lombardo Veneto e dell’Italia centrale, e-
rano inclusi degli obblighi come la realizzazione del doppio binario non appena il pro-
dotto lordo avesse raggiunto le 35.000 lire /Km. •Società Italiana delle Ferrovie Me-
ridionali, che faceva capo al conte Bastogi alla guida di un gruppo di azionisti italiani.
Oggetto della concessione era la costruzione e l’esercizio di alcune linee principali nel
meridione e nel centro nord, alle quali, in seguito, si aggiunsero quelle pugliesi.
•Società anonima Vittorio Emanuele, la costruzione ed esercizio di “un tronco di fer-
rovia da Potenza a Contursi fino a Eboli” da realizzarsi entro il termine di cinque anni.
A capitale francese, era controllata dalla banca Lafitte che aveva già operato come con-
cessionaria per la costruzione e l’esercizio in Piemonte e ottenne poi le Linee Calabro
Sicule. Alla fine del 1864 aveva in esercizio 32 km di linea mentre altri 1.127 erano in
costruzione o in progetto.
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L’intenzione del legislatore era quella di affidare alle
concessionarie, oltre all’esercizio delle linee esistenti, la costruzione
di nuove, permettendo così un concreto sviluppo della rete di traspor-
to.
Si tentava di disciplinare, quanto meglio possibile attraver-
so lo strumento della concessione, il rapporto dello Stato con
l’impresa ferroviaria. Le quattro società erano diventate le principali
protagoniste dello sviluppo infrastrutturale del Paese.
Questo provvedimento sanciva la privatizzazione delle fer-
rovie, distribuendo in modo omogeneo le reti tra le quattro società tra
le quali la più favorita risultò l’”Alta Italia” che, insistendo su un ter-
ritorio pianeggiante, operava nelle regioni del nord caratterizzate da
un maggiore sviluppo economico. Maggiormente penalizzata risultò
invece la “Vittorio Emanuele” che, dovendo affrontare la costruzione
dell’intera rete che le era stata affidata, fallì nel giro di pochi anni.
Venne intrapresa una gigantesca operazione d’immagine:
una dopo l’altra furono inaugurate le grandi stazioni italiane, a propo-
sito delle quali Mark Twain scrisse: “Vi sono molte cose in questa Ita-
lia che non capisco e specialmente non capisco come un governo fi-
nanziariamente fallito, possa permettersi il lusso di stazioni ferrovia-
rie che sembrano strade e palazzi meravigliosi… Si vede che voleva
imitare Napoleone III. Ma questi aveva il denaro per le sue costruzio-
ni. In Italia invece il Paese era è in bancarotta…”
15
1.2.2 La grande crisi economica e le difficoltà delle aziende
concessionarie
Nelle intenzioni del legislatore queste misure dovevano
contribuire a risolvere sia il problema dell’esercizio sia quello della
costruzione, quindi dell’ampliamento della rete ferroviaria. Confidan-
do nella buona salute delle concessionarie e nei sussidi che lo Stato
accordava loro, si sperava di non gravare eccessivamente sulla malri-
dotta finanza pubblica.
Sempre ai privati spettava l’onere di gestire delle linee
scarsamente remunerative, alle quali avrebbe dovuto provvedere lo
Stato. Le difficoltà aumentarono anche a causa della crisi economica
che gravava sul continente europeo.
Il deficit statale era considerevolmente aumentato, trovan-
dosi lo Stato ad affrontare notevoli spese in vari settori, tra cui quello
militare. L’indebitamento crebbe a dismisura coinvolgendo la politica
ferroviaria. Fatta eccezione per “Alta Italia”, che non aveva grandi
problemi finanziari e poteva vantare un buon rapporto tra prodotto
lordo
3
e costi, si arrivò ad una crisi talmente drammatica per le Ferro-
vie Calabro Sicule tanto che i politici, anche a seguito della pressione
3
, ”Per prodotto lordo, così lo definisce le legge in esame, si intendono i ricavi di gestio-
ne, mentre per prodotto netto si intende il risultato finale al netto appunto delle spese
d’esercizio, di manutenzione ordinaria e straordinaria, dei canoni e dei tributi politici,
delle spese di amministrazione, quelle di sorveglianza del Governo, ove ne sia il caso,
del fondo di riserva e quello di estinzione del capitale di primo stabilimento”.
16
dell’opinione pubblica dell’epoca, si videro costretti a ristudiare la
specifica situazione.
Le difficoltà per le “Romane” cominciarono presto a causa
della mancanza di capitali necessari per la costruzione delle linee affi-
datele dallo Stato, costringendo la compagnia a chiedere anticipi sulle
sovvenzione chilometriche in Buoni del Tesoro; questo intervento non
alleviò le sofferenze economiche e finanziarie della società che porta-
rono al sequestro degli incassi delle stazioni e alla cessione della Fi-
renze - Massa.
A seguito delle risultanze di una apposita commissione
d’inchiesta governativa, che evidenziò numerose inefficienze, il riscat-
to
4
sembrò l’unica soluzione praticabile.
La “Società delle strade ferrate meridionali” andò incon-
tro a una situazione simile che la costrinse a indebitarsi con lo Stato.
L’aumento, seppure considerevole, del fatturato, anche in seguito
all’acquisizione delle Ferrovie Calabro Sicule, non riuscì a controbi-
lanciare l’aumento dei costi di gestione, determinando perdite rilevan-
ti. Così anche questa concessionaria affrontò il riscatto come unico si-
stema.
La “Vittorio Emanuele” aveva assunto impegni elevatis-
simi che non fu in grado di portare a termine, nonostante i generosi
anticipi conferitigli dal Governo; registrò, inoltre, un prodotto medio
4
Con il riscatto, lo Stato riprendeva possesso dell’azienda ferroviaria, assumendo-
si l’esercizio del trasporto, la manutenzione e la costruzione della rete ferroviaria.
17
chilometrico bassissimo rispetto alla media nazionale. Nel 1868
l’impresa che eseguiva i lavori le subentrò e nello stesso anno il Go-
verno si sostituì nella proprietà.
La pesante situazione creatasi portò al riscatto delle aziende
in concessione. Ci si rese conto dell’inevitabilità del ricorso ad una se-
rie di misure finalizzate a ricostituire l’assetto del sistema ferroviario
nei suoi tre fondamentali aspetti strategici: proprietà, esercizio e co-
struzione delle linee.
Si andò nella direzione opposta a quella intrapresa fino ad
allora, si passò cioè alla riacquisizione da parte dello Stato di tutte le
linee cedute fino a quel momento ai privati.
La terza, ma non meno importante, questione della costru-
zione delle linee fu risolta con un provvedimento legislativo che ride-
finì anche questa materia.
1.2.3 Le ferrovie italiane verso un nuovo assetto
I fatti hanno dimostrato che il deficitario equilibrio finan-
ziario e la scarsa solidità patrimoniale delle società concessionarie fu-
rono uno dei problemi principali che fecero entrare in una crisi pro-
fonda il sistema. Sicuramente aziende più solide avrebbero fronteggia-
to più agevolmente situazioni di difficoltà, senza dover ricorrere a mi-
sure di aiuto da parte della finanza pubblica.
18
E’ necessario anche sottolineare come le condizioni di pro-
fonda arretratezza in cui versava l’Italia avessero negativamente in-
fluenzato l’esperienza della privatizzazione e come, inoltre, la debole
domanda non assicurasse ricavi sufficienti.
Oltre all’aspetto economico / finanziario, un altro problema
era costituito dalla complessa orografia del nostro paese che determi-
nava, e ancora oggi determina, consistenti aggravi dei costi di costru-
zione, costituendo una limitazione considerevole allo sviluppo della
rete.
La rete
Lo Stato riprese ad acquisire progressivamente le imprese
in crisi, rendendosi quindi proprietario ed esercente. La “Vittorio
Emanuele” fu la prima ad essere riscattata, toccò poi alle “Romane”
che versavano entrambe in gravissime difficoltà finanziarie.
La “Meridionali” ebbe un destino diverso: inizialmente il
Parlamento separò l’esercizio affidato alla Società dalla proprietà della
rete, in seguito, con una serie di provvedimenti, si tentò di risolvere il
problema giungendo ad una soluzione che verrà analizzata successi-
vamente.
Per l’”Alta Italia” si dovette superare il problema della se-
parazione dalle ferrovie austriache. L’anno successivo, a Basilea e a
Vienna, si cominciò ad applicare i patti previsti dai trattati di pace sti-
pulati con l’Austria. La rete passò nelle mani dello Stato mentre
19
l’esercizio rimase, anche se provvisoriamente, nelle mani dei privati.
Due anni dopo, il governo assunse la piena titolarità che mantenne pe-
rò per soli due anni.
L’esercizio
La dialettica politica di quel periodo tentò di dare una solu-
zione omogenea al problema dell’assetto privato o pubblico della ge-
stione dell’impresa ferroviaria.
Si sosteneva, da un lato, che l’esercizio di un grande com-
plesso industriale come le ferrovie fosse eccessivamente gravoso per
un’amministrazione ancora incapace di garantire efficienza
all’apparato pubblico. Dall’altro, i sostenitori dell’esercizio governati-
vo osservavano, invece, che tutte le soluzioni alternative all’esercizio
di Stato erano da scartare per evitare un’eccessiva concentrazione
dell’offerta. Non si desiderava, inoltre, che partecipassero capitali
stranieri alla gestione aziendale, pur non essendo disponibili capitali
italiani sufficienti cui affidare l’esercizio. Si giunse ad un compromes-
so incaricando, come già detto, in via provvisoria i privati
dell’esercizio dell’”Alta Italia”. Nella dialettica odierna si possono
rintracciare, oggi come cento anni fa, le motivazioni di chi riconosce
l’importanza della gestione privata o di chi sostiene quella pubblica.
L’esercizio provvisorio assunto dallo Stato non diede co-
munque buoni risultati, consegnando ai detrattori dell’esercizio pub-
blico ulteriori motivi per schierarsi a favore di una gestione privata.
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La costruzione dell’infrastruttura
La legge 29 luglio 1879, n. 5.002 autorizzò “la costruzione
di linee ferroviarie di complemento” per un totale di oltre 6.000 Km di
ferrovie secondarie, suddivise in quattro categorie. La legge stabiliva
gli interventi da effettuare e gli oneri che dovevano essere ripartiti se-
condo modalità differenti per ogni categoria.
La presenza dei privati era prevista per determinate catego-
rie, a condizione che gli oneri non risultassero maggiori di quanto pre-
visto dalla legge stessa.
Per il finanziamento di questo grandioso progetto, che pas-
sò alla storia come il “banchetto ferroviario”, si fece ricorso alla fi-
nanza pubblica.
I fatti però smentirono le previsioni di spesa che andarono
ben oltre le aspettative arrivando fino al suo raddoppio.