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Perché allora si decisero le soppressioni? Perché questa strategia trovò
applicazione e sviluppo proprio in Lombardia?
Le risposte che emergono dalla fitta corrispondenza ufficiale tra Chiesa e Stato,
analizzata in questa ricerca, mal celano l’indubbia priorità dei motivi economici:
Giuseppe II, il cosiddetto “re sagrestano” (definizione di Federico il Grande di
Prussia), rispondendo ad alcune missive giuntegli da Milano giustificava, dietro
un sostanziale decadimento della vita religiosa dei singoli istituti (inosservanza
delle maggiori pratiche devozionali, mancanza di preparazione del clero
regolare, ozio ed inutilità), la domanda sempre più crescente dello Stato di
trovare nuove fonti e nuove forme di finanziamento per “rimpinguare” le proprie
“casse”, “svuotate” dalla guerra dei sette anni appena conclusa e da una
profonda crisi economica.
Il sovrano ed i suoi collaboratori (Kaunitz a Vienna; Firmian, prima e Wilzeck,
poi a Milano), per attuare il loro piano di riduzione (durato quasi trent’anni, dal
1762, in piena età teresiana, al 1790, anno di morte di Giuseppe II) si avvalsero
anche del lavoro del clero più illuminato, maggiormente incline al
giuseppinismo, rappresentato da personalità come Michele Daverio, Gaetano
Vismara e Giovanni Bovara.
Non si sopprimeva solo per motivi economici, ma lo si faceva anche per
riformare altri aspetti della vita religiosa: il tratto originale della politica
teresiano-giuseppina fu il rinnovamento dell’istituzione parrocchiale.
Infine, e soprattutto, si sopprimeva per il presunto “Pubblico bene”, favorendo,
laddove sorgevano le case dei regolari, la creazione di nuovi centri di assistenza
sanitaria e promuovendo l’istituzione di scuole pubbliche.
La Lombardia, che già per prima tra i domini degli Asburgo aveva
“sperimentato” altre riforme, per prima “sperimentò” anche la strategia delle
soppressioni (le prime riduzioni di case regolari si ebbero a partire dal 1768, con
la soppressione dei cosiddetti “piccioli conventi”, ossia i conventini di
campagna; mentre in Austria le soppressioni iniziarono solo a partire dai primi
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anni del decennio successivo), assumendo, a pieno titolo, l’appellattivo di
“laboratorio politico del giuseppinismo”.
La natura storico- economica di questa ricerca non ha potuto trascurare l’altro
aspetto rilevante: il quadro diplomatico e le relazioni tra lo Stato e la Chiesa del
secondo Settecento, con particolare riguardo alla metropoli ecclesiastica
milanese, retta per quasi 40 anni dal Card. Giuseppe Pozzobonelli (1743- 1783).
La posizione della curia milanese, di fronte all’ondata soppressiva, è stata
analizzata attingendo ampiamente ai documenti dell’archivio arcivescovile,
contenuti nel fondo del carteggio ufficiale, sezione IX, raccolti tra il 1763 ed il
1790. Protagonisti principali della maggior parte di questa corrispondenza sono
l’arcivescovo di Milano ed il ministro plenipotenziario austriaco, rappresentante
del governo; ma non mancano le “intromissioni” di Vienna, per lo più con
decreti imperiali e lettere del Kaunitz, e di Roma, con missive dei Segretari di
Stato succedutisi in quel periodo (Torrigiani e Pallavicini).
Alla luce di questo lavoro di scavo documentario, la ricerca si presenta
strutturata in quattro capitoli.
Nel capitolo primo, sono descritte le “linee portanti” della politica ecclesiastica
degli Asburgo in Lombardia nel Settecento (episcopalismo febroniano e
giuseppinismo), affrontando anche gli aspetti principali delle riforme politiche,
amministrative, economiche e finanziarie.
Nel capitolo secondo si è analizzato un aspetto particolare dei rapporti Stato-
Chiesa negli anni immediatamente antecedenti la politica delle soppressioni
(1763- 1768): l’istituto del sussidio ecclesiastico e le conseguenze che una tale
imposizione ebbe per il clero secolare e regolare lombardo. Al centro di questo
dibattito si pongono le numerose corrispondenze dei succollettori diocesani di
Cremona, Lodi e Pavia tenute con quello generale, residente a Milano,
rappresentato dalle persone di mons. Cristoforo Bazetta, fino al 1768 e
dall’illuminato mons. Paolo Manzoni, dal 1768 fino al 1772, anno della riforma
del sussidio.
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Il capitolo terzo è quello centrale dedicato alle soppressioni nel periodo
teresiano (1769- 1780) e all’azione dell’organo più importante che doveva
sovrintendere sull’intera operazione: la Giunta economale, istituita nel 1766,
guidata dall’ecclesiastico Michele Daverio e presieduta dal ministro
plenipotenziario Firmian (la Giunta resterà in carica fino al 1786, quando
prenderà il nome, sulla scorta di quella viennese, di Commissione ecclesiastica).
Risalgono a questo periodo anche gli altri provvedimenti presi prima delle
soppressioni come la proibizione delle questue (1768), la soppressione della
bolla pontificia “in Coena Domini” (1768), delle missioni urbane dei gesuiti
(1768) e delle carceri tenute dai regolari (1769).
Nel periodo 1768-1772 venivano chiusi i primi 40 “conventini di campagna”
seguiti, dal 1773 al 1780, anno della morte di Maria Teresa, da altri più rilevanti
istituti.
Particolarmente difficili si presentavano le condizioni dei monasteri femminili;
ma essi, per vari motivi, non rientravano nei piani di riduzione di Vienna:
durante il regno di Maria Teresa se ne soppressero solo sei.
Il quarto capitolo, infine, ripercorre tutto il decennio giuseppino (1780-1790),
soffermandosi ad analizzare ed a fare un bilancio, economico e religioso,
dell’esito delle “conversioni” dei beni incamerati dalle soppressioni degli
istituti; vennero soppresse anche le case femminili e si realizzarono, grazie alla
creazione della “cassa” o “fondo di religione”, le prime riforme per gestire
l’amministrazione dei beni dell’ex- vacante ecclesiastico.
Un particolare rilievo assunsero in tale periodo anche le conseguenze
disciplinari dal punto di vista religioso: i regolari lombardi cominciarono a
dipendere dagli ordinari diocesani, a loro volta nominati con il “placet”
preventivo dell’imperatore.
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L’ultimo “tassello” delle riforme riguardanti il clero fu rappresentato, infine, dal
riassetto delle parrocchie per cui, nel 1787, si giungeva a predisporre un “Piano
generale”.
In questo decennio scomparivano le due personalità che, più di tutte, avevano
“animato” il dibattito sulle soppressioni teresiano- giuseppine nelle loro
corrispondenze: il conte Firmian (morto nel 1782) ed il Card. Pozzobonelli
(morto nel 1783).
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2. Fonti
Il corpo centrale della ricerca è il frutto della valorizzazione dei dati forniti dai
documenti dell’Archivio storico della curia arcivescovile di Milano (ACVMi),
raccolto nel fondo “carteggio ufficiale”, sezione IX, dall’anno 1763 al 1790
(cc.126- 172). Nel carteggio ufficiale sono contenute, principalmente, le
corrispondenze degli arcivescovi con le autorità che a Milano rappresentavano
lo Stato. Dall’esame dell’apposito “Inventario”, si può notare come i prelati
milanesi del Settecento avessero preso posizione su tutti i temi “più scottanti”
relativi alla politica ecclesiastica austriaca in quel periodo. Un aumento
sostanziale della corrispondenza si era verificato, indubbiamente, con l’avvento
alla carica episcopale del Card. Giuseppe Pozzobonelli nel 1743. Il suo lungo
episcopato coincise cronologicamente con l’intensificarsi della politica
giuseppina: dell’arcivescovo è conservata la fitta corrispondenza con il
plenipotenziario Firmian, durata fino al 1782, anno di morte dell’ufficiale
austriaco.
Questa corrispondenza, come già evidenziato, si rileva molto utile al fine di
ricostruire i rapporti tra la Chiesa ambrosiana ed il governo centrale su materie
piuttosto delicate come il sussidio ecclesiastico e le soppressioni degli ordini
religiosi.
Del sussidio ecclesiastico si occupano, per lo più, le cartelle 126-131,
riguardanti gli anni 1763- 1768: non vi è solo corrispondenza ufficiale fra
Milano e Vienna, ma anche lettere con la Segreteria di Stato della Santa Sede.
Ad esse si aggiungono le missive che, con annessi i rendiconti degli stati
patrimoniali del clero regolare e secolare, i succollettori delle diocesi della
Lombardia austriaca doveva periodicamente far pervenire alla curia di Milano
per il pagamento del sussidio.
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Il “corpus” centrale delle soppressioni teresiane è contenuto, invece, nelle
cartelle successive, 127- 152, relative agli anni 1769- 1780: si tratta sempre di
corrispondenza ufficiale fra Milano, Roma e Vienna, con l’aggiunta dei piani di
soppressione per i monasteri, predisposti dalla curia arcivescovile, di memoriali
vari del Pozzobonelli, di pareri di altri prelati (fra cui Manzoni, Daverio), di
istruzioni della Giunta economale e di altre missive inviate dai deputati delle
diverse comunità per protestare contro i provvedimenti di chiusura delle case dei
regolari intrapresi dal governo.
Meno variegata si presenta, invece, la corrispondenza del decennio giuseppino
(1780-1790), contenuta nelle cartelle 153-172: alle lettere ufficiali si
sostituiscono i decreti imperiali, sintomo dei tempi che stavano cambiando a
vantaggio di Vienna e compaiono anche alcuni“prospetti delle rendite di vari
monasteri e conventi soppressi”, utili per una prima quantificazione economica
del vacante ecclesiastico. Altro materiale di rilievo, sempre più di carattere
normativo, è rappresentato dalle disposizioni relative alle parrocchie rette dai
regolari.
Oltre all’Archivio arcivescovile, altro materiale che è stato utilizzato per questa
ricerca è contenuto nei documenti dell’Archivio di Stato di Milano (ASMi),
opportunamente rubricato nelle sezioni “culto”, “fondo di religione” (F. R. p.
m.), “decreti regi” (D. R) e “uffici tribunali regi” (U. T. R.).
Nella ricerca si citano, infine, i documenti dell’Archivio di Stato Vaticano (A.
S. V.), dai quali ha preso spunto U. Dell’Orto per scrivere la sua opera, La
nunziatura apostolica a Vienna di Giuseppe Garampi, 1776-1785, Roma, 1995.