preliminari di emodinamica, quindi la correlazione tra flusso sanguigno e
temperatura.
Nel secondo capitolo ci occuperemo dei principi fisici che correlano la
temperatura all’emissione di infrarossi, parleremo quindi dello spettro
elettromagnetico, daremo la definizione di “corpo nero”, tratteremo il fenomeno
dell’irraggiamento e le proprietà radiative dei corpi in relazione alla loro
emissività.
Il terzo capitolo descriverà il funzionamento e le caratteristiche dei sensori che
rilevano gli infrarossi, dapprima parlando in generale delle varie tipologie di
sensori di temperatura, soffermandoci in seguito sulla descrizione dell’effetto
piroelettrico e dei sensori che sfruttano tale fenomeno, per poi arrivare ad
analizzare nello specifico le caratteristiche tecniche dei vari modelli di sensori da
noi utilizzati durante le fasi di progettazione e sperimentazione.
Lo sviluppo del prototipo e la sua realizzazione fisica sarà descritta nel quarto
capitolo; illustreremo quindi le varie metodologie di chopperaggio confrontandole
e descrivendone i pregi ed i difetti, giustificando poi la scelta finale. Daremo le
nozioni fondamentali di ottica sulle quali ci siamo basati per l’utilizzo della lente
di focalizzazione. Analizzeremo i motivi per i quali le comuni lenti di vetro non
lasciano passare gli infrarossi, da qui la necessità di utilizzare una lente al
Seleniuro di Zinco che limita tale problematica. Illustreremo quindi il sistema di
puntamento al fine di focalizzare precisamente il punto da analizzare.
Il quinto capitolo infine descrive le prove e le misure effettuate in laboratorio.
Illustreremo quindi il sistema utilizzato per simulare il flusso sanguigno nelle
coronarie, tramite l’utilizzo di una pompa termostatata e di un inserto di rame che
simula il comportamento termico di un vaso sanguigno umano. Valuteremo poi i
segnali in uscita ottenuti variando il sistema di chopperaggio utilizzato.
Caratterizzeremo infine i sensori e valuteremo la relazione che intercorre tra la
portata all’interno di un condotto e la variazione di temperatura della sua parete.
Concludendo con la descrizione della scheda d’acquisizione PCI-6024E della
National Instruments e del software LabView utilizzati per acquisire il segnale in
uscita dal sensore.
Capitolo 1
Le coronarie
1. 1 Il sistema coronarico: anatomia e fisiologia
Le arterie coronarie, destra e sinistra, sono i due vasi sanguigni che assicurano il
nutrimento al cuore, esse originano dall’arteria aorta, il più grande vaso sanguigno
del corpo umano. Esse hanno un diametro che varia tra i 4 e i 2 mm, sono quindi
considerate vasi di media dimensione.
La coronaria destra ha un solo ramo principale e normalmente garantisce
l’irrorazione sanguigna della parete posteriore del cuore.
La coronaria sinistra si divide in due grossi rami poco dopo essersi dipartita
dall'aorta: il ramo anteriore della coronaria fornisce il sangue alla parete anteriore
del cuore, il ramo posteriore lo fornisce alla parete laterale.
Da questi tre rami maggiori si diramano numerose arterie più piccole che irrorano
completamente il muscolo cardiaco (miocardio) garantendo così l’apporto di
ossigeno e di nutrimento.
1.2 Struttura delle arterie
Le arterie in generale sono i vasi preposti al trasporto del sangue ricco di ossigeno
proveniente dal ventricolo sinistro del cuore, con una pressione di valore
normalmente compreso tra gli 80 e i 120 mmHg.
Sono costituite da strati concentrici di tessuti diversi che vanno dallo strato più
interno, l’endotelio, con scopo di rivestimento protettivo, ad uno strato intermedio
ricco di tessuto elastico e muscolare con scopo di conferire elasticità e capacità di
regolare il flusso sanguigno ed infine uno strato più esterno, l’avventizia,
costituito da tessuto connettivo con scopo principalmente contenitivo.
Struttura di un’arteria
La tonaca intima costituisce la parete più interna del vaso ed è formata
esclusivamente da cellule endoteliali (l’unico costituente dei capillari).
La tonaca media è formata da cellule muscolari lisce organizzate in cerchi
concentrici tra di loro.
La tonaca avventizia è lo strato più esterno del condotto ed è costituita da tessuto
fibroso: questo è più spesso di solito nelle vene.
Tra la tonaca intima e quella media vi è una sottile pellicola denominata lamina
elastica interna costituita da tessuto connettivo, mentre tra la tonaca media e
quella avventizia vi è la lamina elastica esterna, anch’essa fatta di tessuto
connettivo.
Nella figura seguente possiamo vedere le proporzioni dei vari costituenti dei vasi
ed i loro diametri tipici.
La circolazione all’interno delle coronarie costituisce un sistema a sé stante
diverso dalla circolazione che interessa il resto del corpo; la differenza
fondamentale sta nel fatto che il flusso sanguigno nelle coronarie è maggiore
durante il rilassamento del muscolo cardiaco (diastole) e minore durante la sua
contrazione (sistole).
Nella figura seguente si evidenzia la relazione tra la pressione nell’aorta e la
portata del flusso sanguigno nella coronaria sinistra durante le varie fasi del ciclo
cardiaco.
(a):Contrazione isovolumica; (b):Eiezione; (c):Diastole.
Per mezzo di successive diramazioni il sangue, ricco di ossigeno e sostanze
nutritive, irrora l’epicardio, ovvero la parete esterna del cuore, e penetra nel
miocardio. Questa funzione è essenziale per il funzionamento del cuore che, come
tutti gli altri organi, ha bisogno del corretto apporto di ossigeno e sostanze
nutritive per il suo metabolismo.
1.3 Le malattie delle coronarie
“Malattia coronarica” è un termine generico usato per definire dei quadri clinici
dovuti a insufficiente irrorazione sanguigna (ischemia) da parte delle coronarie,
generalmente provocata da arteriosclerosi.
Con il termine arteriosclerosi si intende la formazione, all’interno dei vasi, di
restringimenti (come possiamo vedere dalla seguente figura).
Il restringimento, detto stenosi, comporta una diminuzione del flusso sanguigno
all’interno del vaso e conseguente scarso apporto di ossigeno e sostanze nutritive
ai tessuti irrorati, soprattutto in caso di aumento della richiesta durante esercizi
fisici anche molto semplici, causando così un danno.
L’estensione e la gravità di questo danno dipendono da molti fattori: la sede della
lesione, la durata dell’ischemia, l’eventuale conformazione anatomica delle
coronarie, la presenza di altri fattori (diabete, ipertensione), la possibilità di
eseguire determinate terapie nel più breve tempo possibile.
L’insufficienza del flusso sanguigno può causare un forte dolore al petto noto con
il nome scientifico di angina pectoris o angina da sforzo, se compare solo durante
uno sforzo e scompare con il riposo. Quando la coronaria è ristretta in modo più
severo il dolore può comparire anche a riposo, poiché il flusso di sangue che
arriva al miocardio non è tale da permettere al muscolo di compiere la normale
attività. I medici definiscono questa malattia con il termine di angina instabile,
una condizione più grave dell’angina da sforzo, che richiede l’immediato ricovero
in ambiente ospedaliero.
Se non si interviene la placca può aumentare le sue dimensioni fino a rompersi e
generare così un trombo cioè un “tappo” di sangue coagulato che causa la totale
interruzione del flusso sanguigno: in questo caso compare un forte dolore al petto
che può durare più di 20 minuti, a volte accompagnato da dolore al braccio
sinistro e/o alla gamba sinistra, senso di costrizione alla gola e affanno. Talora il
dolore può essere localizzato in corrispondenza dello stomaco ed essere confuso
con una banale indigestione.
Il dolore è dovuto al fatto che le cellule del cuore, private improvvisamente
dell’ossigeno, muoiono: tutto ciò si verifica in corso di infarto miocardico acuto.
È importante riconoscere tempestivamente i segni dell’infarto, poiché
intervenendo tempestivamente è possibile riaprire la coronaria chiusa ed impedire
che una parte del muscolo cardiaco muoia o almeno limitare la zona di miocardio
colpita dall’infarto. Purtroppo ancora oggi le malattie cardiovascolari sono la
maggiore causa di mortalità nel mondo occidentale.
1.4 Il bypass coronario
La presenza delle stenosi coronariche viene evidenziata dalla coronarografia, un
esame invasivo nel quale un catetere viene spinto attraverso un'arteria periferica
(femorale all'inguine, omerale alla piega del gomito, radiale al polso) fino al
cuore. Attraverso questo catetere un mezzo di contrasto radio opaco viene
iniettato nelle arterie coronarie, attraverso i raggi X vengono quindi registrate
delle immagini in movimento che rivelano l'anatomia coronarica e le presenza
delle stenosi, che si evidenzia dalla seguente figura.
Se la placca arteriosclerotica viene diagnosticata in tempo si può intervenire
chirurgicamente con l’impianto di un bypass, ovvero una connessione tra l’aorta e
un punto della coronaria a valle della stenosi, in modo da creare una via
alternativa al flusso sanguigno per raggiungere la superficie del cuore. Il bypass è
costituito da un tratto di vaso sanguigno sano: generalmente viene utilizzata la
vena safena prelevata dalla gamba del paziente stesso, oppure l’arteria mammaria
interna o l’arteria radiale prelevata da un braccio.
L’impianto di un bypass coronarico viene effettuato con un intervento chirurgico
detto a cuore aperto, il nome indica che durante l’operazione il cuore è esposto
all’ambiente e viene fermato, ovvero non svolge più la funzione di pompa
sanguigna, che viene svolta artificialmente da una macchina esterna detta
macchina cuore-polmone.
La tecnica chirurgica standard prevede un'incisione verticale sulla parete anteriore
del torace a livello dello sterno (sternotomia mediana). Attraverso questa incisione
il chirurgo domina agevolmente il cuore e l'aorta ascendente. La procedura
prevede poi la connessione del paziente alla macchina cuore-polmone che
permette la circolazione extra-corporea quando il cuore viene fermato iniettando
nelle coronarie una soluzione chimica a temperatura molto bassa (cardioplegia).
Nella macchina cuore polmone il sangue viene ossigenato e spinto di nuovo nel
sistema circolatorio: esso subisce anche un raffreddamento fino alla temperatura
di 25-32 °C in modo tale da ridurre al minimo le funzioni metaboliche del
paziente. Viene quindi effettuato il bypass aorto-coronarico. Alla fine
dell'intervento il cuore riprende la sua attività contrattile ed il paziente viene
disconnesso dalla macchina cuore-polmone.
Un'altra tecnica nota consiste nell’eseguire il bypass senza l'uso della circolazione
extracorporea; durante l'operazione il cuore continua a battere mentre il chirurgo
esegue l'intervento, con l’aiuto di uno strumento detto stabilizzatore. In questo
modo il tratto di miocardio su cui si trova l’arteria coronaria viene tenuto in
tensione e non risente del movimento del muscolo cardiaco, quindi il chirurgo può
effettuare l’intervento in un tempo stabilito dopo il quale l’arteria deve essere
rilasciata per non provocare un infarto localizzato.
Stabilizzatore usato durante un intervento a cuore battente
Questo metodo, detto intervento a cuore battente, è nato in Sud America dove per
anni i cardiochirurghi hanno eseguito i bypass aorto-coronarici senza l’uso della
circolazione extracorporea per motivi economici (alto costo dell’apparecchiatura,
indisponibilità dei vari componenti). Gradualmente questa tecnica si e’ andata
diffondendo nel resto del mondo, perché presenta il vantaggio di evitare gli effetti
sfavorevoli della circolazione extra-corporea.
Altre tecniche in sviluppo consistono nell'uso di incisioni più piccole e nell'ausilio
del robot, che permette, tra l’altro, di eseguire l’intervento a distanza. Tutte queste
tecniche vengono accomunate dal termine "cardiochirurgia mini-invasiva". Il loro
scopo è quello di far sì che i pazienti abbiano meno dolore, una degenza
ospedaliera più breve ed un più rapido ritorno alle condizioni normali. Comunque,
la tecnica ancora oggi più usata è quella tradizionale anche se molti ospedali
hanno cominciato a eseguire l’intervento a cuore battente che sembra dare ottimi
risultati sia immediati che a lungo termine, e garantisce una degenza del paziente
minore.
L'operazione tradizionale a cuore aperto dura da due a quattro ore e si effettua in
anestesia generale. Il paziente resta da uno a tre giorni in sorveglianza nel reparto
di cure intensive. Dopo la degenza in ospedale, che dura da una a due settimane,
ci vuole una convalescenza di circa quattro settimane. A seconda dell'impegno
fisico che comportano, le attività abituali si possono riprendere dopo due-tre
mesi. I risultati a lungo termine del bypass aorto-coronarico sono eccellenti. Nella
maggior parte dei casi si ha la scomparsa dei sintomi anginosi. Il beneficio è in
genere duraturo. Solo una minoranza dei pazienti avrà bisogno di nuova chirurgia,
normalmente 10 o più anni dopo il primo intervento. Dati i miglioramenti nelle
tecniche chirurgiche, sempre meno pazienti avranno in futuro bisogno di un
ulteriore intervento. In alcuni sottogruppi di pazienti, soprattutto quelli in peggiori
condizioni, il bypass aorto-coronarico migliora la sopravvivenza a distanza.