Introduzione
2
La nozione di valore cui si fa riferimento è quella economica, data dalla differenza tra il
rendimento generato dall’impresa e il costo opportunità delle risorse impiegate per ottenerlo.
Se tale differenza è positiva allora l’impresa crea valore, mentre se è negativa distrugge valore
e quindi provocherà nel tempo la migrazione dei capitali di rischio verso investimenti più
remunerativi.
L’impresa è al centro di molteplici interessi da parte di tutti i soggetti che operano ed
interagiscono con essa. Tra questi, gli azionisti si caratterizzano per il loro ruolo di conferenti
capitale di proprietà e, come tali, si assumono la maggior parte del rischio accettando di
essere remunerati per ultimi, dopo che sono state soddisfatte tutte le obbligazioni che
l’impresa ha contratto con gli altri stakeholders. Tale circostanza fa sì che essi rappresentino
l’unico gruppo d’interesse che, massimizzando il proprio rendimento, massimizza allo stesso
tempo quello di tutti gli altri. Ogni impresa, dunque, dovrebbe perseguire come obiettivo la
massimizzazione del valore per gli azionisti nel medio lungo periodo.
Se il fine ultimo di ogni impresa si traduce nella creazione di valore per l’azionista, allora
bisogna considerare come quest’ultimo possa essere misurato in concreto. Il ritorno per
l’azionista è dato dai dividendi e dal capital gain derivante dalla rivalutazione della sua
partecipazione; si potrebbe pensare, perciò, di ricorrere alle quotazioni di mercato per
stabilire il valore della seconda componente. Questo approccio è, in realtà, alquanto limitato
perché non sempre il mercato di riferimento è efficiente e, specialmente in Italia, la maggior
parte delle imprese non è quotata. La soluzione migliore è che l’impresa valuti se stessa
procedendo periodicamente a misurare il valore creato e quindi il grado di raggiungimento
dei suoi obiettivi.
Alcune tecniche diffuse per valutare i risultati d’impresa sono state decretate inadeguate dalla
dottrina: tra queste gli indici di bilancio e l’approccio contabile. Gli indici di bilancio, in
particolare, hanno una valenza limitata al singolo esercizio, mentre la creazione di valore si
misura nel medio lungo periodo. Essi inoltre, nel calcolo del ritorno offerto all’azionista, non
tengono conto né del costo del capitale, né del rischio corso per ottenere il rendimento in
questione. Per misurare correttamente il valore d’impresa si deve ricorrere a misure più
complete che tengano conto del rischio, della distribuzione nel tempo dei risultati e degli
investimenti necessari per ottenerli. A questo fine si usa ricorrere ai metodi di valutazione
reddituali o finanziari, mentre l’uso invalso nelle Merchant Bank propone l’utilizzo del
Introduzione
3
cosiddetto metodo diretto di valutazione, basato sui moltiplicatori di mercato, il quale
risponde ad una logica completamente diversa.
In termini generali, valutare un’impresa significa esprimere un giudizio sul suo valore. Data la
sua natura soggettiva, il valore è un concetto scomodo e di difficile quantificazione. La
valutazione, vale a dire il processo di misura del valore, risulta inevitabilmente afflitta dalla
stessa soggettività della grandezza che va a stimare. Più precisamente le informazioni
utilizzate ed anche il modello quantitativo scelto sono funzione dello scopo per il quale si
compie la valutazione e della posizione ricoperta dal soggetto che la esegue.
Gli ambiti in cui la valutazione delle imprese è più frequentemente utilizzata sono tre:
ξ le operazioni cosiddette di finanza straordinaria, quali fusioni o acquisizioni di imprese (o
di loro singole divisioni);
ξ le tecniche di asset allocation intese a selezionare aziende con buone prospettive future
sottovalutate dal mercato;
ξ le misure di performance interne all’impresa.
Ognuna di queste applicazioni si caratterizza per la particolare configurazione di valore che il
processo di valutazione porta a stimare.
Attraverso acquisizioni e fusioni, le imprese realizzano spesso operazioni di grande rilevanza
economica e di importanza cruciale per il loro successo o la loro stessa sopravvivenza. In
questi casi, l’elemento centrale da considerare è dato dall’insieme dei vantaggi e delle sinergie
che l’operazione può portare con sé. La valutazione, che assume un’importanza
fondamentale nello stabilire la convenienza o meno dell’iniziativa, non potrà non considerare
le aspettative che le due società interessate hanno sui risultati dell’operazione.
A differenza del caso precedente, la valutazione delle imprese come strumento di asset
allocation è sicuramente meno influenzata dalle posizioni dei soggetti interessati all’acquisto o
alla vendita. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’Investment Bank o il gestore dei fondi
comuni saranno interessati ad una partecipazione di minoranza e non interverranno sulle
scelte gestionali; l’analista può essere considerato, perciò, come un giudice super partes
dell’operato dell’impresa e la valutazione si baserà solo sui dati di bilancio e sulle informative
che l’impresa in esame vorrà divulgare. Si tratta quindi di una configurazione di valore del
tipo stand alone, sulla quale si basa anche il resto dell’analisi che segue e l’elaborazione del caso
aziendale preso in esame.
Introduzione
4
Il valore che l’impresa stima quando valuta se stessa è, per molti versi, simile a quello appena
esaminato per l’asset allocation, tuttavia il management dispone di informazioni più accurate
sull’impresa e tende ad inserire nella valutazione anche le proprie aspettative. Non tutti i
metodi di valutazione esistenti possono essere utilizzati come misura di performance: solo
alcuni soddisfano le caratteristiche richieste, mentre i restanti trovano utilizzo solo negli altri
ambiti in cui la valutazione è richiesta.
Premesso che il fine ultimo delle imprese dovrebbe essere quello di massimizzare il valore per
i propri azionisti, è opportuno tener presente che la valutazione, come procedimento di
misura del valore, è un compito tutt’altro che facile e dai risultati incerti. Lo studio effettuato
è volto ad illustrare, accanto ai metodi tradizionali di stima, i recenti sviluppi, in materia di
valutazione d’impresa, elaborati dalla scuola italiana. L’attenzione, in tale ambito dell’analisi, è
rivolta principalmente al concetto di “processo valutativo”.
L’obiettivo della tesi è proprio quello di dimostrare come un processo valutativo che abbia
determinate caratteristiche, in primis l’integrazione degli elementi che lo costituiscono, conduca
a stime di valore più affidabili, nel duplice senso di credibili e dimostrabili, rispetto all’utilizzo
delle singole formule valutative.
Questo risultato, degno di rilevanza nel caso di una generica impresa, acquista un rilievo
anche maggiore nell’ambito della valutazione di imprese operanti in particolari settori. Il caso
analizzato in questo studio è rappresentato dal gruppo Bulgari, attivo nel settore dei beni di
lusso, per il quale la componente più rilevante del valore è rappresentata dai beni intangibili.
Per società come queste, la qualità dei risultati valutativi ottenuti è legata al grado di affidabilità
della stima del valore dei beni immateriali. Tipica delle imprese del settore dei beni di lusso è
l’inettitudine dei sistemi contabili e dei dati finanziari, alla base delle formule valutative
tradizionali, ad esprimere una stima oggettiva del valore delle risorse immateriali,
determinando in tal modo un notevole e persistente gap tra prezzi di mercato di queste
imprese e valori oggettivamente stimabili. D’altro canto, la tradizionale prassi valutativa in
materia di intangibili, propone dei criteri tra cui non è possibile selezionare quello migliore in
assoluto, in quanto ciascuno di essi presenta limiti propri, che non sono tollerabili quando la
dotazione di intangibles da stimare assume una rilevanza determinante nella spiegazione del
valore d’impresa.
Introduzione
5
Nel caso del gruppo Bulgari, il ricorso al Giudizio Integrato di Valutazione (GIV) consente un
superamento di tali difficoltà: applicato nella stima della dotazione di risorse immateriali della
stessa, esso consente di colmare il gap tra il valore della capitalizzazione di borsa e il valore
contabile del patrimonio netto. E’ confermata, in tal modo, la presunta superiorità delle stime
ottenute attraverso questo tipo di processi rispetto ai risultati ottenibili attraverso l’impiego
delle tradizionali formule valutative.
La metodologia adottata al fine del conseguimento dell’obiettivo prefissato prevede l’analisi
della letteratura tradizionale in tema di valutazione d’impresa, con particolare riferimento sia a
testi della scuola anglosassone, che a testi della scuola italiana. L’analisi si avvale, in
particolare, dei risultati ottenuti da un recente studio condotto da Luigi Guatri per tentare di
dare una risposta innovativa alle carenze dei tradizionali metodi di stima. Quest’approccio
“integrato” al problema valutativo è illustrato attraverso l’applicazione al caso Bulgari, in cui il
processo valutativo è rivolto alla valutazione dei beni immateriali.
ÂÂÂ
Introduzione
6
L’analisi è strutturata in tre fasi differenti.
Nella prima si illustrano i metodi tradizionali per la determinazione del valore delle imprese;
per ciascuno di essi si identifica il particolare concetto di valore al quale fanno riferimento e
dal quale derivare lo specifico ambito di utilizzo del metodo stesso. All’approfondimento
analitico è, inoltre, affiancato un esame critico del metodo in esame.
Il primo capitolo affronta il metodo patrimoniale di valutazione nelle versioni semplice,
complessa e mista reddituale-patrimoniale. L’appendice a questo capitolo è dedicata
all’approfondimento del metodo misto nella versione finanziaria.
Il secondo capitolo affronta il metodo reddituale di valutazione. In particolare, si
sofferma sulla varietà delle formule analitiche e sui passaggi principali della procedura
applicativa riguardanti il processo di normalizzazione e di integrazione dei risultati
reddituali e la loro capitalizzazione.
Il terzo capitolo si occupa dei metodi finanziari. Oggetto della trattazione è il metodo
definito Discounted Cash-Flow Approach (DCFA), di cui è esaminata la procedura che
porta alla definizione dei flussi di cassa relativi alla gestione operativa, del valore del
debito e delle attività accessorie.
Il metodo esaminato nel quarto capitolo affronta il problema della valutazione
dell’impresa da un angolo visuale completamente diverso rispetto ai metodi tradizionali
dei valori-flusso e dei valori-stock. Esso tratta, infatti, del metodo dei moltiplicatori di
mercato, descrivendo le due tecniche più rilevanti a questo fine: l’approccio delle società
comparabili e l’approccio delle transazioni comparabili.
La seconda fase dell’analisi, traendo spunto dai risultati ottenuti dallo studio condotto da
Guatri, è finalizzata a fornire una risposta innovativa alle carenze dei tradizionali metodi di
stima fin qui esaminati.
Il quinto capitolo illustra le ragioni per cui gli esperti di valutazioni aziendali della scuola
italiana ritengono l’approccio classico alle problematiche valutative insoddisfacente ed
ormai superato. La trattazione successiva è incentrata sui possibili rimedi proposti per
affrontare tali debolezze. Essi conducono ad esaminare il Giudizio Integrato di Valutazione
(GIV) ed i relativi concetti ispiratori.
Introduzione
7
Nel sesto capitolo si approfondisce il tema della Base Informativa generale; definendo la
struttura e i contenuti di cui è costituita; successivamente si passa ad analizzare più nel
dettaglio le duplici funzioni, di supporto e diretta, ad essa attribuite in base all’idea del
GIV. Il passo seguente consiste nell’esaminare alcune caratteristiche fondamentali della
Base Informativa per le acquisizioni.
Il settimo capitolo esamina gli aspetti che riguardano sia l’applicazione delle formule
valutative sia l’utilizzo dell’approccio dei prezzi probabili nella prospettiva del “giudizio
integrato di valutazione”. Approfondisce, in particolare, il significato attribuibile
all’impiego di una pluralità di formule valutative e all’utilizzo integrato delle formule e dei
moltiplicatori di mercato.
L’ultima fase della trattazione è volta alla dimostrazione delle conclusioni alle quali si è
pervenuti, attraverso l’applicazione del processo integrato al caso Bulgari, che opera nel
settore dei beni di lusso, circostanza che richiede lo studio delle problematiche relative alla
valutazione dei beni immateriali.
Il capitolo ottavo si occupa di esaminare le tradizionali metodologie di valutazione degli
intangibles, delle quali analizza i relativi i punti di forza e di debolezza. A partire da queste
osservazioni è possibile strutturare un processo valutativo integrato, che consente di
pervenire ad un giudizio di valore decisamente più affidabile.
Il nono capitolo descrive la procedura adottata e i passaggi necessari al fine di applicare
un simile processo alla valutazione del gruppo Bulgari e pervenire, così, ad un fondato
giudizio di valore della società.
8
1 I metodi patrimoniali
1.1 Introduzione
E’ ampiamente riconosciuto da quanti si occupano delle problematiche relative alla
valutazione delle aziende che i cosiddetti “metodi patrimoniali” non possano mai considerarsi
una soluzione razionale per la determinazione del valore del capitale economico delle
imprese.
Tale convinzione è ormai radicata da decine di anni: se si esaminano, per quanto riguarda la
scuola italiana, le opere di Gino Zappa, si può constatare che già attorno agli anni ’20 si
afferma chiaramente che il valore economico del capitale d’impresa (questa espressione è poi
diventata più ellittica: “il valore di capitale economico”) è qualcosa che non ha niente a che
vedere con la consistenza patrimoniale di un’impresa, né con il valore degli asset che essa
possiede, ma dipende esclusivamente dalle prospettive di reddito
1
.
Nonostante si continui a sostenere la supremazia dei metodi reddituali, questo principio nel
nostro Paese è stato contraddetto per decine di anni sul piano pratico. Una possibile
spiegazione risiede nel fatto che la stragrande maggioranza delle perizie di stima effettuate in
Italia fino agli anni ’80 era motivata da esigenze fiscali o legali: per esse si richiedeva quella
“dimostrabilità” che solo l’approccio patrimoniale può assicurare.
Un’altra spiegazione fa riferimento all’ambiente economico. In Italia, in particolare fino ad
una ventina di anni fa, il grado di concentrazione industriale era molto basso e quindi anche
la redditività era inferiore a quella delle imprese dei Paesi anglosassoni, con la conseguenza
che i valori patrimoniali, tutto sommato, si avvicinavano in Italia a quella che era la
sensazione del “vero” valore delle imprese.
Nel momento in cui tali valori ritenuti realistici non hanno più niente a che vedere con la
consistenza degli asset, l’approccio patrimoniale non funziona più.
Da quanto affermato non consegue, però, che l’informazione patrimoniale perda ogni
significato: non sembra possibile, infatti, presentare una relazione di stima, adeguata allo
scopo, prescindendo dall’indicazione del capitale netto e del capitale netto rettificato, con
eventuale indicazione dello stock di beni immateriali. In talune situazioni l’informazione
1
Cfr. Zappa G., Il reddito d’ impresa,opera apparsa in due parti negli anni 1921 e 1929, Giuffrè, Milano, p. 76 e ss.
1. I metodi patrimoniali
9
patrimoniale è uno strumento necessario sul piano giuridico-formale, laddove il valore unico
che deriva dall’attualizzazione dei flussi deve essere scisso obbligatoriamente in una serie di
attività e di passività: questo accade, ad esempio, nelle valutazioni d’apporto, nelle scissioni ed
ogni volta che si renda necessario un raccordo formale e vincolante con il sistema contabile.
In generale l’informazione patrimoniale offre un supporto considerevole per l’applicazione
dei criteri valutativi basati sui flussi attesi e sui prezzi probabili
2
. Esso consente osservazioni
inerenti, ad esempio: la misura dell’avviamento, inteso come differenza tra il valore
dell’impresa ed il capitale netto investito; lo stock di intangibles e la sua dinamica nel tempo;
la base del processo di normalizzazione dei flussi di reddito prospettici; la determinazione del
grado di leverage, necessario per la scelta dei tassi di attualizzazione dei flussi.
In questo capitolo si analizzano i due principali metodi patrimoniali “puri” (il metodo
patrimoniale semplice e il metodo patrimoniale complesso) e, successivamente, è esaminata la
metodologia patrimoniale cosiddetta “mista”.
1.2 Il metodo patrimoniale semplice
Il criterio patrimoniale semplice esamina l’azienda vista come un insieme di attività e di
passività, di cui il patrimonio netto costituisce, sul piano contabile e dei valori, la somma
algebrica.
Questo metodo richiede di valutare ciascuna voce dello stato patrimoniale al suo cosiddetto
costo di sostituzione. Nell’operare queste rettifiche si vanno a cercare scostamenti tra valori di
bilancio e valori di mercato delle singole attività: in questo modo si determinano minusvalenze e
plusvalenze che devono essere aggiunte al valore contabile del capitale.
L’attribuzione di un valore economico alle varie poste di bilancio può portare, ad esempio,
all’identificazione di fenomeni quali:
ξ valori delle rimanenze diversi da quelli contabili, basati sui prezzi di mercato delle stesse;
ξ crediti commerciali di dubbia esigibilità, il cui importo richiede una svalutazione;
ξ immobilizzazioni i cui valori di mercato differiscono da quelli contabili;
ξ passività finanziarie a fronte delle quali la società paga interessi passivi a tassi inferiori o
superiori a quelli di mercato ed il cui valore economico risulta, quindi, più basso o più
alto rispetto al valore contabile;
2
Cfr. Capaldo P., Reddito, capitale e bilancio d’ esercizio, Giuffrè, 1998, p. 158 e ss.
1. I metodi patrimoniali
10
ξ fondi rischi non equivalenti al valore economico atteso degli eventi a fronte dei quali
sono stati creati.
Fenomeni di questo tipo determinano un valore economico del capitale proprio diverso dal
suo valore contabile.
Una volta determinate le rettifiche da apportare alle poste patrimoniali occorre quantificare
l’effetto fiscale latente derivante da queste operazioni. Nel caso in cui le rettifiche patrimoniali
determinino complessivamente un plusvalore rispetto al patrimonio netto contabile, occorre
quantificare l’esborso cui l’azienda dovrebbe far fronte nel momento in cui questo plusvalore
venisse realizzato e transitasse, quindi, per il conto economico della società. A questo
proposito occorre rilevare che di solito l’aliquota d’imposta applicata nelle valutazioni è più
bassa di quella corrente per tenere conto di norme di possibile emanazione che prevedono
una diminuzione del carico fiscale per le società.
Nel caso in cui le minusvalenze sono superiori alle plusvalenze si ha, invece, un potenziale
beneficio fiscale. Potenziale in quanto usufruibile soltanto nel caso in cui l’azienda presenti in
futuro redditi dai quali ridurre le minusvalenze e condizionato alla deducibilità fiscale delle
rettifiche negative determinate in sede di valutazione.
Operate tutte le rettifiche, che devono rivolgersi potenzialmente a tutte le voci dello stato
patrimoniale, il valore del capitale sarà uguale a:
Valore netto contabile del capitale netto
+ plusvalenze attività
- minusvalenze attività
+ minusvalenze passività
- plusvalenze passività
+/- imposte
= Patrimonio netto rettificato a valori di mercato (K)
1. I metodi patrimoniali
11
Figura 1.1 – Il metodo patrimoniale semplice: valutazione del capitale economico (patrimonio netto
contabile + eventuali rettifiche di poste di bilancio)
1.3 Il metodo patrimoniale complesso
Nel metodo patrimoniale semplice il processo di rettifica del patrimonio netto dell’azienda
non prende in considerazione i beni immateriali. L’obiettivo del metodo patrimoniale
complesso è quello di integrare il valore del capitale economico risultante dall’applicazione del
metodo patrimoniale semplice, con una stima del plusvalore che i beni immateriali possono
dare alla società valutata.
Le imprese destinano una parte cospicua dei loro investimenti per conservare ed accrescere la
dotazione di beni immateriali poiché oggi tali risorse sono considerate una componente di
grande peso nel determinare il successo a lungo termine delle imprese. Ai fini della
determinazione del valore del capitale economico delle imprese è importante, quindi, disporre
di opportune procedure contabili che consentano di rilevare la dinamica, in aumento ed in
diminuzione, di questi beni e l’ ammontare di investimento netto destinato ad essi (indicato a
volte con l’ espressione stock di beni immateriali).
Quello che spesso accade è, invece, che il formarsi e poi il deperire dei beni immateriali non
venga rilevato, se non in misura limitata, dai processi contabili di accertamento del reddito,
causando gravi e spesso deformanti anomalie nella definizione dei flussi reddituali di periodo.
A)…………
B)…………
C)…………
D)…………
E)…………
F)…………
G)…………
H)…………
I)…………
Patrimonio netto
I’)…………
Valore contabile del capitale
economico aziendale (somma
algebrica delle poste in bilancio)
Quantificazione dei fenomeni di
sopra/sotto valutazione delle
poste in bilancio
V
a
l
o
r
e
t
o
t
a
l
e
Attivo Passivo
1. I metodi patrimoniali
12
Le ragioni di ciò sono da attribuirsi da un lato alle difficoltà di misurazione del fenomeno e
dall’altro alla necessità di evitare l’anticipazione degli effetti fiscali che conseguirebbero alla
evidenziazione di tali valori.
La determinazione del valore dello stock di beni immateriali, pur presentando comunque
notevoli difficoltà di ordine pratico, costituisce una informazione patrimoniale di primaria
grandezza, in un mondo nel quale gli intangibles diventano sempre più spesso preminenti
rispetto alla tradizionale componente materiale del capitale investito.
Adottando la metodologia patrimoniale complessa occorre anzitutto arrivare ad una
definizione di bene immateriale, o meglio specificare le caratteristiche che tale bene deve
presentare. Gli esperti si sono resi conto che la classificazione di tali beni è tutt’altro che
agevole in quanto le varie denominazioni applicate a specifici beni immateriali sono soltanto
punti di vista diversi per esprimere concetti e fenomeni che in parte si sovrappongono
3
.
Accettando in questo campo i risultati ottenuti dalla dottrina italiana
4
, il bene immateriale
deve possedere le tre caratteristiche seguenti:
1) Utilità pluriennale;
2) Trasferibilità (deve essere cedibile a terzi);
3) Misurabilità (deve essere possibile definirne il valore).
L’accoglimento di questi criteri di selezione restringe notevolmente l’area dei beni immateriali,
rimanendo esclusi, ad esempio, il know-how aziendale e i costi di formazione del personale.
L’esclusione dalla categoria dei beni immateriali, e quindi la mancanza di valore autonomo,
non impedisce comunque che questi fattori possano essere valorizzati nel momento in cui
viene ceduta la società. La determinazione di quello che viene definito avviamento risponde
proprio a questa esigenza.
L’elemento che distingue il metodo patrimoniale semplice dal metodo patrimoniale
complesso è rappresentato, quindi, dalle risorse immateriali, costituite a loro volta dai beni
immateriali propriamente detti e dall’avviamento.
Occorre a questo punto segnalare che, nella sostanza, le componenti immateriali in questione
(beni immateriali propriamente detti e avviamento), hanno in comune la caratteristica di
3
Cfr. Anson W., Establishing Market Values for Brands, Trademarks and Marketing Intangibles, in “Business Valuation
Review”, n. 2 / 1996; Brugger G., Ferrata R., Grando A., Working Paper in “Progetto Intangibles”.
4
Cfr. Brugger G., La valutazione dei beni immateriali legati al marketing e alla tecnologia, in “Finanza, Marketing e
Produzione”, n. 1/ 1989, pp. 33 e ss.; Guatri L., Trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, 1998, pp.239 e ss.; Renoldi
A., La valutazione dei beni immateriali.Metodi e soluzioni, Milano, 1992, pp.19 e ss.
1. I metodi patrimoniali
13
rappresentare patrimonialmente la capacità reddituale futura dell’azienda. E’ facile
comprendere come, il fatto stesso che si senta la necessità di valorizzare le risorse aziendali
immateriali, che in ottica prospettica possono garantire o aumentare la redditività attuale,
costituisca già un allontanamento dalla logica puramente patrimoniale, in quanto è inserita
una componente che tende a valutare la redditività dell’azienda.
L’obiettivo è quello di mediare in maniera più compiuta la metodologia patrimoniale con la
necessità di considerare anche la capacità reddituale non espressa dalle voci dell’attivo e del
passivo
5
.
1.4 I metodi patrimoniali misti
Il metodo patrimoniale misto è accomunabile al metodo patrimoniale in quanto parte
dall’assunto che il valore attribuibile ad una azienda, in grado di svolgere una attività
economicamente redditizia, può essere superiore a quello derivabile dalla somma algebrica dei
valori delle singole attività/passività. Nella terminologia dei metodi patrimoniali ciò equivale a
5
Cfr. Massari M., La valutazione d’azienda: l’evoluzione della dottrina, in “La valutazione delle aziende”, n. 15/1999
Figura 1.2 – Dal metodo patrimoniale semplice a quello complesso
0
5
10
15
20
25
AVV
BI
RETT
PN
PN = patrimonio netto
RETT = rettifiche ai valori contabili di attivo e passivo
BI = valore dei beni immateriali
AVV = valore dell’avviamento
1. I metodi patrimoniali
14
dire che all’azienda è attribuibile un goodwill (avviamento), che costituisce un attivo
contabilmente inespresso ma economicamente dotato di un valore.
I metodi misti, tuttavia, si differenziano dai metodi patrimoniali puri per il fatto di
incorporare una procedura di stima di tale avviamento in grado di correggere l’ottica
patrimoniale attraverso un giudizio di tipo reddituale. Le procedure volte alla determinazione
del valore dell’avviamento sono di due tipi:
1) In base all’approccio di mercato si procede all’applicazione di un moltiplicatore ad un
dato espressivo dei volumi di attività dell’azienda. Questa procedura è applicata a una
vasta gamma di servizi: banche, assicurazioni, esercizi commerciali, attività di
intermediazione
6
. Seguono alcuni esempi di multipli applicati nei diversi settori, quali
risultano dall’osservazione empirica di compravendite effettuate nel passato:
ξ La raccolta di depositi di un’azienda di credito è generalmente valutata applicando
percentuali comprese tra il 6 e l’8% al dato medio annuo più recente;
ξ La raccolta premi di una compagnia assicurativa vita, tra il 70 e il 100%;
ξ Il portafoglio commissioni di una società di brokeraggio assicurativo tra 1 e 1,5 volte.
In una compravendita l’effettivo multiplo utilizzato, nell’ambito di una fascia di valori,
dipende dalla diversa qualità attribuibile a società operanti nello stesso settore, nonché
dalla diversa capacità contrattuale delle parti.
In realtà, questo modo di procedere è stato più volte sottoposto a critiche, in ragione
della constatata elevatezza dei multipli di mercato applicati al valore della raccolta delle
banche e al portafoglio premi delle compagnie assicurative. Questo può generare misure
di intangibles e quindi valori patrimoniali non in linea con le misure di rendimento
giudicate di equilibrio, da cui la necessità di una verifica reddituale volta alla
determinazione di eventuali correttivi, attraverso opportune misure di badwill
7
.
2) Si determina l’avviamento come differenza tra la redditività della società in questione e la
redditività “medio-normale” del settore. Per medio-normale si intende un livello di
redditività coerente con quello tipico degli altri operatori del settore e con quanto ritenuto
adeguato dagli investitori per compensare il rischio di investimento in imprese
6
Cfr. Guatri L., Trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, 1998, pp. 268 e ss.
7
Cfr. Demattè C., Le analisi preliminari per la valutazione delle banche nelle operazioni di concentrazione, in “La valutazione
delle aziende”, n. 1/1996.
1. I metodi patrimoniali
15
appartenenti allo stesso settore. Assumendo che nel medio periodo la redditività
dell’azienda tenda ad allinearsi a quella del settore, la differenza di redditività determinata
è proiettata nel tempo per un periodo compreso tra i 3 ed i 5 anni. Il valore attuale della
differenza di redditività rilevato nell’arco temporale adottato per le proiezioni costituisce
il goodwill (badwill nel caso negativo).
La valutazione della società è data dalla somma algebrica di due componenti: il
patrimonio netto tangibile rettificato e il goodwill/badwill, secondo la formula:
'
)(
ni
aiKRKV
in cui
K = valore del patrimonio netto rettificato
R = reddito medio normale atteso
i = tasso di interesse normale rispetto al tipo di investimento considerato
n = numero definito e limitato di anni per cui è previsto il sovrareddito
i’ = tasso di attualizzazione del sovrareddito.
In base alla formula considerata c’è sovrareddito, e quindi un avviamento positivo, se R è
maggiore di iK, ovvero se l’impresa nel periodo considerato guadagna di più di quello che
è normale attendersi; c’è disavviamento se guadagna meno.
In tal modo l’analisi del valutatore non è più focalizzata soltanto sul prospetto di stato
patrimoniale ma si basa anche sul conto economico della società, il cui esame è essenziale
per valutare i fattori che influenzeranno il futuro andamento della società.
Le due componenti del valore, K ed avviamento, non sono autonome ma si
condizionano a vicenda. Se inseriamo tra le attività alcune risorse immateriali il cui valore
può essere stimato in via diretta, allora K è più alto, ma se K aumenta l’avviamento, a
parità delle altre condizioni, diminuisce. Ciò che conta è il valore complessivo: non è
corretto dire che una componente misura il patrimonio e l’altra l’avviamento, ma tutto
dipende da cosa abbiamo inserito nel patrimonio.
Il principale problema applicativo presentato da questo metodo di stima riguarda la scelta
dei tassi i e i’. Nella prassi si propongono almeno tre interpretazioni
8
:
8
Cfr. Guatri L., Trattato sulla valutazione delle aziende, Egea, 1998, pp.283 e ss.