6
Il dibattito si fa ancora più controverso quando si sposta in ambito
latino-americano; nel secondo capitolo l’intento è quello di delinearne i
momenti principali, soffermandosi sulle posizioni discordi di critici
come Nelson Osorio, il quale ritiene che non ci sia stata una modernità
latino-americana e non ritiene quindi pertinente il dibattito sulla
postmodernità, George Yúdice, che invece considera un’analisi della
postmodernità dal punto di vista ispano-americano non solo sia legittima
ma anche necessaria, García Canclini e Octavio Paz, che accarezzano la
suggestiva ipotesi di un’America Latina pre-postmoderna, cioè soggetta,
per la sua eterogeneità costitutiva, ad una postmodernità anteriore a
quella statunitense ed europea.
Per molti anni il dibattito sul postmodernismo è stato dominato dalla
critica marxista, e più in generale dalla sinistra, che ha sempre assunto
posizioni svisceratamente anti-postmoderniste. I critici Beverly ed
Oviedo vogliono cambiare la prospettiva e dimostrare come il concetto
di postmodernità possa essere utile per rinnovare l’esausta e discreditata
politica di sinistra.
I sostenitori della postmodernità concordano generalmente nell’indicare
la dissoluzione del comunismo storico avvenuta tra il 1989 e il 1991
come il primo dei cambiamenti epocali che la determinano; il fallimento
del progetto della sinistra latino-americana, il fallimento della
7
rivoluzione cubana, la corruzione della classe politica, hanno portato ad
una profonda ed amara disillusione.
L’attenzione si sposta poi dalla postmodernità intesa come
atteggiamento culturale, mentale e sociale, alla postmodernità letteraria,
e si tenta di fare il punto sulla situazione della narrativa latino-americana
attuale in un’ottica postmoderna.
Il vivace e controverso dibattito sulla postmodernità è parso rimanere
sempre su un piano teorico; la maggior parte dei critici intervenuti, ha
aggiunto o contrapposto teorie ad altre teorie tralasciando o posticipando
l’applicazione di queste teorie ad opere postmoderne. L’apparente
vaghezza delle teorie sulla postmodernità è legata a questa mancanza di
riferimenti concreti, di esempi. Per completare pertanto la definizione di
letteratura postmoderna si è ritenuto indispensabile corredare il materiale
critico con un esempio concreto.
Tra la fiorente letteratura ispano-americana contemporanea si è scelta la
narrativa di Eliseo Alberto, autore cubano dissenziente non tradotto in
Italia, conosciuto come sceneggiatore del film Guantanamera e più
recentemente come autore di Caracol Beach, romanzo vincitore del
Premio Alfaguara 1998.
Gli ultimi tre capitoli di questo lavoro sono dedicati all’analisi di
tre romanzi dell’autore, rispettivamente La eternidad por fin comienza
8
un lunes
1
, Informe contra mí mismo
2
, e Caracol Beach
3
e sono volti a
dimostrarne la “postmodernità”. Si tratta come vedremo di tre romanzi
molto diversi tra di loro per quanto riguarda i temi, gli scenari, le
tecniche narrative, il linguaggio; ognuno da un punto di vista diverso
colloca la narrativa di Eliseo Alberto nel contesto postmoderno.
La Eternidad por fin comienza un lunes è una favola intrisa di realismo
magico, che racconta come attraverso l’amore l’uomo possa sottrarsi alla
sua condizione di eterno isolamento. Proprio la centralità della
solitudine, dell’incomunicabilità, insieme con l’intertestualità, la
circolarità, la sperimentazione con il tempo e con lo spazio, ne fanno un
romanzo postmoderno.
Nel quarto capitolo si analizza Informe contra mí mismo, si
sottolinea la natura ibrida di questo romanzo che è anche un memoriale,
un diario e una testimonianza storica. La nostalgia ed il ricordo rivestono
un ruolo centrale nell’immagine che l’autore ha di Cuba, nel racconto
della sua storia personale e del suo intrecciarsi con la storia della
rivoluzione cubana.
1
Alberto, Eliseo, La eternidad por fin comienza un lunes:el grande viaje del
Cisne Negro sobre los lagos de hielo de Irlanda, México, Ediciones del
Equilibrista, 1992. (III ed. Barcelona, Anagrama, 1994).
2
Alberto, Eliseo, Informe contra mí mismo, Madrid, Alfaguara, 1996.
3
Alberto, Eliseo, Caracol Beach, Madrid, Alfaguara, 1998.
9
Informe contra mí mismo è frutto di quella fine la fine delle nozioni di
progresso e di storia sancita Gianni Vattimo
4
in seguito al crollo dei
regimi socialisti e soprattutto al fallimento della rivoluzione iniziata da
Cuba nel 1959. Eliseo Alberto partecipa attivamente alla rivoluzione,
pertanto vive in prima persona il dramma di questa disillusione, e perde
progressivamente la fiducia nel futuro e nel cambiamento. Informe
contra mí mismo è testimone di questa disillusione, ed è postmoderno nel
suo approccio alla storia, e soprattutto nella sua rinuncia alle ideologie
Caracol Beach infine, è un romanzo strutturato come un thriller,
una storia di violenza, di pazzia e di morti annunciate, in cui i temi della
solitudine e della frustrazione sembrano passare in secondo piano per
lasciare spazio alla storia e alla suspance. La postmodernità del romanzo,
è qui legata soprattutto al linguaggio, allo stile e, come si sottolinea nel
capitolo IV, al luogo immaginario ma verosimile in cui la vicenda è
ambientata: la spiaggia di Caracol Beach.
Si evidenzierà come ognuno dei tre romanzi per un aspetto
differente, si inserisca nell’eterogeneo panorama della postmodernità
latino-americana.
4
Cfr. Vattimo, Gianni, La fine della modernità: nichilismo ed ermeneutica nella
cultura post-moderna, Garzanti, Milano, 1985.
10
Concludo questo lavoro con un’intervista ad Eliseo Alberto che ho
avuto la fortuna di riuscire a contattare nel settembre scorso. L’autore
stesso ha risposto a molti degli interrogativi sorti durante la stesura di
questo lavoro, e mi ha aiutato a colmare alcune delle lacune dovute alla
difficoltà di reperire materiale critico inviandomi delle interviste da lui
rilasciate recentemente.
Il confronto con l’autore, avvenuto nei giorni in cui concludevo la
tesi, si è rivelato un importante momento di conferma, anche per questo
l’intervista con la quale concludo questo lavoro è per me molto
significativa.
11
CAPITOLO I
MODERNITÀ VERSUS POSTMODERNITÀ
1.1 La fine della modernità
Il dibattito sulla modernità, come quello sulla postmodernità, è un
terreno di interesse interdisciplinare, che riguarda l’arte, la letteratura, la
filosofia, la storia, ma anche l’architettura, la musica e la comunicazione
e, seppure di estrema attualità, non è un dibattito di origini recenti.
Già in piena modernità, pensatori classici quali Marx, Nietzsche,
Engels avevano messo in luce le contraddizioni della modernità stessa e
dato voce alle prime incertezze e timori a riguardo, esprimendosi in
termini che si avvicinano molto alla critica del nostro secolo; più
recentemente infatti studiosi quali Weber, Habermas, Bell, Simmel,
Baudrillard, Adorno e Horkheimer, hanno descritto la crisi della tarda
modernità altrettanto intensamente.
I più grandi pensatori moderni sono intervenuti direttamente o
indirettamente in questo dibattito, chi evidenziando le contraddizioni
12
della modernità, quindi la necessità di dichiararla conclusa, chi invece
quella di recuperarla e portare a termine l’incompiuto progetto
illuminista.
Essendo stata utilizzata in periodi diversi per designare concetti diversi,
la parola “moderno” ha perso ogni riferimento storico fisso ed è divenuta
inevitabilmente ambigua. È quindi necessario precisare a quale
modernità ci si riferisce quando se ne sancisce la fine e quando si parla
di postmodernità come il fenomeno storico e culturale che la segue.
Non si intende per “modernità” il fenomeno esclusivamente letterario,
tipicamente ispano-americano, che ha origine convenzionalmente con la
pubblicazione di Azul di Darío, nel 1888. Si intende invece quella serie
di cambiamenti sociali, culturali, economici, politici, che vedono la luce
con la rivoluzione umanistica del Rinascimento e con la rivoluzione
scientifica del XVI secolo. Probabilmente non è possibile individuare
con precisione la data di nascita dell’uomo moderno, ma al di là di questi
sforzi di periodizzazione, è importante precisare cosa significhi essere
moderni.
L’uomo moderno si situa in un contesto che promette
trasformazioni, cambiamento, crescita, progresso, felicità. Ma accanto
alla promessa della felicità c’è l’angoscia di perdere tutto: da più di
13
cinquecento anni l’uomo si dibatte in questa contraddizione tra le
promesse e le minacce del mondo moderno.
La modernità nasce come movimento emancipatore della società,
ma nel corso dei secoli XIX e XX si assiste al declino della razionalità
borghese, che si manifesta negli aspetti disumanizzati ed alienati
dell’economia capitalista.
Marx aveva criticato la modernità affermando che la caratteristica
fondamentale della vita moderna è la sua contraddittorietà, la base del
modernismo è il paradosso. Le macchine avrebbero dovuto rappresentare
il progresso, tuttavia sostituendo gli operai li hanno impoveriti, e
paradossalmente hanno portato ad un peggioramento delle loro
condizioni di vita. Marx individua in questa intima contraddizione della
modernità che si manifesta nelle macchine il motore che porterà alla
rivoluzione, alla dissoluzione della borghesia ed al trionfo della classe
operaia. È in quest’ottica che, al di là delle sue critiche, Marx proclama
una fede pragmatica nella modernità e nel progresso.
Nietzsche è l’altro grande pensatore classico attraverso cui la
modernità riflette su sé stessa; egli proclama la morte di Dio, il
nichilismo, l’assenza di valori; prevede la secolarizzazione del mondo
moderno, l’allontanamento dell’uomo da ogni religione e da ogni etica.
14
Marx e Nietzsche hanno percepito la contraddittorietà della
modernità ed hanno espresso la loro fiducia nella capacità dell’uomo di
superarla. Ma né il comunismo né il superuomo ce l’hanno fatta. Il loro
merito è l’aver messo in luce concetti che saranno alla base della
filosofia postmoderna
5
, segnalando come nucleo centrale della modernità
l’angoscia.
Agli inizi del secolo Max Weber dichiara il fallimento del progetto
illuminista, in quanto il trionfo della ragione, il raggiungimento del tanto
sospirato progresso non hanno condotto alla libertà ma alla creazione di
una “gabbia di ferro”
6
di razionalità che l’uomo stesso ha costruito.
La modernità ha creato un’umanità senza spirito, senza cuore, senza
identità, che ha sostituito i grandi valori con i valori materiali e la cui
massima aspirazione è il benessere economico. La gabbia di cui Weber
parla non è una prigione ma è il luogo di cui l’uomo, divenuto mediocre,
ha bisogno, è la gabbia delle istituzioni create dall’uomo stesso, che lo
incanalano verso percorsi prestabiliti. Questa gabbia di razionalità è
simbolo della crisi della modernità: gli uomini come formiche si
affaccendano freneticamente per svolgere il loro compito nella società, e
5
Gianni Vattimo nel suo saggio La fine della modernità: nichilismo ed ermeneutica nella cultura
postmoderna, Garzanti, Milano, 1985, afferma che Nietzsche ha messo in discussione il pensiero
europeo senza proporre un superamento critico, per non rimanere ancora prigioniero della logica di
sviluppo del pensiero moderno, in questo senso può essere considerato il primo filosofo della post-
modernità.
6
Cfr. Weber, Max, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 1972.
15
perdono di vista il fine delle loro azioni, ragione e soggetto si
allontanano progressivamente.
All’origine di questo fallimento è, sempre secondo Weber, la
separazione tra le tre sfere della cultura: scienza, morale ed arte, sulla
quale si basa la modernità culturale; questa differenziazione ha portato
ad un progressivo allontanamento tra la cultura degli esperti e quella del
pubblico di massa, tra scienza, arte, etica e vita quotidiana. Questo
sapere parcellizzato ed elitario è quanto di più lontano si possa
immaginare da quella “cultura per tutti” che era uno dei principi basici
dell’Illuminismo, nonché uno dei motori della modernità. Weber
individua così la prima delle grandi aporie della modernità ed a lui
faranno riferimento molti pensatori successivi.
Jürgen Habernas
7
parte dalla teoria delle sfere di Weber per
ribadire l’intima contraddizione della modernità: la distanza tra cultura
professionale e popolare cresce in relazione all’accentuarsi
dell’autonomia di ciascuna sfera del sapere. La modernità era nata per
abolire l’ignoranza e invece il linguaggio della cultura si è specializzato
a tal punto che non tutti lo comprendono. Il progetto illuminista di
emancipazione umana è così frustrato ed intralciato da quella stessa
razionalità che avrebbe dovuto esserne la base.
7
Cfr. Habermas, Jurgen, “Modernidad versus postmodernidad” in Picó, Joseph, Modernidad y
Postmodernidad, Madrid, Alianza, 1988, pag. 87-102.
16
Habermas non individua le contraddizioni della modernità per
dichiararla fallita, egli non rinuncia al progetto della ragione illuminista,
al contrario lo difende dagli attacchi dei neoconservatori americani, tra
questi Daniel Bell.
Bell
8
afferma che la modernità domina però è morta; egli ritiene
che l’estremo benessere prodotto dal capitalismo abbia prodotto
atteggiamenti anti-capitalisti; nei paesi industrializzati la gente,
insoddisfatta non si accontenta più del benessere materiale e coltiva la
spiritualità, Bell vede in questo un ritorno a ciò che precede la
modernità.
Per Habermas invece è ancora possibile e necessario recuperare il
significato ed il progetto della modernità: l’arte non deve e non può
rinunciare al suo rigore professionale, alla sua relazione con la storia,
l’etica, la verità; la modernità non può rinunciare al suo progetto. Il
fallimento di un progetto non significa che questo non fosse valido,
secondo Habermas dobbiamo continuare ad essere moderni. È in
quest’ottica che egli si pone come il più deciso avversario di qualsiasi
approccio postmodernista. Il “post” di postmodernità designa infatti la
fine della modernità e l’ingresso definitivo in una nuova epoca, ed è
8
Cfr. Bell, Daniel, The Cultural Contradiction of Capitalism, Basic Books, New York, 1978.
17
proprio questo cambiamento epocale che Habermas, pur individuando le
contraddizioni della modernità, non vuole ammettere
9
.
Vattimo
10
sottolinea come ogni discorso sulla postmodernità sia
contraddittorio, e come questa sia una delle obiezioni più diffuse contro
la stessa nozione di postmoderno.
È evidente in questo la difficoltà che solo un decennio fa i critici
avevano nell’individuare un autentico carattere di svolta, una rottura
radicale tra condizioni che si indicano come postmoderne, rispetto ai
tratti generali della modernità. Uno di questi tratti che Vattimo individua
è la crisi dell’umanesimo, problema che l’uomo in quanto soggetto deve
disporsi ad affrontare. La tecnica moderna appare come la causa di un
generale processo di disumanizzazione:
[...] si tratta soprattutto di una crisi degli ideali umanistici di
cultura a favore di una formazione dell’uomo centrata sulle abilità
produttive. Quindi stretta connessione tra la crisi dell’umanesimo
ed il trionfo della civiltà tecnica e sradicamento della modernità
come utopica promessa di liberazione. [...] occorre modificare il
soggetto. Non deve essere più un soggetto forte, ma un soggetto
9
Nino Salamone nel suo recente saggio Postmodernità. Quotidiano e orizzonte nella società
contemporanea, Carocci Editore, Roma, 1999, sottolinea che l’opera di Habermas La crisi della
razionalità nel capitalismo maturo, può essere letta, malgrado l’autore, come la constatazione di un
vero e proprio passaggio d’epoca.
10
Cfr. Vattimo, Gianni, op. cit.
18
che si dissolve nei reticoli di una società trasformata sempre più in
un sensibilissimo organismo di comunicazione.
11
Vattimo afferma che “La semplice pretesa di rappresentare una novità
nella storia collocherebbe il postmoderno sulla linea della modernità
nella quale dominano le categorie di novità e di superamento”.
Egli si chiede poi se abbia davvero senso tutto questo sforzo di
collocazione, perché dovrebbe essere tanto importante stabilire se siamo
nella modernità o nella postmodernità. È evidentemente importante
stabilirlo, ma probabilmente non era un compito che Vattimo né altri
potevano svolgere nel 1985, quando i tempi non erano ancora “maturi”.
Negli stessi anni un’altro importante critico, Ihab Hassan,
esprimeva un’identica preoccupazione:
Modernism and Postmodernism are not separated by an Iron
Curtain or Chinese Wall; for history is a palimpsest, and culture is
permeable to time past, time present, and time future. We are all, I
suspect, a little Victorian, Modern, Postmodern, at once.
12
Dopo le dure critiche e gli attacchi che hanno caratterizzato il dibattito
negli anni ‘70, negli anni ’80, in molti cominciano ad accettare la
11
Vattimo, Gianni, op. cit.
12
Hassan, Ihab, The Dismemberment of Orpheus. Towards a Postmodern Literature, Oxford,
University Press, 1971.
19
postmodernità non come fine definitiva della modernità e di inizio di
una nuova fase, ma piuttosto come evoluzione delle idee e della
sensibilità moderna verso una sensibilità nuova.
Emblematico della posizione di molti critici degli anni ‘80 è l’intervento
del sociologo messicano Néstor García Canclini:
[...] la crisi congiunta della modernità e delle tradizioni, della loro
combinazione storica, porta a una problematica (non a una fase)
postmoderna, nel senso che il moderno esplode e si mescola con
quel che moderno non è, affermandosi e ridiscutendosi nello stesso
tempo
13
Una postmodernità che non rifiuta la modernità né la supera, ma la
assimila, la digerisce, la ingloba; nasce così il sospetto di essere moderni
e postmoderni insieme. È prematuro parlare di fine della modernità,
quando i confini tra le due epoche sono ancora sfumati, e soprattutto
non avendo ancora la prospettiva adeguata per giudicare con il senno di
poi:
La modernità non è semplicemente uno spazio dal quale entrare o
uscire, è una condizione che ci avvolge tuttora; il termine
postmodernità infatti non designa un superamento della modernità,
13
García Canclini, Nèstor, Culturas híbridas: estrategias para entrar y salir de la modernidad,
Barcellona, Anagrama, 1990, pag.249
20
ed è forse per questo che risulta difficile analizzare qualcosa che
stiamo ancora attraversando.
14
Dovrà trascorrere ancora più di un decennio perché critici più giovani ma
soprattutto con l’esperienza di aver vissuto i “postmoderni” anni ‘90,
annuncino con veemenza e sicurezza, l’ingresso in una nuova epoca.
14
García Canclini, Nèstor, op.cit., pag.250