6
meccanico, a una quasi fatale deduzione della superiorità
dell’uomo su qualunque calcolatore. L’argomento che a tal fine
sfrutta il teorema di Gödel riceve i suoi tratti iniziali già
nel limpido testo di Ernest Nagel e James R. Newman, Gödel’s
proof del 1958. Se si considera un calcolatore come
l’istanziazione di un sistema formale, è agevole, nel confronto
tra la prestazione umana e quella della macchina, rispetto
all’intelligenza matematica, concludere a tutto vantaggio
dell’uomo. Soltanto sul calcolatore, e proprio perché esso
risulta paragonabile a un sistema consistente e adeguato per
l’aritmetica, grava come un limite purissimo l’esistenza di una
proposizione indecidibile. Questa rimane infatti né dimostrabile
né refutabile, senz’altro ordine di considerazioni. Non così per
l’umana mente, capace di coglierne, al di là dell’impasse
sintattica, la verità.
La fortuna di questa interpretazione, suggestiva ma troppo
frettolosa per risultare probante, resuscita oggi nei libri di
Roger Penrose, mentre il teorema di Gödel diviene linfa di uno
sterminato dibattito, in cui si fronteggiano opposti modelli per
la mente, quello che le ascrive capacità qualitativamente diverse
dal computazionale, o sovra-computazionali, e quello che la
rinserra tra gli effetti dell’algoritmico. Non può non apparire
conturbante come anche in questo secondo caso si sappia
attingere, a piene mani, al teorema di Gödel; vi riesce Douglas
R. Hofstadter, nel suo best-seller Gödel, Escher, Bach, ma non è
il solo. Ora sembrerebbe che la ragione, per quanto attiene
all’utilizzo corretto dei risultati di Gödel, piuttosto che
annidarsi negli argomenti di un Penrose o in quelli di un
Hofstadter, riposi altrove. Ma forse è, alle spalle del dibattito
stesso, il continuo confrontarsi tra mente e macchina
calcolatrice ancora, e nonostante l’erompere di un’era
dell’informatica, tutt’altro che ovvio, avvinto d’astrazione,
offuscato tanto dai pregiudizi eterni di chi teme la tecnica che
dagli entusiasmi di chi in essa ripone ogni fiducia di un futuro
radioso.
7
PARTE I
8
CAPITOLO 1
FONDAMENTI
1.L’antinomia di Russell
“Sia w la classe di tutte quelle classi che non sono membri di se
stesse. Allora, qualunque sia la classe x, ‘x è una w’ è
equivalente a ‘x non è una x’. Quindi, dando a x valore di w, ‘w
è una w’ è equivalente a ‘w non è una w’.”
1
L’antinomia di Russell, per lettera comunicata a Frege il 16
giugno del 1902, apre ufficialmente la crisi dei fondamenti della
matematica
2
. Essa origina dal principio di comprensione per il
quale, data una condizione/proprietà esiste l’insieme, o classe
di tutti e soli gli oggetti che la soddisfano. Presa la
condizione x ∉ x, dove x sia una classe che non appartiene a se
stessa, si determina la corrispondente classe w di tutte le
classi che non appartengono a se stesse: w appartiene a se
stessa? Posto che: x ∈ w ≡ x ∉ x, sostituendo w a x si ottiene w
∈ w ≡ w ∉ w.
In altre parole: se w appartiene a se stessa, allora soddisfa la
condizione definitoria della classe, che è di appartenere a se
stessa; se w non appartiene a se stessa, allora non soddisfa la
condizione definitoria della classe e perciò deve appartenere a
se stessa.
1
Whitehead, A. N., Russell, B., Principia Mathematica, Cambridge
University Press, Cambridge, 1910-1913, 2° ed. 1925-1927; trad. it. parziale
Introduzione ai Principia Mathematica, a cura di P. Parrini, La Nuova Italia,
Firenze, 1977; cit. da p. 122.
2
La lettera in questione è riprodotta in Frege, G., Wissenschaftlicher
Briefwechsel, a cura di G. Gabriel, Hans Hermes, F. Kambartel, Christian
Thiel, Albert Veraart, Meiner, Hamburg, 1976; trad. it. parziale di A. M.
Obwexer, ed. a cura di C. Mangione, Alle origini della nuova logica.
Epistolario scientifico, Boringhieri, Torino, 1983; pp. 183-184.
9
Con il principio di comprensione Bertrand Russell faceva
vacillare in un colpo solo la teoria di Cantor, che su esso
poggiava la costruzione di insiemi, come estensioni di proprietà
arbitrarie, e in modo più diretto il progetto logicista di Frege.
Mentre la rigorizzazione ottocentesca dell’analisi prospettava a
base elementare della matematica l’aritmetica, Gottlob Frege
intendeva ridurre ulteriormente l’aritmetica alla logica. Le più
semplici proposizioni aritmetiche, il concetto stesso di numero
naturale sarebbero emersi chiarificati nel loro fondamento
logico.
Nei Grundlagen der Arithmetik del 1884 Frege definisce il numero
come la classe di tutte le classi equinumerose a una classe data,
dove due classi sono equinumerose, ovvero hanno la stessa
potenza, se e solo se gli elementi dell’una possono porsi in
corrispondenza biunivoca con gli elementi dell’altra. Così due
sarà la classe di tutte le classi a due membri. La definizione di
numero, come la fornisce Frege, sembra ancora a Russell
“certamente definitiva e inattaccabile”
3
.
Il problema non sta qui; esso sorge dall’elevare a regola
generale per l’esistenza delle collezioni l’assioma di
comprensione.
Più esattamente, rispetto al primo volume dei Grundgesetze der
Arithmetik (1893), l’antinomia di Russell colpisce il V dei
principi lì postulati, per il quale: V-a) se sotto due concetti
cadono gli stessi oggetti, allora i due concetti hanno estensioni
uguali; V-b) se due concetti hanno estensioni uguali, sotto di
essi cadono gli stessi oggetti.
Ma per stabilire che proprio gli stessi oggetti cadano sotto le
estensioni indicate, occorre avere già determinato che cosa sia
‘estensione di un concetto’. Tuttavia giungiamo a contraddizione
se assumiamo che per ogni concetto esista l’estensione
corrispondente.
3
Russell, B., Introduction to Mathematical Philosophy, Allen and Unwin,
London, 1919; trad. it. di L. Pavolini, Introduzione alla filosofia
matematica, Longanesi, Milano, 1947; cit. da ed. del 1962 p. 39.
10
Da un lato l’oggetto matematico due, in quanto classe di classi,
non si identifica con il concetto di due ma con la sua
estensione.
Ciò consente a Frege di considerare gli enti matematici come
oggetti dell’universo logico. D’altro canto i concetti si
identificano con funzioni, i cui valori sono per qualunque
argomento valori di verità. Nel primo volume dei Grundgesetze
risulta possibile stabilire una gerarchia delle funzioni, quindi
dei concetti, in gradi e tipi, in base alla natura e al numero
degli argomenti sostituiti alle variabili libere. Se in
quest’idea di Frege Russell ravvisava un’anticipazione della
propria teoria dei tipi, si osserva che si escludono dalla
gerarchia gli oggetti. Anche se ciò ha particolari ripercussioni,
poiché il piano dell’estensione si situa a livello oggettuale,
l’antinomia di Russell si propone sia in termini di classi
(estensioni concettuali) che in termini di predicati (concetti).
“Innanzi tutto abbiamo l’enunciato in termini di predicati, che
già venne dato. Se x è un predicato, x può essere o non può
essere predicabile di se stesso. Ammettiamo che ‘non predicabile
di se stesso’ sia un predicato. Allora supporre che questo
predicato sia, o non sia, predicabile di se stesso, è
autocontraddittorio. La conclusione, in questo caso, sembra
ovvia: ‘la non predicabilità di se stessi’ non è un predicato.
Enunciamo ora la stessa contraddizione in termini di concetti-
classe. Un concetto-classe può essere o non essere un termine
della sua propria estensione. La espressione ‘concetto-classe che
non è un termine della sua estensione’ è palesemente un concetto-
classe. Ma se esso è un termine della sua propria estensione,
esso è un concetto-classe che non è un termine della sua propria
estensione, e viceversa. Si deve pertanto concludere,
contrariamente alle apparenze, che ‘concetto-classe che non è un
termine della sua propria estensione’ non è un concetto-classe”.
4
4
Russell, B., The principles of Mathematics, Cambridge University Press,
Cambridge, 1903; trad. it. a cura di L. Geymonat, I principi della matematica,
Longanesi, Milano, 1951; cit. da ed. del 1963 p. 167.
11
Il paradosso di Russell non era del resto l’unico. Di poco
precedenti si datano l’antinomia di Cesare Burali-Forti (1897)
del massimo numero ordinale e l’antinomia di Georg Cantor (1899)
del massimo numero cardinale; di poco successive l’antinomia di
Jules Richard (1905) e quella di Julius König (1905), per citare
solo alcune tra le più note. Ma più di ogni altra l’antinomia di
Russell presentava come inderogabile la necessità di una
chiarificazione del concetto di insieme, chiamando con esso in
causa la possibilità di una fondazione logica dell’aritmetica.
12
2. Il salvataggio del programma logicista
2.a. La teoria dei tipi semplici
Malgrado Russell scopra l’antinomia durante la stesura di The
Principles of Mathematics (1903), l’ideale logicista continua a
apparirgli perseguibile. “La tesi fondamentale dell’opera, che la
matematica e la logica siano identiche, è una tesi che io non
ebbi finora ragione di modificare”
5
.
Dei due scopi dell’opera il primo si enuncia in un programma
affine a quello di Frege: provare che i concetti e le
proposizioni della matematica pura sono riducibili a un numero
piccolissimo di concetti e principi logici fondamentali. Il
compito si configura come prosecuzione dell’opera di Giuseppe
Peano, che derivava la teoria dei numeri naturali dalle tre idee
fondamentali di zero, numero e successore e da cinque postulati
6
.
Poiché le tre idee fondamentali si prestano a un numero infinito
di interpretazioni, ognuna delle quali soddisfa i cinque
postulati, occorre superare quella perfezione della
aritmetizzazione. Persino quelle tre idee si possono spiegare in
termini di relazioni logiche tra classi. Ma il salvataggio del
progetto logicista richiede la soluzione dell’antinomia delle
classi. Nell’appendice B ai Principles, compare a tal fine un
abbozzo della teoria dei tipi. A essa spetta in primo luogo per
ogni funzione proposizionale l’esame delle condizioni alle quali
ha significato.
5
Russell, B., ibidem, p. 13.
6
Poiché per Peano il concetto di numero è un termine primitivo, gli
assiomi non hanno il compito di definirlo, ma di enunciarne le proprietà. In
modo informale i postulati di Peano sono:
a)zero è un numero;
b)il successore di ogni numero è un numero;
c)due numeri non possono avere lo stesso successore;
d)zero non è il successore di alcun numero;
e)ogni proprietà che appartenga tanto a zero quanto al successore
immediato di ogni numero che goda di quella proprietà, appartiene a tutti i
numeri (principio di induzione matematica).
13
Essendo una funzione proposizionale un’espressione con uno o più
componenti indeterminati, finché non si specifichi il campo di
oggetti che la soddisfano, essa resta estranea alla significanza.
“Ogni funzione proposizionale φ(x), così si afferma, possiede,
oltre al suo sistema di valori (range) di verità, un sistema di
valori di significatività, ossia un sistema entro cui deve cadere
x se vogliamo che φ(x) risulti comunque una proposizione, vera o
falsa che sia.”
7
Considerando che le antinomie spesso nascondono una confusione
tra i livelli di espressione in gioco, esse si risolvono
instaurando una distinzione gerarchica tra i domini di
significatività. “I sistemi di valori di significatività formano
dei tipi, ossia, se x appartiene al sistema di valori di
significatività di φ(x) allora esiste tutta una classe di oggetti
(il tipo di x), i quali devono appartenere essi pure al sistema
di valori di significatività di φ(x)”.
8
Ricordando come Frege escludesse da ogni gerarchia l’oggettuale,
che dà con l’estensione al concetto insaturo il significato, si
può già notare per che via si ottenga una limitazione del
principio di comprensione. Se intendiamo la gerarchizzazione in
modo tale che il tipo più basso n consti di individui, alle
funzioni che hanno individui come argomenti attribuiamo il tipo n
+1; alle funzioni che come argomenti hanno funzioni di tipo n +1
il tipo n + 2 e così via. In tal modo non è lecito dire che ogni
condizione determini una classe, ma ogni condizione sugli oggetti
di un determinato tipo determina una classe al tipo successivo.
Le funzioni proposizionali che non rispettano la gerarchia sono
in generale prive di significato.
Come tale si esclude l’antinomia di Russell, prevedendo essa una
relazione di appartenenza tra enti dello stesso tipo: x ∈ x.
7
Russell, B., The principles of Mathematics, op. cit., p. 713.
8
Russell, B., ibidem, p. 713.
14
2.b. Il principio del circolo vizioso
La stratificazione in tipi semplici non rimedia a qualunque
paradosso. Nei Principia Mathematica l’esame delle principali
contraddizioni che hanno colpito la logica matematica rivela una
caratteristica comune di riflessività o autoriferimento. In
ciascuna delle contraddizioni “si dice qualcosa su tutti i casi
di una qualche specie, e da quanto viene detto sembra generarsi
un nuovo caso il quale è e al contempo non è della stessa specie
dei casi che venivano presi in considerazione come tutti in ciò
che veniva detto”.
9
Questo tratto caratterizza le totalità illegittime, tali per cui,
dato un insieme qualsiasi di oggetti, se supponiamo che abbia un
totale, esso dovrà contenere membri che presuppongono questo
totale. La totalità illegittima nasconde una definizione
impredicativa, quella cioè che definisce un ente attraverso la
totalità o classe cui appartiene, o quella che ricorre a termini,
la cui definizione è possibile soltanto facendo riferimento alla
classe, cui l’ente da definirsi appartiene. Dalle definizioni
impredicative originano i circoli viziosi. Riprendendo una
suggestione di Henri Poincaré, Russell assume quel principio del
circolo vizioso che ci consente di evitare le totalità
illegittime. Esso appare così formulato: “Se - ammettendo che una
certa collezione abbia un totale - essa contenesse membri
definibili soltanto nei termini di quel totale, allora detta
collezione non avrebbe un totale”.
10
Oppure: “Qualunque cosa
involga tutti i membri della collezione non deve essere membro
della collezione”
11
.
Nel contesto logicista il principio del circolo vizioso offre
un’ossatura alla gerarchia dei tipi, in quanto vale da criterio
per fissare i limiti della significatività rispetto alle funzioni
proposizionali. Essendo l’ambiguità una caratteristica precipua
di una funzione, fino a che non si assegni il valore della
9
Whitehead, A. N., Russell, B., op. cit., p. 126.
10
Whitehead, A. N., Russell, B., ibidem, p. 84.
11
Whitehead, A. N., Russell, B., ibidem, p. 84.
15
variabile, segue che φ(x) ha un significato definito solo se gli
oggetti φ(a), φ(b), φ(c), ecc. sono definiti. Perciò “nessuna
funzione può avere tra i propri valori qualcosa che presupponga
la funzione stessa”
12
. Ma la gerarchia non è così semplice. Se
chiamiamo a-funzioni quelle significanti per un argomento dato a,
constatiamo che le varie a-funzioni non sono tutte di un tipo.
Distinguiamo in particolare quelle che non implicano riferimenti
a nessun insieme di funzioni, le a-funzioni predicative, da
quelle che implicano il riferimento a una totalità di funzioni.
In questo caso il rimando a tutti o a alcuni dei valori che una
variabile può assumere, cioè la presenza di variabili apparenti,
richiama il rischio di nuove fallacie. “Ogniqualvolta, con frasi
intorno a ‘tutti’ o ‘alcuni’ valori che una variabile può
sensatamente assumere, diamo origine a un nuovo termine, questo
nuovo termine non deve essere uno dei valori che la variabile
originaria può assumere, dato che, se lo fosse, la totalità dei
valori su cui la variabile può estendersi sarebbe definibile
12
Ibidem, p. 87. Secondo Kurt Gödel (Gödel, K., Russell’s Mathematical
Logic, in Schlipp P. A.(a cura di), The Philosophy of Bertrand Russell,
Library of living philosophers, vol. 5, Northwestern University, Evanston,
1944; trad. it. di C. Cellucci, “La logica matematica di Russell”, in
Cellucci, C.(a cura di), La filosofia della matematica, Laterza, Bari, 1967,
pp. 81-122) nei Principia Mathematica si riscontrerebbero in realtà tre
differenti principi del circolo vizioso, formulati in termini di definibilità,
di involgimento e di presupposizione. “La prima forma è di particolare
interesse perché solo questa rende impossibili le definizioni impredicative.”
Ma per Gödel questa è anche la forma meno plausibile delle tre: “si può
dimostrare che il formalismo della matematica classica non soddisfa il
principio del circolo vizioso nella sua prima forma, giacché gli assiomi
implicano l’esistenza di numeri reali definibili in tale formalismo solo
facendo riferimento a tutti i numeri reali”. Ma essendo la matematica classica
ricostruibile in base ai Principia, se ne deduce che il sistema stesso dei
Principia non soddisfa al principio del circolo vizioso. (cit. da pp. 92-93.)
Va comunque ricordato che, per Gödel, il principio del circolo vizioso nella
sua prima forma diviene necessario soltanto se si assume, rispetto agli
oggetti della logica e della matematica, una concezione nominalista, quale è
appunto quella condivisa da Bertrand Russell e Alfred North Whitehead nei
Principia. Intendendo invece le classi come oggetti reali, esso perderebbe il
suo ruolo centrale.
16
soltanto in termini di se stessa e ci troveremmo invischiati in
un circolo vizioso.”
13
Alla distinzione dei tipi si sovrappone quella degli ordini.
Funzioni proposizionali uguali per il tipo di argomento possono,
a seconda delle variabili apparenti che vi compaiono, appartenere
a ordini diversi. Grazie alla ramificazione in ordini, la
variabile apparente universalmente quantificata, tutti, non si
riferisce più a tutti gli oggetti di un determinato tipo ma viene
circoscritta alla struttura tipo + ordine.
2.c. Assiomi controversi
La teoria dei Principia introduce alcuni problematici assiomi, la
cui necessità non è di ordine logico, ma risponde all’obiettivo
di ovviare a ‘catastrofi matematiche’. Verrebbero a mancare la
teoria del transfinito e dei numeri reali, se non si assumesse
l’assioma dell’infinito. Esso equivale all’ipotesi che vi siano
insiemi infiniti; enunciato come: “Se n è un numero cardinale
induttivo, vi è almeno una classe di individui con n termini”
14
,
l’assioma comporta quindi che il numero totale degli individui al
mondo non sia un numero induttivo (cioè un numero naturale
definito, mediante il processo di induzione matematica, come
“posterità” di 0 rispetto alla relazione di ogni numero con il
suo successore). Infatti, se l’assioma è vero, non esisteranno
due cardinali con lo stesso successore: dati m e n due numeri
13
Russell, B., Introduction to Mathematical Philosophy, op. cit., p. 300.
14
Russell, B., ibidem, p. 212. A p. 192 della traduzione italiana dei
Principia, si dà la seguente enunciazione dell’assioma dell’infinito:
Infin ax.=:α∈NC induct.⊃
α
.∃!α
cioè se α è un numero cardinale induttivo qualsiasi, esiste almeno una classe
che ha α termini. In realtà secondo Russell non disponiamo né di argomenti
logici né di argomenti empirici per stabilire se l’assioma dell’infinito sia
vero o falso. Dal punto di vista logico, il fatto che il concetto di infinito
non sia autocontraddittorio, non lo rende infatti dimostrabile; dal punto di
vista empirico invece, i nostri sensi non sono abbastanza acuti per cogliere
se la struttura fisica (non matematica) dello spazio, del tempo e del
movimento nello spazio e nel tempo abbia grana continua o discreta.
17
cardinali induttivi distinti, avremo m + 1 ≠ n + 1. In modo
simile potremmo affermare che n è effettivamente diverso da n +
1, mentre senza l’assioma resta l’eventualità che n e n + 1 siano
entrambi la classe nulla. “Supponete che vi siano esattamente
nove individui nel mondo. (...) Allora i numeri cardinali
induttivi da 0 a 9 sarebbero tali quali li conosciamo, ma 10
(definito come 9 +1) sarebbe la classe-nulla. (...) Lo stesso
sarà per 9+2, o in generale per 9+n, a meno che n non sia zero.”
15
Adoperando i numeri per contare, anziché individui, classi,
classi di classi e così via, potremmo comunque raggiungere un
numero cardinale induttivo dato. Ma perdendo la progressione
effettiva, non potremmo passare all’intera classe dei numeri
cardinali induttivi. E poiché il numero dei numeri induttivi non
è induttivo, non potremmo uscire dall’aritmetica dei numeri
interi finiti.
Più impervio l’assioma di riducibilità, che scaturisce dal
conciliare la doppia gerarchia di ordini e tipi con il recupero
di parti della matematica, quali ad esempio la dimostrazione del
teorema di Cantor, secondo cui il numero dei membri di un insieme
dato α è sempre minore del numero dei sottoinsiemi di α.
L’assioma di riducibilità afferma che per qualsiasi funzione
proposizionale esiste una funzione predicativa formalmente
equivalente ad essa
16
. Dove una funzione si definisce predicativa
quando è dell’ordine immediatamente successivo a quello del suo
argomento. L’assioma di riducibilità rende inoperante la
distinzione in ordini; infatti “mediante questa assunzione,
l’ordine di una funzione non predicativa può essere abbassato di
15
Russell, B., ibidem, p. 214.
16
“L’assioma di riducibilità sta nell’assunzione che, data una funzione
qualsiasi φ^, vi è una funzione predicativa formalmente equivalente, ossia vi è
una funzione predicativa che è vera quando φx è vera e falsa quando φx è falsa.
In simboli l’assioma è
à :(∃ψ):φx.≡
x
.ψ!x.”.
Russell fornisce poi l’assioma analogo per il caso di due variabili:
Ã:(∃ψ):φ(x,y).≡
x,y
.ψ!(x,y) (cit. da p. 115 dell’ed. italiana dei Principia).
18
uno”
17
. Ma individuando nell’ordine più basso per ogni tipo
l’ordine predicativo, è possibile al contempo ascrivere alle
proprietà la stessa equivalenza che si ravvisa tra le funzioni.
In tal modo se ψ è l’equivalente predicativa di φ e gode della
proprietà f, l’ordine determinato da φ gode della proprietà f. In
altre parole esiste sempre un predicato equivalente a qualunque
proprietà individuata da una funzione non predicativa. L’assioma
di riducibilità permette quindi di sfuggire alla conclusione che
due oggetti possano concordare in tutti i loro predicati senza
essere identici. Considerando infatti che, se tutte le proprietà
di secondo ordine di x competono a y, allora tutti i predicati di
x competono a y, poiché ‘avere tutti i predicati di x’ è già una
proprietà di secondo ordine, non si può, senza l’assioma,
argomentare al contrario che se tutti i predicati di x competono
a y, allora tutte le proprietà di secondo ordine di x devono
competere a y.
E’ possibile, come commenta Russell, che con un’applicazione meno
drastica del principio del circolo vizioso divenga evitabile
l’assioma di riducibilità. Approfondendo questa intuizione, nel
1925 (The Foundations of Mathematics) Frank Plumpton Ramsey
asserisce che la teoria dei tipi sviluppata nei Principia
consterebbe in realtà di due parti distinte: A) la gerarchia
semplice dei tipi; B) la ramificazione in ordini, che rende
indispensabile l’assioma di riducibilità. Ognuna di queste due
parti, impropriamente unificate per deduzione comune dal
principio del circolo vizioso, si dirige contro un certo genere
di antinomie, che così risultano, a loro volta, ripartite in: A)
antinomie propriamente matematiche (sintattiche);B) antinomie
17
“L’assioma di riducibilità è equivalente all’assunzione che ‘qualsiasi
combinazione o disgiunzione di predicati è equivalente ad un predicato
singolo’, ossia all’assunzione secondo la quale, se asseriamo che x ha tutti i
predicati che soddisfano una funzione f(φ!z^), vi è un qualche predicato
singolo che x avrà ogniqualvolta la nostra asserzione è vera, e che non avrà
ogniqualvolta la nostra asserzione è falsa, e analogamente se asseriamo che x
ha un qualche predicato singolo di quelli che soddisfano una funzione f(φ!z^).”
Whitehead, A. N., Russell, B., op. cit., p. 120.
19
epistemologiche (semantiche)
18
. Le contraddizioni del gruppo B -
punto uno, cinque, sei, sette dell’elenco dei Principia - oggi
risolte mediante la differenziazione tra linguaggio e
metalinguaggio, contengono tutte, secondo Ramsey, un elemento
extra-logico, che scaturisce, più che dalla matematica stessa,
dalla riflessione sulla matematica e dall’introdursi, con questa
istanza di pensiero, di un riferimento al significato delle
parole. Tali fallacie non sarebbero perciò importanti per un
sistema di logica simbolica; ma con questa constatazione vien
meno l’esigenza di mantenere l’assioma di riducibilità, che
occorreva ad affrontarle. Le contraddizioni che, come quella
Russell, appartengono al gruppo A si annullano invece
direttamente, grazie alla teoria dei tipi semplici, osservando
che una funzione proposizionale non può prendere se stessa come
argomento: l’affermazione che una classe appartiene a se stessa
non è dunque né vera né falsa, ma priva di senso. In tal modo
Ramsey scioglie il nodo forse più scabroso della costruzione dei
Principia, ma al prezzo di restringere l’orizzonte della logica,
che più non ha accesso alle nozioni intensionali coinvolte nei
paradossi epistemologici.
18
Le antinomie semantiche elencate nei Principia sono quelle di:
Epimenide (o del mentitore - nella sua forma più semplice, A afferma: “A
mente”); Berry (o del più piccolo numero intero non nominabile in meno di n
sillabe); König (o del più piccolo ordinale non definibile); Richard (per la
sua descrizione si rimanda al cap. III della tesi). Figurano invece tra le
antinomie sintattiche quelle di: Russell (già enunciata al § 1 cap. I);
antinomia delle relazioni (variante dell’antinomia di Russell); Burali-Forti
(se la serie bene-ordinata degli ordinali ha come numero ordinale Ω, la serie
di tutti gli ordinali, Ω incluso, ha come ordinale Ω+1. Perciò Ω non è il
numero ordinale di tutti gli ordinali).