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Proprio per la necessità di rendere l’ingresso degli Stati candidati più agevole, fin dal 1990 la UE
ha creato il programma PHARE; i principali obbiettivi di questa iniziativa sono quelli di
consolidare il processo di riforma delle cosiddette economie di transizione e di promuovere una più
stretta integrazione tra i paesi PECO e l’Unione. Nel 1999 è stato adottato un programma speciale
di pre-adesione per l’agricoltura, chiamato SAPARD (Special Pre-accession Assistance for
Agriculture and Rural Developement ) mentre nel 2000 è entrato in vigore l’ISPA (Instument for
Structural Policies for Pre- accession).
E’ importante rilevare come il settore che più di tutti giocherà un ruolo determinante sulla riuscita o
meno del progetto allargamento sia l’agricoltura in quanto settore maggiormente interessato alle
politiche di regolamentazione della UE.
Il processo di adeguamento necessario all’integrazione dei Paesi dell’Europa centro- orientale è
ostacolato dall’esistenza di strutture agricole arcaiche, da carenze dell’industria di trasformazione e
ancora dalla confusione che regna per quanto concerne i rapporti di proprietà. Le implicazioni
finanziare prima dell’adesione dei paesi candidati, e soprattutto il finanziamento della politica
agricola comune dopo l’adesione, sono al centro dell’analisi dell’Unione.
La quadratura del cerchio, che consiste nel finanziare l’operazione ampliamento senza aumentare le
spese si fonda su due considerazioni: da un lato, far sì che le spese supplementari possano essere
assorbite in parte dalla crescita economica e, dall’altro, mantenere una fase di gradualità
nell’applicazione della politica comune ai nuovi Stati membri.
Secondo gli esperti della Commissione, l’applicazione immediata ad esempio dei pagamenti
compensativi potrebbe determinare squilibri per l’economia di un paese nuovo entrante; l’effetto
combinato dell’aumento dei prezzi , prevedibile dopo l’accesso, e l’aumento dei redditi legato ai
pagamenti compensativi potrebbe consentire agli agricoltori un reddito superiore al settore
industriale.
Tali conseguenze sarebbero molto sentite in Paesi come la Polonia in cui il settore agricolo
contribuisce, sia in termini di PIL che di occupati, in maniera rilevante all’economia del Paese.
Oltre all’aspetto strettamente finanziario però, è necessario prendere in considerazione le differenze
esistenti tra l’agricoltura dei quindici e quella dei paesi candidati dal punto di vista strutturale,
tecnico, igienico ed organizzativo.
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Partendo dai presupposti sopraccitati, l’obbiettivo del lavoro è stato quello di evidenziare, in un
particolare settore, quello della produzione del latte, quali saranno le opportunità o gli eventuali
rischi che si presenteranno tanto per l’Unione che per i Paesi candidati, ed in particolare la Polonia,
paese con una forte rilevanza nell’ambito dell’agricoltura Europea, al momento dell’integrazione
che avverrà a partire dal 2004.
Per svolgere questo lavoro, si è partiti dall’analisi dell’evoluzione storica dell’allargamento
dell’Unione Europea: delle ragioni e posizioni politiche nei confronti dell’allargamento dei propri
confini e di quali siano le istituzioni comunitarie che oggi si occupano di questo aspetto.
In seguito si è approfondito la componente tecnico- organizzativa relativa allo studio della filiera
del latte; è stata svolta una ricerca sui diversi aspetti che vengono presi in considerazione nella
definizione del concetto di filiera.
Al termine di questa prima fase strettamente teorica si è valutata la situazione della filiera del latte
in Polonia. Non essendo disponibili informazioni organizzate ed esaurienti sull’argomento, durante
l’estate del 2002, è stato effettuato un soggiorno presso l’università di agraria di Varsavia
(S.G.G.W.). Grazie al supporto fornitomi dal professore Gaworski, è stato possibile raccogliere le
informazioni sul campo, visitando aziende agricole, industrie di trasformazione, ed incontrare
rappresentanti del ministero dell’agricoltura, e di associazioni di categoria o grossisti. Inoltre è stato
possibile accedere a biblioteche in cui potere raccogliere dati e bibliografia specifica.
Al termine di questo studio è stato possibile fornire maggiori elementi per valutare i possibili
scenari d’integrazione in cui si troveranno ad interagire tutti i Paesi europei nel comparto lattiero-
caseario.
Allargamento: pericolo o opportunità?
Non c’è aspetto dell’iniziativa comunitaria che non sia stato tanto dibattuto e controverso come quello
relativo all’allargamento dell’Unione ai Paesi dell’Europa centro- orientale; tale fenomeno non è nuovo
perché, ogni volta che la Comunità ha deciso di aprire le porte ad altri soci, si è determinata una
situazione più o meno difficile di crisi interna. La nuova tornata di adesioni poi si è presentata fin da
subito, in termini molto più complessi delle precedenti per l’ampiezza delle operazioni necessarie per
renderla possibile, per le grandi differenze tra le economie dei Paesi dell’Unione e di quelli candidati e
anche per gli effetti che tale processo avrà sulla struttura della Comunità stessa.
Tra gli Stati membri che da sempre si sono mostrati più favorevoli all’allargamento vi è sempre stata la
Germania, per la quale il mercato orientale ha sempre rappresentato un potenziale grande sbocco
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commerciale oltre che una fonte di manodopera e un terreno di colonizzazione industriale; ma soprattutto,
l’ampliamento ha sempre rappresentato la possibilità per il governo di Bonn ma anche per tutta l’Europa
occidentale, di creare una fascia di sicurezza nei confronti della Russia.
A parte la posizione forte della Germania, l’allargamento è stato visto dai quindici come un enorme
investimento che porterà ad un aumento della sicurezza e della stabilità in tutto il continente.
D’altra parte alcune cifre statistiche hanno giustificato le tesi di coloro che hanno sempre visto il processo
di allargamento come un rischio: i futuri membri infatti hanno complessivamente il 34% della
popolazione dell’attuale Unione ma dispongono di un PIL pari soltanto al 10% di quello comunitario,
inferiore ad esempio a quello della sola Olanda (Mammella, Cacace, 1999); d’altra parte il peso
dell’agricoltura è nettamente più alto rispetto alla media dell’Unione ma con un livello tecnologico e di
produttività molto inferiore.
Inoltre alcuni economisti dubitano delle previsione della Commissione che si basano su presupposti
considerati troppo ottimistici, come ad esempio il tasso di crescita medio del 4% annuo delle economie
dei PECO o come la loro capacità di adeguarsi a tutti gli obblighi che un Paese membro deve avere a
partire da quelli economici ed delle istituzioni.
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CAP. I - L’ANALISI DI FILIERA
Una definizione generica di filiera spiega come essa possa essere intesa quale “ insieme degli stadi
che separano la materia prima o un prodotto semilavorato da un prodotto finito, potendo
quest’ultimo essere oggetto di consumo intermedio o finale” (Arena 1985).
Questa definizione potrebbe essere usata come base di partenza per ampliare ulteriormente il
concetto sopra esposto e trovarne diverse interpretazioni provenienti dagli studi condotti sulle
filiere a partire dagli anni ’60. Le diverse interpretazioni date pongono l’attenzione ognuno su uno
dei diversi aspetti che possono caratterizzare il concetto di filiera, senza però obbligatoriamente
escludersi a vicenda:
1. Dimensione tecnica: viene esaltata la dimensione tecnica della sequenza di operazioni che porta
da una materia prima ad un prodotto finito.
2. Strategie degli agenti economici: le filiera viene usata come riferimento per analizzare le
strategie d’impresa, considerando che esse possono esercitare il predominio su un insieme di stadi
successivi di produzione. (Morvan, 1982)
3. Monografica (filiera- prodotto): è un concetto molto versatile del concetto di filiera, che non
parte necessariamente da una materia prima e non arriva obbligatoriamente ad un prodotto finito,
ma analizza i diversi stadi produttivi di un particolare bene o servizio. All’interno della filiera è
così possibile identificare diverse sotto- filiere più specifiche. Secondo Malsot “ le filiere- prodotto
permettono di descrivere una struttura di relazioni di compravendita e danno, per ciascuno degli
stadi di produzione, il valore dei diversi rapporti di scambio, rendendo pertanto possibile, su questa
base, la realizzazione di studi sulle caratteristiche stesse di una filiera “.
Una dei principali approcci che possono permettere la comprensione e la valutazione
dell’efficienza delle filiere di produzione è quello dell’analisi dei costi di transazione. In questa
sede, tale analisi sarà solamente accennata ma non approfondita e rappresenta sicuramente un
ulteriore sviluppo del lavoro svolto in questo trattato.
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I costi di transazione vengono definiti anche come costi d’uso del mercato ovvero come tutti quei
costi che vengono sostenuti per cercare di capire il giusto prezzo di mercato, costi di negoziazione
che accompagnano ogni scambio, costi necessari a specificare accuratamente ogni dettaglio di una
transazione.
Grazie anche ai costi di transazione, è possibile spiegare il livello di coordinamento verticale tra i
diversi agenti della filiera ed è possibile evidenziare quanto è conveniente aumentare o meno tale
coordinamento no.
Per coordinamento verticale si intende l’insieme dei modi con cui si cerca di armonizzare tutti i
successivi passaggi che toccano i diversi operatori di una filiera a monte e a valle (Mighell, 1963);
è evidente come questo risulti essere un elemento centrale nello studio dell’organizzazione di
filiera. Il concetto di coordinamento verticale include una serie di diverse possibilità che vanno dal
cosiddetto spot market da una parte fino alla completa integrazione verticale dall’altra, ma che
comprende tutta una serie di forme intermedie. In generale comunque, è possibile individuare
diversi gradi di coordinamento verticale:
1. SPOT MARKET, in cui le merci sono scambiate in un mercato con molti venditori e
compratori, dove il prezzo è il solo elemento discriminante nella determinazione transazione tra le
diverse unità attive nel mercato: in uno spot market l’organizzazione di filiera è praticamente
assente, in quanto non esiste di fatto alcun tipo di coordinamento verticale tra le imprese che
operano nel mercato.
2. ALLEANZE STRATEGICHE, inteso come accordo stabilito tra due o più imprese che operano
verticalmente nella stessa filiera, allo scopo di perseguire un comune obbiettivo che comporti
benefici per tutte le imprese alleate ( ad esempio l’accordo tra un’azienda agricola produttrice di
latte ed una latteria od industria di trasformazione che si impegna ad acquistare tutta la produzione
a patto che questa rispetti determinate caratteristiche qualitative).
3. CONTRATTI FORMALI, nel caso in cui un’impresa devolva il controllo su alcuni aspetti della
produzione direttamente all’acquirente. I contratti possono essere a loro volta classificati in tre
gruppi:
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ι Market specification contracts: rappresentano un accordo tra un’impresa acquirente che si
impegna ad acquistare tutta la merce prodotta ed un’impresa fornitrice. Quest’ultima trasferisce di
fatto parte del rischio e delle decisioni di marketing direttamente all’impresa acquirente,
mantenendo solo il controllo sui processi produttivi.
ι Production- maagment contracts: danno ancora più controllo all’impresa acquirente, la quale
partecipa anche all’organizzazione dei processi produttivi intervenendo con controlli qualitativi e
imponendo specifiche forniture di materie prime.
ι Resource- providing contracts: l’impresa acquirente è di fatto un commissionario che ordina ad
un’impresa fornitrice la produzione di un dato prodotto, che non viene realmente venduto ma di
fatto appartiene al commissionario; l’impresa fornitrice viene cioè pagata sulla base del volume di
produzione.
4. INTEGRAZIONE VERTICALE, in cui un’impresa possiede due o più passaggi successivi
lungo la filiera di produzione.
Nella parte centrale di questa trattazione si è cercato quindi, oltre ai fattori tecnici, di analizzare
quali sono i diversi livelli di coordinamento e relazioni contrattuali che intercorrono tra gli agenti
della filiera del latte in Polonia. Il lavoro è stato svolto direttamente sul campo, ovvero grazie ad
una serie di visite presso aziende agricole, latterie, industrie di trasformazione, commercianti,
trasportatori, associazioni di categoria, pubblica amministrazione, distribuzione; per rendere il più
possibile standard la rilevazione delle informazioni e dei dati raccolti, è stato elaborato un
questionario con una serie di domande, diverse per ognuno dei sopracitati agenti che costituiscono
la filiera latte. L’elaborazione finale del testo è stata quindi fatta sia grazie a statistiche e dati
raccolti a livello nazionale, sia introducendo la realtà delle diverse strutture visitate. La sintesi dei
risultati emersi è fornita da una schematizzazione dei ruoli e dei rapporti tecnico- organizzativi
interni alla filiera nonché da una S.W.O.T. analysis relativa alla filiera stessa.
La S.W.O.T. analysis si configura come uno schema di classificazione delle caratteristiche di un
settore produttivo o singola attività basato sulla suddivisione ditali caratteristiche in Forza
(Strenght), Debolezza (Weakness), Opportunità (Opportunity), Minacce (Threats).
Di seguito è presentato il questionario utilizzato come base per il lavoro svolto in Polonia.