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politica dell'occupazione, la tutela dell'ambiente, la politica estera e di difesa, la
creazione di uno spazio di libertà e di sicurezza.
Nel 1998, l'Unione europea rappresenta il risultato degli sforzi compiuti fin dal 1950
dai promotori dell'Europa comunitaria. Essa costituisce l'organizzazione più
avanzata d'integrazione multisettoriale esistente, con capacità di agire nel settore
economico, sociale, politico, dei diritti dei cittadini e delle relazioni esterne dei 15
che ne sono membri. Il trattato di Parigi, che istituì la CECA nel 1951 e quelli di
Roma che istituirono la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea
per l'energia atomica (EURATOM) nel 1957, modificati nel 1986 dall'Atto unico
europeo, nel 1992 dal trattato sull'Unione europea, firmato a Maastricht e, da ultimo,
dal trattato di Amsterdam firmato nel 1997, sono le basi costituzionali di questo
insieme che crea fra gli Stati membri vincoli giuridici che vanno molto oltre le normali
relazioni contrattuali esistenti fra Stati sovrani. L'Unione europea produce essa
stessa una legislazione che si applica direttamente ai cittadini europei e crea diritti
specifici a loro favore.
Limitata, nella sua prima forma, alla realizzazione del mercato comune del carbone
e dell'acciaio tra i sei Stati fondatori (Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi,
Lussemburgo, Italia), la Comunità ha costituito in un primo momento un'iniziativa di
pace in quanto è riuscita ad associare i vincitori e i vinti dell'ultima guerra intra-
europea in un organo istituzionale retto dal principio dell'uguaglianza.
A partire dal 1957, dopo che il progetto di esercito europeo fallì nel 1954 per il rifiuto
di ratificarlo da parte dell'Assemblea nazionale francese, i sei Stati membri decisero
di costruire una Comunità economica sulla base della libera circolazione delle merci,
dei servizi e dei lavoratori. Al 1 gennaio del 1992 erano stati totalmente soppressi i
dazi doganali industriali e nel corso dello stesso decennio erano state avviate delle
politiche comuni, in particolare la politica agraria e la politica commerciale.
I successi dei Sei spinsero la Gran Bretagna, la Danimarca e l'Irlanda a unirsi ad
essi al termine di difficili negoziati ai quali la Francia del generale De Gaulle oppose
il suo veto a due riprese, nel 1961 e nel 1967. Il primo ampliamento, che fece
passare la Comunità da sei a nove membri nel 1973, coincise con un
approfondimento dei compiti di quest'ultima attraverso la realizzazione di nuove
politiche (sociale, regionale, ambientale).
Fin dall'inizio degli anni '70, divenne evidente la necessità di una convergenza delle
economie e di un'Unione monetaria, mentre la sospensione della convertibilità del
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dollaro in oro dava il via a un'epoca di grande instabilità monetaria mondiale,
aggravata dagli effetti della crisi petrolifera del 1973 e del 1979. La realizzazione del
Sistema monetario europeo, nel 1979, ha contribuito a rendere più stabili i rapporti
di cambio e a spingere gli Stati membri verso politiche di rigore che hanno
consentito loro di mantenere dei legami di solidarietà e di attenersi ai principi di uno
spazio economico aperto.
Nel 1981 e nel 1986, le adesioni della Grecia, della Spagna e del Portogallo hanno
rafforzato il versante meridionale della Comunità, rendendo ancor più necessaria la
realizzazione di programmi strutturali destinati a ridurre le disparità di sviluppo
economico fra i Dodici. Contemporaneamente, la Comunità si è affermata sul piano
internazionale consolidando i legami contrattuali stretti con i paesi del Mediterraneo
meridionale e con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, associati grazie alle
successive convenzioni di Lomé.
L'accordo firmato a Marrakech, il 14 aprile 1994, da tutti gli Stati membri del GATT
ha fatto entrare in una nuova fase di sviluppo il commercio mondiale. L'Unione
europea, che ha parlato con una sola voce, si è imposta nel corso dei negoziati,
lasciando la sua impronta e facendo valere i suoi interessi.
Prima potenza commerciale mondiale, l'Unione sta acquisendo gli strumenti che le
permettono di affermare la sua identità sulla scena internazionale e si pone
l'obiettivo di realizzare una politica estera e di sicurezza comune.
L'"europessimismo" dominante agli inizi degli anni '80, alimentato sia dagli effetti
della crisi economica mondiale che da un difficile dibattito interno sulla ripartizione
degli oneri finanziari, ha ceduto il posto, a partire dal 1985, a una nuova speranza di
rilancio della dinamica europea. Sulla base di un "Libro bianco", presentato nel 1985
dalla Commissione presieduta da Jacques Delors, la Comunità ha deciso di
completare la creazione del grande mercato interno per il 1 gennaio 1993.
L'impegno costituito da questa data e le disposizioni legislative che hanno reso
possibile il conseguimento di un obiettivo così ambizioso, vennero sanciti nell'Atto
unico europeo, firmato nel febbraio 1986 e entrato in vigore il 1 luglio 1987.
La caduta del muro di Berlino, seguita dalla riunificazione tedesca, avvenuta il 3
ottobre 1990, e la democratizzazione dei paesi dell'Europa centrale e orientale,
liberati dalla tutela dell'Unione sovietica, la quale si dissolve nel dicembre 1991,
trasformano profondamente la struttura politica del continente. I Dodici si sono
impegnati in un processo di approfondimento della loro unione negoziando un
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nuovo trattato le cui linee direttrici sono fissate dal Consiglio europeo di Maastricht,
del 9-10 dicembre 1991.
Il trattato sull'Unione europea, entrato in vigore il 1 novembre 1993, fissa per gli Stati
membri un programma molto ambizioso: la realizzazione di un'unione monetaria
entro il 1999, l'elaborazione di nuove politiche comuni, l'istituzione di una
cittadinanza europea, la creazione di una politica estera e di sicurezza comune,
l'organizzazione della sicurezza interna. Una clausola di revisione stabilita dal
trattato di Maastricht ha portato gli Stati membri a negoziare un nuovo trattato,
firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, che ritocca e potenzia le politiche e gli
strumenti dell'Unione, segnatamente nei settori della cooperazione giudiziaria, della
libera circolazione delle persone, della politica estera e della sanità pubblica. Grazie
a tale trattato, il Parlamento europeo, espressione democratica diretta dell'Unione,
acquista nuove competenze che confermano il suo ruolo di colegislatore.
Il 1 gennaio 1995 sono entrati nell'Unione europea tre nuovi paesi, l'Austria, la
Finlandia e la Svezia che arricchiscono l'Europa con il loro patrimonio culturale e le
aprono nuovi spazi nel cuore dell'Europa centrale e settentrionale.
Successivamente l'Unione dei Quindici si è trovata ad affrontare due grandiose
sfide: l'allargamento ai dieci paesi dell'Europa centrale e orientale, con i quali il
Consiglio europeo di Lussemburgo del 13 dicembre 1997 ha deciso di avviare
negoziati di adesione a partire dalla primavera del 1998; e lo sfruttamento delle
potenzialità dell'Unione monetaria con della creazione dell'euro.
Tali sfide richiedono un forte impegno. È infatti impensabile che un'Unione di oltre
25 membri possa funzionare se non si provvede a consolidarne i meccanismi
decisionali e se non si possiede la certezza che le politiche di solidarietà e le
politiche di azione comune beneficeranno di un sistema di finanziamento equo ed
efficace. Altrettanto difficile si presenta mantenere il consenso degli Stati sui grandi
obiettivi comuni che ci si prefigge e sugli strumenti di cui occorrerà servirsi per
realizzare tali obiettivi in un contesto, come quello dell'ampliamento, che aumenterà
l'eterogeneità degli interessi e delle vedute in seno all'Unione. La Commissione
europea, presieduta da Jacques Santer, ha presentato nel luglio 1997 l' "Agenda
2000", sulla cui base i governi si sono impegnati ad un'approfondita revisione delle
politiche strutturali e della politica agricola comune.
L'Unione non ha quindi altra scelta che continuare a progredire sulla strada di
un'organizzazione che sia al tempo stesso democratica ed efficace, in grado di
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decidere e di agire, ma rispettosa dell'identità degli Stati. Senza il rafforzamento
delle sue strutture e la razionalizzazione dei suoi meccanismi decisionali, l'Unione
rischierà di indebolirsi o di rimanere paralizzata. Ora, la "Grande Europa" in
gestazione potrà essere una potenza organizzata solo se saprà esprimersi con una
voce sola negli affari mondiali.
Quasi mezzo secolo di edificazione europea ha profondamente segnato sia la storia
del continente che la mentalità dei suoi abitanti e ha modificato gli equilibri del
potere. I governi degli Stati membri, quali che siano le loro tendenze politiche, sanno
che l'era delle sovranità nazionali assolute è tramontata e che solo l'unione delle
forze e l'adesione ad un "destino ormai comune", secondo le parole di Robert
Schuman, consentiranno alle vecchie nazioni di proseguire il progresso economico
e sociale e di mantenere la loro influenza nel mondo.
Il metodo comunitario, basato su un dialogo permanente fra gli interessi nazionali e
l'interesse comune, che nel rispetto delle diversità nazionali sviluppa un'identità
propria all'Unione, non ha perso nulla del suo valore iniziale. Ideato per superare gli
antagonismi nazionali e cancellare le velleità di supremazia e il ricorso alla forza che
contraddistinguevano le relazioni tra gli Stati, questo metodo ha reso possibile la
coesione dell'Europa democratica, legata ai valori di libertà, durante tutti gli anni
della guerra fredda. La scomparsa dell'antagonismo Est-Ovest e la riunificazione
politica ed economica del continente sono la conferma della vittoria dello spirito
europeo, di cui i popoli avranno sempre più bisogno in futuro.
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2. Allargamento a Est
Il 13 dicembre 1997, l'Europa dei Quindici ha deciso di aprirsi verso Est. Infatti, il
Consiglio europeo riunitosi a Lussemburgo il 12 e 13 dicembre 1997 ha dato l'avvio
al processo di ampliamento dell'Unione che dovrebbe svolgersi "a tappe,
assecondando i ritmi di ciascuno Stato candidato in funzione del suo grado di
preparazione". L'obiettivo è quello di "mettere gli Stati candidati in condizione di
aderire all'Unione e al tempo stesso di preparare quest'ultima all'ampliamento nelle
migliori condizioni possibili". Tale decisione rappresenta il risultato di un lungo
processo di relazioni con i paesi dell'Europa centrale e orientale e con Cipro e Malta
che ha preso il via all'indomani della caduta del muro di Berlino e della successiva
dissoluzione dell'Impero sovietico.
In occasione del vertice di Parigi (luglio 1989), i membri del G-7 (principali paesi
industrializzati) hanno affidato alla Commissione il mandato di coordinare il
programma di assistenza economica deciso a favore della Polonia e dell'Ungheria.
Gli altri paesi membri dell'OCSE si sono uniti a questo appello formando il G-24 [CE
(12 Stati membri all'epoca), EFTA (6 paesi), USA, Canada, Giappone, Nuova
Zelanda, Australia e Turchia]. Il programma PHARE (Polonia, Ungheria, assistenza
alla ristrutturazione economica) è stato esteso alla Repubblica ceca, alla
Slovacchia, alla Bulgaria, alla Romania, ai tre Stati baltici, all'Albania e ad alcuni
Stati dell' ex-Jugoslavia.
Per questo programma sono stati scelti cinque settori di azione prioritaria: l'accesso
al mercato dei paesi donatori per le merci provenienti dai paesi beneficiari,
l'agricoltura e l'industria alimentare, la promozione degli investimenti, la formazione
e l'ambiente.La filosofia generale che è alla base dell'azione comunitaria e che trova
espressione nel programma PHARE è la seguente: i doni debbono essere utilizzati
per agevolare la transizione economica e sociale dei PECO e consentire a questi
ultimi di partecipare al processo di integrazione europea. Più che progetti isolati,
l'Unione europea finanzia dei programmi la cui gestione e attuazione avviene in
maniera decentrata. Indipendentemente dal settore d'intervento, la Comunità e il
paese beneficiario si adoperano per coinvolgere diverse organizzazioni nelle azioni
volte a contribuire allo sviluppo della società civile. A partire dal 1990, l'Unione
europea e gli Stati membri hanno investito oltre 140 miliardi di ECU in prestiti e aiuti
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ai PECO e ai nuovi Stati indipendenti dell'ex URSS (Dichiarazione di Jacques
Santer in occasione del vertice transatlantico del 28 maggio 1997).
Nell'ottica di favorire una maggiore integrazione del continente, l'Unione ha
concluso, con alcuni paesi dell'Europa centrale ed orientale e con i paesi baltici,
degli accordi d'associazione specifici che prolungano ed ampliano l'azione svolta in
quest'ambito dal programma PHARE. Questi "accordi europei", basati sull'articolo
310 (ex art. 238) del Trattato UE sono accordi misti che riguardano settori di
competenza sia nazionale che comunitaria.
I principali obiettivi di tali accordi sono: la promozione del dialogo politico, il
sostegno alla libertà degli scambi e alla libera circolazione, l’incremento della
cooperazione economica, della cooperazione finanziaria e della cooperazione
culturale.
Il 22 giugno 1993, il Consiglio europeo di Copenaghen, ha adottato il principio
secondo cui i paesi PECO associati che lo desiderino potranno diventare membri
dell'Unione europea: "l'adesione avrà luogo non appena il paese membro associato
sarà in grado di far fronte a tutti gli impegni che ne conseguono, soddisfacendo le
condizioni economiche e politiche richieste". Queste condizioni comprendono delle
istituzioni democratiche stabili, il rispetto delle minoranze, l'esistenza di un'economia
di mercato in grado di far fronte alla pressione della concorrenza all'interno
dell'Unione, nonché la capacità di conseguire gli obiettivi dell'unione politica,
economica e monetaria.
Il 16 luglio 1997, a seguito della presentazione ufficiale da parte di dieci Stati
dell'Europa dell'Est più Cipro (Malta aveva ritirato la propria candidatura nell'ottobre
1996) della richiesta di adesione all'Unione europea, la Commissione europea ha
trasmesso al Parlamento europeo l'Agenda 2000, una comunicazione che illustra
dettagliatamente la preparazione a tali adesioni. Dopo aver proceduto ad un esame
minuzioso del questionario compilato dai PECO relativo alle loro istituzioni e alle
riforme in corso, la Commissione ha raccomandato l'apertura di negoziati di
adesione con l'Estonia, l'Ungheria, la Polonia, la Repubblica ceca e la Slovenia in
quanto ha ritenuto che tali Stati soddisfacessero meglio i criteri stabiliti dal Consiglio
europeo di Copenaghen del giugno 1993.
Il Consiglio europeo di Lussemburgo del 13 dicembre 1997 ha stabilito quali sono gli
Stati con cui possono avere inizio i negoziati: sulla base del parere della
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Commissione, il processo di adesione riguarderà gli Stati candidati dell'Europa
centrale ed orientale e Cipro.
A titolo preventivo, è stata convocata una conferenza europea "per riunire gli Stati
membri e gli Stati candidati in possesso dei requisiti per l'adesione" all'Unione e atti
a "condividere i suoi valori ed obiettivi sia interni che esterni". La conferenza
europea rappresenta l'occasione per una consultazione politica multilaterale su
questioni di interesse generale per i partecipanti al fine di sviluppare ed intensificare
la loro cooperazione nei settori della politica estera e della sicurezza, della giustizia
e degli affari interni, nonché in altri settori d'interesse comune segnatamente in
materia di economia e di cooperazione regionale.
La prima sessione della conferenza si è tenuta a Londra il 12 marzo 1998 e la
Turchia non ha inviato alcun suo rappresentante.
Il processo di adesione ha preso l'avvio il 30 marzo 1998 con la creazione di un
dispositivo di inquadramento specifico, strettamente legato alla strategia rafforzata
di pre-adesione il cui obiettivo consiste nel maggiore allineamento possibile degli
Stati candidati all'acquis comunitario già prima dell'adesione. In tale ottica, sarà
considerevolmente aumentato l'aiuto di pre-adesione che, a partire dall'anno 2000,
comprende, a complemento del programma PHARE, aiuti per l'agricoltura e uno
strumento strutturale per privilegiare le azioni simili a quelle del Fondo di coesione.
Nell'Agenda 2000, la Commissione ha proposto di riservare, fino al 2006, ai paesi
candidati una dotazione globale di 45 miliardi di ECU di cui 7 sotto forma di aiuti di
pre-adesione. In considerazione del suo elevato livello di sviluppo ed assimilazione
dell'acquis comunitario, per Cipro è stata prevista una strategia particolare.
I negoziati di adesione si sono aperti il 31 marzo 1998 sotto forma di conferenze
intergovernative bilaterali con Cipro, Estonia, Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e
Slovenia. Parallelamente è stata accelerata la preparazione dei negoziati di
adesione per gli altri Stati candidati.
L'ampliamento in corso dell'Unione europea rappresenta per quest'ultima una sfida
eccezionale in considerazione del gran numero di paesi candidati, della consistenza
numerica della popolazione e del considerevole divario tra il grado di sviluppo di tali
paesi e quello della media comunitaria. L’Unione si è proposta di realizzare
l'integrazione di un insieme di 110 milioni di abitanti, pari ad un quinto della
popolazione dell'Unione, ma il cui PIL corrisponde a meno del 5% di quest'ultima.
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Questa è l'impresa che si accingono a compiere le istituzioni europee nei prossimi
decenni, senza peraltro dimenticare la necessità di vigilare sul miglioramento delle
loro procedure di decisione al fine di evitare la paralisi o la dissoluzione
(Dichiarazione del Consiglio europeo di Lussemburgo in data 13 dicembre 1997:
"L'ampliamento dell'Unione richiede preventivamente un potenziamento e un
miglioramento del funzionamento delle istituzioni conformemente alle disposizioni
del trattato di Amsterdam sulle istituzioni." )
Rimane invece non risolta la questione dei rapporti con la Turchia. La Comunità
europea ha istituito del legami contrattuali con la Turchia fin dal 1963, anno in cui è
stato firmato un accordo di associazione finalizzato alla creazione di un'unione
doganale. Si è dovuto tuttavia attendere il 31 dicembre 1995 perché tale accordo,
che consente l'abolizione immediata e reciproca dei diritti doganali per i prodotti
manufatti, entrasse in vigore. La Turchia si è impegnata ad adottare una tariffa
doganale comune. La Turchia ha però sempre insistito per approfondire le sue
relazioni con l'Unione e far sì che queste andassero al di là della semplice unione
doganale ed ha pertanto presentato, il 14 aprile 1987, una domanda di adesione
all'Unione.
Il caso specifico della Turchia è da anni oggetto di accese discussioni. Il Consiglio
europeo di Lussemburgo del 13 dicembre 1997 ha confermato "l'ammissibilità della
Turchia all'adesione all'Unione europea" e l'ha invitata a partecipare alla Conferenza
europea "che riunirà gli Stati membri dell'Unione europea e gli Stati europei che
desiderano aderirvi e che ne condividono i valori e gli obiettivi interni ed esterni".
Tuttavia si ritiene che, per quanto riguarda le condizioni politiche ed economiche
attuali, la Turchia non soddisfi ancora i requisiti di adesione.
Lo smembramento dell'Unione sovietica e la transizione dei Nuovi Stati Indipendenti
ad un economia di mercato hanno rappresentato per l'Unione europea l'occasione
per instaurare dei rapporti di solidarietà con gli Stati dell'ex URSS (Armenia,
Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Uzbekistan,
Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina) e con la Mongolia. Analogamente al
programma PHARE per i paesi dell'Europa orientale e centrale, il programma TACIS
consente di fornire un'assistenza tecnica ed economica a tali Stati con l'obiettivo
della transizione ad un'economia di mercato. Il suddetto programma porta il suo
sostegno a numerosi settori: la sicurezza nucleare, l'energia, la riforma della
pubblica amministrazione, la creazione di imprese, ecc. Con l'investimento di una
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somma pari a 2,27 miliardi di ECU nel periodo compreso tra il 1991 e il 1995,
l'Unione europea è diventata la finanziatrice principale di tali paesi.
Parallelamente al programma TACIS, sono stati conclusi degli accordi direttamente
con alcuni Stati come gli accordi di compartecipazione che l'Unione europea ha
concluso nel giugno 1994 con la Russia e l'Ucraina e che si propongono di
realizzare, entro la fine del secolo, una zona di libero scambio e di favorire in tali
due paesi lo sviluppo di una vera economia di mercato e la stabilità delle rispettive
monete.
L'accordo interinale tra la Russia e l'Unione europea, entrato in vigore il 1° febbraio
1996, corrisponde alla parte commerciale dell'accordo di compartecipazione firmato
nel giugno 1994 ed entrato in vigore il 1° dicembre 1997. L'obiettivo principale di tale
accordo consiste nel far beneficiare la Russia della clausola della nazione più
favorita. Oltre a tale accordo commerciale, sono state create le basi per lo sviluppo
del dialogo politico.
Tuttavia, tali paesi per il momento non sono in condizione di aderire all'Unione
europea in quanto mancano delle necessarie infrastrutture e devono concentrarsi
sulla propria rinascita.
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3. Prospettive Mediterranee
Passando da ipotesi teoriche a prospettive realistiche, un obiettivo di allargamento
che può essere preso in considerazione riguarda il bacino dl Mediterraneo.
Diverse tappe sono state già percorse, ma il percorso è ancora lungo, sebbene i
rapporti di cooperazione, in molte aree, siano sempre più intensi e efficaci.
Le modalità con cui viene immaginato e pensato il Mediterraneo fanno riferimento,
da un lato, ad un'idea di frontiera e luogo di conflitti, dall'altro ad uno spazio di
cooperazione e di solidarietà. Sostiene Jacques Lévy "Il Mediterraneo è la parte
dell'Europa più influenzata dalle civiltà musulmane: Andalusia, Balcani, Sud della
Francia e dell'Italia ma anche, a sud, una parte della non-Europa dove l'impronta
Europea fu e resta profonda. La costruzione degli Stati e degli imperi ha fatto di
questa interfaccia culturale un fronte geopolitico"
1
. Una frontiera dunque, ma anche
un "crocevia" aperto agli scambi ed alla cooperazione dove vengono a contatto
culture, sistemi economici e sociali.
La questione dei rapporti tra la Comunità Europea ed i Paesi Terzi del Mediterraneo
(PTM) si pone agli inizi degli anni '60, quando la Francia sottolinea la necessità di
rafforzare le interdipendenze commerciali, frutto di decenni di rapporti coloniali, tra
alcuni Stati europei e Paesi del Mediterraneo.
Ma bisogna attendere il vertice di Parigi del 19 ottobre 1972 per la definizione di una
strategia, la cosiddetta politica Globale Mediterranea, che copre il periodo dal 1976
al 1990. L'asse centrale è rappresentato dal libero accesso ai mercati della
Comunità per i manufatti dei paesi del bacino mediterraneo.
Ma gli esiti consentono un modesto bilancio da addebitare, tra l'altro, alla crisi del
tessile europeo che impone auto-limitazioni nelle esportazioni ai partner dell'area
mediterranea ed all'allargamento della Comunità verso sud (Spagna, Grecia e
Portogallo) con le relative tensioni nel mercato dei prodotti agricoli.
Nel giugno 1990 la Commissione europea presenta una comunicazione su "Un
nuovo profilo per la politica mediterranea - Proposta per il periodo 1992-1996", avvio
di quella che viene definita Politica Mediterranea Rinnovata. Il successivo
Regolamento del Consiglio, nel dicembre dello stesso anno, si pone quale quadro di
riferimento, con un accresciuto sostegno ai progetti di carattere regionale,
soprattutto in materia ambientale e nuove forme di partenariato con i paesi dell'area.
1
www.europa.eu.int/comm
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Ma la vera svolta è rappresentata dalla Conferenza di Barcellona del 27 e 28
novembre 1995. Per la prima volta i quindici Paesi membri dell'Unione Europea e
dodici Paesi del sud e dell'est del Mediterraneo (Algeria, Tunisia, Marocco, Egitto,
Israele, Giordania, Autorità palestinese, Libano, Siria, Turchia, Cipro e Malta) sono
riuniti intorno ad un documento finale (Dichiarazione sul Partenariato
Euromediterraneo) ed al programma di lavoro allegato centrato sui temi
dell'allargamento del mercato, dell'assistenza ed integrazione reciproca nei settori
della sicurezza, della tutela dei diritti umani e del rispetto delle diversità culturali e
religiose.
Il processo avviato a Barcellona rappresenta una grande risorsa strategica, politica
ed economica per i paesi che vi partecipano e rappresenta oggi un "fondamentale
laboratorio di dialogo e cooperazione".
La stabilità delle relazioni tra i paesi coinvolti, nonostante le costanti tensioni nella
regione, testimonia la solidità di un processo ormai irreversibile teso a realizzare
un'area euro-mediterranea di pace e prosperità.