Si delinea, in seguito, un quadro generale di quella che è l’istituzione museale,
dalle sue più lontane origini, fino all’attuale definizione dell’ICOM (International
Council of Museums). Si rende necessario, inoltre, compiere alcune riflessioni
sulle nuove modalità di concepire un’esposizione e sull’emergere della
differenza, ormai marcata, fra musei intesi nel senso tradizionale del termine e
science centres, che prevedono per il visitatore una serie di attività hands on.
L’introduzione di molti elementi innovativi, che garantiscano un maggior
coinvolgimento del pubblico, sono ormai resi indispensabili dal bisogno di
soddisfare un nuovo appétit culturel, che coinvolge moltissime persone, senza
limiti di età o livello di studio. Si tratta della cosiddetta educazione permanente
o long life learning, che dal punto di vista strettamente comunicativo implica
una consapevolezza della necessità di utilizzare tutti gli strumenti di
comunicazione possibili per istituire un nuovo rapporto fra didattica e maieutica.
La trattazione separata del concetto di museo e della storia evolutiva della
tecnologia informatica funge da preambolo all’analisi di quaranta istituzioni
museali e centri scientifico-tecnologici, sia reali che virtuali. Verranno
accuratamente analizzati i rispettivi siti web rivolgendo particolare attenzione al
contenuto informatico, nonché alla tipologia di percorso espositivo proposto, in
base al quale sono state specificate due categorie fondamentali. Si individuano
così i musei tematici, che concentrano la loro attenzione su argomenti precisi e,
per tale motivo, possono essere definiti anche musei delle idee, in
contrapposizione ai musei degli oggetti, gli storico-conservativi, caratterizzati da
percorsi espositivi lineari, che seguono la cronologia dello sviluppo tecnologico.
Le strutture museali comprese in quest’ultima classe vengono a loro volta
distinte in base alle loro caratteristiche costitutive e allo scopo che si
prefiggono. Nascono così sei sotto-categorie, la cui eterogeneità è confermata
anche dal fatto di attrarre diverse tipologie di pubblico.
L’osservazione dei musei individuati comporta certamente l’inevitabile emergere
sia delle loro caratteristiche positive che di alcune lacune. Nel presente lavoro si
opta per offrirne un resoconto sotto una forma particolare: la possibile
progettazione di un museo di informatica, nello specifico di tipo divulgativo, che
incarni tutti gli aspetti più brillanti di quelli analizzati e, allo stesso tempo,
proponga anche qualche idea nuova, soprattutto nella gestione del rapporto
con i visitatori e la comunità, per sottolineare quale ventaglio di futuri possibili
si apre e quale tipo di nuovo progetto museale può prospettarsi.
CAPITOLO 1
“It is possible to believe that all the past is but the beginning of a beginning,
and that all that is and has been is but the twilight of the dawn”
1
H.G.Wells
1.1. I PRIMI STRUMENTI DI CALCOLO: DALLA MANO AI CALCOLATORI
MECCANICI
La storia degli strumenti di calcolo ha inizio con quella delle antiche civiltà e per
lungo tempo è legata all’impiego di strumenti molto semplici, ma efficaci per
operare con i numeri. Diversi ritrovamenti risalenti a 30.000-40.000 anni fa,
come incisioni su ossa, inducono a pensare ad un uso rudimentale di simboli
per la rappresentazione di quantità numeriche. Il primo strumento di calcolo in
assoluto è stato il corpo umano e, in particolare, la mano: grazie alle mani gli
egiziani riescono a rappresentare tutti i numeri sino a 9999 e sono in grado di
eseguire addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e anche calcoli più complessi. Il
termine inglese "digit" ("cifra"), oggi tanto usato, deriva proprio dalla parola
latina digitus ("dito"). Gli evidenti limiti di tali sistemi, però, conducono
all’utilizzo di tecniche diverse come l’incisione di tacche su pezzi di legno o
d’ossa e i quipus, tipici della civiltà incas, basati su piccole corde annodate.
Le popolazioni greche e romane adottano il sistema dell’abaco, formato da una
tavoletta munita di scanalature parallele provviste di piccole pietre o pallottole
mobili.
1
Wells H.G., The discovery of the future, Pubblicazione: Girardi: Haldeman-Julius Company,
p.326
L’abaco europeo, di cui il più antico esemplare risale al IV sec. a.C., si
differenzia dal soropan giapponese e dal suan pan cinese, caratterizzato da una
tavoletta divisa in due parti.
Percorrendo la storia attraverso il lavoro di numerosi studiosi e la creazione di
vari strumenti, come il quadrante o il compasso proporzionale, ci si imbatte
inevitabilmente nella figura di John Napier barone di Merchiston (1550-1617).
Nella sua opera Rabdologia del 1617 egli dichiara “Eseguire dei calcoli è
operazione difficile e lenta [...] Ho cercato sempre - usando tutti i mezzi che
avevo a disposizione e con le forze che il mio intelletto mi ha dato - di rendere
più agevole e spedito questo processo. È con questo scopo ben fisso nella
mente che ho elaborato il metodo dei logaritmi, a cui ho dedicato molti anni di
studio... Nello stesso tempo, a beneficio di chi volesse far uso solo dei numeri
naturali, ho predisposto altri tre brevi metodi di semplificazione dei calcoli. Il
primo dei quali e stato battezzato Rabdologia”
2
, pensando le asticelle utilizzate
come metafore del bastone del rabdomante. Lo strumento è costituito da una
serie di dieci o più bastoncini che riportano, utilmente suddivisa, la tavola
pitagorica: i bastoncini sono generalmente realizzati in avorio. Quest'ultima
circostanza si trova all'origine del loro appellativo: “ossa” di Nepero (nome
latinizzato di Napier). Ogni faccia longitudinale è divisa in dieci parti uguali,
nove parti all'interno e una decima suddivisa in due metà poste ai due estremi.
La scelta della sezione quadrata rende disponibili su ogni righello quattro facce
uguali su cui disporre, uno sotto l'altro i multipli dei numeri da 1 a 9. Ognuno
2
Napier J., Rabdologiae, seu numerationis per virgulas libri duo : cum appendice de
expeditissimo multiplicationis promptuario;quibus accessit & arithmetica localis li, Osnabruck:
Zeller, 1966
dei nove quadratini è, a sua volta, diviso con la diagonale in due triangoli
uguali: per ciascun numero la cifra delle decine si colloca nel triangolo di
sinistra, quella delle unità in quello a destra. Come già indicato, si deve allo
stesso Napier l’invenzione dei logaritmi, che ha permesso la realizzazione del
regolo calcolatore. I logaritmi hanno determinato una rivoluzione nel calcolo
scientifico e tecnico rimasta ineguagliata fino all'avvento del calcolo digitale e
del computer elettronico. Nel 1624 viene proposta da Edmund Gunter (1581-
1626) la "riga calcolatrice", sulla quale sono riportati, da un’origine, dei
segmenti di lunghezza proporzionale ai logaritmi dei numeri inscritti: con l'uso
del compasso è possibile effettuare la moltiplicazione e la divisione dei numeri.
Successivamente si decide di riportare la stessa scala su due regoli diversi e
scorrevoli l’uno accanto all’altro, rendendo così superfluo l’uso del compasso. In
Italia il regolo calcolatore logaritmico è introdotto verso il 1850 da Quintino
Sella, ministro e ingegnere biellese, che nel 1859 pubblica la prima edizione di
“Teoria e Pratica del Regolo Calcolatore”. Questo strumento, che viene costruito
in vari materiali e forme, è ampiamente usato in ogni campo della scienza e
della tecnica, tanto da diventare il simbolo del calcolo ingegneristico fino
all’avvento delle calcolatrici elettroniche tascabili. Il regolo calcolatore
logaritmico è un strumento analogico: si basa, quindi, sul concetto di grandezza
fisica e rappresenta un numero come il risultato della misurazione di tale
grandezza su un oggetto specifico. Nella rappresentazione numerica (o
digitale), al contrario, il numero viene rappresentato in modo discreto, come un
insieme composto da unità elementari considerate indivisibili (ad esempio, in
una taglia ogni singola tacca, oppure in un abaco ogni singolo sassolino).
Fa parte di quest’ultimo paradigma tutto l’insieme delle calcolatrici meccaniche,
che devono la loro realizzazione al progresso della meccanica di precisione,
sviluppatasi a partire dall’invenzione dell’orologio a pendolo, costruito per la
prima volta nel 1656 da Christian Huygens. La caratteristica essenziale di tale
strumento, però, viene individuata da Galileo Galilei già nel 1583 grazie
all’osservazione di un lampadario oscillante all’interno della Cattedrale di Pisa. Si
tratta del fenomeno di isocronismo, per cui il periodo di oscillazione di un
pendolo è indipendente dalla sua ampiezza, se le oscillazioni comunque sono di
piccola portata.
Gli sviluppi verso la possibilità di automatizzare i calcoli iniziano con l’invenzione
di strumenti meccanici in grado di effettuare automaticamente le quattro
operazioni base. La prima macchina addizionatrice basata su trasmissione ad
ingranaggio risale all’opera della poliedrica figura di Whilhelm Schickard.
Intorno al 1623, egli progetta un apparecchio che include sia una meccanismo
fondato sulle ossa di Nepero sia un meccanismo che addizioni i prodotti parziali
ottenuti per completare automaticamente l’intero processo moltiplicativo. Il
dispositivo dispone di ruote dentate e di un’ingegnosa campanella che avverte
l’utente quando i calcoli superano la capacità della macchina. Nonostante tale
strumento venga distrutto durante la Guerra dei Trent’anni, attraverso lo studio
dei disegni e delle ritrovate lettere che Schickard è solito scambiarsi con l’amico
Keplero, il professor Bruno barone von Freytag Loringhoff, esperto di
meccanismi di orologi, si rivela in grado di farne una ricostruzione.
L’anno in cui viene elaborata la macchina di Schickard, detta “orologio
calcolatore”, vede anche la nascita del grande filosofo e matematico francese
Blaise Pascal, che, a soli diciannove anni, per aiutare il padre esattore delle
tasse a Rouen, progetta la prima delle sue numerose macchine da calcolo. Ha le
dimensioni di una piccola scatola adatta al lavoro da tavolo. La superficie
superiore è caratterizzata da una serie di ruote dentate usate per inserire i dati
e da una successione di finestre in cui appare il risultato. Il meccanismo di
base, seppur molto ingegnoso, si rivela particolarmente delicato e, se non viene
trattato con la massima cura, facilmente fornisce risultati erronei.
Il lavoro di Pascal influenza anche il tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz che, anni
più tardi, idea una macchina moltiplicatrice basata su di un dispositivo chiamato
ruota di Leibniz. Si tratta di un traspositore cilindrico a denti scalati, grazie al
quale si possono effettuare tutte e quattro le operazioni. E’ un ulteriore passo
avanti rispetto alla pascaline, con la quale la moltiplicazione viene eseguita
ripetendo l’addizione. Leibniz lavora molto per perfezionare la macchina ma,
come altri, incontra due grossi ostacoli: la povertà di materiali e l’incapacità
degli operai. Si rivelerà molto utile l’aiuto di un orologiaio che contribuirà alla
realizzazione della versione finale del 1674, tutt’ora in esposizione alla
Landesbibliothek di Hannover.
Sul modello della macchina di Leibniz il francese Charles-Xavier Thomas de
Colmar nel 1820 costruisce la prima vera calcolatrice, commercializzata con
notevole successo: l’aritmometro. Alcuni cambiamenti apportativi e migliorie
nelle tecniche di manodopera lo rendono molto più facile da usare ed affidabile,
tanto che resterà in produzione fino all’inizio della Prima Guerra Mondiale.
Non bisogna dimenticare, poi, lo scienziato padovano Giovanni Poleni, ideatore
della macchina aritmetica in grado di eseguire tutte e quattro le operazioni.
Anche in questo caso viene utilizzato un traspositore, ma differente rispetto a
quello di Leibniz, poiché basato su ruote con un numero variabile di denti. Tale
dispositivo sarà ulteriormente perfezionato dallo statunitense Frank.S.Baldwin e
dallo svedese W.T. Odhner.
1.2. GLI AUTOMATISMI E IL CONCETTO DI PROGRAMMAZIONE
Lo sviluppo dei moderni calcolatori richiede l'introduzione di una nuova idea
fondamentale: la programmazione. Tra i fattori che influenzano il
raggiungimento di questo traguardo sono da annoverare il meccanicismo, che
caratterizza il pensiero culturale del Settecento, e la Rivoluzione Industriale, che
contrassegna lo sviluppo tecnologico dell’Inghilterra e dell’Europa in generale. Si
rinnova l’interesse per la realizzazione degli automi meccanici, che non possono
fare a meno di richiamare alla mente la lunga storia delle statue e degli uomini
animati caratterizzante le mitologie e le leggende dei popoli antichi. In questi
esseri artificiali si può scorgere la testimonianza dell’intensa solitudine dell’uomo
oppure la manifestazione della pretesa dell’essere umano di avere poteri divini.
Qualunque sia la spiegazione esatta, è certo che tali entità intervengono
soprattutto in occasioni in cui gli individui sono in pericolo o in uno stato di
bisogno. Ciò avviene dai tempi in cui una statua viene trasformata in una vera
donna, Galatea, per dare eredi al re di Cipro, fino ai giorni nostri, in cui
l’aumento del numero e della velocità di circolazione delle informazioni rende
necessaria la presenza di dispositivi di supporto.
I primi automatismi utilizzano il principio dell’albero a camme, il cui esempio più
noto è quello del carillon. Le punte di una specie di pettine metallico vanno ad
urtare contro un rullo irto di dentini che hanno lunghezze diverse e producono,
quindi, note differenti. Dalle ricerche di Jacques de Vaucanson nascono così il
suonatore di flauto, che intona dodici arie diverse, e la famosa anatra, animale
artificiale minuziosamente realizzato in grado di imitare tutti i movimenti del
modello naturale, comprese ingestione e digestione degli alimenti.
L’uso del programma passa dai dispositivi a camme alle macchine che utilizzano
i cartoni perforati. Joseph-Marie Jacquard, infatti, esperto di meccanica francese
usa proprio questi come base per il progetto del suo famoso telaio. Grazie a tale
strumento si rende possibile la meccanizzazione del processo produttivo della
fabbricazione dei tessuti operati, ossia decorati con disegni risultanti
dall'intreccio dei fili d'ordito con quelli della trama.
Svolta chiave nel progresso dell’informatica avviene, dunque, con il concetto di
programmazione: la possibilità di fornire in ingresso alla macchina non solo i
dati da elaborare, ma anche la sequenza di operazioni da eseguire sui dati
stessi (programma). Il calcolatore diventa interprete delle istruzioni e si rivela
uno strumento dalle straordinarie potenzialità.
Tale principio viene a concretizzarsi grazie all’opera di Charles Babbage. Fin da
giovane si rivela particolarmente infastidito dai continui errori presenti nelle
tavole matematiche a disposizione in quei tempi. E’ per questo motivo che
decide di impegnarsi al suo primo progetto, la macchina a differenza
(Difference Engine) del 1822. L’intento è di disegnare uno strumento che si
dimostri in grado sia di calcolare che di stampare delle tavole matematiche. Gli
esigui finanziamenti da parte dello stato e le discordie con Samuel Clément,
l’artigiano coordinatore della realizzazione, portano Babbage a dedicarsi ad un
altro più ambizioso progetto, a cui partecipa anche Ada Augusta Contessa di
Lovelace, figlia del poeta Byron. Si tratta della macchina analitica (Analytical
Engine) del 1834, basata su un sistema di elaborazione meccanica di schede
perforate, le quali vengono tenute distinte a seconda se la loro funzione è
codificare i dati o codificare le istruzioni. L’intero sistema, che viene dotato di
diversi strumenti per evitare la generazione di errori, è composto da tre parti
fondamentali: store- che ha funzione equivalente alla moderna memoria, mill -
complesso sistema di ingranaggi e collegamenti disposti attorno ad una cerchio
centrale e idea base di quella che poi diventerà l’unità aritmetico-logica (ALU)
della CPU, e control barrel - l’unità di controllo.
1.3. LA SUDDIVISIONE IN GENERAZIONI
La prima generazione (dalla seconda metà degli anni ’30 agli anni ’50)
Questo periodo vede la nascita dei primi calcolatori elettromeccanici, macchine
che eseguono solo le operazioni per le quali sono state programmate,
sfruttando complessi meccanismi attivati da motori elettrici. All’origine del
cambiamento c’è un piccolo congegno, la valvola, capace di accelerare in modo
incredibile i processi di calcolo.
Un ingegnere tedesco, Konrad Zuse, nota che le difficoltà di calcolo che si
incontrano utilizzando una macchina addizionatrice sono dovute essenzialmente
all’impossibilità di tenere traccia dei risultati intermedi e di usarli correttamente
nei passi successivi. Inizia, per questo, a progettare un calcolatore, lo Z1,
completamente meccanico, con una memoria costituita da ripiani mobili. Il
merito maggiore dello studioso alemanno è la creazione dello Z3, il primo
calcolatore universale binario governato da un programma. Viene completato
nel dicembre del 1941 e la definizione “universale” si deve al fatto di non essere
abilitato a eseguire una serie soltanto di calcoli. Durante i bombardamenti
americani le macchine di Zuse sono danneggiate frequentemente, tanto che il
modello Z3 viene distrutto nel 1945. Si salva invece il suo successore, lo Z4, più
veloce e potente.
Nello stesso periodo, precedente la Seconda Guerra Mondiale, il matematico
americano George Robert Stibitz realizza il calcolatore complesso (Bell
Telephone Lab Computer Model 1-BTL Model1). Avendo a disposizione solo
lampadine e relè telefonici, i quali, per loro natura, possono assumere soltanto
gli stati “acceso” o “spento”, il codice che ne deriva è necessariamente quello
dello “0” e “1” su cui si basano ancora i computer di oggi.
Nel frattempo, un’altra macchina viene prodotta nei laboratori dell’Università di
Harvard sotto la guida di Howard Aiken, professore di matematica applicata
fortemente influenzato dai lavori di Babbage. Si tratta dell’Harvard Mark1,
ufficialmente chiamato IBM Automatic Sequence Controlled Calculator e
presentato per la prima volta nel 1944. E’ caratterizzato dal fatto di essere il
primo calcolatore con registro governato da un programma. Le sue dimensioni
sono impressionanti: pesa cinque tonnellate ed è alto più di due metri. Viene
utilizzato per scopi militari segreti e rimane in servizio ad Harvard fino al 1959.
Il Mark 1 è anche protagonista della coniazione del termine "bug", che oggi
indica l’errore di esecuzione di un programma. Durante una sessione di calcolo,
infatti, la macchina inizia a comunicare risultati inesatti e la matematica Grace
Murray Hopper, dopo una lunga ricerca, trova che un insetto ("bug") rimasto
schiacciato in un relè.
Questo gigante diventa obsoleto non appena fa la sua comparsa l’ENIAC
(Electronic Numerical Integrator and Computer), la cui costruzione si deve al
lavoro di Prosper Eckert e John W.Mauchly che operano alla Moore School
dell’Università della Pennsylvania. La macchina utilizza la tecnologia dei tubi a
vuoto, già presenti nell’ABC di Atanasoff e Berry e viene inaugurata nel 1946
con la dimostrazione di un calcolo di traiettoria balistica. E’ composta da oltre
centomila componenti, di cui diciottomila valvole; l’altezza supera i tre metri e il
peso si aggira intorno alle trenta tonnellate. Sia in ingresso che in uscita le
informazioni vengono trasmesse tramite schede perforate. Il calore generato
dall’ENIAC è forte e il consumo di elettricità non è da meno, tanto che richiede
l’uso di una piccola centrale elettrica. Funziona in modo soddisfacente e
velocemente, ma ben presto viene compresa l’inefficacia della rapidità del
sistema nel fare i calcoli dal momento che i dati devono essere inseriti a mano
dall’operatore. Si affaccia la necessità di un’organizzazione logica interna alla
macchina che funga da organo specifico per coordinare e dirigere l’attività di
tutte le altre parti. E’ John Von Neumann che nel 1945 definisce le
caratteristiche fondamentali del computer in un breve testo dal titolo “Primo
abbozzo di un rapporto sull’EDVAC”. Il progetto dell’EDVAC prevede che ogni
istruzione sia sottoforma di codice numerico in modo da assumere l’aspetto di
un dato e da poter essere registrata in memoria. Si tratta del concetto di
algoritmo, elaborato per la prima volta nel 825 d.C. dal matematico persiano
Abu Ja'far Mohammed ibn Mâsâ al-Khowârizmî e ripreso nel 1936 dallo studioso
inglese Alan Turing, che se ne occupa in un saggio riguardante un automa
astratto, la cosiddetta macchina di Turing, capace di elaborare informazioni
sulla base di un programma composto da regole.
A partire da questi principi si svilupperanno molti progetti importanti, fra cui
quello dell’Univac, che inaugura la commercializzazione in campo civile. La sua
ideazione è direttamente influenzata non solo dall’EDVAC, ma anche dall’EDSAC
(1949) e dal Manchester Mark I, il primo computer funzionante al mondo.
Il primo programma registrato mai usato su un computer è eseguito il 21
giugno 1948 e si occupa della ricerca dei fattori primari.
La seconda generazione (dagli anni ‘50 alla prima metà degli anni ‘60)
Nel 1947 tre scienziati della Bell Corporation mettono a punto il transistor,
dispositivo elettronico costituito da un cristallo di silicio o germanio in cui
vengono introdotti atomi di materiale diverso. E’ affidabile, piccolo, veloce ed
economico è sarà alla base dei nuovi calcolatori elettronici. Il primo computer
funzionante totalmente a transistor è il TRADIC (TRAnisitor DIgital Computer).
Viene costruito dai laboratori Bell per l’aeronautica militare statunitense,
interessata alla sua leggerezza adatta all’uso a bordo. Negli anni in cui è
operativo i risultati ottenuti sono molto soddisfacenti rispetto alle macchine che
usano ancora i tubi a vuoto.
Altri esempi di sistemi della seconda generazione sono: il Ferranti Mark I (1951)
nato dalla collaborazione fra l’Università di Manchester e la Ferranti Limited,
industria elettronica locale, il SEAC, usato per risolvere problemi meteorologici e
L’Atlas Guidance Computer Model 1, impiegato nell’ambito delle ricerche
spaziali. La prima macchina completamente transistorizzata dell’IBM è il modello
7090, mentre in ambito italiano, nel 1959, l’Olivetti presenta un progetto di
calcolatore elettronico: l’ELEA 9003 (Elaboratore Elettronico Automatico).
Nel 1957 nasce la DEC, Digital Equipment Corporation produttrice del famoso
PDP-1, il primo minicomputer, e del suo diretto successore, il PDP-8, meno
potente degli altri calcolatori sul mercato ma più economico. Questa macchina
entra in numerose scuole americane e diventa il capostipite di tutti i computer
messi a disposizione degli studenti.
Fa la sua comparsa anche il primo sistema di simulazione musicale: l’ILLIAC II,
che trae le sue origini dall’ILLIAC (Illinois Automatic Computer), uno degli
strumenti copia diretta della macchina IAS di Von Neumann, il quale dichiara
che per la sua progettazione ha cercato di imitare alcune delle azioni conosciute
del cervello degli esseri viventi.
Tra il 1946 e il 1951 nei laboratori del MIT un gruppo di ricercatori diretto da
Jay Forrester elabora il Whirlwind, che originariamente avrebbe dovuto essere
una delle componenti fondamentali di un simulatore di volo e,
contemporaneamente, un dispositivo per la verifica dell’efficienza di modelli
aerodinamici. I suoi ulteriori perfezionamenti lo portano ad essere un vero e
proprio computer che costituirà la base del sistema di difesa aereo degli U.S.A.,
il SAGE.