includeva solo l’aspetto “natura”), ma livelli di esperienza che ogni
società gruppo, individuo possono raggiungere o elaborare secondo
regole, vissuti, modalità diverse.
L’esperienza umana del cambiamento si articola su piani
temporali che si condizionano reciprocamente senza raggiungere mai
una completa autonomia: il tempo naturale è in qualche misura
socialmente deformato; il tempo sociale non può mai prescindere
completamente dai vincoli naturali, il tempo individuale è il risultato
di una continua mediazione tra le personali esigenze del soggetto e le
richieste avanzate da parte del tempo sociale e naturale.
Nell’ultima parte di questo capitolo ho analizzato alcuni elementi
importanti per l’analisi sociologica del tempo; ovvero delle
articolazioni del tempo in lineare, ciclico, quantitativo e qualitativo.
2. LO STUDIO DEL TEMPO ATTRAVERSO UN’APPROCCIO
INTERDISCIPLINARE: “TEMPO FISICO E TEMPO
SOCIALE”
La parola tempo nel nostro linguaggio comune e quotidiano è
tanto usata, che quasi ne ignoriamo il significato autentico, vero e
profondo. “Un vecchio saggio disse “se nessuno mi chiede che cosa è
il tempo, lo so” “ma se me lo chiedono non lo so”. (Elias, 1984: 7).
Attraverso uno studio accurato sul problema tempo possiamo
apprendere delle cose sugli uomini e, dunque, su noi stessi che prima
ci sfuggivano. (Elias; 1984). Molteplici sono i significati che al
termine tempo vengono attribuiti dalle diverse discipline e da alcuni
personaggi autorevoli.
Il mistero del tempo, da sempre ha affascinato gli uomini, Galilei
definiva il tempo come un mezzo per orientarsi nel mondo sociale, per
regolare la convivenza degli uomini, Newton invece, considerava il
tempo come una sorta di sguardo unitario sui fenomeni, dipendente
dalla particolarità della coscienza umana o, a seconda delle versioni,
dello spirito umano, della Ragione umana.
Questo pensiero ha trovato la sua espressione più autorevole nella
filosofia di Kant, il quale riteneva che il tempo e lo spazio fossero
rappresentanti di una sintesi a priori, cioè per Kant il tempo è una
specie di forma innata dell’esperienza e, pertanto, un dato immutabile
della natura umana. (Demarchi; diz. di sociologia). Kant, contrappone
alla logica generale la logica trascendentale, la quale si assume il
compito di indagare sugli oggetti senza fare loro riferimento, in
quanto è possibile conoscerli a - priori.
Anche in Bergson è centrale nella sua riflessione il “problema
tempo”. Il modello di spiegazione scientifica assunto dal positivismo
è quello fisico matematico, ma proprio il concetto di tempo, che è
fondamentale per una teoria evoluzionistica, sfugge alle scienze
matematiche. Il tempo introdotto simbolicamente nelle equazioni
matematiche non è infatti tempo reale, ma una sua astrazione, una
successione di istanti “statici”, tutti uguali, perfettamente distinti e
reciprocamente esterni, indifferenti alla natura qualitativa in essi
contenuti. Bergson ha messo in crisi le concezioni matematicistiche
cartesiane e newtoniane, e sostiene che bisogna rompere i quadri
matematici, tener conto delle scienze biologiche, psicologiche e
sociologiche. Egli rifiuta il tempo specializzato della fisica per
contrapporre il tempo realmente vissuto: il tempo dell’esperienza. Il
tempo inteso come durata, cioè come esperienza qualitativa e
metafisica irriducibile a misure esterne.
Sull’origine del concetto di tempo, sulla sua natura e campo di
applicazione esiste un’imponente produzione di studi cui si sono
aggiunti i contributi teorici e pratici della riflessione psicologica sul
tempo, per la psicologia il tempo rappresenta la modalità personale di
vivere la durata, quindi un elemento importante per la personalità, la
psicologia pone l’attenzione sulla percezione da parte del singolo
individuo della propria esperienza temporale; il tempo per la biologia
è invece, l’espressione, dei cicli e dei ritmi dell’individuo, è la durata
assegnata a ciascun essere vivente dal proprio codice genetico.
Rispetto alle altre scienze, e in particolare rispetto alla fisica, la
sociologia si è rivolta tardi e in modo discontinuo allo studio del
tempo e all’analisi delle strutture temporali che formano il tessuto di
ogni struttura sociale.
Diverse sono le ragioni che concorrono a spiegare questo relativo
disinteresse. Il problema del tempo viene ancora e sempre discusso
dagli stessi sociologi secondo i canoni della filosofia tradizionale, un
altro motivo è che le ricerche sulla sociologia del tempo non possono
essere fruttuosi sino a che rimangono collegate ed una prospettiva del
breve periodo. Esse possono giungere in porto soltanto nel quadro di
una impostazione comparativa ed evolutiva collocata in una
prospettiva di lungo periodo.
La principale ragione di questo ritardo è che la nozione di tempo è
data largamente per scontata in forza all’egemonia, incontrastata per
molti anni nel mondo occidentale, del tempo macchina, tempo
razionalizzato, mercificato, che si contrappone all’uomo,
rappresentandosi come un dato obiettivo, una regola inscindibile in
cui riesce difficile riconoscere l’opera dell’uomo, la costruzione
collettiva.
Lo studio del tempo, nella sociologia, riveste un interesse
particolare soprattutto nell’attuale momento storico, in conseguenza
dei mutamenti che sembra si stanno verificando nelle concezioni del
tempo. (Gasparini; 1986).
Comprendere che cosa sia il tempo, e organizzarlo è un esigenza
inevitabile soprattutto nelle società, in un convivio di uomini.
Durkheim non ha mancato di osservare che un individuo isolato
potrebbe a rigore ignorare che il tempo scorre, e ritrovarsi incapace di
misurare la durata; il tempo diviene una componente di cui non ne si
può fare a meno nella vita in società, la quale implica che tutti gli
uomini si accordino sui tempi e le durate, e conoscano bene le
convenzioni di cui queste sono oggetto. (Jedlowski 1996: 97).
Lo studio sul concetto di “tempo” è stato, quindi, principalmente
studiato dalla fisica e solo in un secondo momento la sociologia
presta la sua attenzione.
Il tempo, quindi, può essere studiato partendo dalla suddivisione
in due diversi tipi: il tempo fisico e quello sociale.
Nel primo caso il tempo sembra essere un aspetto della “natura
fisica”, una delle variabili immutabili che i fisici hanno il compito di
misurare e che, in quanto tali, hanno un ruolo decisivo nelle equazioni
matematiche che rappresentano simbolicamente le “leggi” di natura.
Il tempo della fisica è il tempo che può essere misurato con
grande precisione in quanto il tempo può essere scomposto in tante
piccole unità. I fisici si servono di formule matematiche in cui la
misura del tempo, come quantità concreta, gioca un ruolo importante.
Nel secondo caso il “tempo” ha il carattere di istituzione sociale,
di regolatore degli avvenimenti sociali, di modalità dell’esperienza; e
gli orologi sono parte integrante di un ordinamento sociale che non
può funzionare senza di essi.
Questa separazione tra tempo fisico e tempo sociale è strettamente
connessa alla crescita delle scienze fisiche. Infatti nella stessa misura
in cui queste scienze conquistarono la supremazia, il tempo fisico
venne sempre più considerato il prototipo del tempo in generale.
Secondo un sistema di valori, la natura, l’oggetto di studio delle
scienze fisiche, apparve agli uomini come la quintessenza dell’ordine
e quindi, in un certo senso, più reale del loro mondo sociale,
apparentemente meno ordinato e più casuale. Sia il tempo fisico che il
tempo sociale vennero valutati di conseguenza. Il tempo fisico venne
rappresentato nella forma di quantità isolate; poteva essere misurato
con grande precisione, e le quantità di tempo potevano combinarsi,
nei calcoli matematici, sono i risultati di altre misurazioni.
Per contro il tempo sociale, sebbene la sua importanza nella vita
sociale degli uomini crescesse costantemente, come tema teorico o
più in generale, come oggetto di ricerca scientifica, sembrò quasi
privo di significato.
Il dualismo concettuale era dunque collegato alle differenze di
statuto e di valore tra i due tipi di “tempo”: la semplice espressione
“tempo naturale”, rispetto a quella di “tempo sociale”, ci comunica
l’impressione che il primo sia reale e il secondo una convenzione
arbitraria. Il concetto di tempo non si adatta allo schema concettuale
di questo dualismo; come molti altri elementi dati esso si sottrae ed
una classificazione in termini di naturale o sociale, oggettivo o
soggettivo: è entrambe le cose contemporaneamente. Il tempo rimarrà
un “mistero” sino a quando la divisione tra natura e società e, con
essa, anche quella tra tempo fisico e tempo sociale verrà ritenuta una
divisione esistenziale eterna; sino a quando, di conseguenza, il
problema del rapporto tra tempo fisico e tempo sociale rimarrà
inesplorato. (Elias; 1984; 140).
Questa contrapposizione può essere superata solo se il tempo
viene considerato come “unità” e cioè i fattori sociali e naturali non
devono essere considerati separatamente.
Studiare sociologicamente il tempo significa abbandonare l’antica
dicotomia tra le categorie di natura e di cultura da una parte,
individuo e società, individuale e collettivo dall’altra. (Gasparini;
1986).
Queste dicotomie portano a contrapporre e a considerare
separatamente ambiti di realtà di cui andrebbe, al contrario indagata la
reciproca interazione e il mutuo condizionamento.
La comprensione sociale del tempo è possibile solo se si riesce a
considerare in una prospettiva modificata ciò che è naturale, sociale e
individuale analizzandone la reciproca interazione, piuttosto che i
confini che ne delimitano le rispettive aree di influenza.
Studiare il tempo significa rendersi conto di come il tempo
naturale, e ritmi astronomicamente e biologicamente determinati,
vengono trasformati dalle società umane in costrutti sociali, in regole
e orientamenti che riflettono i modi di produzione, i valori egemoni
nelle diverse società storiche, i bisogni dei gruppi che vi convivono,
di come d’altra parte, le esigenze dei tempi sociali vengono
diversamente elaborate, vissute, risolte dall’individuo, ricorrendo a
strategie molto differenziate.
Concludendo posso affermare che i problemi che riguardano il
tempo non possono essere studiati ripartendoli in tanti settori, la
suddivisioni può solo aiutarci a meglio comprendere
l’interdipendenza che esiste tra “natura” e “società”.
3. ALCUNI CONTRIBUTI AL PROBLEMA TEMPO
Sarebbe ingiusto non tener conto da un lato dei contributi dati al
problema del tempo da alcuni autori, dall’altro della ripresa di
interesse che in diversi paesi si è verificata ed è in atto proprio negli
ultimi anni in relazione a questa tematica.
Per quanto riguarda i classici, importante è sottolineare le
riflessioni e le intuizioni di Durkheim e della scuola durkheimiana
con Hubert e Mauss (Gasparini; 1986: 16).
Per Durkheim il tempo è “un’autentica istituzione sociale”, il
tempo sociale esprime un tempo comune al gruppo e più ancora che il
tempo sociale che avvolge non solo le singole esistenze individuali
ma anche la vita dell’umanità (Gasparini, 1986: 32).
Per Hubert e Mauss l’approccio alla questione tempo incomincia
da un’analisi della vita religiosa nelle popolazioni primitive. In questi
studi hanno messo a fuoco problemi cruciali come quelle del rapporto
tra tempo individuale e tempo sociale, tra tempo qualitativo e tempo
quantitativo; ed è opportuno notare che per i due studiosi francesi la
contrapposizione fra tempo quantitativo e qualitativo non implica una
reciproca, completa esclusione: infatti, da un lato si riconosce come si
è visto che il tempo qualitativo non è del tutto svincolato dalla
quantità, dall’altro si rileva che lo stesso tempo quantitativo ha
rappresentato presumibilmente l’esito storico e la risultante dell’idea
di tempo qualitativo. Sia l’uno che l’altro tempo partecipano del
carattere di tempo sociali o collettivi.
In Francia, Halbwachs a partire dagli anni ’20 sviluppa una serie
di importanti studi sulla memoria collettiva, che rappresenta un
settore specifico e rilevante della tematica temporale. Egli, inoltre
oppone al tempo omogeneo e astratto della meccanica e della fisica il
tempo vissuto, rilevando che c’è un’opposizione fondamentale tra il
tempo reale, individuale o sociale, e il tempo astratto.
Oltreoceano, i primi segni di una considerazione relativamente al
tempo si manifestano con un articolo di Sorokin e Merton sul tempo
sociale apparso circa mezzo secolo fa, che è rimasto a lungo isolato. I
due studiosi americani, prendendo atto dell’egemonia di una
concezione del tempo unicamente astronomica e quantitativa, ne
rilevano gli inconvenienti sul piano dell’analisi della dinamica sociale
e le contrappongono la concezione di un tempo sociale dove i periodi
di tempo acquistano qualità specifiche in virtù dell’associazione con
le attività peculiari ad essi dunque, di un tempo qualitativo.
L’antinomia sottolineata dai due autori, e ripresa successivamente dal
solo Sorokin, non è precisamente fra tempo qualitativo e tempo
quantitativo, ma fra tempo astronomico e quello sociale o socio
culturale: “il tempo sociale, in contrasto con il tempo dell’astronomia,
è qualitativo e non puramente quantitativo”; si tende così ad
identificare il tempo sociale con il tempo qualitativo.
Il tempo sociale è, dunque, per eccellenza un tempo qualitativo, a
differenza del tempo della fisica che è quantitativo, ma quest’ultimo
rappresenta anch’esso un tempo riconducibile a processi sociali.