Introduzione
conservazione e alla progettazione e come, tale nuova disciplina, sia in grado di possedere un proprio
corpus teorico costituito da diversi contributi interdisciplinari.
Nel capitolo 1 vengono affrontate tematiche strettamente riferite alla liturgia; vengono infatti
discussi argomenti quali il rapporto tra storia e liturgia, i contenuti della riforma liturgica dal Vaticano II
ad oggi, il confronto tra il rito pre e post conciliare, il contenuto della nota pastorale pubblicata dalla
CEI nel 1996. In tale documento l'edificio chiesa viene analizzato nella sua globalità e nella specificità
degli spazi celebrativi. Grande attenzione viene riposta nella disposizione dei cosidetti "fuochi liturgici"
costituiti da altare, ambone, sede del celebrante, tabernacolo, fonte battesimale e penitenzieria.
Nel capitolo 2 si discute invece sulla possibilità di formulare dei principi fondativi per il progetto
di adeguamento liturgico. Il tentativo consiste nel superare il pluralismo soggettivista post - moderno
per giungere ad una base comune da cui poter ripartire. Più che fornire soluzioni e ricette precostituite
si è cercato di suscitare nuove questioni ed interrogativi e di articolare una proposta di metodo. Il
percorso tracciato si articola in una prima fase in cui si devono compiere alcune scelte fondamentali:
l'adozione di un criterio generale come guida al progetto; la definizione della qualità dell'intervento; la
scelta dell'ambito di adeguamento. Successivamente la metodologia approntata presuppone una fase
di analisi e di acquisizione dei dati in relazione alla normativa vigente, ai valori storici, artistici e
liturgici. La fase ulteriore prevede l'elaborazione dei dati attraverso un processo di selezione critica e
un conseguente giudizio di valore: si ottengono così le tematiche progettuali da affrontare. Il progetto
vero e proprio viene discusso e approntato nella penultima fase in cui si affrontano questioni quali il
metodo partecipativo, l'individuazione di nodi critici, il confronto con esperienze analoghe di recente
realizzazione, il caso della progettazione di nuovo arredo liturgico e la formulazione di una proposta
progettuale compatibile. Per concludere vengono proposti alcuni strumenti per il controllo pre e post
progettuale attraverso esperienze di simulazione e l'utilizzo di "modelli" di varia natura.
Il capitolo 3 tratta di una esperienza progettuale in riferimento al caso particolare della chiesa
parrocchiale di S.Siro di Nervi ed è un tentativo di rispondere ad esigenze reali di adeguamento e, al
tempo stesso, di verificare quanto enunciato in sede teorica. Le scelte di fondo sono state risolte, in
questo caso, a favore della conservazione totale della materialità dell'edificio, della reversibilità e della
globalità dell'intervento. L'acquisizione dei dati è stata favorita dai contributi di altri lavori di ricerca
compiuti in ambito storico ed artistico mentre la lettura della situazione attuale ha permesso di mettere
in rilievo le reali necessità dell'adeguamento.
Introduzione
A conclusione del lavoro viene illustrata una tra le possibili soluzioni di adeguamento, scaturita
dalle fasi di studio precedentemente svolte e compatibile con quanto affermato in sede teorica.
Le appendici contengono sinteticamente il quadro completo della normativa liturgica, con un
piccolo indice organizzato per voci.
La bibliografia è stata organizzata in tre sezioni: una inerente la liturgia, una il restauro e una
terza sezione contente voci di bibliografia accessoria.
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
CAPITOLO 1
L’ADEGUAMENTO DELLE CHIESE ALLA LUCE DELLA NUOVA LITURGIA
1.1 – BREVE EXCURSUS STORICO: IL RAPPORTO TRA ARCHITETTURA E LITURGIA
1
La liturgia cristiana esprime attraverso gesti e segni sensibili la relazione che unisce Dio
all’uomo (SC, 7)
2
in un rapporto che diventa al tempo stesso anticipazione delle realtà celesti (SC, 8)
ed impulso all’azione terrena della Chiesa (SC, 9 - 10). In questo senso l’azione liturgica assume
anche un importante ruolo pedagogico nei confronti dei fedeli che devono essere seguiti
costantemente nella comprensione delle Sacre Scritture, nella celebrazione dei riti e nelle esperienze
della vita quotidiana.
L’architettura ha contribuito da sempre allo svolgimento di questa funzione pedagogica, in
stretto legame biunivoco con la liturgia. Questo rapporto si è evoluto dinamicamente nel corso dei
secoli generando un vasto repertorio di modelli architettonici che tentavano di rispondere al meglio
alle esigenze delle diverse epoche e culture.
Le prime comunità del periodo post – apostolico si radunavano segretamente nella domus
ecclesiae fino all’Editto di Costantino dopo il quale venne formulato il modello basilicale paleocristiano,
adottato e consolidatosi fino al ‘500, che meglio rispondeva alle esigenze che l’incessante nuovo
proselitismo comportava. L’epoca rinascimentale ha assistito al sorgere delle grandi opere
monumentali con una predilezione del modello a pianta centrale, a simmetrie multiple. Dopo il Concilio
di Trento la Chiesa deve contrastare l’azione della riforma protestante e l’architettura barocca si
relaziona in funzione della predicazione, dell’utilizzo della retorica e della suggestione emotiva. Tra la
Rivoluzione Industriale e il Vaticano II possiamo identificare infine un periodo complesso, pieno di
posizioni contraddittorie e nello stesso tempo ricco di nuovi fermenti. La ricerca architettonica,
1
Cfr. ABRUZZINI E., voce Architettura, in SARTORE D., TRIACCA M.A., Nuovo dizionario di liturgia, Edizioni
Paoline, 1984, pp. 92 - 102
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
imbrigliata da misure restrittive e conservatrici, e la partecipazione liturgica, ridotta ad una “doverosa”
presenza passiva, sembrano entrambe vivere un periodo di stagnazione fino all’avanzare del
movimento liturgico. Con la pubblicazione dell’enciclica Mediator Dei (1947), Pio XII ritiene che sia
“assolutamente necessario dar libero campo all’arte moderna” e con Giovanni XXIII sembra di essere
a conclusione di un ciclo, a parlare di domus ecclesiae in senso analogo a quello utilizzato nei primi
secoli: “Mettete nelle chiese” – disse infatti agli architetti francesi – “la semplicità, la serenità ed il
calore delle vostre case”
3
.
1.2 – I CONTENUTI DELLA RIFORMA LITURGICA: DAL VATICANO II AD OGGI
4
Il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) si è direttamente occupato di liturgia nella
Costituzione Sacrosanctum Concilium promulgata nel 1963, dunque alla fine del II° periodo del
Concilio. Per intendere nella sua completezza questo testo, il primo delle Costituzioni, cioè dei
documenti portanti del Concilio, occorre però tener presente le altre tre Costituzioni. Quella sulla
Chiesa Lumen Gentium (la luce delle genti è Cristo), promulgata nel 1964. Quella sulla Rivelazione
Dei Verbum, promulgata il 18 novembre 1965 e quella sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes, promulgata il 7 dicembre 1965, il giorno prima della chiusura del Concilio.
Non solo. Occorre considerare anche i nove decreti e le tre dichiarazioni. Dunque tutto il
corpus del Vaticano II. Questo perché gli organismi ai quali fu affidato il compito di attuare quanto
aveva richiesto la SC cominciarono a lavorare alla fine, o quasi, del Concilio stesso.
Neppure va dimenticato l’ampio lavoro di ricerca svolto in molte parti del mondo, ma
soprattutto nell’Europa centrale, in campo liturgico secondo una metodologia di ricerca storica sempre
più accurata. La ricerca storica si è anche avvalsa della scoperta di fonti delle quali nei secoli
precedenti si ignorava l’esistenza.
Da metà ‘800, e il lavoro continua ancor oggi, c’è stato un fiorire di ricerche. Nella prima parte
del ‘900 la Chiesa in Genova ha dato un suo contributo. A livello più pratico – pastorale, attraverso
2
Concilio Vaticano II, Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia, Roma, 1963
3
Cfr. ABRUZZINI E., voce Architettura, in SARTORE D., TRIACCA M.A., op. cit., 1984, p. 96
4
Il seguente paragrafo è stato redatto grazie ai contributi tratti da:
• GRASSO G., Tra teologia e architettura. Analisi soggiacenti all’edilizia per il culto, Borla, 1988
• GRASSO G., Come costruire una chiesa. Teologia, metodo e architettura, Borla, 1994
e da riflessioni fatte in conversazioni private tenute con l’autore.
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
l’impegno di ecclesiastici come mons. G. Moglia, il card. G. Lercaro, mons. L. Andrianopoli; a livello
scientifico attraverso la ricerca e le pubblicazioni, fondamentali ancora oggi, dell’abate M. Righetti (cfr.
in particolare il Manuale di storia liturgica in quattro volumi).
Facendo confluire insieme le strade proposte dal Concilio con gli studi compiuti e con le
aspettative pastorali durante il pontificato di Paolo VI e gli inizi di quello di Giovanni Paolo II, sono stati
pubblicati tutti i libri liturgici ognuno dei quali, o gruppo dei quali, è introdotto da una Costituzione
Apostolica e/o da un insieme di norme che propongono la rinnovata liturgia. Ci si riferisce qui
propriamente solo al “rito romano”. Questo è - ma non è il solo perché c’è ad esempio anche il “rito
ambrosiano”, per quasi tutta l’arcidiocesi di Milano - un “rito latino”. Non si cita nulla del “rito
ambrosiano” e tanto meno si citano i numerosi riti “orientali” di Chiese unite a Roma ma
dall’espressione liturgica assai diversa.
Il rinnovamento liturgico è stato esplicitamente voluto dalla SC (cfr. in particolare i nn. 1-21)
tenendo conto che ogni celebrazione liturgica è “opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la
Chiesa” (SC, 7).
La storia della liturgia è una prova di continui “rinnovamenti”. Ne è testimone sicuro l’opera
Missarum sollemnia del gesuita J.A. Jungmann, 2a ed. 1949 (edizione italiana del 1953). Nel primo
volume dell’edizione italiana, da p. 9 a p. 143, si compie un excursus sull’andamento della messa
romana dal II° secolo al papato di Pio X (+ 1914). Resta ancora al di fuori quanto indicato dall’enciclica
di Pio XII, Mediator Dei (1947) sulla liturgia, e l’importante rinnovamento compiuto, sempre da Pio XII,
agli inizi degli anni ’50, nel “Triduo solenne” (dal Giovedì santo alla Veglia pasquale).
Il Cristo glorioso (di cui in SC, 7) non muta l’espressione del suo unico sacerdozio e unico
culto, ma il suo corpo che è la Chiesa, (sempre in SC, 7), nella sua visibilità (cfr. LG, 8) risente della
storia umana e di storia umana, cultura, ecc., è intrisa – si pensi al linguaggio – la celebrazione
liturgica.
Poiché le celebrazione liturgica si compie abitualmente, almeno dal III°, secolo in quelle
espressioni architettoniche che vengono chiamati “luoghi di culto” o più comunemente “chiese” (ma
anche “santuari”, “cappelle”, “oratori”, cfr. CJC, cann. 1205 – 1234, e per gli altari cann. 1235-1239),
queste espressioni architettoniche hanno sempre risentito dei continui “rinnovamenti” della liturgia. Il
“rinnovamento” del Vaticano II ha come manifestazione la “partecipazione dei fedeli” che discende
dall’interpretazione del mistero della Chiesa come mistero di comunione. Per molti secoli e per svariati
motivi era prevalsa un’interpretazione giuridica della Chiesa. Un’interpretazione che aveva trovato una
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
sua manifestazione, poco dopo il 1000, nell’espressione del giurista Graziano per i quale ci sono due
tipi di cristiani, i chierici e i laici. I primi sono i pastori, gli altri il gregge. Già san Gregorio Magno, papa
tra il VI e il VII secolo, affermava che i chierici sono come buoi che trebbiano, i laici le asine che
pascolano. Una concezione diversa del laicato cominciò ad aversi dalla metà del XIX secolo, col
sorgere di aggregazioni laicali sempre più numerose.
Da parte sua Pio XII ebbe ad affermare in un Concistoro del 1946 che “i laici sono la Chiesa”.
Pochi anni dopo p. Y. Congar pubblicò l’opera Jalons pour une thèologie du laicat cui seguirono molti
altri studi che stanno alla base di parte del 1° e 2° capitolo di Lumen Gentium e introducono al tema
della comunione (anche se restano elementi giuridisti, Cfr. ACERBI A., Due ecclesiologie, Bologna,
1975).
Una Chiesa che si interpreta come “comunione” (l’espressione è usata esplicitamente da
Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica Christifideles laici, 1988), non può – in quel suo
momento dinamico che è la celebrazione liturgica – che dire “partecipazione”.
1.2.1 - LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA SECONDO IL RITO PRE - CONCILIARE
5
Gli effetti della riforma liturgica si sono condensati e sono diventati così evidenti nella
celebrazione eucaristica.
Il rito pre - conciliare è schematizzabile nei seguenti punti:
• Netta separazione tra il presbiterio e l’aula assembleare
• Uso della lingua latina
• Ridondanza nei segni e nei significati liturgici
• Nessuna possibilità di partecipazione attiva dei fedeli a causa del basso livello di interazione, della
scarsa conoscenza del rito e della difficile comprensione della lingua latina, all’epoca conosciuta
da una istruita minoranza
• Preponderanza della Liturgia Eucaristica sulla Liturgia della Parola con conseguente prevalenza
dell’altare sull’ambone (molto spesso sarebbe più corretto parlare di leggio).
• Limitazioni nell’utilizzo della musica sacra: era permesso utilizzare solamente l’organo e si
cantavano solo brani in latino
5
Per un approfondimento del rito pre conciliare cfr. Messale di Pio V°, In celebratione missae, pp. XXIII - XXXI e
Enciclopedia Pratica Bompiani, voce Messa, Vol. II, pp. 1041 – 1043, Milano, 1938
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
• La predica trattava principalmente della Ricorrenza o dava suggerimenti morali toccando
marginalmente l’approfondimento e la spiegazione delle Sacre Scritture e occupava buona parte
della celebrazione. Nelle solennità veniva tenuta dal pulpito e frequentemente era separata dalla
celebrazione eucaristica.
1.2.2 - IL CONTRIBUTO DELLA COSTITUZIONE CONCILIARE SACROSANCTUM CONCILIUM (1963)
6
Come ci si può facilmente rendere conto l’entità e lo spessore della riforma liturgica sono stati
veramente notevoli. I punti cardine della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium riguardano
la funzionalità liturgica e la partecipazione attiva dei fedeli alla celebrazione, ritenuti obiettivi di
importanza prioritaria. Per raggiungere questi obiettivi il Concilio propone alcuni cambiamenti tra cui:
• l’adeguamento della liturgia verso un maggior decoro e semplicità nei riti (SC, 34)
• l’utilizzo della lingua nazionale (SC, 36; 54)
• la concezione inscindibilmente unitaria della Messa, seppur distinta nella Liturgia della Parola e
Liturgia Eucaristica, entrambe irrinunciabili per i fedeli (SC, 56)
• la revisione dell’anno liturgico (SC, 107)
• l’introduzione del canto religioso popolare e l’utilizzo di altri strumenti musicali diversi dall’organo a
canne (SC, 118; 120)
• nuovi incentivi per lo sviluppo di arte sacra contemporanea (pittura, scultura, musica, architettura,
…) (SC, Cap. VII)
• il ripristino della “Preghiera dei fedeli” (SC, 53)
Gran parte di queste linee di riforma a carattere liturgico sono state in questi anni sviluppate e
accolte dalle comunità locali e oggi fanno parte della nostra esperienza quotidiana. Non tutto
certamente è stato fatto a causa da un lato di una non completa presa di coscienza dei dettami
conciliari e dall’altro dall’impossibilità, più o meno reale, di poter condurre fino in fondo le istanze
riformistiche (RLI, Cap. 1)
7
.
1.2.3 - DAL CONCILIO AD OGGI: PROGETTAZIONE E RESTAURO, NON ADEGUAMENTO
6
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium – Costituzione sulla Sacra Liturgia, Roma, 1963
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
L’interpretazione delle nuove norme liturgiche dal punto di vista architettonico ha alternato
momenti di grande entusiasmo ad altri di forte ristagno e disinteresse. Se da un lato si è assistito ad
un notevole proliferare di nuovi edifici per il culto e se parallelamente si è affinata la sensibilità e il
rigore nella prassi della conservazione e del restauro, non altrettanto si può dire per quella modalità di
intervento che si colloca in modo interdisciplinare tra la progettazione e il restauro: l’adeguamento. Il
nuovo che è stato prodotto in questi anni in Italia comprende esempi di ogni tipo secondo una
consuetudine culturale e progettuale che tende a legittimare qualsiasi tipo di intervento giustificandolo
come espressione della libertà dell’uomo e della sua volontà di distinguersi e caratterizzarsi come
“diverso” rispetto alla moltitudine. E’ questo un atteggiamento tipicamente contemporaneo che
assume la denominazione di post – moderno
8
; il termine, un ossimoro per la precisione, ha il potere
evocativo di pensare ad una fase di transizione, ad un qualcosa che dovrebbe essere ma che non è
ancora. Così è per l’architettura contemporanea soprattutto nel campo dell’architettura per il culto
dove si sono moltiplicati a dismisura i riferimenti formali cosiddetti “innovativi” spesso fini a sé stessi se
non erronei nella sostanza, si sono ricercati significati nuovi quando bastava riconsiderare quelli già
noti, si è insomma aperto un enorme laboratorio di ricerca a grandezza reale senza considerare che
ciò che viene realizzato lascia un segno assai duraturo. Contemporaneamente però l’attenzione di
altra parte di studiosi e ricercatori si è rivolta verso il patrimonio architettonico esistente in un lavoro di
ricerca tecnico – scientifica oltre che teorica che ha contribuito a formare una coscienza più sensibile
degli operatori nei confronti del monumento.
Per quanto riguarda invece gli interventi di adeguamento dobbiamo subito registrarne
l’esiguità in relazione soprattutto agli interventi di progettazione ex – novo. Inoltre le esperienze di
adeguamento sono state condotte da un punto di vista parziale, coinvolgendo nella maggior parte dei
casi esclusivamente l’area presbiterale e non la chiesa come edificio nella sua globalità, quand’anche
non sono state condotte per porre rimedio alle esigenze più immediate con interventi affatto adeguati
e frettolosi (ACRL, 2 - 3)
9
. E’ per queste ragioni che la Conferenza Episcopale Italiana, a più di
trent’anni dalla pubblicazione delle Costituzioni Conciliari, ha ritenuto opportuno produrre una nota
7
Conferenza Episcopale Italiana, Il rinnovamento liturgico in Italia, Edizioni Paoline, 1983, Cap.1
8
MELA A., Sociologia delle città, Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997, pp. 133-135
9
Conferenza Episcopale Italiana, L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, ElleDiCi, Torino,
1996, nn. 2 - 3
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
pastorale di richiamo per tutti coloro che si occupano di liturgia e architettura quindi parroci e comunità
parrocchiali ma anche artisti, progettisti e tecnici del settore.
1.2.4 - IL RICHIAMO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
La nota della Conferenza Episcopale Italiana dal titolo L’adeguamento delle chiese secondo la
riforma liturgica pubblicata nel 1996 interviene su un tema che non è solo di indole ecclesiale ma
riguarda un’intera società civile essendo oggetto di discussione e di valutazione al di fuori delle
comunità cristiane.
La questione è davvero delicata e il fatto stesso che la CEI abbia sentito la necessità di
produrre una nota esplicativa ai testi conciliari dimostra da un lato la volontà reale della Chiesa di
intervenire sul patrimonio architettonico ed artistico ma, d’altra parte, sottolinea il disorientamento che
anima committenti, progettisti ed artisti contemporanei.
La nota pastorale affronta la questione dell’adeguamento liturgico approfondendo tutte le
problematiche relative ad essa, dalle questioni legislative a quelle teologiche e funzionali. Dopo una
breve introduzione in cui si specificano fini e destinatari del documento, si passa ad una riflessione sul
rapporto tra chiesa, storia e liturgia (ACRL, Cap. 1) per giungere al corpo centrale dedicato alle norme
di adeguamento dei fuochi liturgici e degli spazi accessori (ACRL, Cap. 2); la parte conclusiva tratta
del progetto di adeguamento nei suoi aspetti tecnici e normativi (ACRL, Cap. 3 ed Appendice).
Esamineremo ora in dettaglio il corpo centrale della nota pastorale.
1.2.5 - L’ADEGUAMENTO DEGLI SPAZI CELEBRATIVI
Il programma di adeguamento proposto dalla Conferenza dei vescovi italiani riguarda l’edificio
– chiesa nella sua globalità (ACRL, 14): la normativa interessa infatti gli spazi della Celebrazione
Eucaristica, del Battesimo, della Penitenza, senza tralasciare i luoghi sussidiari al culto e il programma
iconografico, devozionale e decorativo. In corsivo abbiamo indicato le citazioni testuali dal suddetto
documento.
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
A – SPAZI DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA (ACRL, Cap.2 / A)
AULA ASSEMBLEARE (ACRL, 15)
E’ il luogo riservato all’assemblea e intorno ad essa convergono spazi e luoghi complementari. Viene
fatto presente che “l'aula deve essere articolata in modo tale che l'altare ne costituisca il punto
principale di riferimento” e che devono essere adottati quegli opportuni accorgimenti che consentano e
favoriscano “la formazione di un'assemblea unitaria, priva di divisioni al suo interno, e la
partecipazione attiva di tutti i fedeli all'azione liturgica”. Attenzione deve essere infine riposta nella
corretta disposizione dei banchi e delle sedie in modo da favorire gli spostamenti previsti dei fedeli, in
una idonea illuminazione e in una distinta diffusione sonora della voce, al fine di creare “un’atmosfera
nobile, accogliente e festosa”.
PRESBITERIO (ACRL, 16)
“Il progetto di adeguamento del presbiterio ha un duplice scopo: consentire un agevole svolgimento
dei riti e mettere in evidenza i tre "luoghi" eminenti del presbiterio stesso che sono l'altare, l'ambone e
la sede del presidente”. I tre fuochi liturgici che vanno disposti sul presbiterio sono i protagonisti della
Celebrazione Eucaristica e vanno pertanto collocati in un giusto rapporto visivo e in una corretta
relazione di significati. La nota riconosce la difficoltà e l’imbarazzo nei confronti della balaustra per la
quale se ne ipotizza, se possibile, la rimozione e l’eventuale ricollocazione o conservazione. Anche
per quanto riguarda il presbiterio non bisogna dimenticare di curare il complesso iconografico.
ALTARE (ACRL, 17)
E’ il punto centrale per tutti i fedeli ed è il polo di attrazione dell’intera comunità celebrante. Non deve
svolgere il ruolo di semplice arredo ma deve qualificarsi come vero e proprio segno liturgico. Deve
essere ben visibile e la progettazione e la sistemazione dello spazio circostante deve essere pensata
in funzione di esso. La nota pastorale affronta il caso della realizzazione di un nuovo altare in
sostituzione del precedente; in questa circostanza si richiede che sia di pietra naturale, di forma
quadrangolare con tutti i suoi lati ugualmente importanti. La collocazione dell’altare deve essere
funzionale al rito e facilitare quindi i gesti e gli spostamenti del sacerdote, oltre che consentire la
celebrazione verso il popolo. Nel documento CEI del 1983, Principi e norme per l’uso del messale
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
romano, si precisa di “non ridurre l’altare ad un supporto di oggetti che non hanno nulla a che fare con
la liturgia eucaristica” (Precis. CEI, n° 14)
10
.
AMBONE (ACRL, 18)
“L'ambone è il luogo proprio dal quale viene proclamata la Parola di Dio. La sua forma sia correlata a
quella dell'altare, il cui primato deve comunque essere rispettato”. L’ambone consiste in “una nobile,
stabile ed elevata tribuna”, una vera e propria seconda mensa, la mensa della Parola; è per questo
che si richiede la correlazione formale con l’altare. L’ambone inoltre, dovendo essere posto in
prossimità dell’assemblea per favorire l’ascolto delle letture, svolge un ruolo di cerniera e di
collegamento tra aula e presbiterio. Viene scartata decisamente qualsiasi soluzione precaria e
provvisoria mentre, se in una chiesa storica è presente un pulpito, si consiglia di utilizzarlo almeno in
coincidenza di grandi assemblee o in occasioni solenni.
SEDE DEL CELEBRANTE (ACRL, 19)
“La sede è il luogo liturgico che esprime il ministero di colui che guida l'assemblea e presiede la
celebrazione nella persona di Cristo, Capo e Pastore, e nella persona della Chiesa, suo Corpo”. Per la
sua collocazione si richiede che sia ben visibile da tutti e che consenta la relazione diretta tra
celebrante e assemblea, in modo da “favorire la guida della preghiera, il dialogo e l'animazione”. La
sede deve essere unica e non deve avere forma di trono; deve essere collocata possibilmente in un
suo spazio proprio e non essere posta “né a ridosso dell'altare preesistente, né davanti a quello in
uso”
SEDI DEI MINISTRANTI (ACRL, 19)
Devono essere pensate in numero strettamente sufficiente alla celebrazione in modo da non
congestionare l'area presbiterale. Le sedi per i ministranti devono essere "distinte da quelle del
presidente e dei concelebranti" in modo da non svilire la funzione svolta dalla sede del celebrante.
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
CUSTODIA EUCARISTICA (ACRL, 20)
Il tabernacolo per la custodia eucaristica ha assunto un ruolo di centralità e di dominanza sullo stesso
altare. L’adeguamento liturgico, mirante a “esaltare il primato della celebrazione eucaristica e quindi la
centralità dell'altare” deve peraltro riconoscere la funzione specifica del tabernacolo. Per questo si
consiglia di individuare un luogo appropriato per la sua collocazione, possibilmente una cappella
laterale che consenta la preghiera e l’adorazione dei fedeli. Spostare il tabernacolo non significa
necessariamente limitarne l’importanza, anzi, la sistemazione in uno spazio proprio conduce ad una
esaltazione del luogo e del segno liturgico. La custodia eucaristica deve essere comunque unica, e
mai “posta sulla mensa di un altare, ma piuttosto collocata a muro, su colonna o su una mensola”.
CREDENZA (ACRL, 16)
E' un pezzo di arredo (piccolo mobile o mensola) per riporvi gli oggetti utilizzati per la celebrazione
eucaristica (calice, patena, ampolle, tovaglie, …) in modo da liberare la mensa dell'altare da qualsiasi
presenza superflua. Anche nel documento della Commissione episcopale per la liturgia a proposito
della progettazione di nuove chiese, oltre che nella nota pastorale del 1996, viene affermata la
necessità di trovare "un luogo discreto e accessibile per la credenza (PNC, 10)
11
.
FIORIERA (ACRL, 24)
Per quanto riguarda l'arredo floreale "può essere opportuno progettare una o più fioriere nell'area
presbiterale, non solo per l'effetto di ordine, ma per l'uso liturgico nei tempi e nei modi consentiti"
(PNC, 18). Si potrà così esaltare e dare rilievo sia alle forme architettoniche sia alla celebrazione
evitando di ostruire i segni liturgici.
B – SPAZI PER LA CELEBRAZIONE DEL BATTESIMO (ACRL; Cap 2 / B)
FONTE BATTESIMALE (ACRL, 25 – 26 – 27 – 28 – 29)
Nel progetto di adeguamento non viene assolutamente considerata la possibilità di collocare il fonte
battesimale nel presbiterio. La tradizione infatti “lo ha generalmente collocato in prossimità
dell'ingresso della chiesa, come migliore spazio per il sacramento che introduce nella comunità
10
Conferenza Episcopale Italiana, Precisazioni, in Messale Romano, 1983, n°14
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
cristiana”, come primo passo nel percorso di iniziazione cristiana che porta verso la mensa
eucaristica. La nota mette in risalto come il segno da mettere in maggior evidenza nel progetto di
adeguamento sia l’acqua, “possibilmente corrente e ben visibile”.
C – SPAZI PER LA CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA (ACRL, Cap. 2 / C)
SEDE CONFESSIONALE (ACRL, 30 – 31 – 32 – 33)
Per l’adeguamento della sede confessionale vengono proposte quattro soluzioni:
1. Collocazione in area prossima all’ingresso della chiesa. Richiama il significato della Penitenza
come momento di conversione e passaggio a vita nuova. Se posto nei pressi del fonte il richiamo
è ancora più esplicito al recupero della grazia battesimale.
2. Collocazione in cappelle o in ambienti laterali. La soluzione richiama il rapporto tra la celebrazione
penitenziale e l’assemblea eucaristica.
3. Collocazione in una navata laterale.
4. Creazione di una penitenzieria o “cappella della riconciliazione”, adatta soprattutto per i santuari
dove si celebra frequentemente il sacramento.
In ogni caso le sedi confessionali devono essere “facilmente percepibili e bene armonizzate
spazialmente”, oltre ad essere idonee da punto di vista acustico ed illuminotecnico.
D – ADEGUAMENTO DEI LUOGHI SUSSIDIARI (ACRL, Cap. 2 / D)
SACRESTIA (ACRL, 34)
Bisogna verificarne l’idoneità per quanto riguarda “la capienza, la dislocazione o ubicazione, la
sicurezza e lo stato di conservazione”. Viene auspicata la conservazione e il restauro dei mobili,
spesso di grande valore.
11
Conferenza Episcopale Italiana, La progettazione di nuove chiese, Roma, 1993, n. 10
1 - L’adeguamento delle chiese alla luce della nuova liturgia
DEPOSITO E SERVIZI IGIENICI (ACRL, 34)
Devono essere in prossimità della sacrestia per ragioni funzionali. Il deposito deve contenere le
attrezzature per la pulizia della chiesa e la cura dei fiori.
SAGRATO (ACRL, 35)
Il sagrato deve essere “segno della disponibilità all’accoglienza che caratterizza la comunità cristiana”,
luogo di incontro per l’intera comunità. Viene auspicato un riutilizzo dei sagrati per le celebrazioni
liturgiche (processioni, Veglia Pasquale, …) e per un uso quotidiano di ritrovo e dialogo.
E – ADEGUAMENTO DEL PROGRAMMA ICONOGRAFICO, DEVOZIONALE E DECORATIVO (ACRL, Cap. 2 / E)
La nota episcopale, riconoscendo il grande valore svolto dalla iconografia artistica nella liturgia,
espone sinteticamente tre principi generali per l’adeguamento (ACRL, 37):
1. Il recupero e il rispetto del primato della liturgia in modo che la disposizione delle immagini
non distolga l’attenzione dei fedeli dalla celebrazione
2. Il corretto uso delle immagini in modo che il loro numero non sia eccessivo e che di un
medesimo santo non vi sia che una sola immagine
3. L’esigenza della tutela, della conservazione e della valorizzazione del patrimonio che il culto e
la pietà tramandano nel tempo
Vengono inoltre considerati i casi di chiese prive di immagini, auspicando la possibilità di dotarle
del loro apparato iconografico e decorativo, di chiese dotate di apparati incompleti, con l’invito a
completarli, e di inserimenti di nuove opere d’arte, invitando ad avere tutte le cautele del caso.