considerati i soli Paesi membri, a carico dei quali il Trattato
pone divieti ed obblighi assoluti; in questo senso appare
infatti orientata la giurisprudenza della Corte di giustizia,
secondo cui le disposizioni sulla libera circolazione delle
merci si riferiscono esclusivamente alle normative ed alle
pratiche amministrative poste in essere dalle autorit�
nazionali
3
.
Si dedica questo capitolo all�analisi dei principi che
regolano la libera circolazione delle merci perch� soltanto
un�analisi approfondita della situazione legislativa esistente
in tale settore permette di comprendere appieno l�oggetto
del presente lavoro.
Il diritto comunitario prevede tre strumenti principali,
strettamente correlati tra loro, per la realizzazione della
libera circolazione delle merci: l�eliminazione totale di ogni
forma di ostacolo,tariffario , amministrativo e di ogni altro
genere agli scambi intracomunitari ( cos� come disciplinato
dagli artt.23 a 27, 28 a 31, 90 e 91 CE); una disciplina che
assicuri la trasparenza e il controllo delle iniziative
legislative nazionali che potrebbero ostacolare la libera
circolazione delle merci, attraverso la previsione di misure
di vigilanza sia ex ante sia ex post; tale disciplina aspira ad
assicurare da un lato la trasparenza in tale campo,
consentendo di prevenire il sorgere di nuovi ostacoli, per
mezzo della procedura prevista dalla direttiva 98/34/CE
4
;
dall�altro mira a verificare ex post se le legislazioni
nazionali adottate ostacolano la circolazione, in base a
3
Cos� tra le altre, le sentt. 30 gennaio 1974, BRT c. SABAM, causa n.
127/73, in Racc., p. 51, e 1� ottobre 1987, Vlaamse Reisbureaus, causa
n. 311/85, in Racc., p. 3801.
4
La direttiva 98/34/CE ha abrogato e sostituito la direttiva
83/189/CEE.
quanto prevede la decisione 3052/95/CE
5
; lo strumento
dell�armonizzazione di quelle legislazioni nazionali che
abbiano un�incidenza sulla creazione e sul funzionamento
del mercato unico, per completare l�opera di
neutralizzazione degli ostacoli alla libera circolazione delle
merci, derivanti dalle divergenze tra le legislazioni
nazionali dei diversi Stati membri, attraverso la creazione
di strutture armonizzate.
2. L�eliminazione degli ostacoli alla libera
circolazione delle merci:le barriere tariffarie e non
tariffarie agli scambi intracomunitari.
La disciplina della materia � interamente contenuta nel
Trattato di Roma. L�eliminazione degli ostacoli alla libera
circolazione delle merci � caratterizzata dal raggiungimento
di tre diversi obiettivi, riguardanti: l�abolizione dei dazi
doganali all�importazione ed all�esportazione e delle tasse
di effetto equivalente, ed anche l�istituzione di una tariffa
doganale comune per gli scambi con i Paesi terzi (ex artt.
9-29 CEE, ora artt. 23-27 CE); l�abolizione delle restrizioni
quantitative agli scambi intracomunitari e delle misure di
effetto equivalente, nonch� l�abolizione dei monopoli
nazionali a carattere commerciale (ex artt. 30-37 CEE, ora
artt.28-31 CE); il divieto di imposizioni fiscali interne a
carattere discriminatorio, il quale pur essendo collocato in
un�altra parte del Trattato svolge una funzione
complementare rispetto alle norme sull�abolizione delle
5
Decisione n. 3052/95 del 13 dicembre 1995, in GUCE il 30/12/1995,
n. 321
barriere tariffarie agli scambi (ex artt.95 CEE, ora art.90
CE)
6
.
2.1. Il divieto di dazi doganali e di tasse di effetto
equivalente.
Analizzando brevemente il primo dei tre punti sopra esposti
� importante evidenziare come l�instaurazione dell�unione
doganale, che comporta il divieto di applicare dazi doganali
all�importazione e all�esportazione di merci tra gli Stati
membri o tasse di effetto equivalente, nonch� l�adozione di
una tariffa doganale comune negli scambi con i Paesi terzi
concernente sia prodotti originari degli Stati membri, che
quelli provenienti dai Paesi terzi rispetto ai quali siano state
adempiute le formalit� di importazione e riscossa la TDC
7
,
sia un aspetto essenziale e fondamentale del sistema di
liberalizzazione degli scambi intracomunitari.
Dal 1� gennaio 1993
8
, con la soppressione degli ostacoli
fisici agli scambi conseguente alla realizzazione del
mercato interno, si � data completa attuazione a quel
6
A sostegno di quanto esposto P. Mengozzi, Il diritto comunitario e
dell�Unione europea, in F. Galgano (a cura di), Trattato di diritto
commerciale e diritto pubblico dell�economia, Padova, 1997, vol. XV,
p. 9 ss.
7
Non vi � dubbio che l�origine delle merci dipende evidentemente dal
luogo di fabbricazione. Nel caso per� di fabbricazione complesse, le
cui fasi cio� riguardino due o pi� Stati, l�origine del prodotto � data dal
luogo dove � avvenuta �l�ultima trasformazione o lavorazione
sostanziale�. Al contrario, il semplice assemblaggio non rappresenta
una trasformazione merceologicamente od economicamente
determinante.
8
Si noti inoltre che il 1� gennaio 1996 � entrata in vigore la decisione
del Consiglio di associazione CE- Turchia n. 1/95 del 22 dicembre
1995 (in GUCE, 13 febbraio 1996, n. L 35), relativa all�attuazione
della fase definitiva dell�unione doganale con la Repubblica turca.
percorso che, iniziato nel dicembre del 1961 con
l�abolizione dei dazi doganali all�esportazione e proseguito
nel luglio del 1968 (anticipando di 16 mesi quella che era
stata fissata come la data ufficiale) con l�abolizione dei dazi
all�importazione, ha permesso alla libera circolazione delle
merci di assumere carattere manifestamente tangibile.
Per quanto concerne l�abolizione delle tasse di effetto
equivalente ai dazi doganali all�importazione e
all�esportazione, il processo di liberalizzazione � stato
rallentato dalla necessit� di fornire all� espressione
utilizzata dal Trattato per definire quelle misure di
protezione tariffaria indiretta (appunto le c.d. tasse di
effetto equivalente) un contenuto sufficientemente preciso
che permettesse di sanzionare le fattispecie di cui si
assumeva la contrariet� con l�obbiettivo del mercato
comune. In linea generale si pu� dire che alle tasse di
effetto equivalente ai dazi doganali sono riconducibili tutti i
tributi imposti unilateralmente dagli Stati membri per il
solo passaggio delle frontiere nazionali da parte delle
merci, determinando l�innalzamento del costo del prodotto
importato (o esportato), frustrando l�effetto liberatorio
derivante dalla soppressione dei dazi doganali
9
.
Al riguardo fondamentale � stato il contributo della
giurisprudenza della Corte di giustizia che ha permesso di
definire gli elementi essenziali della nozione presa in
esame. Si possono distinguere due momenti principali: nel
primo, la Corte ha considerato l�intento discriminatorio e
protezionistico dell�imposizione stessa identificandola nel
�diritto imposto unilateralmente, sia all�atto
9
Per rilievi quantitativi sulla diffusione delle tasse di effetto
equivalente ai dazi doganali, si rimanda a C. W. A. Timmermans, La
libera circolazione delle merci, cit., p. 261.
dell�importazione, sia in un momento successivo e che,
colpendo specialmente la merce importata�ad esclusione
del corrispondente prodotto nazionale, produce il risultato
di alterare il prezzo e di incidere cos� sulla libera
circolazione delle merci alla stessa stregua di un dazio
doganale
10
�; in seguito la Corte ha focalizzato l�attenzione
sulla necessit� di dare portata generale al divieto di cui agli
art. 23 e 24 per agevolare la pi� ampia circolazione delle
merci nel mercato comune. In due sentenze del 1969
(Commissione c. Italia e Social Fonds Diamantarbeiders
11
)
la Corte ha affermato che �un onere pecuniario� che
colpisce le merci nazionali o estere in ragione del fatto che
esse varcano la frontiera, se non � un dazio doganale
propriamente detto, costituisce un tassa di effetto
equivalente�anche se non abbia alcun effetto
discriminatorio o protezionistico�. In particolare, dopo
aver ribadito il divieto di dazi doganali a prescindere da
qualsiasi considerazione circa lo scopo della loro
istituzione e la destinazione dei proventi da essi derivanti,
la Corte ha tenuto a precisare che l�estensione di tale
divieto alle tasse di effetto equivalente �serve a completare
rendendolo efficace, il divieto degli ostacoli per gli scambi
che derivano dai dazi stessi�.
Da queste indicazioni della giurisprudenza della Corte di
giustizia si possono dunque individuare gli elementi
essenziali della tassa di effetto equivalente a un dazio
10
Cos� la sent. Pan peato, la sent. 8 luglio 1965 Deutschmann, causa n.
10/65 e la sent. 16/06/1966, Germania c. Commissione, cause riunite
nn.52 e 55/65.
11
Cfr. le sentt. 1� luglio 1969, Commissione c. Italia, causa n. 24/68. in
Racc., p. 193, punto 6 e Social Fonds Diamantarbeiders, cause riunite
nn. 2 e 3/69, in Racc., p. 211, punti 11-12.
doganale: la natura pecuniaria dell�imposizione
12
e il fatto
che quest�ultima sia destinata ad applicarsi esclusivamente
in ragione dell�importazione o dell�esportazione delle
merci rendendo l�operazione commerciale pi� costosa o pi�
complessa sotto il profilo dei relativi adempimenti
amministrativi e burocratici.
2.2 Le restrizioni quantitative e le misure di effetto
equivalente.
Gli articoli 28 e 29, norme di fondamentale importanza nel
quadro della disciplina della libera circolazione delle merci,
che vietano la costituzione ed il mantenimento delle
barriere non tariffarie agli scambi intracomunitari,
rappresentate dall�imposizione di restrizioni quantitative
alle importazioni e alle esportazioni e dalle misure di
effetto equivalente, costituiscono ( in particolare l�articolo
28) norme generali rispetto alle disposizioni in tema di
liberalizzazione degli scambi finora esaminate e, come tali,
si applicano in via residuale rispetto al divieto di tasse di
effetto equivalente ai dazi doganali e al divieto di tributi
interni discriminatori. Qualora ricorrano i presupposti
richiesti dal Trattato, pertanto sono le norme specifiche
degli artt. 23,24 e 90 a trovare applicazione.
Sia la Corte che la Commissione hanno elaborato,
rispettivamente attraverso la propria giurisprudenza ed i
propri atti legislativi, una loro definizione della nozione di
misura d�effetto equivalente alle restrizioni quantitative, di
12
La natura pecuniaria dell�imposizione consente in particolare di
distinguere le tasse di effetto equivalente ai dazi doganali dalle misure
di effetto equivalente alle restrizioni quantitative.
vastissima portata, comprendente ogni forma di intervento
protezionistico non espressamente contemplata da altre
norme del Trattato CE, che ha permesso al divieto in parola
di estendersi alle restrizioni pi� diverse e di limitare la
libert� degli Stati membri in settori ove la loro competenza,
altrimenti, sarebbe stata esclusiva.
La nozione in esame � stata definita in primo luogo dalla
Commissione mediante una serie di direttive di cui la pi�
significativa � la n. 70/50 del dicembre 1969
13
, nella quale
si definiscono le misure ad effetto equivalente come:
�tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative, le prassi, nonch� ogni atto posto in essere
da un�autorit� pubblica, ivi compresi gli incitamenti�
suscettibili di ostacolare le importazioni o le esportazioni,
che potrebbero avere luogo in loro assenza, ivi comprese le
misure che rendono le importazioni pi� difficili e pi�
onerose rispetto allo smercio della produzione nazionale�.
L�orientamento della Commissione, troppo angusto rispetto
alle esigenze collegate e conseguenti alla progressiva
instaurazione del mercato comune delle merci, � stato
superato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia
sviluppatasi soprattutto in sede di rinvio pregiudiziale che
ha permesso di affinare sempre di pi� la nozione in esame.
Seguendo il criterio generale inteso a facilitare la pi� ampia
circolazione possibile delle merci, la Corte ha infatti fornito
all�art.28 del Trattato un�interpretazione alquanto ampia,
sancendone anzitutto l�efficacia diretta e provvedendo poi
ad enunciarne gli elementi essenziali
14
.
13
In GUCE, 13 gennaio 1970, p. 29.
14
Per l�efficacia diretta dell�art. 28 si veda la sent. Iannelli e Volpi,
punto 13, la sent. 8 novembre 1979, Denkavit, causa n. 251/78, in
Racc., p. 3369, punto 3.
Un�importante definizione della Corte � contenuta nella
sentenza �Dassonville� dell� 11 luglio 1974, nella quale si
afferma che devono considerarsi misure ad effetto
equivalente:�tutte le normative commerciali degli Stati
membri suscettibili di ostacolare direttamente o
indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi
intracomunitari�
15
.
Questa nozione, ancor oggi valida nella sua interezza, �
apparsa tuttavia particolarmente severa, dal momento che
in essa il riferimento all�ostacolo agli scambi
intracomunitari derivante dalla normativa statale non �
accompagnato da nessuna precisazione che permetta di
delimitarne la portata in relazione al tipo o all�entit�. Ne
deriva che la Corte, pur cercando di preservare una visione
unitaria del divieto in esame e lasciando immutata la
formula Dassonville, ha adottato un approccio pi� o meno
severo a seconda del tipo di misura di effetto equivalente
valutato in concreto caso per caso.
Si pu� inoltre considerare come nella sentenza
�Dassonville� ci si riferisce alle misure che abbiano
un�incidenza restrittiva sulle importazioni e sulle
esportazioni; non vengono per� considerate le misure
interne che siano indistintamente applicabili sia ai prodotti
nazionali sia ai prodotti importati. Queste sono regolate
dalla direttiva 70/50/CE.
La direttiva rappresenta un passo molto importante verso la
precisazione della nozione di misure, che possono avere
effetti equivalenti a quelli delle restrizioni quantitative.
Essa vieta, innanzitutto le misure distintamente applicabili
ai prodotti nazionali ed ai prodotti importati. In secondo
15
Causa 8/74, sentenza del 11 luglio 1974, in Racc., p. 837, punto 5.
luogo, vieta le misure indistintamente applicabili sia ai
prodotti nazionali sia ai prodotti importati
16
.
Esiste, quindi, una divisione in due categorie differenti di
misure d�effetto equivalente: da una parte le misure
distintamente applicabili e dall�altra quelle indistintamente
applicabili.
Le misure distintamente applicabili possono essere
ulteriormente suddivise in due categorie: quelle
formalmente e sostanzialmente applicabili ai soli prodotti
importati, e quelle formalmente applicabili sia ai prodotti
importati che ai prodotti nazionali, ma che di fatto gravano
in misura maggiore, quando non unicamente, sui prodotti
importati rendendone pi� difficile o pi� oneroso il
commercio.
Le misure indistintamente applicabili (art.3 70/50/CE)
sono, al contrario, secondo la Commissione,
quelle:�relative alla commercializzazione dei prodotti e
riguardanti la forma, le dimensioni, il peso, la
composizione, la presentazione, ecc. che, pur applicandosi
sia ai prodotti nazionali che ai prodotti importati, hanno
degli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci
che eccedono il contesto degli effetti propri di una
regolamentazione commerciale�. Un esempio tipico in tale
senso � costituito dai provvedimenti adottati dagli Stati
membri per controllare il livello dei prezzi, applicabili tanto
ai prodotti importati quanto ai prodotti nazionali.
Molto diffuse sono anche le misure d�effetto equivalente
indistintamente applicabili rappresentate dai c.d. ostacoli
tecnici agli scambi, che consistono negli ostacoli alla
16
Sulla giurisprudenza richiamata si rimanda, tra gli altri, a M. A.
DAUSES, Mesures d�effet �quivalent � des restrictions quantitatives a
la lumi�re de la jurisprudence de la Cour de justice des Communaut�s
europ�ennes, in Revue trimestrielle de droit europ�en, 1992, p. 607 ss.
circolazione delle merci derivanti dalla persistente diversit�
delle normative con cui ciascuno Stato membro provvede a
regolare, in assenza di una disciplina comunitaria di
armonizzazione, le modalit� di fabbricazione,
composizione, imballaggio, confezionamento, etichettatura,
denominazione e presentazione dei prodotti (c.d. norme
tecniche). Per lungo tempo si � ritenuto che gli obiettivi
perseguiti dagli Stati membri con queste misure fossero
rimessi alla competenza interna degli Stati; le normative
nazionali indistintamente applicabili, emanate in virt� di
tale competenza non incorrono nell�interdizione prevista
dall�art.28 in quanto i loro effetti sono propri ed inerenti
alle politiche interne degli Stati membri. Da ci� deriva che
risulter� necessario ricorrere al riavvicinamento delle
legislazioni per eliminare gli ostacoli agli scambi
intracomunitari derivanti da normative nazionali
indistintamente applicabili, che non rientrano nel campo di
applicazione dell�art. 28. Lo strumento dell�articolo 28 e lo
strumento dell�armonizzazione sono, quindi tra loro
interdipendenti e complementari: l�uno ha lo scopo di
eliminare immediatamente, salvo eccezioni determinate,
tutte le restrizioni quantitative all�importazione delle merci
e tutte le misure d�effetto equivalente, mentre l�altro ha lo
scopo di permettere, mediante il riavvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative
degli Stati membri, di ridurre gli ostacoli di ogni genere
risultanti dalla disparit� tra dette disposizioni. Il rapporto di
complementariet� si � andato, per�, modificando nel corso
degli anni e a seguito della sentenze della Corte: la linea di
demarcazione, infatti, che segnava il confine tra il campo di
applicazione del primo strumento e quello del secondo, �
andata spostandosi prima a favore di una maggiore
applicazione dell�articolo 28 poi, successivamente � a
seguito della sentenza Kecke e Mithouard (su cui
torneremo diffusamente in seguito) che ha determinato,
secondo alcuni autori come Mattera
17
, un�inversione di
tendenza � a favore di un maggiore utilizzo dello strumento
dell�armonizzazione. Una prima modifica � stata attuata
dalla Corte attraverso i principi espressi nella celebre
sentenza Cassis de Dijon del 1979
18
, diminuendo il campo
di applicazione dell�art. 94 a favore di un utilizzo sempre
maggiore sia dell�articolo 28 sia del nuovo principio del
mutuo riconoscimento, per superare gli ostacoli derivanti
dalla presenza nei singoli Stati membri di legislazioni
differenti; in particolare lo Stato membro che intenda
opporre ai prodotti importati la propria legislazione ha
quindi l�onere di provare che la normativa tecnica cui il
prodotto si � conformato nello Stato di produzione non
offra garanzie equivalenti a quelle richieste dalla normativa
tecnica nazionale, ad esempio nel campo della protezione
dei consumatori. Dalla giurisprudenza della Corte e
dall�interpretazione della Commissione emerge che gli
Stati membri devono accettare i prodotti che siano
17
Pi� in generale, sul rapporto tra l�attuazione del principio del mutuo
riconoscimento ed il riavvicinamento delle legislazioni nazionali, si
rimanda a A. Mattera Ricigliano, L��limination des barri�res
techniques et la mise en oeuvre de la reconnaissance mutuelle, in
Revue du March� Commun, 1990, p 80 ss.
18
Cfr. la sent. 20 febbraio 1979, Rewe Zentrale (Cassis de Dijon),
causa n. 120/78, in Racc., p. 649, punto 8. E� importante sottolineare
che tale giurisprudenza � stata ulteriormente sviluppata per
ricomprendere tra le esigenze imperative in grado di giustificare
l�introduzione o il mantenimento di restrizioni alla libera circolazione
delle merci gli obiettivi legittimi di politica economica e sociale, la
lotta contro l�inflazione, il risanamento della finanza pubblica e la
protezione dell�ambiente( cfr. , al riguardo, le sent. 20 settembre 1988,
Commissione c. Danimarca, causa n. 302/86, in Racc., p.4627, e 9
luglio 1992, Commissione c. Belgio, causa n. C-2/90, in Racc., p. I-
4431).
legalmente fabbricati in un altro Stato membro secondo
prescrizioni tecniche diverse da quelle nazionali ( principio
del c.d. mutuo riconoscimento); gli Stati membri, infatti,
non possono imporre a tali prodotti importati
regolamentazioni nazionali indistintamente applicabili,
anche se non eccessive rispetto all�obbiettivo legittimo
perseguito, o non sostituibili da altre misure che arrechino
minor intralcio agli scambi. E� appena il caso di ricordare
che l�applicazione della giurisprudenza Cassis de Dijon ha
condotto a considerare vietate dall�art.28 del Trattato
numerose legislazioni nazionali che esigevano il rispetto di
particolari regole tecniche da parte dei prodotti importati,
con particolare riferimento alle norme vigenti per
determinati prodotti alimentari tipici del Paese importatore.
Tale giurisprudenza, di cui non � possibile dare conto per
intero, comprende le note pronunce relative alla
commercializzazione dell�aceto non di vino e della pasta di
grano tenero in Italia, della birra in Germania, del latte in
polvere e dello yoghourt in Francia, della margarina in
Belgio
19
. La giurisprudenza della Corte ha ricevuto
un�inversione in quella che era diventata oramai, pur con
alcune contraddizioni e discordanze, la sua linea d�azione
riguardo soprattutto le modalit� dell�attivit� commerciale e
le condizioni di vendita con la sentenza Keck-Mithouard
19
Si vedano a proposito le sentt. 26 giugno 1980, Gilli, causa n.
788/79, in Racc., p.2071; 10 novembre 1982, Rau, causa n. 261/81, in
Racc., p.3691, punti 12-17; 23 febbraio 1988, Commissione c. Francia,
causa n. 261/84, in Racc., p.763 ss; 14 luglio 1988, Zoni, causa n.
90786,in Racc., 4285; 14luglio 1988, Smanor, causa n.298/87, in
Racc., p. 4489, punto 25; 17 luglio 1988, Dei Glocken, causa n.
407/85, in Racc., p. 4233. Per ulteriori riferimenti, si rimanda a Libre
circulation des marchandies, in Dictionnaire permanent de droit
europ�en des affaires, cit., p. 1722b ss.
del 24 novembre 1993
20
. In tale sentenza la Corte ha
tracciato una distinzione tra le misure che riguardano le
caratteristiche del prodotto, e quelle che riguardano le
modalit� di vendita dello stesso. Sempre la Corte ha pi�
volte affermato che, mentre le prime sono soggette
all�applicazione dell�articolo 28, tutte le misure
indistintamente applicabili che riguardano le condizioni di
vendita sfuggono all�applicazione di esso, senza un esame
preliminare dei loro effetti. In particolare la Corte ha
affermato che l�applicazione ai prodotti provenienti dagli
altri Stati membri di disposizioni nazionali intese a limitare
o vietare talune modalit� di vendita � non pu� costituire
ostacolo� agli scambi commerciali�,semprech� tali
disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori
interessati che svolgono la loro attivit� sul territorio
nazionale e semprech� incidano in egual misura, tanto
sotto il profilo giuridico, quanto sotto quello sostanziale,
sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da
altri Stati membri�
21
. Poich�, dunque, le regolamentazioni
nazionali concernenti le modalit� di vendita esulano dal
campo d�applicazione dell�art. 28CE, gli ostacoli
eventualmente creati da queste devono essere eliminati
attraverso lo strumento dell�armonizzazione. Dunque, il
suo campo d�applicazione viene allargato e la linea di
20
Cause riunite C-267/91 e C-268/91 sentenza del 24 novembre 1993
in Racc. p. I-6097.
21
Cos� le sentt. 24 novembre 1993, Keck et Mithouard, cause riunite
nn. C-267 e C-268/91, in Racc., p.I-6097; 9 febbraio 1995, Leclerc,
causa n. C-412/93, in Racc., p. I-4536, punto 21.
Sul nuovo orientamento della Corte si rimanda, tra gli altri, a R.
Wainwright-V. Melgar, Bilan de l�article30 apr�s vingt ans de
jurisprudence: de Dassonville � Keck et Mithouard, in Revue du
March� Commun, 1994, p. 533 ss.
demarcazione precitata si sposta a favore
dell�armonizzazione.
2.3. Il divieto di imposizioni fiscali discriminatorie o
protezionistiche per i prodotti importati
Le norme relative all�abolizione dei dazi doganali e il
divieto di applicare ai prodotti altri oneri pecuniari all�atto
o comunque in ragione dell�attraversamento delle frontiere
tra Paesi membri, vanno integrati con l�ulteriore divieto,
sancito dall�art.90 del Trattato, di applicare tributi interni
che siano discriminatori nei confronti dei prodotti
importati
22
. Tale divieto di applicare ai prodotti importati
tributi interni superiori a quelli applicati ai prodotti
nazionali similari, nonch� il divieto di utilizzare le
imposizioni interne per tutelare indirettamente determinate
produzioni nazionali
23
svolge infatti una funzione
22
Si cita per maggior completezza il testo dell�articolo 90: �Nessuno
Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli
altri Stati membri imposizioni interne di qualsivoglia natura, superiori
a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali
similari. Inoltre, nessuno Stato membro applica ai prodotti degli altri
Stati membri imposizioni interne intese a proteggere indirettamente
altre produzioni�.
Si veda inoltre l�art. III, n. 2, del GATT 1994.
23
L�espressione �imposizioni interne� di cui all�art.90 � stata definita
dalla Corte nella sent.3 aprile 1968, Molkerei-Zentrale, causa n. 28/67,
in Racc., p.208, come �il complesso dei tributi gravanti effettivamente
e specificatamente sul prodotto nazionale, in ogni fase della
produzione e della distribuzione, anteriore o concomitante
all�importazione del prodotto da altri Stati membri�.
Si pu� pertanto affermare che l�art.90 comprende qualsiasi onere
fiscale gravante sul prodotto nazionale nel corso dei vari stadi della
fabbricazione, commercializzazione, utilizzazione e consumo, a
prescindere dalle tradizionali nozioni, peraltro difformi da Paese a
Paese,di imposte dirette e imposte indirette. Sul divieto in parola si
veda, tra gli altri, L. Maublanc-Freandez-J.P. Maublanc, L�interdiction
des entraves de nature fiscale ou parafiscale � la libre circulation des
marchandies, in Revue du March� Commun, 1995, p.383 ss.