una sola volta ai motivi a delinquere (
2
). Trattasi, in definitiva, di una fictio
elaborata dal legislatore con riferimento al trattamento sanzionatorio o agli
altri effetti penali conseguenti all’unificazione.
Gli elementi costitutivi del reato continuato sono desumibili direttamente
dalla chiarezza del dettato normativo che consente di enucleare tre requisiti
la cui contestuale sussistenza rende operativa la disposizione in parola: 1)
la pluralità d’azioni od omissioni; 2) più violazioni di legge; 3) unicità del
disegno criminoso.
Il primo requisito è rappresentato dalla pluralità di condotte criminose
autonome destinate, in quanto tali, ad integrare ognuna un diverso reato
completo in ogni suo elemento costitutivo.
La definizione rimanda, al di là di ogni intento interpretativo, al concetto di
più reati che, quali conseguenze di condotte plurime e separate, risultano
tra loro legati dall’intento criminoso unidirezionale.
Quanto all’inciso “anche in tempi diversi”, giova ricordare che esso, a
condizione di non ritenere la disposizione pleonastica, si riferisce alla
2
FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, parte generale, Bologna, 2000; MANTOVANI, Diritto Penale, parte generale,
Padova, 2001; ZAGREBELSKY, Reato continuato, in EdD, XXXVIII, 1997, 839.
possibilità che il tempus relativo ad ogni azione od omissione può esser
anche notevolmente distante (
3
).
Quanto al secondo requisito, è evidente che la pluralità di azioni od
omissioni ha ragion d’essere nel sistema penale solo se produce una
pluralità di violazioni e dunque la sussistenza di una pluralità di reati.
Va altresì precisato che la riforma dettata dalla l. 7 giugno 1974 n. 220 ha
esteso la portata della disposizione ammettendo la configurabilità della
fattispecie anche quando le violazioni non siano collocabili nella stessa
norma incriminatrice, bensì in norme diverse.
Infine, le delicate problematiche relative all’accertamento dell’unicità del
disegno criminoso verranno più puntualmente esaminate (v. paragrafo
successivo) dopo aver introdotto il discorso concernente l’applicazione
della continuazione nella fase esecutiva ex art. 671 cod. proc. pen.
Inserito nel Capo I – “giudice dell’esecuzione”, del Titolo III –
“attribuzione degli organi giurisdizionali”, del libro X – “esecuzione”,
questa norma consente al giudice dell’esecuzione (art. 665 cod. proc. pen.),
3
Cass. 6 sent. 12613 del 20-9-90 (ud. 4-6-90) rv. 185418, per la quale il decorso del tempo costituisce elemento di
rilevanza fondamentale, spesso unico, sul quale basare la valutazione ai fini del riconoscimento della continuazione ex
art. 81, secondo comma, cod. pen. Ne consegue che — in relazione al presupposto per l’applicazione di detta norma,
rappresentato dall’unità del disegno criminoso — in assenza di altri elementi, quanto più ampio è il lasso di tempo fra le
violazioni tanto più deve ritenersi improbabile una programmazione unitaria predeterminata almeno nelle linee
fondamentali.
su richiesta del condannato o del P.M. di applicare la disciplina del reato
continuato (art. 81, secondo comma,
cod. pen.) - con correlativa
rideterminazione della pena - purché non precedentemente esclusa dal
giudice di cognizione (artt. 186-188 att. cod. proc. pen.), nell’ipotesi di più
sentenze (art. 529 cod. proc. pen.) o decreti penali (art. 460 cod. proc. pen.)
irrevocabili (art. 468 cod. proc. pen.) pronunciati in procedimenti distinti
contro la stessa persona (
4
).
4
L’art. 671 cod. proc. pen. recita: (Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato)
“Nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il
condannato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del
concorso formale o del reato continuato, sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione.
Il giudice dell’esecuzione provvede determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con
ciascuna sentenza o ciascun decreto.
Il giudice dell’esecuzione può concedere altresì la sospensione condizionale della pena e la non menzione della
condanna nel certificato del casellario giudiziario, quando ciò consegue al riconoscimento del concorso formale o della
continuazione. Adotta infine ogni altro provvedimento conseguente.”
Disp. Att. cod. proc. pen.
Art. 186 (Applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato)
“Le copie delle sentenze o decreti irrevocabili, se non sono allegate alla richiesta prevista dall’art. 671 comma 1 del
codice, sono acquisite d’ufficio.”
Art. 187 (Determinazione del reato più grave)
“Per l’applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato da parte del giudice dell’esecuzione, si
considera violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per alcuni reati si è
proceduto con giudizio abbreviato.”
Art. 188 (concorso formale e reato continuato nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti)
“fermo quanto previsto dall’art.137, nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti
pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona, questa ed il pubblico ministero possono chiedere al giudice
dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando concordano
sull’entità della sanzione, sempre che quest’ultima non superi complessivamente due anni di reclusione o di arresto, soli
o congiunti a pena pecuniaria. Nel caso di disaccordo del pubblico ministero, il giudice, se lo ritiene ingiustificato,
accoglie ugualmente la richiesta.”
La natura di unità giuridica fittizia del reato continuato impone al giudice
una riconsiderazione dei fatti giudicati agli effetti dell’art. 671 cod. proc.
pen., in una qualificazione parzialmente nuova per il loro inquadramento,
in un più vasto disegno.
Infatti, sostiene la giurisprudenza, persino dopo l’espiazione delle pene
inflitte sussiste sempre l’interesse a chiedere ed ottenere l’applicazione
della disciplina del concorso formale o del reato continuato, sia al fine di
imputare, eventualmente, ad altra condanna la pena di fatto sofferta oltre la
misura complessiva rideterminata ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. e sia,
comunque, al fine di escludere o limitare determinati effetti penali delle
condanne (come l’ostacolo a futuri benefici derivanti, in mancanza di
unificazione ex art. 81 cod. pen., dal cumulo materiale o giuridico delle
condanne stesse).
L’articolo in esame “rappresenta la necessaria conseguenza della riduzione
delle ipotesi di connessione dei procedimenti nella fase di cognizione,
perseguita dal legislatore con la tendenziale concentrazione del processo su
un’unica imputazione, obiettivo ritenuto fondamentale per la funzionalità
del rito accusatorio, ma che costituisce un indubbio pregiudizio del diritto
dell’imputato di usufruire dei vantaggi derivanti dalla continuazione. Senza
la disposizione in esame, il favor separationis, cui s’ispira il vigente codice
di rito, avrebbe potuto, a causa dell’indicato pregiudizio, incidere su
posizioni soggettive costituzionalmente presidiate…” (
5
) dagli artt. 3 e 24
Cost.
Nel vigore del nuovo cod. proc. pen., pertanto, la continuazione, ai sensi
dell’art. 671 di detto codice, può anche essere dichiarata in sede esecutiva
per cui la possibilità di tale vincolo tra reati oggetto di differenti processi
non impone più, nei casi in cui non è possibile la riunione dei processi, la
sospensione dell’uno fino alla definitiva conclusione dell’altro, in funzione
di accertamento dell’identità del disegno criminoso e della conseguente
determinazione dell’unica pena da infliggere per il reato continuato che nel
previgente sistema processuale era possibile solo nell’ambito del giudizio
relativo ad uno dei predetti reati, né tanto meno giustifica, nell’ipotesi in
cui con il ricorso per cassazione sia stata dedotta la continuazione con fatti
5
Cass. 6 novembre 1992, Chirico, in Cass. pen. 1994, 1267; ed in dottrina: CORBI, L’esecuzione nel processo penale,
Torino, 1992, p. 296; BASSI, La continuazione criminosa come strumento applicabile dal giudice dell’esecuzione: la
nuova veste dell’istituto e le sue implicazioni processuali, in Cass. pen. 1991, 234; D’ASCOLA, Limiti all’applicazione
della disciplina del reato continuato nella fase dell’esecuzione, in Riv. it. dir. proc. pen. 1991, 1280; LORUSSO,
Procedimento applicativo della disciplina relativa al concorso formale ed al reato continuato in executivis e garanzie
giurisdizionali, in Cass. pen. 1994, 2126; POTETTI, Vecchi problemi in tema di reato continuato e nuovo rito penale,
ivi 1996, 965.
giudicati con sentenza divenuta irrevocabile dopo la pronuncia di quella
impugnata, l’annullamento con rinvio della sentenza (
6
).
L’ammissibilità della rideterminazione della pena può, secondo la
giurisprudenza di legittimità (
7
), avvenire solo in ipotesi tassativamente
previste dall’art. 671 cod. proc. pen. (il quale non trova applicazione nel
caso in cui una legge successiva introduca un’attenuante non contemplata
dalla precedente); né, sotto questo stesso profilo, può farsi applicazione
dell’istituto della continuazione nella fase esecutiva fra una condanna
inflitta dal giudice italiano ed altra inflitta da giudice straniero, ancorché vi
sia stato riconoscimento in Italia, non potendo la continuazione
ricomprendersi tra gli “effetti penali” della condanna (
8
) in base all’art. 12
n.1 cod. pen.
Limite normativo al potere del giudice dell’esecuzione è costituito, per quel
che concerne la continuazione, dalla circostanza che la stessa non sia stata
esclusa dal giudice della cognizione: pur derogando alla regola
dell’intangibilità del giudicato (
9
), le pronunce dei due magistrati giammai
6
Cass. II, sent. 3383 del 23.3.92 (ud. 24.9.91) rv. 189681.
7
Cass. 8 aprile 1994, in Cass. pen. 1996, 1475.
8
Cass. 14 giugno 1994, ivi 1996, 1415.
9
Alla regola fondamentale dell’intangibilità del giudicato è possibile derogare soltanto nei casi eccezionali
espressamente stabiliti da specifiche norme: tra queste va annoverato l’art. 671, cod. proc. pen., che ne prevede la
possibilità di concessione quando ciò consegue al riconoscimento della continuazione; Cass. III, sent. 528 del 5.3.96
possono porsi in contrasto. E’ stato, infatti, puntualmente rilevato che “…il
legislatore, con il conferire al giudice dell’esecuzione il potere di
intervenire in questa ipotesi sul calcolo della pena stessa, non ha voluto
delegare funzioni e compiti che sono propri del giudice di cognizione al
giudice dell’esecuzione, in modo da stravolgere la funzione propria
dell’esecuzione, che è quella dell’esecuzione delle pene e non
dell’irrogazione delle stesse” (
10
).
Ne deriva che la possibilità di applicare la continuazione nella fase
esecutiva presenta, oltre a quello della tipicità, il carattere della
sussidiarietà rispetto al potere di cognizione (v. amplius infra Cap. II, § 1).
(cc. 5.2.96) rv. 204700. In tal senso anche Cass. I, sent. 5027 del 22.1.94 (cc. 19.11.93) rv. 196134; Cass. I, sent. 2007
del 16.5.97 (cc. 12.3.97) rv. 208131.
10
P. DI RONZA, Manuale di diritto dell’esecuzione penale, Padova, 2000, 148.