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Il marketing deve cercare di comprendere questi modelli di consumo anche
utilizzando nuovi metodi di ricerca. Nel decidere come spendere il loro denaro e
tempo, le persone non sempre si adeguano alla classica segmentazione del mercato
basata su età, sesso, etnia, stile di vita, classe sociale, ma acquistano ciò che rientra
nel loro comportamento di consumo. Gli individui cioè non definiscono se stessi in
base ai costrutti sociali ma in base ad attività, oggetti, relazioni che forniscono loro
dei significati.
Sono gli oggetti, i beni di consumo che determinano la loro posizione nella
società. È tramite gli oggetti che interagiscono con le persone, condividono
significati e si aiutano a vicenda. Queste relazioni e attività sono governate dalle
ideologie di consumo. Intorno ad esse i consumatori costituiscono la loro categoria
che definisce e delimita la loro subcultura di consumo.
Le differenti subculture incoraggiano i professionisti di marketing a provvedere ai
bisogni dei loro membri. È possibile per i manager che capiscono la struttura, le
norme di una subcultura coltivare una durevole, simbiotica relazione con essa.
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1 Definizioni, caratteristiche e tipologie degli sport estremi
Gli sport estremi costituiscono un oggetto di un qualche interesse per chi si
occupa di marketing almeno sotto due prospettive:
y di recente vengono tenuti in grande considerazione dalla comunicazione di massa
(pubblicitaria e non): esistono testate, programmi televisivi, siti web che si
occupano del fenomeno. Alcune trasmissioni generaliste inseriscono
approfondimenti su queste realtà per fare audience. La pubblicità usa sempre più
spesso lo sport (e lo sportivo) estremo come modello di riferimento per arricchire
prodotti e servizi sul piano simbolico e valoriale;
y una parte crescente delle società occidentali si dedica ad attività e sport estremi e
per questo si è via via ampliato il segmento di consumatori che acquista e utilizza
prodotti e servizi necessari a tali pratiche.
In modo indiretto (come spettatori) o diretto (come acquirenti e consumatori),
uomini e donne del terzo millennio si sono avvicinati e sono stati avvicinati a questa
dimensione dello svago e del tempo libero. Il marketing, secondo le due prospettive
viste sopra, si interessa quindi di queste attività. Nello specifico, in questa tesi si
affronta il problema del crescente numero di praticanti degli sport estremi, mentre il
più generale problema della comunicazione di massa a sfondo estremo viene
considerato solo in modo indiretto. Perciò si affronta la definizione e identificazione
dello sport estremo secondo i tre criteri seguenti:
y si può parlare di sport estremo se presuppone la consapevole assunzione di un
certo grado di rischio;
y si può parlare di sport estremo nella misura in cui ci sia una preparazione teorica e
tecnica che consenta al praticante un certo grado di controllo sul rischio di cui
sopra;
y si può parlare di sport estremo da un punto di vista di marketing, se e nella misura
in cui esista un numero di praticanti tale da costituire un segmento di mercato di
un qualche interesse da un punto di vista commerciale. Non vengono perciò
considerati gli sport estremi d'elite, cioè quelli praticati da pochi grandi
professionisti a livello mondiale e che assumono rilievo solo in relazione alla
comunicazione di cui si è detto sopra.
6
In pratica, quindi, saranno oggetto di approfondimento normali cittadini che, nel
tempo libero, si dedicano alla pratica di alcuni sport estremi. Studiare le forme
estreme di consumo ci può aiutare a scoprire temi che non potrebbero invece essere
scoperti studiando eventi ordinari. Tali attività di consumo giocano un ruolo
determinante nel processo di creazione e mantenimento del concetto di se stessi
(Shouten, 1991).
Esiste un qualcosa dentro ognuno di noi che induce a divertirsi facendo cose che
sono, nell’idea comune, considerate come spiacevoli e/o rischiose. La quotidianità
offre tante attività normali e salutari che possono provvedere al soddisfacimento di
un innato bisogno di eccitazione. Buona parte della nostra vita, la spendiamo nel loro
perseguimento: praticando o più semplicemente guardando gli sport; ascoltando la
musica; scommettendo sui cavalli; ballando in discoteca; andando a delle feste, nei
bar o nei nightclub; guidando veloce; giocando a carte; provando nuovi tipi di cibo;
visitando paesi stranieri. Qualcuno può anche provare qualche forma di eccitazione
semplicemente guardando la televisione.
E’ chiaro, dunque, che la ricerca dell’eccitazione è un aspetto fondamentale della
natura umana. Questo non significa che tutti la cerchino continuamente e nemmeno
che tutti ricerchino lo stesso livello in ogni momento della propria vita, o anche che
questo provochi sempre una sensazione ugualmente piacevole. Significa
semplicemente che ogni persona normale (chi più chi meno) sembra aver bisogno di
eccitazione. Per descrivere in modo appropriato la natura umana sembra pertanto
necessario tenere questa dimensione nella dovuta considerazione.
E’ per questo motivo che studiare forme estreme di consumo con cui l’individuo
cerca di soddisfare il suo bisogno di eccitazione può costituire una valida base per far
avanzare gli studi sul comportamento individuale in generale e del consumatore in
particolare.
Van Gennep (1960) ha osservato tre fasi importanti di passaggio nella vita di ogni
individuo:
1) la separazione, in cui una persona si disimpegna da un determinato ruolo o
status sociale;
2) la transizione, in cui una persona si adatta e cambia se stessa per adeguarsi a
nuovi ruoli o nuovi status;
3) l’incorporazione, in cui una persona integra questo nuovo ruolo o status.
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Il periodo di transizione è quello in cui l'individuo non ha uno status e costituisce
pertanto una fase ambigua. Le persone che attraversano questa fase vivono, nella
maggior parte dei casi, in isolamento. In tali circostanze, le attività di consumo
assumono un’importanza notevole sia per il mantenimento che per lo sviluppo di un
concetto di se stessi stabile e armonioso.
Quale tipo di prodotti o servizi sono importanti per le persone che si trovano nel
periodo di transizione? Come potrebbero essere posizionate le persone che stanno
cambiando il loro concetto di se stessi? La pubblicità può influenzare la
formulazione e la valutazione di noi stessi? E come? Quale tipo di informazioni da
parte delle aziende può aiutare i consumatori a elaborare accuratamente i nuovi
possibili io?
Dato che i consumatori si trovano assai spesso nelle condizioni di dover
modificare o comunque gestire il proprio ruolo di fronte agli altri
1
, il comportamento
di consumo e le sue componenti simboliche assumono un rilievo costitutivo di tale
processo. Tali attività vengono svolte quotidianamente a piccoli passi e sono perciò
difficili da isolare e analizzare, mentre gli sport estremi, come molte attività estreme,
costituiscono ottime opportunità per comprendere a fondo i modi e le logiche
secondo cui gli individui, attraverso l'acquisto e il consumo di beni e servizi,
gestiscono il rapporto con gli altri per mezzo della manipolazione del proprio status.
Le forme di consumo estremo come, ad esempio, la chirurgia plastica
2
(attività
irreversibile, dispendiosa, potenzialmente pericolosa, dolorosa e, comunque, sempre
più popolare; attività che è allo stesso tempo altamente visibile e intimamente
personale) o la pratica di sport ad alto rischio, sono attività che, costituendo un valido
strumento con cui attuare questo cambiamento, meritano particolare attenzione e
costituiscono un’area di crescente importanza nel campo degli studi sul
comportamento del consumatore.
1
E’ il concetto della molteplicità dei sé.Infatti è possibile identificare diversi concetti di se stessi (sé
reale/ sé ideale/ sé sociale/ sé sociale ideale/ sé espressivo). In effetti la vita di tutti i giorni propone
numerose situazioni in cui tutti questi concetti del sé interagiscono e dimostrano la nostra capacità di
mutare atteggiamento a seconda del contesto o della situazione in cui ci troviamo. In particolare, le
scelte d’acquisto sono fortemente condizionate dai diversi concetti di sé che via via vengono alla luce
(Dalli, Romani, 2000, p.99 ss.).
2
Studiata come forma di consumo estremo da Shouten (1991)
8
In questo capitolo si dà una definizione del termine sport estremo e del concetto di
rischio (§1.1). Nel secondo paragrafo si fa un elenco degli sport che la letteratura e il
www classificano come estremi eliminando quelli che si possono considerare
eccessivamente estremi (e in genere praticati da un piccolo gruppo di soggetti a
livello mondiale) e quelli che non presuppongono alcuna assunzione di rischio.
9
1.1 Sport estremi e concetto di rischio: definizioni
1.1.1 Definizione di sport estremo
La mitologia cui si richiamano molte forme di attività fisiche e sportive, si
cristallizza in alcune parole chiave. Tra queste c’è quella di estremo che corrisponde
alla costante esigenza della ricerca del limite. Ma questo limite esiste o no? Dal
successo che hanno avuto gli sport estremi in questi ultimi anni si direbbe proprio di
sì: i limiti ci sono, ma non sono come una staccionata o un muretto che divide le cose
che si possono fare da quelle impossibili; tutti gli sport estremi nascono, vivono e
diventano popolari proprio rimanendo in quella terra di nessuno che separa ciò che è
umanamente possibile da ciò che non lo è. Andare e venire da questa misteriosa e
indefinita terra di nessuno è maledettamente eccitante perché non essendoci confini
netti e ben definiti è possibile fare delle cose quasi impossibili, estreme appunto. E
proprio questo sembra essere il motore che spinge alcuni di noi ad avvicinarsi agli
sport estremi, accostarsi il più possibile al limite, rimanerci in equilibrio sopra,
stando attenti a non cadere dalla parte sbagliata. Lo sport estremo sembra consistere,
almeno in parte, nello stare sempre sul filo del rasoio.
Fin qui la dimensione eroica e metafisica che spesso la comunicazione di massa ci
propone di queste attività, ma chi pratica sport estremi e desidera continuare a farlo
affronta i rischi dopo averli valutati e preso le opportune contromisure. Sa che
proverà paura, ma sa anche che può superarla riducendo il margine di incertezza e -
quindi - di rischio effettivo. Stare sul ciglio, ma dietro una barriera protettiva
costruita con esperienza, competenza e addestramento consente allo sportivo estremo
di gestire il pericolo, o almeno di credere di poterlo fare.
È il paradosso della tiger in the cage (Apter, 1992, p.27): affinché si produca
l’eccitazione deve esistere la possibilità del pericolo (la tigre), ma anche la
convinzione dell'esistenza di una barriera di protezione (la gabbia).
Non è possibile vincere la forza di gravità senza mezzi, ma anche con l’aiuto di un
paracadute o di un parapendio bisogna poter contare su determinate facoltà, senza le
quali l’impresa potrebbe fallire. Per poter impiegare queste capacità nella situazione
in cui si trova, chi si dedica a sport estremi deve essere convinto di farcela o, per
dirla con parole diverse, l’idea o l’immagine che egli ha di sé deve fargli sembrare
possibile il successo dell’impresa.
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In base a questa impostazione esperienze no limits sono quelle che spingono a
mettersi in discussione facendo i conti con i limiti dell’idea di sé: questo è possibile
grazie alla valutazione soggettiva, alla stima delle proprie capacità e dei pericoli
oggettivi, ma il risultato non è assicurato. Fallire potrebbe significare rimanere
infortunati gravemente o anche perdere la vita.
Gli amanti del brivido non sono sempre ragionevoli secondo il senso comune, e
quindi hanno una chance di trarre profitto da questa loro presunta irragionevolezza
anche a dispetto delle loro idee e intenzioni. A lungo andare il confronto continuo
con i confini della propria immagine, l’avvicinamento progressivo al limite del
possibile può contribuire ad ampliare il proprio raggio d’azione. In tal caso, se la
propensione al rischio determina sviluppo interiore e crescita, gli spericolati di cui ci
stiamo occupando hanno davvero tutte le ragioni per dirsi felici perché si
abbandonano a un’attività che procura loro soddisfazione e gioia profonda, portando
avanti contemporaneamente la loro personale evoluzione.
Essi hanno il vantaggio che la loro stima della situazione rischiosa e la possibilità
di superarla si rafforzano ampliando l’esperienza e acquisendo le necessarie capacità.
Gli sportivi estremi fanno l’esperienza, forse negata nella vita di tutti i giorni, di
sentire l’eccitazione fisica in una situazione di stress, restando tuttavia in grado di
mantenere il controllo e fare nel momento decisivo la cosa giusta.
Non sempre però le cose vanno in questo modo. Esistono anche coloro che, pur
non avendo ancora acquisito la necessaria esperienza, vanno alla ricerca di forti
emozioni, trovandosi poi in situazioni che non sono in grado di gestire. In questo
caso vi è, alla base, un’errata valutazione delle proprie capacità e dei pericoli
oggettivi. Quello che predomina, in quel momento, è solo la ricerca di un immediato
innalzamento del livello di attivazione. Si cerca esclusivamente l’alta eccitazione
fisica e si perde, anche solo per qualche istante, la ragione. Ed è generalmente questa
la più frequente causa di incidenti nel mondo dell'estremo, sportivo e non.
Tuttavia coloro che fanno tale tipo di errori, non costituiscono certo la
maggioranza di quelli che praticano attività ad alto rischio fisico. Se così fosse, ogni
giorno, o, comunque, ogni fine settimana, insieme ai morti sulle strade dovremmo
contare anche un altissimo numero di morti causati da comportamenti azzardati.
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Tra gli amanti del brivido esiste una buona parte che non ha nemmeno la
possibilità di lasciarsi andare, in quanto responsabile in primis dell’incolumità di
altri: si tratta degli istruttori e di coloro che hanno trasformato la loro passione per lo
sport praticato in una vera e propria occupazione. Essi si mettono al servizio di altri e
non hanno certo modo di pensare alla ricerca di forti emozioni. Nell’ambito del
paracadutismo, ad esempio, coloro che appartengono a questa categoria, sono anche
quelli che hanno alle spalle un minor numero di sganci (apertura del paracadute di
riserva, in condizioni di emergenza) in rapporto al numero di lanci eseguiti.
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1.1.2 Definizione del concetto di rischio
Rischio, pericolo, paura, infortunio e morte sono entità connaturate alla pratica
dello sport estremo, ma strettamente relazionate all’esperienza, alla preparazione e
alla crescita psico-fisica del praticante.
Il rischio è una quantità misurabile. È il prodotto tra la probabilità che qualcosa
accada e l’entità del danno (Meyer, 1989). Ad esempio, in base alle statistiche sugli
incidenti di una determinata attività, si può stimare la probabilità in termini di
frequenza relativa: nel 1988 risulta che su 60.000 alpinisti si sono verificati 30
incidenti mortali (0,05%); su 25.000 deltaplanisti, 10 incidenti mortali (0,04%); su
110.000 paracadutisti, 28 incidenti mortali (0,025%)
3
.
Associando questa probabilità al valore (o disvalore) associato all'evento si può
determinare la misura del rischio. Pertanto il rischio equivale a quante volte si
presenta l'evento dannoso moltiplicato per la sua intensità.
Se chiedessimo a qualcuno di descrivere situazioni caratterizzate da alto rischio, la
maggior parte delle persone probabilmente penserebbe a situazioni che
presuppongono rischi di danno fisico, come l’alpinismo o il paracadutismo; altri
citerebbero il gioco, come le scommesse ai cavalli o i video-poker.
Solo dopo aver menzionato come molto rischiose le situazioni più ovvie
potrebbero riconoscere la rischiosità anche di alcune normali attività quotidiane,
come il fumo o la guida.
In effetti il concetto di rischio può essere applicato ad ogni evento o azione umana
le cui circostanze sono incerte. Tali azioni sono numerose! Assumersi un rischio può
significare semplicemente selezionare una alternativa tra tante disponibili. Il rischio è
quello di scegliere l’alternativa sbagliata, quella che porta l’individuo in una
posizione peggiore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato scegliendone un’altra o
non scegliendo affatto.
Nell’ambito del gioco d'azzardo (gambling), la matematica dimostra che la
probabilità oggettiva di vincere è bassa. Essa calcola la probabilità di esito positivo e
quella di esito negativo e ne fa la somma algebrica (Bem, 1971, pp. 5 ss.). Se ad
esempio si proponesse ad un individuo la possibilità di giocare con un dado e gli si
3
Per la fonte dei dati vedi nota al par.10.2 del cap.3.
13
offrissero 24 centesimi ogni volta che compare il numero sei, e 6 centesimi ogni
volta che compare il numero quattro o il numero cinque, mentre si costringe a pagare
18 centesimi nel caso in cui uscisse il numero uno, due o tre gli converrebbe tentare o
no?
La matematica suggerisce che è meglio non giocare in quanto se il soggetto in
questione accettasse la sfida rischierebbe di arrivare a casa con tre centesimi in
meno.
Il calcolo matematico alla base di tale conclusione è il seguente:
24 1/6 + 6 2/6 + (-18) 3/6 = 4 + 2 - 9 = -3
In altre parole, se il soggetto agisse razionalmente dovrebbe rifiutare. Ma è
veramente così? Nei comportamenti umani in cui si assumono dei rischi non si
prende in considerazione il modello matematico. E’ qui che entra in gioco la
percezione soggettiva. Se gli esseri umani si assumessero dei rischi solo quando, in
base a calcoli matematici, le aspettative di esito favorevole fossero positive, il lavoro
degli psicologi sarebbe molto più semplice o - paradossalmente - non sussiterebbe
affatto.
Ma le persone non sempre si comportano in questo modo. Ciò non significa che
gli esseri umani siano necessariamente irrazionali in ogni senso. Risultano tali solo
sulla base di uno studio esclusivamente matematico. Bisogna però prendere in
considerazione altri aspetti dell’individuo che giocano un ruolo fondamentale
nell’adozione di comportamenti rischiosi.
Cornish (1978) sostiene che il modello matematico possa rispecchiare il
comportamento umano nella vita reale solo quando l’individuo possiede delle buone
informazioni oggettive sulle probabilità e sui valori, e quando la finalità è quella di
procurarsi una somma di denaro relativamente stabile. In queste condizioni possono
predominare considerazioni razionali ed economiche.
Negli ambiti di vita reale in cui si svolge il gioco d’azzardo tale modello non
descrive in modo convincente il comportamento dei giocatori. Ogni individuo ha una
percezione soggettiva del rischio e della probabilità di vittoria che non
necessariamente coincide con quella matematica. Infatti, la maggior parte dei
giocatori d’azzardo sopravvaluta la probabilità di vincere e la stima è molto
differente da quella che risulta dal modello matematico.
Gli psicologi hanno fatto interessanti scoperte sulla soggettività nella stima del
rischio. Ad esempio, chiedendo ai membri di una squadra di football quale fosse la
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probabilità di fare meta da una lunga distanza, si è riscontrata una sovrastima, mentre
si è sottostimata la probabilità di fare meta da distanze minori (Cohen, 1964). In
poche parole, essi hanno una percezione soggettiva della probabilità che non
corrisponde alla probabilità oggettiva determinata osservando le loro performance
nella realtà. Quando rivediamo gli aspetti decisionali del gioco d’azzardo, tale
fenomeno mostra l’irrazionalità del pensiero e delle decisioni prese da chi vi
partecipa ed è definito da Cohen (1972) come “fallacia del giocatore”, ossia della
tendenza a sopravvalutare la probabilità di successo di una scommessa in seguito ad
una sequenza di previsioni inesatte o di scommesse perse.
Ognuno di noi può trovare esempi simili analizzando le proprie azioni e la stima
personale delle probabilità circa i suoi possibili esiti. Per esempio, chi pensa che il
proprio voto possa influenzare il risultato delle prossime elezioni? Le probabilità
sono 1 su 20.000.000, ciò non ostante in molti si recano alle urne. A tale fenomeno si
fa riferimento come all'illusione del votante (Girotto, 1996, p. 111).
Questi e altri esempi mostrano come l’individuo, al momento della scelta di
adottare o no comportamenti rischiosi, sostituisca alla probabilità oggettiva una sua
stima personale.
Un elemento sicuramente determinante in tale scelta è caratterizzato dal grado di
dipendenza degli eventi dal caso (fortuna) o dalle abilità dell’individuo. Anche
quando le probabilità di riuscita sono le stesse, la maggior parte di noi probabilmente
tende ad assumersi rischi minori quando pensa di non essere all’altezza della
situazione, ovvero si sente meno esperto. Si tende, al contrario, ad assumersi rischi
crescenti e, a volte, eccessivi, con l’aumento della fiducia nelle proprie abilità.
L’illusione di controllo (Langer, 1975) costituisce un’altra prova del fatto che la
gente si comporta diversamente da quanto è compatibile con la sua conoscenza delle
leggi che regolano il caso. Ellen Langer definisce quest’illusione come “aspettativa
di successo personale erroneamente alta rispetto a quanto l’obiettivo possa garantire”
(Langer, 1975, p. 313). In altri termini, l’illusione di controllo si riferisce alla
situazione in cui le persone manovrano gli eventi casuali come se dipendessero dalla
loro volontà, o percepiscono, ad esempio, il gioco d’azzardo come gioco d’abilità.
Quando invece le probabilità di esito favorevole sono attribuite esclusivamente al
caso, alcuni tendono ad essere più azzardati, altri più prudenti e non esiste un
comportamento generalizzato.