OMC) di cui gran parte della popolazione ignora finanche l’esistenza
1
.
L’attuale processo di globalizzazione si distingue dalle
interdipendenze dei mercati riscontrate nel passato, fondamentalmente
per tre motivi: il maggior volume degli scambi di beni e servizi,
l’impressionante velocità con cui essi si realizzano ed il
coinvolgimento di nuovi soggetti (imprese multinazionali e istituzioni
intergovernative) nel diritto internazionale.
Questo fenomeno, come si vedrà, può avere un duplice impatto
sui diritti dell’uomo. Da una parte incide sulla loro protezione: essi
non appartengono più alla domestic jurisdiction ma rientrano
nell’interesse dell’intera comunità internazionale la quale esorta i
singoli Stati ad adottare ogni misura di carattere legislativo,
amministrativo e giudiziale per accrescerne la tutela.
1
S. Zamagni, Processi di globalizzazione, società civile e mercato, tra localismi e
mondialità, Relazione al seminario organizzato dall’istituto internazionale
“Jacques Maritain”, Milano 29-31/10/1998; J. Somavia, “A Decent- Work
Agenda”, in World of Work, n. 34, 2000, pp. 12-13. Si veda anche M.
Chossudovsky, La globalizzazione della povertà, l’impatto delle riforme del
Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, Torino 1998, p. 29 in
cui si parla di “divisione triangolare dell’autorità basata sulla stretta
collaborazione tra Fondo monetario Internazionale, Banca Mondiale e
Organizzazione Mondiale del Commercio nella vigilanza sulle politiche
economiche dei Paesi in via di sviluppo”.
I diritti dell’uomo sono, inoltre, molto spesso tenuti in
considerazione nei processi decisionali delle “globalized economic
institutions” per diversi motivi quali la necessità di una stabilità socio-
politica del Paese in cui si investe
2
, la paura del boicottaggio dei
consumatori e la pressione dell’opinione pubblica.
D’altro canto il cd. “livellamento verso il basso” delle
condizioni ambientali, lavorative e sociali
3
, risulta per governi e
grandi imprese lo strumento più immediato per il taglio dei costi di
produzione necessario per rimanere sul mercato. Questa corsa verso il
fondo è più visibile nei Paesi in via di sviluppo, dove la manodopera è
abbondante e scarsamente remunerata e i governi, proprio per attirare
capitali stranieri, creano condizioni giuridiche favorevoli per
l’insediamento di imprese multinazionali ma troppo spesso in
violazione dei diritti dell’uomo nei luoghi di lavoro. Mi riferisco in
particolar modo a quei diritti previsti da alcune convenzioni
internazionali in materia di lavoro che hanno per oggetto la libertà di
2
È da osservare, però, che spesso gli investimenti effettuati nei PVS non
comportano necessariamente condizioni socio-politiche migliori per la
popolazione perché finalizzati esclusivamente ad interessi economici. Si veda R.
McCorquodale e R. Fairbrother, “Globalization and Human Rights”, in Human
Rights Quarterly, vol. 21, 1999, pp. 735-766.
3
J. Brecher e T. Costello, Contro il capitale globale, Milano 1996, p. 30.
associazione e contrattazione collettiva
4
, la proibizione del lavoro
forzato
5
, la non discriminazione sul lavoro
6
, l’eliminazione delle
forme di sfruttamento del lavoro minorile
7
. Considerato che gli stessi
diritti sono riconosciuti e tutelati dalla Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo, dal Patto sui diritti civili e politici, dal Patto sui
diritti economici, sociali e culturali, dalla Convenzione europea di
salvaguardia dei diritti umani e dalla Carta sociale europea, si può
affermare che le norme che prevedono standards di condizioni
lavorative siano “a protezione di fondamentali diritti umani”
8
. Esse
costituiscono il presupposto necessario per il conseguimento di uno tra
gli obiettivi principali delle Nazioni Unite: la collaborazione in campo
economico e sociale tra Stati per lo sviluppo umano
9
.
4
Si veda l’art. 2 della Convenzione OIL n. 87; l’art. 1 della convenzione OIL n.
98; il Preambolo della Costituzione dell’OIL; i principi I, lett. b), e III, lett. e),
della Dichiarazione di Filadelfia adottata nel 1944 ed incorporata nella
Costituzione dell’OIL con un emendamento del 1946.
5
Si veda l’art. 2 n. 1 della Convenzione OIL n. 29; Convenzione OIL n. 105.
6
Si veda il Preambolo della Costituzione OIL; il principio III, lett. j), della
Dichiarazione di Filadelfia; l’art. 2 della Convenzione OIL n. 100 ed infine, la
Convenzione OIL n. 111.
7
Si veda il secondo “considerando” del Preambolo della Costituzione OIL; il
principio III, lett. h), della Dichiarazione di Filadelfia; la Convenzione OIL n.
138.
8
C. Di Turi, “Globalizzazione dell’economia e diritti fondamentali in materia di
lavoro” in Rivista di diritto internazionale, vol. LXXXIII, fasc.1, 2000, p. 115.
9
B. Conforti, Le Nazioni Unite, Padova 1996, p. 8.
I fondamenti giuridici che legittimano l’azione internazionale
delle Nazioni Unite in questo senso, risiedono:
- nel preambolo della Carta dell’ONU, dove si
afferma l’impegno delle Nazioni Unite a favorire il progresso
sociale, instaurare migliori condizioni di vita e ad impiegare
strumenti internazionali per favorire il progresso economico e
sociale di tutti i popoli;
- nell’art. 13, par. 1, lett. b) (“l’Assemblea Generale
emette raccomandazioni allo scopo di sviluppare la
cooperazione internazionale nei campi economico e sociale”);
- nell’art. 55 (“Al fine di creare le condizioni di
stabilità e benessere che sono necessarie per avere rapporti
pacifici […] fra le nazioni, basati sul rispetto del principio
dell’uguaglianza dei diritti o dell’autodecisione dei popoli, le
Nazioni Unite promuoveranno: un più elevato tenore di vita, il
pieno impiego […] e condizioni di progresso e di sviluppo
economico e sociale; la soluzione dei problemi internazionali
economici, sociali, sanitari e simili…; il rispetto e l’osservanza
universale dei diritti dell’uomo …”).
Ben si comprende allora il fondamentale ruolo che ha assunto
l’Organizzazione internazionale del lavoro nella promozione e nel
controllo di detti standards. Già dal rapporto presentato nel 1994 dal
Direttore generale, in occasione della 81
a
sessione della Conferenza
internazionale del lavoro, l’OIL cominciava ad interrogarsi su come
affrontare le sfide della nuova economia alla luce del legame tra pace
universale e giustizia sociale, sancito nel Preambolo della
Costituzione
10
. La globalizzazione dei mercati, infatti, pur essendo un
potenziale fattore di crescita economica, non garantisce di per sé il
progresso sociale se non è accompagnata da regole che garantiscano
condizioni lavorative eque.
Il passo successivo fu compiuto allorché nel 1995, i capi di
Stato e di Governo presenti a Copenaghen per il Vertice mondiale
sullo sviluppo sociale, adottarono il Programma di azione relativo ai
“diritti fondamentali dei lavoratori”: proibizione del lavoro forzato e
del lavoro minorile, libertà sindacale, diritto di associazione e di
contrattazione collettiva, pari retribuzione per mansioni di pari valore
ed eliminazione di ogni discriminazione nell’accesso al lavoro.
10
ILO, Defending Values, Promoting Change. Social Justice in a Global
Economy: an ILO Agenda, Ginevra 1994.
Nel 1996 intanto, in occasione della Conferenza ministeriale
dell’Organizzazione mondiale del commercio di Singapore, i delegati
degli Stati partecipanti hanno riconosciuto che “the International
Labour Organization is the competent body to set and deal with these
standards”, dichiarando il loro “support for its work in promoting
them”
11
.
Il 18 giugno 1998, a Ginevra, l’OIL finalmente ha adottato la
Dichiarazione sui principi e diritti fondamentali del lavoro e suoi
seguiti
12
, “nell’intento di assicurare la connessione tra progresso
sociale e crescita economica”
13
. Per tale scopo, la Dichiarazione
riconosce importanza primaria alla garanzia dei principi e diritti
fondamentali nel lavoro, “in quanto fornisce agli interessati la
possibilità di rivendicare liberamente e con pari opportunità la loro
giusta partecipazione alla ricchezza che essi stessi hanno contribuito a
creare”
14
.
11
Doc. WT/Min(96) Dec./W, 18 dicembre 1996. Sull’attività e l’organizzazione
dell’OMC si veda A. Dermanovic, “The World Trade Oragnization”, in Review of
International Affairs, n. 50, 1999, p.8-14.
12
Si veda il paragrafo n.8 per l’analisi della Dichiarazione come strumento contro
il lavoro minorile.
13
Così il quinto “considerando”.
14
Si veda la nota 12; si veda anche M. Hansenne, Presentazione alla
Dichiarazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sui principi e i
diritti fondamentali nel lavoro e suoi seguiti, Ginevra 1998.
Norma di notevole importanza, per intendere il ruolo dell’OIL
nel diritto internazionale del lavoro, è il sesto “considerando”, il quale
rivendica per l’Organizzazione la funzione di “organo competente ad
emanare e seguire le norme internazionali del lavoro”
15
.
L’art. 2 sancisce l’impegno per tutti i Membri, di rispettare,
promuovere e realizzare, in buona fede e conformemente alla
Costituzione, i principi riguardanti gli standards lavorativi citati. Tale
impegno resta valido anche per gli Stati che non abbiano ratificato le
Convenzioni in questione
16
, ciò in virtù della sola appartenenza alla
Organizzazione.
Nonostante anche i Paesi in via di sviluppo, negli ultimi anni, si
siano mostrati sensibili alle problematiche degli standards lavorativi,
essi temono che una regolamentazione troppo rigida della materia
possa costituire una forma di protezionismo mascherato dei Paesi
occidentali. Essi temono infatti un aumento del costo della propria
manodopera con conseguenze disastrose sul piano della competitività
nel commercio internazionale. A tal proposito, l’art. 5 “Stresses that
labour standards should not be used for protectionist trade purposes,
and that nothing in this Declaration and its follow-up shall be invoked
15
Si veda la nota 13.
16
Si vedano le note 3, 4, 5 e 6.
or otherwise used for such purposes; in addition, the comparative
advantage of any country should in no way be called into question by
this Declaration and its follow-up”. Tale norma è evidentemente
ispirata alla dichiarazione conclusiva della prima conferenza
interministeriale dell’OMC
17
, in cui i delegati hanno sostenuto di
rifiutare “the use of labour standards for protectionist purposes” e di
concordare sul fatto che “the comparative advantage of countries,
particularly low-wage developing countries, must in no way be put
into question.”
18
.
La Dichiarazione si completa con un meccanismo di controllo
che prevede:
- una “procedura annuale” (Annual follow-up
concerning non-ratified fundamental Conventions), basata su
rapporti richiesti ai Membri che non hanno ratificato tutte le
Convenzioni fondamentali, secondo l’art. 19, par. 5(e) della
Costituzione, in maniera tale da poter seguire annualmente i
loro sforzi compiuti in conformità della Dichiarazione;
19
17
Conferenza tenutasi a Singapore, 9-13 dicembre 1996.
18
Doc. WT/Min(96) Dec./W, 18 dicembre 1996, punto n. 4.
19
Allegato, Seguiti della Dichiarazione, par. 2 (“Procedura annuale sulle
Convenzioni fondamentali non ratificate”).
- un “Rapporto globale” (Global report), il cui fine è
quello di “fornire un dinamico quadro globale” che coprirà ogni
anno, a turno, una delle quattro categorie di principi e diritti
fondamentali osservati durante il precedente periodo di quattro
anni. Da tale Rapporto, redatto sotto la responsabilità del
Direttore generale, si potrà valutare “the effectiveness of the
assistance provided by the Organization, and for determining
priorities for the following period, in the form of action plans
for technical cooperation designed in particular to mobilize the
internal and external resources necessary to carry them out”
20
.
Anche se, a ben guardare, la Dichiarazione non prevede nessun
nuovo diritto rispetto a quelli già enunciati dalle Convenzioni OIL, la
sua importanza risiede nell’attestare l’esistenza di una irreversibile
opinio juris in materia di tutela dei diritti dei lavoratori
21
: l’innegabile
esistenza di un nucleo di diritti fondamentali assolutamente necessari
per coniugare lo sviluppo economico con la giustizia sociale, entrambi
presupposti per “una pace universale e durevole”
22
.
20
Allegato, Seguiti della Dichiarazione, par.3 (“Global report”).
21
C. Di Turi, op. cit., p. 131.
22
Si veda il primo “Considerando”.
2. Il lavoro minorile e la comunità
internazionale
Nel quadro dei diritti dell’uomo su cui la globalizzazione dei
mercati influisce maggiormente, spicca il diritto dei minori di ricevere
particolari garanzie per il loro sviluppo. Tale diritto si traduce,
secondo numerose norme di diritto internazionale (art. 10, comma 3,
del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, l’art.
32 della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia, la
Dichiarazione dei diritti del fanciullo, le Convenzioni OIL n. 138 e n.
182), innanzitutto nel diritto ad essere protetti dallo sfruttamento
economico e sociale, a non essere impiegati in lavori pregiudizievoli
per la crescita psicofisica e, comunque, a non essere impiegati in
lavori salariati prima del compimento di una certa età.
Il rapporto tra globalizzazione dei mercati e lavoro minorile non
è necessariamente di causa-effetto ma tra i due fenomeni esistono
delle forti relazioni. Come verrà esposto, se da una parte la nuova
divisione del lavoro nel mondo contemporaneo induce milioni di
bambini del Paesi in via di sviluppo a lavorare a tempo pieno per
imprese occidentali
23
, dall’altra è proprio l’internazionalizzazione del
commercio a fornire gli strumenti, garanzie giuridiche o meccanismi
di fatto
24
, più efficaci per la tutela dei minori.
Per un approccio critico alla questione bisogna considerare le
diversità dei vari Paesi del mondo in quanto a cultura, economia ed
organizzazione sociale. Ciò vuol dire che gli obiettivi che si vogliono
raggiungere e, ancor di più, i mezzi concretamente a disposizione,
sono diversi a seconda delle aree geografiche. Se per la sensibilità del
mondo occidentale il lavoro minorile rappresenta un fenomeno che va
debellato, per tanti Paesi dell’America latina, dell’Africa, del Medio
ed Estremo Oriente, costituisce una delle colonne portanti della
propria organizzazione socio-economica
25
. È doveroso fare questa
premessa al fine non di conservare lo status quo, legittimando abusi e
soprusi nei confronti dei minori, bensì allo scopo di individuare il
lavoro che deve essere effettivamente eliminato dagli strumenti
internazionali.
23
Si calcolano approssimativamente 250 milioni di minori, di cui la metà con
meno di 14 anni, impegnati a tempo pieno in un’attività lavorativa.
24
Si veda il paragrafo n. 10.
25
Si veda la Dichiarazione dei NATs (Niños y adolescientes trabajadores) di
Huampanì, Lima, Perù, 1997.
A tal fine le Convenzioni internazionali
26
hanno individuato due
criteri: età del minore e natura del lavoro. Va notato che essi non sono
parametri rigidi, ma possono cambiare sensibilmente a seconda delle
condizioni economiche, sociali ed amministrative dei diversi Paesi
27
.
È da notare, inoltre, che i normali obblighi familiari sono, in via di
principio, esclusi dal mirino degli strumenti internazionali a meno che
non diano luogo a gravi abusi quali il lavoro obbligato in riscatto di un
debito e la tratta di minori.
Pur ritenendo doveroso sottolineare come le norme di diritto
internazionale di cui mi occuperò, siano vuote di significato se non
accompagnate da una volontà reale di applicarle, e che esse da sole
non abbiano la capacità di pervenire ad alcun risultato, ne ammetto
l’indispensabilità. Esse, infatti, manifestano la volontà della comunità
internazionale, formatasi anche con la partecipazione degli
imprenditori e dei lavoratori, di distinguere ciò che è lecito da ciò che
non lo è, di individuare gli obiettivi da raggiungere ed i mezzi per
farlo.
26
Si veda ad esempio la Convenzione n. 138 sull’età minima.
27
Si veda L. Picard, “Perché dei nuovi strumenti internazionali sul lavoro
minorile”, in Educazione e lavoro. Il lavoro minorile: problemi e linee d’azione,
n. 108, 1997, pp. 11-18. Si veda anche Iscos CISL Emilia Romagna, Il lavoro
minorile nel quadro della globalizzazione, nel sito web della Regione Emilia
Romagna: <http//:www.regione.emilia-romagna.it/lavorominorile>.
3. Metodo d’indagine e piano di lavoro
In questa sede cercherò di analizzare gli strumenti di diritto
internazionale che regolano il lavoro minorile.
Il punto di partenza sarà l’analisi della hard law e della soft law
in materia di lavoro minorile. Innanzitutto, per l’universalità del
principio espresso, l’art. 32 della Convenzione internazionale sui
diritti dell’infanzia, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel
1989; in secondo luogo le convenzioni e le raccomandazioni dell’OIL,
facendo anche cenno al numero di ratifiche ottenute, concernenti
direttamente (C. 138 e C. 182) o indirettamente (C. 29) il lavoro
minorile. Esse rappresentano il fulcro della disciplina internazionale
sul lavoro minorile visto che, come risulterà dal Cap. 2, l’OMC, il
FMI, la Banca mondiale e l’OCSE, non hanno preso nessuna iniziativa
in materia che sia degna di nota.
Poiché inquadrerò il problema nell’ambito della globalizzazione
dei mercati, non potrò fare a meno di prendere in considerazione le
relazioni che intercorrono tra commercio internazionale e lavoro
minorile.