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separazione tra Stato e Chiesa, della scoperta
della legge sulla relatività di Einstein,
dell’esplosione della prima rivoluzione russa,
quando viene alla luce, il 21 giugno a Parigi,
Jean Paul Sartre, figlio dell’ufficiale di
marina Jean Baptiste Sartre e di Anne Marie
Schweitzer; due anni dopo, nel 1907, il padre
di Jean Paul muore in Cocincina
(“[…] ho lasciato dietro di me un
giovane morto che non ebbe il tempo di
essere mio padre e che potrebbe essere,
oggi, mio figlio[…]
3
scriverà Sartre ricordando la prematura perdita
del genitore) e la giovane Anne Marie si
trasferisce, con il piccolo Jean Paul, dai
genitori a Meudon dove il nonno materno Charles
Schweitzer esercita una profonda influenza sul
futuro filosofo, anche e soprattutto per quanto
riguarda la precoce vocazione letteraria: “lui
non viveva che per scrivere” dirà di Sartre
Simone de Beauvoir, la compagna della sua vita.
Costantemente al centro dell’attenzione
del nonno, della madre e della governante (Anne
Marie, dopo l’esperienza della vedovanza,
finisce per esaurirsi del tutto a causa delle
veglie e delle privazioni, così Jean Paul viene
3
Jean Paul Sartre, Le Parole, trad. it. Luigi De Nardis, ed. Il
Saggiatore, Cuneo 2002, p. 17
6
affidato alle cure della balia all’età di nove
mesi) Sartre scopre ben presto di essere
considerato, al di fuori dell’ambito familiare,
“[…] una mezza cartuccia che non
interessa a nessuno […]”
4
questa presa di coscienza umiliante lo spinge a
pensare che qualcosa, nel mondo, non funzioni
come lui credeva: tra le sue aspirazioni e la
realtà, tra i suoi giudizi e le opinioni
altrui, si alza un muro.
Sono le parole che alleviano il
giovanissimo ed avvilito Sartre dalla
tristezza, dall’afflizione di tale
consapevolezza: le parole che legge sui libri
del nonno, ma soprattutto le parole che scrive
(ancor prima di frequentare la scuola) gli
danno sollievo e conforto: il libro costituisce
da questo momento una sorta di struttura
portante dell’educazione del giovane; sin da
bambino considera suoi alcuni libri presenti
nella sua cameretta:
“[…] mi lasciarono vagabondare fra i
libri e diedi l’assalto all’umano
sapere […]”
5
4
Jean Paul Sartre, L’età della ragione, cit, p. VII
5
J. P. Sartre, Le parole, cit., p. 37
7
così trascorre l’infanzia di Sartre, una
maturazione feticista che troverà ben presto il
suo sfogo liberatorio.
Mentre i suoi coetanei scorrazzano nei
prati, inseguono le farfalle e gli uccelli, il
giovanissimo Sartre si rifugia nei libri e si
immerge in questo mondo che ancora non gli
appartiene completamente e che non comprende
fino in fondo, così come Alice, nel Paese delle
Meraviglie, dopo aver attraversato lo specchio
o dopo esser caduta nella buca inseguendo il
Bianconiglio, si sentiva disorientata e
perplessa, ma profondamente attratta da fatti,
eventi, situazioni che ancora non riesce a
spiegarsi.
Charles Schweitzer, quel nonno materno che
tanto influenza il giovane Sartre nel suo
sentirsi attratto e votato alla scrittura e
alla lettura, pur non essendo uno scrittore,
avverte un forte interesse per la lingua
francese, per la sua sonorità e la musicalità:
all’età di settant’anni si trastulla, si
diverte a giocare con le parole ed organizza
spettacoli in famiglia in occasioni di
ricorrenze, immagini, queste, che rimangono ben
impresse nella memoria del nipote che, nel
1912, ricorda:
8
“[…] scrivevo per scimmiottatura, per
cerimonia, per fare la persona grande:
scrivevo soprattutto perché ero il
nipote di Charles Schweitzer […]”
6
Nel 1916 Sartre assiste al matrimonio
della madre con il direttore dei cantieri
navali di La Rochelle dove, l’anno seguente,
Jean Paul frequenta il liceo e, dopo aver
conseguito il baccalaureato tra il 1921 e il
1922, è ammesso alla Scuola Nazionale di Parigi
in cui conosce compagni con i quali stringe
forte amicizia: Nizane, Merleau Ponty, Aron.
Maurice Merleau Ponty racconta, in una raccolta
di suoi scritti usciti in Francia nel 2001, del
suo primo incontro con Sartre: i due, quasi
coetanei, sono entrambi normaliens, ma,
nonostante il grado elevato degli studi si
trovano sottoposti a certi riti goliardici
allora più forti che mai; ricordando quei
giorni Merleau Ponty descrive Sartre come un
ragazzo attivo, gaio e vivace ed è proprio
questa sua vitalità che lo porta ad evitare di
restare da solo.
Sartre conosce, nel 1929 Simone de
Beauvoir che soprannomina “le castor” e che gli
resterà vicino durante il corso dell’intera
vita; la parola costituisce un punto di forza
6
J.P. Sartre, Le Parole, cit. p. 100
9
tra i due giovani: nulla di più facile che
trovarli, in quegli anni, a conversare sulle
terrazze dei caffè in St. Germain o St.
Michelle, al Cafè Flore o al Falstaff, oppure
alla Rhumerie Martiniquaise o ai Deux Magots.
“[…] Non un matrimonio ma un contratto
a termine, rinnovabile ogni due anni,
con licenza di tradirsi e obbligo di
raccontarsi tutto, fino all’ultimo
dettaglio. E’ durata più di mezzo
secolo l’unione tra il filosofo
dell’esistenzialismo e la scrittrice
[…]”
7
Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir
s’incontrano per la prima volta nel luglio di
quell'anno, in un corridoio dell’università:
lui (un ragazzo di bassa statura, vestito in
modo trasandato, ma dotato di grande
affabulazione, di una mente brillante e di una
personalità affascinante) ha ventiquattro anni,
lei, una ragazza dell’alta borghesia, ha
frequentato il collegio S. Marie e ha una sete
insaziabile di leggere, conoscere, comprendere.
Sartre conquista il cuore di Simone con la
disinvoltura e la spigliatezza che gli sono
soliti, forte del suo atteggiamento sfrontato,
ma se, agli inizi della loro relazione, lui è
7
L. Laurenzi, Amori e Furori, ed. Rizzoli, Milano 2000, p. 115
10
il maestro e lei l’allieva, con il consolidarsi
del rapporto vige un legame di assoluta parità.
La regola del loro rapporto sembra
potersi riassumere nella formula: “sempre
insieme, ma ognuno per conto proprio”: secondo
Sartre, la possibilità di funzionamento di un
simile menage consiste nell’uguaglianza
culturale.
11
I.2. L’incontro con la fenomenologia.
L’incontro con la fenomenologia, decisivo
nella formazione filosofica sartreiana, avviene
per merito dell’intervento di Raymond Aron che,
secondo quanto testimonia Simone de Beauvoir,
gli fa veramente conoscere ed apprezzare questa
nuova dottrina filosofica: nel 1929 Edmund
Husserl espone, alla Sorbona, una prima
elaborazione delle Meditazioni Cartesiane (note
col titolo Discorsi Parigini), ma Sartre, che
assiste alle lezioni del grande filosofo
tedesco, non ne rimane entusiasta; Aron,
borsista dell’Istituto Francese di Berlino,
mentre raccoglie materiale per la celebre Thèse
su La philosophie critique de l’histoire,
studia e si interessa del pensiero di Husserl
e, al suo ritorno a Parigi, ne parla, con gran
fervore, a Sartre evidenziando quanto la
posizione fenomenologica sia originale in
merito al problema dei rapporti tra coscienza e
mondo ed esaltando l’intento dei fenomenologi
tedeschi di studiare con nuova immediatezza gli
oggetti reali nonché l’umana percezione di
essi.
Jean Paul Sartre, riflettendo sulle
considerazioni dell’amico, chiede ed ottiene
una borsa di studio al fine di recarsi in
Germania: si alterna, tra il 1933 e parte del
1934 (in coincidenza con la presa del potere da
12
parte dei nazisti) tra Berlino e Friburgo (dove
insegna Husserl) immergendosi nello studio e
nelle ricerche che gli permetto di
impossessarsi dei concetti cardine della
fenomenologia.
Già alla fine degli anni ’20, Sarte nutre
un forte interesse per gli studi di psicologia
e legge le opere di Gestaltpsychologie e di
Jaspers ed oppone tali teorie agli insegnamenti
di psicologia analitica della Sorbona:
l’insoddisfazione sempre maggiore nei confronti
dei caratteri fondamentali dell’idealismo, lo
spingono ad un progressivo distacco dalla
filosofia professata nell’università. La
fenomenologia sembra risolvere i suoi problemi,
dare una risposta ai suoi dubbi, come lo stesso
Sartre, nel 1939, scriverà, nel numero di
gennaio del Nouvelle Revue Française: “[…]
Husserl ha ridato orrore ed incanto alle cose.
Ci ha restituito il mondo degli artisti e dei
poeti. […] Potremo avere la rivelazione di noi
stessi […] per la strada, nella città, in mezzo
alla folla, cosa tra le cose, uomo fra gli
uomini.[…]”
L’intento di Sartre consiste
nell’utilizzare i principi della fenomenologia
contro il pensiero francese a lui
contemporaneo, contro gli scogli opposti di
realismo-materialismo e di idealismo: egli
13
vuole fortemente mostrare come la coscienza si
trovi tutta negli atti intenzionali che compie
concretamente.
Nel 1936, l’anno di pubblicazione della
Fenomenologia trascendentale di Husserl, quando
Sartre è nuovamente a Parigi, viene dato alle
stampe il suo primo saggio filosofico
intitolato L’immaginazione che va considerato
il punto di partenza del processo speculativo
sartreiano con un’autonoma rielaborazione della
fenomenologia husserliana: è, infatti, sulla
scia di Husserl, ma dal quale prenderà in
seguito le distanze, che il filosofo francese
descrive la coscienza come punto di vista
mobile sulle cose e precisa che non c’è
coscienza che non sia posizionale, che ogni
coscienza consiste in un far proprio
qualcos’altro.
Sartre, che riprende gli appunti e i
materiali dei suoi studi precedenti, intende
mettere in atto il suo proposito di scrivere un
trattato sistematico di psicologia
fenomenologica: egli ritiene che la
fenomenologia di Husserl consenta di cogliere
l’autentico significato dei fenomeni psichici,
per merito del concetto di intenzionalità che
consente di evitare la riduzione sia del
soggetto all’oggetto, sia dell’oggetto al
soggetto.
14
Tra il 1936 e il 1940, Sartre scrive tre
saggi psicologici: L’immaginazione, 1936,
Disegno per una teoria delle emozioni, 1939,
L’immaginario, 1940, che costituiscono, in
ambito fenomenologico, una delle testimonianze
più significative dell’opposizione contro il
positivismo francese.
Certamente lo sviluppo del pensiero di
Sartre viene influenzato dalla ripercussione
della difficile situazione della Germania che,
in quegli anni, è assoggettata al potere
nazista: gli intellettuali dell’epoca, e Sartre
tra loro, altro non possono fare se non
assistere impotenti alla rapida ascesa del
regime nazista, regime nazista che non si
limita a disapprovare scrittori e uomini di
scienza, ma interviene ed ostacola la loro
attività con vere e proprie condanne come
giganteschi roghi n piazza dell’Opera a Berlino
in cui vengono bruciati i libri censurati
perché ritenuti pericolosi.
Durante quegli anni Jean Paul Sartre e
Simone de Beauvoir si recano in Italia per un
viaggio, esperienza che si ripeterà spesso in
seguito: l’opera La Regina di Albemarle (curata
da A. E. Sartre) ci testimonia il soggiorno
italiano del 1951 durante il quale il filosofo
annota (alternandosi tra Roma, Napoli, Capri e
Venezia) appunti, essenzialmente descrittivi,
15
su fogli di fortuna, spinto a scrivere dal
forte amore per l’Italia, dal sentimento di
appartenenza alle sue pietre, alla sua luce, ai
suoi palazzi.
Nel 1938 esce La Nausea, romanzo in cui
Sartre narra le vicende di Antoine Roquentin
che, riflettendo sulle ragioni della propria
esistenza e del mondo che lo circonda, fa
l’esperienza rivelatrice della nausea
(sentimento che ci invade quando si scopre
l’essenziale assurdità e contingenza della
realtà), che rappresenta il palesamento, in
forma letteraria, della tesi sartreiana per cui
l’ego non è nella coscienza, ma fuori, nel
mondo, è un ente nel mondo: l’uomo è colui la
cui apparizione fa sì che esista un mondo.
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I.3 L’incontro con Heidegger.
Il 21 giugno 1940, a Paudoux, in Lorena,
Sartre viene fatto prigioniero dai tedeschi e,
in seguito, rinchiuso nella Satalag XII D a
Treviri da dove, pur di uscire è anche disposto
ad evadere (non dovrà ricorrere a tanto). Il
ritorno del filosofo a Parigi vede, nel 1945,
la pubblicazione dei primi due romanzi del
ciclo Le vie della libertà intitolati L’età
della ragione e Il rinvio (La morte dell’anima
uscirà quattro anni dopo).
L’etichetta “esistenzialista” viene
attribuita al pensatore francese dai
giornalisti con la conseguenza di forti
proteste da parte del filosofo che, però,
finisce per accettarla (forse per
rassegnazione) così, nel 1946 (tre anni dopo
l’uscita del capolavoro L’essere e il nulla)
tiene la conferenza L’esistenzialismo è un
umanismo in cui precisa in quale senso vada
inteso il termine “esistenzialismo”, divenuto
in breve tempo così generico da non voler più
dir nulla:
“[…] l’esistenzialismo di Sartre era
diventato quasi da un giorno all’altro
un fenomeno di moda per l’Occidente
europeo. […]”
8
8
R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, trad. it. N. Curcio,
ed. Lomganesi & C., Milano 1994, p. 420
17
La gran folla di persone che assiste a questa
conferenza, svoltasi nella Salles des Centraux,
attende la di quella che avrebbe dovuto essere
l’enciclopedia dell’esistenzialismo; al centro
dell’attenzione di una ressa di interessati,
Sartre, tenendo svogliatamente le mani in
tasca, inizia ad esporre le sue idee, le sue
affermazioni con quel suo modo d’essere che ha
fatto di lui la figura emblematica di
intellettuale inquieto vivente nell’oscuro
periodo tra le due guerre.
Scrive Safranski
“[…] Non soltanto in Francia, dopo
questa conferenza, non ci fu un giorno
in cui non si facesse parola o non si
facesse citazione di Sartre o
dell’esistenzialismo. […]”
9
Nell’autunno del 1945 la fama del filosofo
tedesco Martin Heidegger sta per arrivare in
Francia mentre Sartre è già assai noto in
Germania; entrambi, tuttavia, nutrono una forte
ammirazione reciproca, già prima del loro
incontro avvenuto nel 1952, a Friburgo. Sartre
è elettrizzato dalle descrizioni fattegli della
fenomenologia ed Heidegger, dal canto suo,
cerca un dialogo, anche filosofico, con il
9
Rüdiger Safranski, cit, p. 429
18
pensatore francese. Molti sono i punti in
comune tra i due: il problema dell’umanismo
torna ad essere attuale ed entrambi sentono di
dover lavorare in tal senso (a questo proposito
si vedano la conferenza sartreiana
L’esistenzialismo è un umanismo e la Lettera
sull’umanismo di M. Heidegger) ed è possibile
riconoscere) ed è possibile riconoscere, in
alcune analisi sartreiane, una buona influenza
della dottrina heideggeriana.
Secondo Heidegger la nostra via di accesso al
mondo, l’apertura alle cose e a noi stessi,
avviene non attraverso un atto intellettivo,
bensì attraverso una situazione emotiva:
attraverso la tonalità emotiva che coinvolge e
sconvolge comprendiamo ciò che siamo. Le
emozioni profonde stanno alla base di un’intera
epoca, di una generazione, di un periodo
storico, sostiene Heidegger, si trovano là dove
si aprono nuove epoche storiche, le emozioni
profonde hanno lo scopo di aprirci al senso
delle cose, del mondo, della tonalità
dell’ente. Nell’opera L’essere e il nulla,
parla di emozione profonda nei termini di
“angoscia” intesa come apertura che permette la
comprensione dell’ente; l’esser-ci della vita
quotidiana ha una comprensione della totalità
dell’ente non diretta ma rivolta ai singoli
enti di cui si occupa.