A confermare l’ipotesi di Bell interverrebbe il trend innescatosi negli Usa, ove troviamo la più
bassa percentuale di popolazione attiva nel primario coesistere con la leadership
nell’esportazione di derrate agricole; un aumento dei prodotti in concomitanza con una
diminuizione dei produttori, oltre la ridefinizione, come abbiamo visto, del rapporto numerico
tra impiegati nel secondario e quelli del terziario a favore di quest’ultimi. Bell si è reso
comunque conto dell’eccessiva genericità della definizione del settore terziario come
“servizi”, dato che un’elevata quota di occupati nel terziario è spesso presente anche in società
industriali e addirittura pre-industriali e attua una distinzione ulteriore, inserendo trasporti ed
imprese pubbliche appunto nel terziario; sindacati, banche, assicurazioni nel quaternario;
servizi per il tempo libero, la salute, l’educazione, la ricerca scientifica, la pubblica
amministrazione nel quinario, e sono proprio questi – a detta di Bell – i servizi tipici delle
società postindustriali, in particolare ricerca ed educazione, in quanto contribuenti alla
formazione di una ”intellighenzia”, della “tecnologia intellettuale”. Recentemente
l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha stimato
che più della metà della ricchezza delle società industriali avanzate derivi dal capitale intellettuale, invece che
dal capitale patrimoniale, e 8 su 10 posti di lavoro spettano a lavoratori del sapere. Si calcola che il 90% di
quello che si conosce oggi nei campi della fisica, della chimica e della biologia è stato scoperto o sviluppato
negli ultimi 30 anni. E si crede che il sapere stia raddoppiando ogni 18 mesi, come i microprocessori.
2
La constatazione di quest’esponenziale produttività odierna non può ormai non produrre una
sorta di “dissonanza cognitiva”, vista la disponibilità anch’essa crescente di testimonianze
mediatiche riguardo il sottosviluppo cronico in molte nazioni. Dissonanza che si risolve
automaticamente nel domandarsi se questa sorta di rivoluzione epocale nei rapporti socio-
economici e d’altro tipo, possa contribuire in qualche modo ad abbreviare drasticamente
questa fase di “indigenza”, “ritardo” in cui si trova la maggior parte della popolazione
mondiale, aiutandola, in alcuni casi, a compiere un vero e proprio “salto” da una fase pre-
industriale ad una di tipo postindustriale.
2
H. Mattar, Integrazione economica e responsabilità sociale, è stato Segretario per l'industria, il commercio e i
servizi presso il Ministero brasiliano per l'Industria, i suoi contributi qui utilizzati fanno parte di una conferenza
tenuta a Ravello il 3 luglio del 2000 in occasione del convegno "L'intangibile", promosso dalla S3.Studium e da
NEXT, in http://www.nextonline.it/archivio/14/05.htm
1.2 IL PRIMATO DELLA SCIENZA, LA NUOVA GERARCHIA
INTERNAZIONALE, LE POSSIBILITA’ DEL “SALTO”
“[…] nessuno dubita minimamente che da attività esterna alla produzione industriale – come era nella società
industriale – la scienza sia diventata centrale nel nuovo procedimento produttivo, la cui caratteristica è di
rispondere alla sfida naturale non più con la produzione di strumenti ma con quella dell’innovazione…Il cuore di
questo procedimento non sta più nelle fabbriche ma nei centri di ricerca e nei laboratori, dove sono inventati ed
elaborati i nuovi modelli di attività sociale che saranno tradotti in seguito in tecniche per produrre – alla fine di
questa nuova catena di produzione – nuovi bisogni e nuove pratiche sociali” (Z. Hegedus, “Le scienze nella
società programmata”, Scienza Duemila, n.1, 1983)
Un’altra schematizzazione fondamentale del passaggio dalla società industriale a quella post-
industriale è stata fornita da un’allieva di Alain Touraine, Zsuzsa Hegedus, in un seminario
tenuto a Castelgandolfo nel 1982.
La società industriale era caratterizzata da quattro elementi: 1. esiste un luogo preciso, la
fabbrica, dove avviene la produzione; 2. datori di lavoro e dirigenti da una parte , classe
operaia dall’altra, sono i due poli contrapposti del sistema industriale; 3. questo sistema ha
una sua dimensione nazionale; 4. a livello internazionale vi è una gerarchia di importanza dei
vari paesi sulla base del PNL.
Tutte e quattro queste caratteristiche appaiono oggi profondamente modificate.
1.I luoghi di produzione sono molteplici. Ricerche e componenti sono prodotti in diverse
parti del mondo.
2. Si assiste ad una radicale destrutturazione dei rapporti sociali nelle loro componenti
spaziale e temporale. Si consumano prodotti materiali ed immateriali ideati e realizzati in
altri parti del mondo, magari anni o decenni prima. Non esiste più “contrapposizione
frontale” tra i proprietari ed i salariati, tra chi produce e chi consuma.
3. Cambia la gerarchia internazionale: il Terzo Mondo non è più colonizzato, ma è tuttora
dipendente; ogni paese è all’avanguardia in certi settori e arretrato in altri (ricerca di base,
ricerca applicata, ecc.).
Uno dei fattori determinanti e costituenti il motore di questa evoluzione è individuato dalla
Hegedus nella trasformazione del metodo scientifico: dalla scoperta all’invenzione, dalla
ricerca di soluzioni alla ricerca di quesiti (approccio cibernetico).
Nella società industriale si cercava di far fronte, attraverso le scoperte, lo sfruttamento della
natura e la produzione dei manufatti, a problemi e necessità anteriori. Oggi invece la scienza
ha la possibilità di fornire innumerevoli risposte: basta interrogarla, sottoporle problemi,
esigenze e finalità sociali definite in tutta libertà. Diventa quindi “possibile” una
“programmazione del futuro”. La possibilità del trattamento informatico di innumerevoli
informazioni permette non solo di ottenere soluzioni, ma di porre nuovi quesiti, di inventare.
Non si parla più di un’unica best way utile a conseguire l’obiettivo X, pensata dopo aver
ponderato in precedenza i vincoli al raggiungimento di esso, ma di molte possibili soluzioni
ottenute fissando in partenza l’obiettivo X, e considerando “solo successivamente” le variabili
intervenienti esterne. Conseguenza logica di questa trasformazione è il nuovo primato della
produzione scientifica e culturale su quella manifatturiera.
La nuova società vede quindi l’intensificarsi del carattere di “trans-nazionalizazione” dei
rapporti, ma soprattutto l’enfatizzazione della sfasatura spazio-temporale dei momenti
ideativo, produttivo e fruitivo.
Il modello del lavoro inventivo proposto dalla Hegedus prevede quattro fasi:
1. dell’ideazione. Nei vari laboratori sparsi in tutto il mondo si producono idee, scoperte,
invenzioni.
2. della decisione. L’eventuale implementazione dei prodotti scientifici passa per il
potere decisionale, formato da dirigenti che si occupano della mobilitazione dei mezzi
scientifici, economici e tecnici utili alla produzione delle innovazioni.
3. della produzione (di beni, servizi, informazioni).
4. del consumo (di beni, servizi, informazioni).
Le nuove condizioni che sono intervenute sintetizzando in modo differente questo processo
sono:
Una dipendenza sempre più marcata del potere decisionale dai detentori del sapere. Sono gli
scienziati, come visto prima, a trovarsi ora nella posizione privilegiata di porre, “inventare”
obiettivi, problemi, e sono sempre loro a possedere quelle competenze utili ad elaborare le
“molte” relative soluzioni.
La suddetta sfasatura spazio-temporale dei momenti ideativo, produttivo e fruitivo. Le quattro
fasi possono avere ognuna una propria specifica “locazione geografica” oltre che essere svolte
in tempi differenti.
Lo scenario che si viene a delinearsi è quello di una nuova divisione internazionale del lavoro
nella quale alcune aree mantengono il monopolio della ricerca scientifica e del potere politico,
altre si limitano a produrre e altre ancora solo a consumare. Si vengono a stravolgere così i
campi d’azione, gli spazi di potere, le modalità e le fasce di dipendenza: sono le elite
scientifiche e dirigenziali a creare e monopolizzare nuove sfere di produzione, a creare e
colonizzare
3
nuovi strati di consumatori, i quali non possono sottrarsi a questo nuovo
dominio deciso assai prima, da altri ed altrove. E’ sicuramente vero che una schematizzazione
di questo tipo è probabilmente troppo “rigida” e riduzionista in quanto difficilmente
all’interno di una stessa nazione non sono compresenti tutti e quattro i momenti fondamentali,
ma come afferma la Hegedus è altrettanto vero che i centri nervosi del sistema internazionale,
i centri di produzione, comando ed orientamento della rete che integra ormai il mondo si
trovano nel mondo sviluppato.
Sulla possibilità o meno, da parte dei paesi relegati ad una semplice funzione di consumo
passivo, di poter ricoprire un ruolo “meno dipendente”, sono state espresse due diverse
posizioni: una sostenuta da autori come Rostow, i quali sono convinti che per accedere alla
fase post-industriale occorra sviluppare prima quella dell’industrializzazione; un’altra, fatta
propria da autori come la Mead o come Illich, auspica ed incoraggia a compiere il salto alla
fase post-industriale, ritenuto possibile per quei paesi non ancora industrializzati, quindi
poveri economicamente, ma dove si è sviluppata una certa tradizione scientifico-culturale e in
grado dunque di intraprendere uno sviluppo basato sul terziario avanzato, sulla produzione di
servizi per gli altri paesi industrializzati, su quella scientifica, artistica, culturale, del tempo
libero.
La Convivialità, accessibile fin da ora ai sottosviluppati, costerà un prezzo enorme agli sviluppati.
4
Sarebbe la Convivialità (intesa da Illich come priorità data, anche in sede di produzione, a
valori come la sopravvivenza (sostenibilità), l’equità, l’autonomia creatrice, ecc.) che
permetterebbe a questi paesi potenzialmente “emergenti” di diventare una società post-
industriale senza le “minacce dello sviluppo industriale avanzato”: degradazione ambientale,
consumo indotto ed eterodiretto, polarizzazione nel possesso degli strumenti della
programmazione e della decisione.
3
Il termine è usato nell’accezione datagli da Habermas
4
I. Illich, La convivialità, Mondatori, Milano, 1974.
2. CREATIVITA’, SVILUPPO NELL’ERA TOYOTISTA
2.1 IL POSTFORDISMO E LA FINE DELLA CRESCITA ILLIMITATA
La filosofia “produttivista” elaborata da Taylor ed implementata da Ford era imperniata sul
concetto di “crescita”. Il mercato statunitense era caratterizzato da una domanda “illimitata”,
soddisfabile grazie ad una nuova organizzazione del lavoro (scientific management) frutto del
primato morale accordato alla razionalità tecnica e in grado di aumentare esponenzialmente la
produttività. La catena di montaggio ha costituito l’apoteosi dell’economia di scala, ma anche
l’emblema della standardizzazione, della burocratizzazione dei processi. La saturazione dei
mercati e la relativa cognizione dell’”esauribilità” di spazi e risorse ha rimesso in discussione
le visioni sulla crescita e sullo sviluppo convergenti nella razionalità “limitata”, cosciente di
operare in un contesto altamente concorrenziale, dalla domanda costantemente variabile per la
facilità con cui si arriva a saturarla grazie al progresso tecnico ed organizzativo. La
“rivoluzione toyotista” di Taijchi Ohno negli anni Settanta rappresenta il tentativo di ovviare
all’estrema turbolenza e concorrenzialità dei mercati attraverso l’imperativo dello
“snellimento” e la produzione personalizzata, “cucita” sulle preferenze dei singoli.
La lean production sancisce ufficialmente la fine del mito dell’economia di scala e l’inizio
della ricerca ossessiva della riduzione dei costi, degli sprechi, azzerando tempi e spazi non
produttivi. A tal fine viene invertito il processo produttivo che non può più essere basato sulla
“pianificazione strategica fordista” di una domanda dalle dimensioni illimitate, ma che al
contrario deve conformarsi alle sue mutevoli dinamiche. Il flusso produttivo, tradizionalmente
andante “da monte (pianificazione e “creazione” della domanda in base alle capacità ed alle
esigenze aziendali) a valle” (cliente), ora va “da valle a monte”, in poche parole la produzione
è variabile e “commissionabile” in base alle richieste momentanee e alle preferenze personali
riguardo il prodotto. Durante il processo lavorativo la squadra di produzione riceve l’ordine su
di un cartellino, il kanban, e “si attiva” per realizzare il prodotto secondo le preferenze del
consumatore che può scegliere su una gamma più o meno vasta di “varianti”. Di conseguenza
la forza-lavoro non può essere più eterodiretta in stile catena di montaggio ove tutte le
operazioni, procedure erano prestabilite e andavano meramente eseguite senza alcuna
discrezionalità, ma al contrario essa deve possedere la capacità di “autonomazione”,
flessibilità, auto-organizzazione in quanto deve captare i segnali provenienti dall’ambiente
interno-esterno e realizzare un prodotto personalizzato, just in time, nei tempi più brevi
possibili e nel modo più efficiente ed efficace, evitando gli sprechi grazie ad una gestione
delle scorte impeccabile. La fabbrica postfordista si configura quindi come “organica”, la
forza-lavoro è organizzata in team con un certo grado di autonomia e deve integrarsi
“spontaneamente” interiorizzando i fini generali dell’impresa che deve sentire come propri.
Jeremy Rifkin nel suo L’era dell’accesso dipinge la prossima frontiera del capitalismo come
una corsa frenetica all’innovazione, in un’era ove appunto perfezionamento e creazione
continui degli strumenti tecnologici rendono subito obsoleti mezzi, prodotti e sistemi
organizzativi e “le economie di velocità stanno sostituendo quelle di scala” (Toffler).
Diminuisce il ciclo vitale del prodotto per i bassi costi di miglioramento di un prodotto
sempre più “denso d’informazione”, di conseguenza “chi innova per primo vince la
concorrenza”.
Nell’era dell’espansione del terziario e del passaggio dal “capitalismo industriale a quello
culturale” assistiamo all’ascesa della proprietà intellettuale, mentre constatiamo la
monopolizzazione e il progressivo declino di quella materiale in quanto, come detto sopra, in
un’economia ove il cambiamento rapido si rivela la carta vincente, possedere, accumulare
“risorse materiali” ha meno senso. Da qui il ricorso sempre più massiccio all’outsorcing.
Nella nuova economia diventano centrali, per le imprese, alcune capacità che le distinguono. Sottolineo quattro
di questi elementi. Il primo è la capacità di precedere i concorrenti. Il secondo è lo sviluppo del design, del
sapere e della tecnologia. II terzo è quello di consolidare il marchio, la distribuzione, il marketing e i rapporti
differenziati. Il quarto è quello di finanziare il proprio processo di creazione e produzione […] Nella nuova
economia, gli attivi di maggior valore hanno perso in termini di solidità, nel passare da tangibili ad intangibili.
Per competere le aziende, al posto di fabbriche e attrezzature, utilizzano conoscenze, idee e relazioni. Gli attivi
patrimoniali sono potenziati e integrati dal valore di: brevetti, elenco di clienti, contratti con benefici a lunga
scadenza, diritti d'autore, marchi e nomi commerciali, qualità del management, motivazione dei dipendenti,
capacità di gestione da parte degli azionisti, accordi di franchising ed elementi di goodwill come la reputazione e
localizzazione, che conducono al mantenimento degli affari […] Prendendo come indice degli attivi intangibili la
differenza tra il valore medio al prezzo di borsa dell'indice Dow Jones industriale e il valore degli attivi contabili,
nel 1941 per esempio, gli attivi intangibili costituivano il 18% del totale degli attivi.
Secondo questo calcolo, il valore degli attivi intangibili ha presentato la seguente evoluzione: 19% negli anni
Quaranta, 74% negli anni Sessanta, 62% negli anni Ottanta e una crescita straordinaria del 203% nei primi 5
degli anni Novanta, con una impennata del 282%, nel 1995. Pertanto, in media, due terzi del valore di mercato
delle aziende è dato da attivi intangibili e solo un terzo dai loro attivi patrimoniali […] A titolo di esempio, il
valore di mercato della Microsoft, prima della minaccia della divisione, presentava un rapporto di 10 a 1 tra il
valore di mercato e il valore contabile. Questo equivale a dire che il 90% del valore dell'azienda è composto da
intangibili.
5
5
H. Mattar, op. cit.
Rifkin sottolinea due aspetti della “nuova economia dei servizi”, della “società
postindustriale”, a suo giudizio trascurati dai futurologi e dallo stesso Daniel Bell. In primis la
progressiva “trasformazione dei beni in servizi”. Poiché in molti settori si ha un eccesso di
offerta con conseguente saturazione della domanda di quel bene, servizio, ai venditori non
rimane che cercare di cedere più prodotti diversi (o gli “aggiornamenti”, le “evoluzioni” dello
stesso) ad un solo consumatore, col quale si deve avere un rapporto prolungato, piuttosto che
un solo prodotto a più consumatori possibili. Di conseguenza si impone un ripensamento del
tradizionale rapporto “venditore-compratore” nei termini di “fornitore-cliente”, con il primo
che si impegna nel continuo miglioramento (tramite la ricerca) delle forniture, garantendone
la vendita allo stesso prezzo, in cambio della condivisione del risparmio ottenuto dal secondo
nella gestione delle scorte che diminuiscono per il carattere innovativo e qualitativo del
prodotto acquistato. Diviene così “necessario” il gain-sharing, la condivisione di guadagno,
assieme alla partnership, per la condivisione del rischio derivante dall’operare in mercati
saturi e “turbolenti”.
Questo processo è strettamente connesso con l’altra evoluzione non prevista, costituita dal
“cambiamento della natura dei servizi”. Tradizionalmente considerati come semplici beni
fisici scambiabili nel tempo e nello spazio sul mercato, con l’avvento del commercio
elettronico, i servizi vengono reinventati: diventano appunto relazioni poliedriche a lungo
termine tra fornitori e clienti. Si regalano ad esempio telefonini per vendere prolungatamente
nel futuro servizi annessi ad esso, ma per l’instaurazione di questo rapporto di “marketing
relazionale” è necessario un calcolo del life-time value, della prospettiva di consumo del
singolo nel tempo e questa operazione risulta possibile solamente tramite un’acquisizione
sistematica di informazioni sugli stili di consumo dei potenziali clienti. In realtà, come
sottolineato dallo stesso autore, le imprese conoscono molto di più del customer di quanto
questo possa immaginare tramite i cosiddetti “anelli di feedback” e i “codici a barre” ed
attualmente esso risulta avere un limitato potere di rivendicazione del diritto di copyright sui
propri dati personali. Il marketing diviene così più importante della produzione stessa, in
mercati sempre più saturi dove, a partire soprattutto dagli anni Ottanta e Novanta, la chiave di
sopravvivenza è costituita dalla “personalizzazione”.
2.2 CREATIVOGENICITA’
Nell’era toyotista, dunque, il valore d’uso, tecnologico, funzionale degli oggetti non
costituisce più la principale “spinta all’acquisto” per i clienti che invece sono alla ricerca delle
evoluzioni, delle “varianti” di essi. Acquista assoluta preminenza la dimensione estetica
(forme, colori, suoni etc.), il design, il “sur-plus visuale”
6
delle idee e delle esperienze che
riescono ad evocare.
Inoltre la rapidità del progresso tecnologico si traduce in una continua evoluzione delle
macchine, capaci di sostituire il lavoro umano; l’uomo viene gradualmente liberato dalle
mansioni più faticose e ripetitive, facendo emergere il suo monopolio sul lavoro intellettuale e
creativo. I sistemi produttivi si modificano, si destrutturano, flessibilizzano; si abbattono le
barriere burocratiche; si creano network, reti di relazioni che inseriscono l’individuo in nuovi
“gruppi” e associazioni; si rivalutano i rapporti primari, la soggettività; aumenta la
disponibilità di tempo libero da impiegare in attività diverse dal lavoro, facendo sorgere così
una nuova domanda d’idee e servizi connessi al miglioramento della qualità della vita.
7
Di
conseguenza le nuove imprese hanno bisogno di nuove figure professionali e a tal fine devono
stimolare quel mix di fantasia e concretezza, chiamato creatività, che caratterizza le attività
basate sempre più sull’originalità e l’inventiva degli individui, riabilitandone la sfera emotiva,
fatta di passioni, emozioni e sentimenti. Ma come ottenere questo “prezioso” mix? Quali sono
di fatto le condizioni “creativogeniche”, i fattori da cui scaturisce? Biologi, neurologi,
psicologici hanno definito alcune caratteristiche della genesi individuale creativa, ma studi
recenti
8
hanno constatato come dietro a molti casi di risultati eclatanti raggiunti tra il 1850 e il
1950 nel campo scientifico, artistico, ci sia un lavoro, delle dinamiche organizzative
prevalentemente collettive, ”di gruppo”. La creatività di gruppo sino a questi studi era stata
indagata poco a nulla in quanto era ancora maggiormente diffusa la concezione del creativo
come “cervellone” con pochi contatti mondani, chiuso nel suo laboratorio, stanza, studio, al
massimo con un assistente o un amico fidato a concepire invenzioni scientifico-artistiche
destinate a cambiare i destini del mondo. Le recenti indagini citate tendono a sfatare tale
“mito” se si tiene conto che tra i gruppi oggetti d’indagine, tutti europei, si annoverano
l’Istituto Pasteur e quello di Francoforte, il circolo di Bloomsbury e quello di Vienna, il team
di Enrico Fermi, gli scienziati del “Progetto Manhattan”.
6
M.CANEVACCI, Antropologia della comunicazione visuale, Costa&Nolan, Ancona-Milano 1999.
7
Gruppo Janus, “Ravello tra passato e futuro”, rapporto di ricerca presentato presso la Cattedra di Sociologia
del Lavoro del professor D. De Masi, presso l’Università degli Studi “La Sapienza“ di Roma, 2000, pp 41-42
8
D.DE MASI, L’emozione e la regola, Editori LaTerza, Bari 1991.
Mentre gli Stati Uniti compivano il grande sforzo teorico-pratico che avrebbe portato, con lo “Scientific
Management” alla scoperta dei principi e delle leggi cui improntare il lavoro esecutivo della produzione in serie,
l’Europa percorreva una sua strada autonoma, cercando e praticando modalità originali per organizzare il lavoro
creativo svolto in forma collettiva […] In un primo momento queste forme, flessibili e fragili per loro stessa
natura, risultarono perdenti rispetto alla prepotente avanzata dei modelli industriali. Ma oggi che
l’organizzazione della fabbrica tradizionale ha esaurito il suo ciclo storico, oggi che la catena di montaggio si
avvia a essere un reperto archeologico, oggi che occorre organizzare il tempo libero, l’attività artistica e
scientifica, oggi gli sforzi e gli esempi della vecchia Europa riemergono come patrimonio prezioso cui ispirare le
strutture e le funzioni dei gruppi impegnati nel lavoro ideativo.
9
Inoltre per utilizzare un quadro di riferimento più attuale sono state fatte delle comparazioni
con gruppi, organizzazioni creative attuali che vanno dalle troupe cinematografiche sino al
laboratorio di una multinazionale farmaceutica. Ma quali sono le dinamiche organizzative
ricorrenti nei team sopraccitati dalle quali sarebbe scaturita la risorsa creatività in siffatte
dimensioni tali da plasmare i risultati eclatanti che essi raggiunsero? Riguardo ai fattori
individuali vengono citate una forte motivazione ideativa e realizzativa e coinvolgimento
emotivo, poi “spirito d’iniziativa, reciproca fiducia, forte volontà, dedizione totale, flessibilità,
precedenza accordata all’espressività del lavoro piuttosto che alla strumentalità, […]
molteplicità d’interessi, […] culto per l’estetica, per i lavori, per la dignità e per la supremazia
dell’arte e della scienza su ogni altra espressione dell’attività umana
10
”. Tra le caratteristiche
proprie “di gruppo”, collettive troviamo l’attenzione all’estetica ambientale, la ricerca di una
sua personalizzazione che risulti gradevole e allo stesso tempo funzionale; la “trasversalità”
nei vari campi del sapere (interdisciplinarietà, multidisciplinarietà dei membri); la
despecializzazione, intercambiabilità di mansioni, ruoli, funzioni; la tendenza al pensiero
divergente, generante la tensione, la curiosità, l’interesse verso il nuovo, fondamentale nel
campo dell’innovazione; la modernità tecnologica; l’internazionalismo, il cosmopolitismo
favorenti gli scambi culturali; un clima partecipativo, familistico, favorente l’autonomia, la
cooperazione; la flessibilità degli orari, delle scadenze; l’attenzione non “pregiudiziale”, non
viziata dalla considerazione costante dell’età e della posizione, alle potenzialità dell’apporto
dei giovani. Ma viene sottolineato come fattore di importanza preminente la presenza di una
leadership “capace di una dedizione quasi eroica all’obiettivo; eccezionalmente efficace nel
creare un set psico-sociale, un clima, un fervore fuori dal comune; fortemente orientato, con
pari tensione, sia verso il compito, sia verso il gruppo, sia verso se stesso […]”.
11
9
Ibidem, p. XIV
10
Ibidem, pp. XV-XVI
11
ibidem, p. XVI