6
Ultimi suoi lavori sono Mamma, piccole tragedie minimali, e Anna
Cappelli, monologo con il quale partecipa al Festival di Montalcino del
1986.
2
Prima di morire prematuramente in un incidente d’auto, il 12 settembre del
1986, Ruccello stava curando la regia de La fiaccola sotto il moggio di
Gabriele D’Annunzio, per il teatro Popolare di Roma, e stava inoltre
lavorando alla fusione della Cooperativa “Il carro” con il teatro Nuovo di
Napoli, allo scopo di dar vita ad un Centro di Produzione napoletano.
3
2
Riassumo la cronologia delle opere di Annibale Ruccello:
1977 Osteria del Melograno (inedito)
1978 Cantata dei pastori
1980 I gingilli indiscreti (inedito)
1980 Ipata (inedito)
1980 Le cinque rose di Jennifer
1982 Una tranquilla notte d’estate
1982 Napoli-Hollywood…un’ereditiera? (inedito)
1983 Notturno di donna con ospiti
1984 Ferdinando
1985 Maria di Carmela
1985 La telefonata
1985 La Ciociara
1983 Week- end
1986 Mamma
1986 Anna Cappelli
1986 La fiaccola sotto il moggio (inedito)
3
Il teatro Nuovo di Napoli nasce nel 1724 in quel territorio di confine noto come i
Quartieri Spagnoli, con un forte spirito innovativo in quanto primo teatro aperto ai
cittadini in Italia. Lo caratterizza il desiderio di uscire dall’ambito elitario della
corte e delle case nobili. Negli anni ’70 e ’80 Napoli non aveva più spazi dove gli
artisti potessero esprimersi, fatta eccezione per il S. Carlo e il Sancarluccio: si
recitava dunque nei cortili, nelle stanze; i luoghi del teatro si inventavano. Il
Nuovo riaprì i battenti l’8 dicembre del 1980 per ospitare artisti con una forte
identità innovativa, a partire da Martone, a Servillo, Moscato e Ruccello, che fu
suo direttore artistico.
7
Nonostante le energie e le risorse profuse, la cooperativa formata
a Castellammare, non riusciva a decollare né ad avere i fondi
sufficienti per garantirsi un’intera stagione. Da qui la scelta
intelligente e opportuna di collegarsi ad un teatro, il Nuovo, già
sala privilegiata del teatro di ricerca e di sperimentazione,
nell’intento di dar vita ad un luogo stabile di produzione e ad una
sede fissa della compagnia dove poter produrre e consolidare il
proprio lavoro.
4
L’autore si rispecchia principalmente nell’esperienza artistica di Roberto
De Simone con il quale collabora alle ricerche antropologiche ed accanto al
quale seguirà l’intero allestimento della Gatta Cenerentola.
Riguardo al rapporto con De Simone ed ai punti di contatto e contrasto con
la sua drammaturgia, Ruccello dichiara:
C’è il fatto che io ho lavorato con Roberto De Simone, anche se
non in teatro, ma per le ricerche antropologiche, dal 1975 al 1978
[…].
E poi c’è una scelta di De Simone che mi trova d’accordo: lui ha
individuato consapevolmente una comunicazione che è più fonica
che contenutistica. E i miei personaggi non comunicano mai per
contenuti, comunicano per forme, per linguaggi.
Anche se i miei linguaggi sono diversi da quelli di De Simone: lui
tende ad un “musicale tornito”, io preferisco un “musicale
scassato”, un musicale, diciamo, minimale, se vogliamo dargli una
definizione più o meno corretta musicalmente.
Tutto quello che avviene ai personaggi, avviene quasi
esclusivamente con corpi e suoni, anche se poi c’è una trama.
Ma i miei personaggi difficilmente diranno una frase epica, che
faccia esclamare: “ ecco qui c’è il tema, il contenuto”.
5
4
Luciana Libero, Introduzione a Annibale Ruccello, Teatro, Guida, Napoli, 1993,
p. 6.
5
Ruccello. Una drammaturgia sui corpi, in “Sipario”, n 466, marzo- aprile 1987.
8
Quando Ruccello parla di un “musicale scassato” si riferisce, dunque, ad
una cadenza o ad un modo di parlare che possono ricordare la musica di una
radio mal sintonizzata.
Il linguaggio dei personaggi rappresenta stereotipi verbali appartenenti allo
stesso ambiente dell’autore e ne riproduce l’incomunicabilità.
Tendo molto a costruire per linguaggi anche i personaggi. Spesso
individuo prima un modo di parlare e poi intorno a quello
costruisco il personaggio vero e proprio. Alla fine mi accorgo di
aver riprodotto delle stereotipie verbali che sono del mio
ambiente, di mio padre di mia cugina, pur cercando di evitare,
come massimo dei mali, di far autobiografia a teatro. Finisco
comunque per raccontare il mio ambiente.
6
Il linguaggio è inteso non solo come comunicazione verbale, ma anche
come comunicazione del corpo, non nel senso di teatro “gestuale” ma di
“comportamento”.
Quello che l’autore mette in scena è la sottocultura in cui la provincia
napoletana è immersa negli anni Ottanta; i personaggi sono protagonisti di
storie convenzionali; la Napoli portata sulla scena si presenta come terra di
frontiera su cui si scontrano una tradizione tenace ed i miti veicolati dai
mass-media:
E poi c’è il rapporto di scambio con la tradizione del teatro
napoletano, anche se non è un appiattirsi sul linguaggio
napoletano. I nostri testi sono anomali linguisticamente. Non sono
in dialetto e non sono in lingua. Le differenze stanno nelle chiavi
di lettura di ognuno rispetto a questa tradizione e a questa città.
7
6
Ivi.
7
Ivi.
9
Commenta Enrico Fiore:
In quanto drammaturgo ebbe il raro pregio d’essere un uomo del
suo tempo e cioè volle costantemente e strenuamente coltivare la
memoria delle proprie radici senza per questo rinunciare
all’indagine accurata e lucidissima del presente.
8
Dai testi di Ruccello appare evidente l’angoscia indotta dai media,
dall’emarginazione metropolitana e dalla ghettizzazione delle campagne.
Il primo punto in comune con la “Nuova Spettacolarità” è
indubbiamente il rapporto con la metropoli. L’altro è la passione
per le storie di gente un po’ perdute non solo in senso sociale ma
anche psicologico.
9
L’autore si appropria del giallo come plot narrativo in cui tutti i personaggi
risultano colpevoli e fa dello spettatore uno “spione invischiato”: assistendo
ad uno spettacolo di Annibale Ruccello si doveva avere l’impressione di
guardare tutto attraverso il buco di una serratura e ascoltare ogni parola con
l’orecchio attaccato a una parete.
Utilizza la fonte inesauribile della cronaca nera,
10
l’universo della provincia
e le cadenze del dialetto napoletano misto all’italiano.
Le storie raccontate riguardano gente banale che non desta mai
compassione, colta nel momento estremo della sua esistenza a compiere un
gesto eroico o atroce; sono personaggi grotteschi e spesso quasi mostruosi,
relegati sì ai margini ma non in maniera vistosa, come è per i pazzi o per i
barboni.
8
Felice Cappa, Piero Gelli, Dizionario dello spettacolo del 900, Baldini&Castoldi,
Milano, 1998.
9
Annibale Ruccello, Una drammaturgia sui corpi, cit.
10
All’origine, per esempio, della stesura di Anna Cappelli, vi è un fatto di cronaca
che suscitò orrore: un giapponese uccide un giovane olandese e ne mangia la sua
carne.
10
A me piace rubare il brutto della vita. Io sono un amante del
brutto, per esempio delle espressioni linguistiche degradate, del
vedere le cose al rovescio, come Benigni quando dice “Non
capisco perché la televisione interrompe sempre la pubblicità con
quei noiosi spezzoni di film”. Mi interessa tutto ciò che ha a che
fare con questa sottocultura in cui quotidianamente siamo
immersi. Mi attrae e annoto. Poi mi interessano i generi, il giallo
per esempio. Faccio una investigazione teatrale su una forma
letteraria o cinematografica o televisiva.
In fondo credo poco alle storie che racconto, mi interessa di più
l’operazione: calare dei personaggi quotidiani dentro una storia
enormemente convenzionale.
11
Per autori ed attori come me e il compianto Annibale Ruccello, a
torto o a ragione, definiti dalla critica di settore, come i “dioscuri”,
i fondatori inseparabili (almeno fino alla morte di Ruccello), come
i giovani pionieri di quella corrente o movimento o tendenza
drammaturgica, chiamata Nuova Drammaturgia o anche Dopo-
Eduardo, e che è nata giustappunto a Napoli, sulle e dalle macerie
di quello spartiacque che è stato il terremoto del 1980, il rapporto
autore- palcoscenico, scrittura- rappresentazione, vale a dire il
legame globale col teatro, non è mai stato accademico né formale.
Mai filtrato. Mai vissuto con distacco o indolente indifferenza,
atteggiamento tipico dei “colletti bianchi” locali.
Sin dagli inizi, ciò che ci ha mosso, ciò che ci ha motivato a
metterci in scena, è stata unicamente la passione
(Enzo Moscato).
12
11
Annibale Ruccello, Una drammaturgia sui corpi, cit.
12
“Uno spazio assai disadorno, eppure pomposo: un tavolo con tre sedie poste
l’una di fronte all’altra nella posa di un intimo colloquio; tutta la scena sembra
essere in attesa di un compleanno tra comari cinguettanti. Al centro campeggia
una sedia vuota, ricoperta con un drappo rosso. Sul tavolo cinque rose”(Enrico
Fiore). Compleanno è il testo che Moscato scrisse come omaggio all’amico, attore
e drammaturgo, Annibale Ruccello, subito dopo la sua morte. Ogni anno il testo
viene riproposto con aggiunte e varianti: quando nacque aveva come sottotitolo
Citazioni di sentimento, poiché proprio di citazioni si trattava, di discorsi su
discorsi. Tornano così sulla scena brani del Ferdinando, di Week end, delle
Cinque rose e, dello stesso Moscato, di Luparella, Scannasurece, Trianon e
Cartesiana.
11
1.2 La tradizione e la sperimentazione
Il teatro italiano degli anni Sessanta e Settanta è stato caratterizzato da forti
attacchi al teatro cosiddetto ufficiale, e soprattutto alla parola, per riportare
invece l’attenzione sul gesto e sull’immagine, privandosi volentieri del testo
con l’intento di creare “ un teatro del silenzio dove la comunicazione
avviene in tutti i modi tranne che attraverso il linguaggio”.
13
Si esaurisce così negli anni Ottanta quella fase di ricerche e sperimentazioni
“che aveva portato il teatro italiano non ufficiale a combattere l’egemonia
del testo e della parola con altri codici, a cominciare […] dall’uso di una
scrittura organizzata per segni, in cui brani di testo, colonna sonora e
l’intera griglia visiva, gestuale e di movimento, andavano a comporre la
partitura dello spettacolo”.
14
Al trionfo di un teatro di consumo, sempre più condizionato da
criteri extra artistici, si è andata determinando una rivalutazione
del teatro di parola, una sorta di memoria storica che […] riporta
l’accento sull’individuo, sulla trama, sui personaggi e sul
dialogo.
15
Annibale Ruccello chiarisce così la sua posizione:
La nostra drammaturgia è nuova perché non parte, non si collega
alla generazione precedente dei drammaturghi italiani, quelli degli
anni ’50. Scaturisce invece assai più dal lavoro degli anni ’60 e
’70, più dalla sperimentazione che dalla drammaturgia
tradizionale. […]. Il nostro punto di riferimento è la vecchia
avanguardia del ’60, con tutte le sue ramificazioni, e per noi che ci
13
Roberto Alonge, Teatro e società del Novecento, Milano, Principato Editore,
1974, p. 24.
14
Luciana Libero, Introduzione, cit, p. 8.
15
Luciana Libero (a cura di), Dopo Eduardo. Nuova drammaturgia a Napoli,
Guida, Napoli, 1988, p 10.
12
consideriamo in qualche modo l’avanguardia degli anni ’80,
c’erano due strade: una era quella intrapresa dalla “Nuova
Spettacolarità” che portava alle sue estreme conseguenze il
discorso su un tipo di teatro di immagine e di suono. La seconda
era quella del ritorno alla narrazione. Da qui la giustificazione del
termine “drammaturgia”.
16
Riportare la parola a teatro significava quindi una doppia sfida:
innestare sulla drammaturgia esperienze sperimentali, tenendo
nuove tecniche di scrittura e di costruzione del personaggio; e
soprattutto creare un nuovo asse di comunicazione con il
pubblico, sempre più ingessato dai rigidi pacchetti di abbonamenti
[…] dalla notorietà degli attori che rimbalza spesso dai teatri,
dalla televisione, dal cinema.
17
Uno dei principali problemi con cui gli autori degli anni Ottanta si sono
dovuti confrontare è stato dunque quello della lingua: bisognava ricercarne
una che parlasse ai giovani e a un pubblico cresciuto sul linguaggio dei
media, con la quale recuperare la tradizione ma anche con cui riuscire a
raccontare storie contemporanee.
Sono venuti così fuori i “dialettati”, una sorta di piccolo
movimento tra i più fervidi del paese, un esiguo gruppetto di
scrittori che hanno affrontato tale nodo problematico recuperando
lingue minori, in parte perdute ma non del tutto sepolte.
18
16
AnnibaleRuccello. Una drammaturgia sui corpi, cit.
17
Luciana Libero, Introduzione, cit, p. 8.
18
Ivi, p. 8-9. Tra i nomi più importanti la Libero ricorda il siciliano Franco
Scaldati, Ugo Chiti, toscano, e naturalmente Moscato, Santanelli e Ruccello,
autori del teatro “Dopo Eduardo”, e specifica che quello che ha distinto questi
autori da un teatro vernacolare e dialettale sempre esistito, è stato l’uso del
dialetto “non come forma di un teatro di tradizione ma come forma e linguaggio
di un teatro sperimentale sul piano della scrittura e, per quanto riguarda i
riferimenti drammaturgici, di vocazione non solo italiana, ma in generale
internazionale” (si pensi ad autori come Thomas Bernhard, il francese Bernard
Marie Koltes, il tedesco Heiner Müller, l’inglese Tom Stoppard e gli americani
David Mamet, Sam Shepard e Albert Innaurato, tutti autori accumunati dalla
medesima ansia di reinvenzione di un linguaggio che esprimesse, inoltre, le
contraddizioni e il malessere dei propri paesi).
13
A Napoli la tradizione teatrale e quella popolare hanno sempre interagito
strettamente nutrendosi l’una dell’altra.
In questo atteggiamento è possibile individuare una delle principali risorse
di un popolo che ha trovato nella rappresentazione di sé, delle sue miserie,
delle tragedie e delle sue feste, una delle pochissime vie di fuga e di
salvezza.
Questa tradizione teatrale a forte valenza popolare ha subìto un
processo di imborghesimento tra la seconda metà dell’Ottocento e
la prima del Novecento: una sorta di addomesticamento che,
preferendo far a meno della visceralità profonda e dolorosa
dell’animo popolare, privilegiò invece gli aspetti più esteriori
prima della farsa e del melodramma, poi del dramma borghese.
19
Il rito della tradizione più antica continuava però ad essere celebrato giorno
dopo giorno nei vicoli, nei quartieri e negli anfratti più segreti della città,
forse per un impulso naturale alla conservazione.
Ci troviamo di fronte ad una forma di teatralità spontanea,
istintiva e vitale e comprendiamo dunque perché la stagione
teatrale napoletana dell’avanguardia abbia dovuto fare i conti con
quella tradizione più oscura e sotterranea della teatralità cittadina,
piuttosto che con quella più universalmente conosciuta del teatro
di prosa, che trova il suo binomio più rappresentativo nell’asse
Scarpetta- De Filippo.
20
Dunque mentre negli anni Cinquanta e Sessanta in Europa e nel mondo il
teatro cercava di elaborare un linguaggio che potremmo definire più
19
Antonio Tedesco, Nei sotterranei della città- teatro. www.vesuviani.it.
20
Ivi.
14
adeguato ai tempi ed alle nuove “creazioni” di una drammaturgia
sperimentale, a Napoli si sentì anche il bisogno di recuperare la tradizione
più antica, più radicata e stratificata nella cultura popolare.
Per questo Napoli si trova ad essere sia la città dei contrasti, sia la
città delle convivenze e delle convergenze: […] vi arriva il diverso
e il nuovo, che viene amalgamato nel tessuto sociale e culturale a
causa di quella natura fagocitante.
In questo modo […] la natura accetta o inventa il nuovo
conservando il vecchio, […] incrostazioni di passato rivivono in
un presente che muta continuamente il suo volto, il nuovo è
mescolato al vecchio che in tal modo si rigenera e si rifonda.
21
Le profonde radici antropologiche della città divennero una miniera
ricchissima da cui attingere, per un teatro che imparò ad essere antico e
attualissimo, tradizionale e rivoluzionario allo stesso tempo.
Ciascuna arte ha sempre mescolato passato e presente […]
elementi contraddittori eppur fondamentali per definire l’umore di
una città essenzialmente eccessiva e contraddittoria.[…] Ciò è
ancora più evidente nei nessi e nei legami con il tempo: il passato
continua a pesare su tutti e tutto, le generazioni sono informate del
presente come del passato, il rock diventa melodia e viceversa.
22
I drammi dei nuovi drammaturghi napoletani possono ricollegarsi a Genet,
Pinter, Beckett, Artaud, ossia al teatro della malattia e del malessere
“pervaso da una angosciosa visione del mondo e della vita e dalla
dissoluzione dell’individuo e del suo bagaglio linguistico”,
23
ma è
sicuramente nel teatro di Raffaele Viviani che compaiono i primi sintomi di
21
Stefano De Matteis, Lo specchio della vita. Napoli: antropologia della città del
teatro, Il Mulino, Bologna, 1991, p. 18.
22
Ivi, p. 20.
23
Luciana Libero, Dopo Eduardo, cit, p.11.
15
questa devianza, ed è per questo che, “benchè designata come teatro Dopo
Eduardo, la fioritura del teatro napoletano negli anni Ottanta e Novanta, è
debitrice più a Viviani che al teatro dei De Filippo”.
24
I giovani autori degli anni Ottanta scavalcarono all’indietro Eduardo De
Filippo e tutto ciò che il suo teatro aveva voluto rappresentare: la classe
media napoletana rimasta tenacemente rivolta al passato, chiusa ad ogni
forma di sperimentalismo; la piccola e media borghesia artigiana,
commerciante ed impiegatizia, costretta a stare a diretto contatto con i
“lazzaroni” dei vicoli, cercando di tenerli però alla dovuta distanza.
La borghesia che si sforza di vivere secondo un dignitoso status
che la distingua dal vicolo e che soprattutto sia valido e visibile
all’esterno della famiglia e della casa, nel cui ambito vigono le
ferree gestioni di madri oculate, si consumano i riti sociali e si
apparecchia il vestito della festa, tenuto sempre a portata di mano
per l’occasione in cui occorra sopportare dignitosamente il
benessere imposto dalle convenzioni.
25
Allo stesso modo Viviani si distaccò dalla seconda tradizione del teatro
napoletano (quella di Eduardo Scarpetta, autore attore che aveva dominato a
Napoli negli ultimi anni dell’Ottocento adattando alla lingua ed ai costumi
partenopei commedie e farse provenienti soprattutto dalla Francia),
cercando di reagire ad una denunciata superficialità contenutistica dei temi
scarpettiani.
Il teatro di Viviani viene oggi considerato il miglior affresco della città di
Napoli, “una produzione che è sì teatrale, ma che ha anche acquistato la
qualità di specchio della città con il valore di inchiesta”.
26
24
Ferdinando Taviani, Uomini di scena, uomini di libro, Il Mulino, Bologna,
1995, p.197.
25
Stefano De Matteis, Lo specchio della vita, cit, p. 207.
26
Ivi, p. 179.
16
Viviani sceglie di rappresentare il proletariato marginale che a Napoli si
differenzia nettamente, anche se socialmente vicino, da quella piccola
borghesia che invece diventa la protagonista del teatro di Eduardo De
Filippo.
Il mondo che Viviani ricostruirà in scena è quello della miseria, della vita
passata per strada, la strada dei mille mestieri, il luogo degli emarginati, la
cui condizione è la totale mancanza di speranze.
Facendo una rapida carrellata sulle tematiche, sui luoghi e sui protagonisti
del teatro di Viviani, possiamo renderci conto di quanto debba a questo
autore la drammaturgia di Annibale Ruccello: le ambientazioni sono
collocate in luoghi della vecchia Napoli, in contesti malavitosi, plebei e
degradati; i personaggi si mostrano con caratteri di tipo popolare, dagli
intensi temperamenti passionali e dalla sensibilità spesso incline al
patetismo; frequente è la presenza di un erotismo di chiara derivazione
popolare, estraneo in tale forma per esempio al teatro di Eduardo.
In fine, scartata quella lingua falsa, imborghesita ed italianizzata, oppure
esageratamente deformata a scopi parodistici, cui aveva abituato Scarpetta,
Viviani fa riferimento all’antica parlata popolare di alcune zone di Napoli,
ora totalmente cancellate dal risanamento.
Allo stesso modo Ruccello tenterà di superare il linguaggio di Eduardo:
Quel napoletano medio che spesso si confonde e somiglia troppo
all’italiano, un napoletano che si è assestato proprio rivolgendosi
alla lingua con continui aggiustamenti, man mano che si
attutivano le differenze regionali e si estendeva l’uso di una lingua
omogenea che assorbe e sostituisce i dialetti.
27
27
Ivi, p. 282.
17
Reinventare un linguaggio teatrale ha significato per Eduardo procedere
verso il riconoscimento nazionale e il superamento del ghetto e delle
costrizioni della provincia; rinunciare a tale riconoscimento ormai acquisito
e riportare sulla scena un dialetto stretto, misto di napoletano e stabiense,
contaminato dai mass-media, quasi esclusivamente consonantico, ha
significato per Ruccello privarsi di una fetta considerevole di pubblico ma
riaffondare le mani e la ricerca nei sotterranei della città, ai margini della
provincia, nuovamente nei ghetti.
18
1.3 La società napoletana degli anni Ottanta
Guardare Napoli agli inizi degli anni Ottanta significa guardare una città
travolta e sconvolta dal terremoto.
Tale evento, presentandosi come culmine simbolico di una già presente
condizione di arretratezza, oltre ad aver avuto conseguenze notevoli
sull’immaginario collettivo della popolazione, ha determinato un
rallentamento nel processo di sviluppo della città.
A Napoli l’arte risponde al difficile momento riallacciandosi ai motivi più
schietti e genuini della cultura popolare, dando vita a nuove forme di
espressione nel linguaggio e nei contenuti, valorizzando le tradizioni
popolari, il folklore e la canzone, nel rispetto di una tradizione autentica e
favorendo progetti di sperimentazione teatrale che hanno come sfondo le
carenze e le contraddizioni di una città divisa in quartieri-dormitorio e
quartieri-colti.
Nascono gruppi sperimentali che si dedicano ad un interessante lavoro
radicandosi in zone popolari e stabilendo un continuo contatto e dialogo con
la massa.
La sperimentazione a Napoli ha avuto importanza proprio perché ha saputo
ispirarsi alle zone emarginate.
Mentre vent’anni prima il teatro di sperimentazione era nato all’interno
della borghesia, ad opera di giovani studenti tesi verso la cultura
internazionale e che ebbero lo scopo di impedire che la loro città rimanesse
ancorata esclusivamente al teatro dialettale, preferendo invece il contatto
con forme di teatro non napoletane, le esperienze artistiche degli anni
Ottanta sono radicate in una condizione non borghese, e mirano a far
riscoprire il dialetto reso espressione tanto dell’analfabeta che
dell’intellettuale.
19
A metà degli anni Ottanta una nuova corrente di autori e registi si presenta
sotto il nome di Nuova Drammaturgia, ed indirizza la sua scelta verso un
teatro di narrazione e di parola, in contrapposizione ad un’altra corrente
sperimentale, la Nuova Spettacolarità, che aveva intrapreso invece la strada
del teatro d’azione e dei suoni.
Questi giovani autori della Nuova Drammaturgia, fra i quali ci fu anche
Annibale Ruccello, riallacciarono un importante rapporto con i grandi
drammaturghi napoletani del passato, riproponendone l’impianto
drammaturgico convenzionale (costruzione della trama e dell’intreccio,
spessore psicologico del personaggio, ripartizioni in atti, tempi o quadri),
ma negando allo stesso tempo tale convenzione “nell’offerta di vicende
assolutamente degenerate nel contenuto e nel linguaggio, prive di qualsiasi
messaggio o morale, che agiscono in un grande vuoto pneumatico di regole
o norme”.
28
I nuovi autori si ricollegano alla tradizione […] ma secondo una
linea di tradimento e trasgressione, che restituisce il degrado e il
dolore, il senso collettivo della perdita del sogno, l’angoscia che
sottintende al quotidiano della città.
29
Punti di contatto tra i nuovi autori e la drammaturgia “storica”, sono
sicuramente il rapporto stretto con la metropoli e la passione per le storie di
personaggi un po’ perduti, non solo in senso sociale ma anche psicologico.
Il terremoto fu per la popolazione napoletana una tragedia che modificò le
dimensioni spazio temporali dell’individuo e quindi della collettività;
crollando le mura delle abitazioni, lo spazio privato si rivelava in tutta la
sua crudezza e violenza, mostrando ciò che prima era nascosto.
28
Luciana Libero, Dopo Eduardo, cit, p.12.
29
Stefano De Matteis, Lo specchio della vita, cit.