dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, e i fenomeni di integrazione
regionale (capitoli 1° e 2°). In effetti, questo dibattito ha avuto per tutti gli anni ’90
un fervore ed una vivacità che contraddistinguevano tutte le posizioni emerse.
Essenzialmente il nostro scopo è quello di dare un contributo di sintesi, ma altresì di
proposta, a questo dibattito. La domanda a cui, quindi, cercheremo di rispondere è
la seguente: attualmente ha ancora senso parlare di contrapposizione tra sistema
multilaterale e organizzazioni di integrazione economica regionale? Dare una
risposta significa prima di tutto fornire un quadro di riferimento della teoria
economica che studia il fenomeno dell’integrazione regionale, così come
fotografare l’attuale fase del commercio mondiale, dal punto di vista dei dati
statistici ma ancor più dal punto di vista del negoziato commerciale in seno
all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questo sarà quindi il nostro percorso
di studio nei primi due capitoli.
2. Il secondo obiettivo è incentrato su tre principali elementi: gli effetti
distributivi legati al commercio internazionale; la gestione della politica
economica in un contesto globalizzato (con particolare riferimento alla politica
commerciale) ed infine le dinamiche che attualmente caratterizzano il processo
di sviluppo tecnologico (capitoli 3°, 4° e 5°). L’analisi degli effetti distributivi del
commercio internazionale risulterà essenziale nella nostra analisi perché la teoria
che li analizza, oltre ad essere il fulcro di tutto lo studio dell’economia reale,
fornisce degli utili strumenti per valutare cosa significhi realmente agire in un
contesto di globalizzazione. Ciò poiché qualunque scelta economica, sia essa
operata dal settore privato ma ancor più dal settore pubblico, provoca degli effetti
più o meno positivi sul benessere degli altri soggetti coinvolti nello scambio
internazionale. Ci concentreremo poi nell’analisi di quegli elementi di novità
apportati dal processo di globalizzazione, in primo luogo relativamente alla gestione
della politica economica, in secondo luogo alla gestione del progresso tecnologico.
Il motivo che sta alla base di questa scelta di analisi è legato alla volontà di capire se
il processo di globalizzazione, sempre più associato nell’opinione comune, ad un
processo irreversibile, non controllabile ed estremamente iniquo, sia realmente la
causa del divario tra paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati, ovvero se
questo processo sia invero gestibile, e quindi sfruttabile, al fine di raggiungere
livelli di sviluppo economico più sostenuti. Il dibattito è tuttora ampio e variegato
ed è per questo che qui sentiamo la necessità di dare un’interpretazione a
quest’insieme di relazioni individuate dal termine “globalizzazione”,
un’interpretazione tesa a mettere in luce quali possono essere le risposte a questo
processo, ma ancor di più a sottolineare la necessità di studiare a fondo un ambiente
economico così profondamente cambiato rispetto al passato, per meglio inquadrare
il problema del divario economico Nord-Sud.
Abbiamo quindi visto quale sarà il nostro percorso di questo studio e a quali
obiettivi tende. Non ci rimane che sottolineare un ultimo aspetto. La nostra analisi si
compone di cinque sezioni, le quali danno una direzione nell’analisi delle
dinamiche che contraddistinguono le attuali relazioni economiche e commerciali
mondiali.
Ci preme quindi dire che il file rouge che lega tutte le sezioni di questo lavoro
è la convinzione che il processo di globalizzazione, essendo nato dall’evoluzione
spontanea dell’economia internazionale dal dopo guerra ad oggi, sia da considerare
un processo le cui fila non sono tenute da un gruppo di pochi eletti, bensì un
processo che offre grandi possibilità di sviluppo. La scelta di sfruttare queste
possibilità non deve essere incondizionatamente lasciata alle forze del mercato,
bensì deve essere graduata nel tempo e commisurata alle esigenze dei singoli
soggetti statali. Secondo la nostra opinione rimane quindi vitale un ruolo attivo
dello Stato, seppur nettamente delineato rispetto al passato, che in questa fase ha
ancor di più la responsabilità di gestire i cambiamenti nei modi di produrre e di
commerciare, che in primo luogo influenzano la società civile. Una cattiva gestione
di questo ruolo, intendendosi per “cattiva” sia la scelta di subire la globalizzazione,
sia la scelta di non farne parte, porta inevitabilmente un Paese a non poter puntare
su standard di vita più elevati, e quindi a non ridurre il gap con i paesi
maggiormente avanzati.
In quest’ottica la scelta compiuta dalla Repubblica Popolare Cinese di far parte
dei membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, è non solo storicamente
eccezionale, ma è anche sintomo di una strategia di apertura programmata dei propri
mercati. Questo tipo di scelta ha permesso alla Cina di arrivare oggi immune dalle
gravi crisi asiatiche degli anni 90’, e capace di attirare oltre il 40% degli
investimenti esteri diretti nel Sud Est Asiatico.
In questo lavoro ci proponiamo, quindi, di dare tutti gli elementi che ci hanno
portato a queste conclusioni, ma contemporaneamente tenteremo di interpretare le
dinamiche e le diversità tra Paesi in via di Sviluppo (e tra essi stessi) e Paesi
Industrializzati, perché crediamo che gran parte di queste differenze non siano da
ascrivere al processo di globalizzazione tout court, bensì in misura sostanziale alle
differenti scelte di politica economica adottate adesso come in passato. In questa
direzione va la scelta di dedicare una parte di questo lavoro all’analisi della teoria
neo-classica del commercio internazionale a partire da Heckscher e Ohlin, per
arrivare agli sviluppi della new trade theory, così come al filone tecnologico. In
tutta quest’analisi ci soffermeremo in particolare sugli effetti distributivi del
commercio internazionale, giacché sono la prova più diretta per testare le dinamiche
del processo di globalizzazione.
Questi elementi teorici, insieme allo studio degli strumenti e degli obiettivi
della politica economica in un contesto globalizzato, ci permetteranno quindi di
affrontare l’ampio e antico dibattito Nord-Sud, che oggi crediamo debba assumere
contorni e contenuti diversi dal passato; non a caso, in effetti, la scelta di dedicare
una specifica sezione allo studio del cambiamento tecnologico, così come analizzato
dalla teoria del commercio internazionale, al fine di metterne in luce la rilevanza
proprio in questo dibattito.
Desidero ringraziare il Prof. Antimo Verde per il costante stimolo
all’approfondimento e per l’attenta valutazione del lavoro svolto; il Dott. Simone
Perillo per il supporto e i preziosi suggerimenti durante l’intero svolgimento del mio
lavoro; la mia famiglia per la presenza e l’incoraggiamento costanti.
CAPITOLO PRIMO
�Il fenomeno degli accordi di integrazione regionale�
1. Gli anni 90�: un decennio tra multilateralismo e regionalismo commerciale.
L�ultimo decennio del secolo appena trascorso, � stato testimone dell�aumento
nel numero degli ACCORDI COMMERCIALI REGIONALI (Regional trade
arrangement RTAs), il cui unico precedente � rintracciabile, sebbene in proporzioni
differenti, nella proliferazione degli accordi regionali durante gli anni �60/�70.
Conseguentemente il fenomeno dell�integrazione economica regionale, vale a dire il
processo di riduzione sistematica del peso economico dei confini tra le diverse
entit� statali, � divenuto ancora una volta un tema pressante al centro del dibattito
economico sul commercio internazionale.
Dal 1947 al 1994 sono state notificati al Segretariato Generale del GATT
1
(General Agreement on tariff and trade) 98 Accordi d�integrazione regionale. Alla
data della creazione nel 1995 dell�Organizzazione Mondiale del Commercio (World
Trade Organization, WTO), praticamente tutti i membri del GATT (eccezion fatta
per il Giappone) erano firmatari di almeno uno di questi accordi. Nel 1951, con la
firma del Trattato di Parigi sulla creazione della Comunit� Europea del Carbone e
dell�Acciaio (CECA), inizia un fondamentale processo nella storia europea del
ventesimo secolo, un processo che porter�, nel 1957, alla firma dei Trattati di Roma
per l�istituzione della Comunit� Economica Europea: il processo d�integrazione
1
Segnatamente, l�articolo XXIV dell�accordo GATT prevede che sia ammessa la creazione tra i membri di unioni
doganali o aree di libero scambio, purch� questo non comporti l�aumento delle tariffe doganali per gli altri stati terzi
membri del GATT.
europea. Nel 1960 vedr� la luce l�EFTA (European Free Trade Association),
formata da un gruppo di sette paesi dell�Europa Occidentale guidati dalla Gran
Bretagna, un�area di libero scambio limitata principalmente ai prodotti industriali.
Contemporaneamente il disfacimento dei vecchi imperi coloniali e l�arrivo sulla
scena internazionale di molti paesi di nuova indipendenza fortemente
sottosviluppati, diede avvio ad una fase d�integrazione economica regionale
segnatamente, in Africa e in America Latina. Molti degli accordi siglati tra questi
paesi non diedero per� i risultati sperati in termini di crescita e sviluppo economico,
cos�, durante gli anni �70/�80, il processo di integrazione economica vide i maggiori
sforzi in Europa Occidentale. Nel frattempo, le riduzioni tariffarie generalizzate
seguite alle negoziazioni commerciali multilaterali in seno al GATT (il Kennedy e
Tokio Round), eliminarono parzialmente gli incentivi economici alla creazione di
accordi commerciali preferenziali.
Risulta dunque proficuo capire per quali fattori il fenomeno dell�integrazione
economica regionale sia tornato di estremo interesse negli anni �90, durante i quali
si � assistito ad una tendenza generalizzata verso la regionalizzazione del
commercio mondiale.
Gli accordi regionali siglati durante l�ultimo decennio presentano
caratteristiche differenti: spaziano dai semplici accordi commerciali preferenziali
(nei quali i firmatari s�impegnano ad una reciproca riduzione delle tariffe doganali),
alle aree di libero scambio (che prevedono l�eliminazione totale, seppur
progressiva, delle tariffe doganali tra i membri firmatari, ma nelle quali viene
mantenuta l�autonomia nella gestione della politica commerciale verso i paesi terzi),
o alle unioni doganali (che mantengono le caratteristiche di un�area di libero
scambio ma prevedono la gestione comune tra i membri della politica commerciale
verso i paesi terzi, vale a dire l�imposizione di una tariffa esterna comune), per
arrivare fino alle forme di pi� stretta integrazione come il mercato comune (la libera
circolazione di persone, beni, capitali e servizi) o le unioni economiche (che
comportano una gestione comune non solo della politica commerciale ma anche
un�armonizzazione delle principali politiche macroeconomiche). Ai fini di questa
ricerca, qui di seguito verr� utilizzato il termine accordi di integrazione regionale
(RTA) per indicare tutte queste varie forme di integrazione, sottolineandone le
singole caratteriste ogni qual volta sia necessario. Le peculiarit� di questi accordi
risiedono, non da ultimo, nel fatto che da caso a caso cambia il trattamento (o la
mancanza di una specifica previsione di esso) relativamente a temi quali il mercato
del lavoro, la mobilit� dei capitali, gli investimenti. In effetti, su molti di questi
settori vi sono previsioni pi� o meno ampie anche rispetto al trattamento riservato
loro dalle norme GATT/WTO, come il settore dei servizi nell�USA-Canada Free
Trade Agreement (CUFTA) o quello degli standard ambientali e lavorativi nel
NAFTA (North American Free Trade Agreement), che risultano largamente trattati
rispetto a quanto previsto dal sistema dell�Organizzazione mondiale del Commercio
(WTO, Annual Report 1995).
Nonostante esistano, come notato poc�anzi, delle differenziazioni nel fenomeno
di sviluppo degli accordi regionali durante gli anni �90, � possibile caratterizzare
l�espansione dell�integrazione regionale su tre dimensioni correlate tra loro:
- l�approfondimento degli accordi regionali esistenti, con riferimento al fatto che
molti accordi regionali prima focalizzati sull�eliminazione dello �zoccolo duro�
delle restrizioni commerciali, come tariffe doganali e quote sui flussi di
importazioni di manufatti e prodotti agricoli, ora risultano estesi anche a quelle
restrizioni �soft� come gli standard ambientali o sanitari, coprono altre aree come i
servizi e la propriet� intellettuale dove le tradizionali politiche commerciali erano
deficitarie, o s�inseriscono su campi, come i flussi di investimenti o la mobilit� di
capitali, che non sono di stretta pertinenza della politica commerciale di un paese. In
questo senso l�esempio pi� lampante � l�Unione Europea (EU), che ha proceduto, a
passi alterni, verso la progressiva evoluzione da un�unione doganale ad un mercato
comune fino all�attuale stadio di unione economica e monetaria;
- l�ampliamento nella membership degli accordi regionali esistenti, come ad
esempio il caso del NAFTA, che sostanzialmente ha comportato l�accessione del
Messico al precedente accordo USA-Canada (CUFTA), o come il caso dell�ingresso
di alcuni membri dell�EFTA nell�Unione Europea;
- la creazione di nuovi accordi regionali, o il rilancio di accordi regionali non
effettivamente implementati dopo la loro creazione. E� il caso del MERCOSUR in
America Latina, ma altri esempi includono il Central American Common Market
(fondato nel 1960 ma mai attuato fino al 1993) o il South Asian Preferential Trading
Agreement, costituito nel 1993 con lo scopo di creare un mercato comune tra
Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka.
Allo stesso tempo il sistema commerciale internazionale ha ampliato i sui
confini. Le negoziazioni in sede GATT sono state estese per la prima volta nel
settore del commercio dei servizi, agli aspetti commerciali legati alla propriet�
intellettuale, come anche al settore delle telecomunicazioni. La nascita del WTO,
che incorpora il vecchio sistema GATT ampliandone gli scopi e egli strumenti,
testimonia questo grande rivolgimento del sistema commerciale multilaterale. Tra
gli altri, un fattore che ha sicuramente contribuito a quest�approfondimento nelle
strutture e nei contenuti del sistema commerciale internazionale � rappresentato dal
collasso delle economie pianificate; questo � anche dimostrato dal fatto che 9 dei
33 accordi regionali notificati al Segretariato del GATT dal 1990, coinvolgono
paesi del Centro e dell�Est europeo. Non meno rilevante, al fine di avere un quadro
completo dello scenario su cui si � mosso l�intero sistema commerciale, �
l�emergere di una serie di accordi di integrazione regionale, pi� o meno ampi dal
punto di vista del livello di integrazione raggiunto, che coinvolgono paesi
industrializzati e paesi in via di sviluppo (PVS). E� importante segnalarlo giacch� le
prime stime economiche (K. Anderson e R. Blackhurst 1993) sugli effetti che questi
accordi hanno prodotto in termini di crescita per i PVS coinvolti, hanno dato dei
risultati interessanti sulle potenzialit� di sviluppo che questa categoria di accordi
regionali.
Nella letteratura economica
che si occupa del regionalismo commerciale, �
ricorrente il riferimento a due fasi particolari del processo di integrazione regionale
durante gli anni �90 che coinvolgono le due maggiori aree mondiali su cui si
concentra circa il 60% dei flussi commerciali: il gruppo regionale dell�Europa
occidentale e quello del Nord America. Il riferimento proposto dovrebbe, secondo
alcuni, individuare l�inizio di un processo di regionalizzazione del commercio
mondiale, causato anche dal fatto che fino al 1994 rimanevano ancora estremamente
incerti i risultati a cui sarebbe arrivato l�Uruguay Round. Per questo motivo si diede
particolare enfasi al fatto che mentre il sistema commerciale multilaterale era in una
fase di stallo che vedeva contrapporsi proprio gli USA e l�Europa, stava crescendo
una forte tendenza protezionistica rappresentata dai processi di integrazione
regionale nelle due aree. Per quanto riguarda il primo gruppo regionale, vale a dire
quella che oggi � L�Unione Europea, l�anno �1992� rappresenta l�inizio della
realizzazione del programma per il completamento del Mercato Unico della
Comunit� Europea, vale a dire la nascita dell�Unione Europea e l�abbattimento
entro il primo Gennaio 1993 di tutte le barriere doganali ancora esistenti tra i
membri. Quest�avvenimento, che poi precluder� alla piena realizzazione
dell�Unione economica e monetaria cos� come previsto dal Trattato di Maastricht
firmato nel 1991 ed entrato in vigore all�inizio del 1992, insieme all�iniziativa di
creazione di uno Spazio economico europeo � accordo entrato in vigore nel 1994
tra l�UE e i rimanenti membri dell�EFTA (Svizzera, Norvegia, Islanda e
Liechtenstein) � e all�allargamento dell�Unione Europea verso i paesi dell�ex blocco
comunista, ha creato, fuori dell�Europa, il timore che si stesse andando verso una
�Fortezza Europa�, vale a dire un blocco commerciale molto potente ed
estremamente chiuso ai flussi commerciali esterni. In questo senso si � quindi
parlato di risposta americana all�Europa, riferendosi alle negoziazioni per la
creazione di un�area di libero scambio dell�America settentrionale tra USA, Canada
e Messico. Il NAFTA, entrato in vigore nel 1994, non ha certamente n� le
caratteristiche, e tanto meno le volont�, per diventare una struttura simile all�Unione
Europea, ma ha l�intento di rendere stabili, meno costosi, e maggiormente
remunerativi, i flussi commerciali in un�area molto vasta del continente Americano.
Chiaramente il rischio, che era presente in questa fase, di un fallimento
dell�Uruguay Round, port� molti a paventare il pericolo di un allineamento del
sistema commerciale mondiale su tre grandi blocchi: Comunit� Europea, NAFTA e
Giappone, unico paese che non aveva ancora preso parte a nessun accordo di
integrazione economica regionale.
De la Torre e Kelly (1992) colgono pienamente i termini di questo dibattito ma
contemporaneamente non seguono la tesi di una possibile nuova fase iper-
protezionistica: �lo sviluppo dei processi di integrazione regionale, se
accompagnato da una �fortress mentality�che porta verso una spinta protezionistica,
pu� minare la basi della crescita economica mondiale. L�elemento chiave che per�
non pu� essere dimenticato, e che riduce notevolmente la portata di questi rischi, �
dato proprio dal fatto che l�economia mondiale � diventata molto pi� integrata
rispetto al passato proprio grazie al commercio e alla globalizzazione dei flussi di
investimenti�. Le possibili implicazioni della nascita di blocchi commerciali
protezionisti sono analizzati in uno studio di Stoeckel, Pearce e Banks (1990).
Questo studio, in effetti, mostra come l�adozione di una politica commerciale
ispirata dalla �fortress mentality� da parte dell�Europa e del Nord America possa
avere larghissimi effetti negativi sul GDP mondiale (Gross Domestic Product,
Prodotto interno lordo)
2
.
Uno dei pi� acuti economisti che si occupa del fenomeno dell�integrazione
regionale, Jagdish Bhagwati, all�inizio degli anni �90 sintetizz� cos� il dibattito sul
regionalismo economico: �are RIAs building blocks or stumbling blocks, or
stepping stones toward multilateralism?�. I timori paventati dunque avevano la
loro base sulla convinzione che l�integrazione regionale stesse diventando �un
ostacolo� (stumbling blocks) agli sforzi di liberalizzazione del commercio mondiale
intrapresi in seno all�Uruguay Round. Parte di questi timori non si sono rivelati
fondati, sia per ci� che realmente ha portato l�Uruguay Round, cio� la creazione di
un�Organizzazione Mondiale del Commercio capace di sovrintendere e direzionare
il sistema commerciale internazionale molto pi� efficacemente del vecchio sistema
GATT, sia perch� quei processi di integrazione regionale in Europa e Nord America
non hanno portato a nessuna drastica involuzione protezionistica, nonostante sia
innegabile che i due maggiori mercati commerciali del mondo � Europa e Stati
Uniti � siano oggi pi� che mai condizionati dagli accordi regionali e che questo
abbia degli effetti sui paesi terzi. Forse queste forme di integrazione regionale sono
parte (bulding blocks) del sistema commerciale internazionale e, mantenendo uno
spiccato orientamento verso il commercio non solo regionale ma anche
intercontinentale, azzerano i rischi di una forte chiusura protezionistica.
2
L�esempio maggiormente chiarificatore esposto in questo studio riguarda la fase del processo di integrazione
europea del �1992�: gli autori stimano che se la creazione del Mercato Unico fosse accompagnata da un aumento del
livello della tariffa esterna comune (definita come il compromesso tra il pi� alto livello di protezione della comunit�
per ogni gruppo di manufatti e la politica commerciale del paese membro maggiormente protezionista) il GDP
mondiale mostrerebbe una diminuzione di 108 miliardi di dollari rispetto al livello del 1990, e rispettivamente di 52
miliardi di dollari per la (allora) Comunit� Europea (pi� del 1%), 40 miliardi di dollari per il Nord America (0,7%) e
16 miliardi di dollari per l�Asia del Pacifico (0,4%).
L�analisi dei fattori che hanno portato all�integrazione regionale nelle tre
principali aree di integrazione (Europa, America e Sud Est Asiatico) e i risultati in
termini di aumento del volume degli scambi, crescita e benessere economico e non
da ultimo gli effetti sui paesi terzi, diventa quindi propedeutica alla valutazione di
quali siano i benefici del sistema multilaterale incarnato dal WTO.
Pertanto si seguir� un percorso di studio che, partendo da un�analisi degli
strumenti e dei quadri di riferimento con cui valutare la portata degli accordi di
integrazione regionale, si passer� ad esaminare alcuni processi di integrazione
regionale sul continente Europeo e Americano.
2. Teorie e strumenti per una valutazione degli effetti dei processi di
integrazione regionale
In una delle classiche dimostrazioni della teoria del second best
3
, Jacob Viner
(1950) mostra come un passo (intendendosi la creazione di un accordo economico
regionale di qual si voglia natura) verso il libero scambio tra due paesi che
mantengano le loro rispettive tariffe esterne verso il resto del mondo, pu�
peggiorare il loro livello di benessere. Il ragionamento di Viner � teso a dimostrare
che in conseguenza della scelta di liberalizzare i propri flussi commerciali solo con
un gruppo di paesi selezionati, la nazione in questione rischia di passare da costi di
produzione relativamente bassi a costi di produzione relativamente alti,
danneggiando il benessere economico raggiunto. Quest�effetto negativo
sull�efficienza nell�allocazione delle risorse, viene definito da Viner �trade
diverting�, vale a dire deviazione di flussi commerciali. Nel momento in cui beni a
basso costo prima importati da altri paesi al di fuori dell�accordo regionale sono
sostituiti da importazioni a costi pi� alti provenienti dai paesi membri dell�accordo,
ci sar� evidentemente una distorsione nei flussi commerciali che garantivano
l�equilibrio dei costi tra produzione nazionale ed importazioni.
3
La teoria del second best asserisce che una politica non interventista nei confronti di un dato mercato � desiderabile
solo se tutti gli altri mercati funzionano adeguatamente. Quando tale condizione non � verificata, un intervento
pubblico che sembri distorcere gli incentivi in un mercato pu� avere effetti positivi sul livello di benessere poich�
controbilancia fallimenti di mercato in altri settori dell�economia di una nazione. Quando si applica la teoria del
second best alla politica commerciale si intende, nella sostanza, che imperfezioni nel funzionamento di un sistema
economico �all�interno� possono giustificare un intervento � con l�esterno�. Lo schema teorico di Viner enfatizza
quindi i rischi di una scelta di �second best�.