VI
L'atto deviante in genere non resta per� privo di conseguenze; di solito produce
una reazione dalla forma diversificata che testimonia del bisogno insopprimibile
di controllo sociale che qualsiasi organizzazione sociale in ogni tempo ed in ogni
luogo deve manifestare se vuole esistere.
Le forme attraverso cui avviene il controllo sociale, sino ad ora hanno assunto
spesso caratteristiche di ferrea delimitazione e di mero contenimento dei fenomeni
devianti, pregiudicando sin dall�inizio qualsiasi tentativo di riscatto individuale.
I motivi esposti offrono l�opportunit� di spiegare perch� molto spesso le iniziative
sociali verso gli emarginati sortiscono scarsi effetti positivi; anzi, alcune volte
aggravano lo stato di esclusione. Si muove dal presupposto che la condizione di
emarginazione sia qualcosa di stretta pertinenza della �oggettiva� disuguaglianza
sociale, trascurando di dare risalto ai processi idonei a favorirla.
L�intervento sociale dunque, non deve limitarsi al controllo, ma mirare a
conoscere e soddisfare i bisogni di coloro che si trovano in situazione di disagio.
Dopo la stasi che ha caratterizzato per diversi anni la programmazione di disegni
sulle politiche sociali, oggi si sta facendo strada la necessit� di provare a
delineare, sia a livello teorico che operativo, tutta una serie di interventi che
vedono contemporaneamente impegnati in modo attivo e concreto operatori del
settore, amministrazioni, associazioni del pubblico e del privato sociale.
Ci� significa immaginare la progettazione sociale come qualcosa che possa essere
capace di rispondere a bisogni concreti, significa prendere le distanze da tutti
quegli approcci ideologici che, bench� rassicurino l�operatore, non permettono
all�utenza di dare corso a nuove e autentiche progettualit�.
Un esempio di questo cambiamento culturale all�interno delle politiche sociali �
rappresentato da tutte quelle azioni �al plurale� fatte di scambi e di mediazioni
quali gli interventi di educativa di strada, che guardano ai cosiddetti devianti
anche da un punto di vista territoriale.
� possibile, dunque, parlare di lavoro sociale a partire da due punti di vista: uno
incentrato sui contenuti, ovvero descrivendo le finalit� sociali dell�intervento;
l�altro, incentrato sullo stile di lavoro, che descrive come si fa ci� che si fa.
Nel mio specifico, il lavoro sociale muove da un�ipotesi di lavoro pedagogico che,
calato nelle trame delle relazioni e dei vissuti, possa consentire percorsi di
autonomia e di co-costruzione della realt�. Significa parlare di uno stile
VII
relazionale dell�intervento educativo che si configuri come momento di dialogo,
di elaborazione e di ri-significazione delle esperienze e che alimenti forme di
direttivit� insature che facilitino nel soggetto la possibilit� di impadronirsi e di
trasformare la realt�.
L�implementazione di politiche sociali rivolte ai devianti nell�ambito degli
interventi di educativa di strada fa sorgere all�interno della comunit� scientifica la
necessit� di iniziare a confrontarsi e interrogarsi sull�efficacia/efficienza degli
interventi realizzati, sulle logiche che hanno guidato il perseguimento degli
obiettivi ma anche e soprattutto sulle modalit� operative.
Riflettere su tali questioni significa, in primo luogo, iniziare a ragionare
all�interno di un�ottica della trasparenza del lavoro svolto con l�obiettivo
principale di impostare scientificamente la propria azione di cambiamento.
L�importanza di elaborare nuovi �setting relazionali� appare quasi un imperativo.
Il setting � un luogo fisico e mentale, temporalmente determinato, che permette la
lettura dei fenomeni che accadono e che determina sia l�individuazione di ci� che
� significativamente importante, sia il modo stesso di agire in maniera
trasformativa. Via via gli operatori del settore, educatori compresi, hanno iniziato
a lavorare nell�ambito di progetti di prevenzione primaria, di promozione della
salute ed all�interno di progetti finalizzati per il miglioramento della qualit� della
vita in generale.
Riflettere, inoltre, sulla prevenzione, e sul modo di fare prevenzione, oggi
significa non solo concentrare gli sforzi sulla comprensione dei contesti ordinari
dell�esperienza, ma anche sapersi confrontare con la molteplicit� di domande che
il contesto stesso pone.
Non sempre con la funzione di prevenzione si raggiungono tutti coloro che
avrebbero bisogno di una particolare azione di sostegno; non sempre risolve tutti i
problemi e supera completamente difficolt� cos� profondamente presenti in vite
particolarmente segnate da insufficienze sociali e familiari.
All�interno di questa logica evolutiva, sta avvenendo in modo naturale un
passaggio verso una concezione pi� globale del lavoro sociale ed educativo;
questa idea si � concretizzata, in particolare, in quel filone di lavoro che ha preso
diversi nomi nel corso degli anni: lavoro di territorio, lavoro di comunit�, lavoro
di strada, ecc.
VIII
La strada diventa il luogo dell�incontro e dell�intervento.
Un lavoro, dunque, sulla strada, per trasformarla da luogo che produce disagio a
spazio dove incontrare i pi� disagiati, con le loro difficolt�, ma soprattutto con le
loro risorse, con le loro debolezze ma anche con la capacit�, magari ancora
implicita, di diventare artefici del proprio benessere.
Il tema del lavoro di strada � stato scandagliato in questi ultimi anni, sia pure da
un limitato numero di attenti operatori sociali, con notevole attenzione: ad esso
sono stati dedicati seminari, ricerche, articoli, esperienze sul campo.
Mi � sembrato essenziale mettere a confronto alcune delle tante esperienze che
sono state effettuate nel nostro Paese: emergono cos� un insieme di problemi e di
interrogativi, il cui esame � fondamentale, per portare avanti un�iniziativa che
cerca di instaurare un dialogo proficuo, con chi difficilmente entrer�
spontaneamente nei circuiti istituzionali ordinari, ed ha invece un estremo bisogno
d�aiuto per chiarirsi il senso della propria esperienza di vita.
La riflessione sui temi in questione, ha preso corpo utilizzando un approccio sia di
tipo sociologico sia di tipo pedagogico, muovendo dalla convinzione che,
un�analisi accurata del lavoro sociale di strada debba necessariamente avvalersi di
entrambe i contributi.
Nel Capitolo 1, vengono individuate quali sono state le profonde trasformazioni
culturali, sociali e morali che hanno caratterizzato la nostra societ� negli ultimi
decenni, al fine di poter comprendere correttamente i termini di �disagio�,
�emarginazione�, �disadattamento�.
Dei termini menzionati, spesso si � dimenticato il loro contenuto originario o la
loro storia e si tende ad utilizzarli come sinonimi intercambiabili, si � cercato
quindi, di analizzarli attraverso il filone di studi sociologici che fanno riferimento
alla devianza ed al controllo sociale. Si delinea dunque, il processo di
�normalizzazione�, che ha portato il concetto di devianza alla sua dissolvenza
teorica ed alla nascita di una nuova categoria, quella del disagio.
Nel Capitolo 2, vengono elaborate le diverse forme di controllo sociale messe in
atto verso coloro i quali si trovano in condizione di disagio esistenziale,
ripercorrendo le diverse interpretazioni sociologiche date appunto dall�espressione
�controllo sociale�, la quale ancora oggi rimane ancora poco chiarita nella sua
consistenza concettuale.
IX
Il D.P.R. 616/77 e la Legge Quadro 328/2000 sembrano essere innovazioni
legislative per una rinnovata sensibilit� scientifico-culturale verso l�adozione di
nuove modalit� di intervento, attribuendo all�ente locale il potere-dovere di
programmare ed erogare, servizi educativi in considerazione delle reali esigenze
della popolazione, tutelando i diritti degli utenti e precisando le modalit� idonee a
soddisfarli. L�ente locale, dunque, a fronte dei nuovi emergenti bisogni educativi
deve predisporre un sistema differenziato di servizi, avviando tra questi un
rapporto di integrazione. Prendendo atto della molteplicit� delle tipologie di
disadattamento sociale, le modalit� di azione saranno altrettanto diversificate
(interventi di promozione, di prevenzione, di recupero). In questo quadro
d�insieme appare determinate la caratteristica pedagogico-educativa
dell�intervento. Anche il ruolo dell�educatore cambia, la figura dell�educatore
�per prendersi cura� abbandona il luogo istituzionale, per andare nel �non
luogo�, la strada.
Nel Capitolo 3, si � cercato di individuare i tratti caratteristici del lavoro di strada:
la difficolt� terminologica nell�indicare questo tipo di lavoro; le diverse
dimensioni del lavoro di strada (animazione, educativa territoriale, riduzione del
danno); l�importanza che riveste la comunit�, nel panorama degli interventi
possibili; l�operativit� propria dell�educatore di strada attraverso le diverse fasi di
attuazione di un �intervento di strada�, ecc.
Si � cercato di evidenziare come con il lavoro di strada, che nel nostro Paese inizia
il suo percorso evolutivo all�inizio degli anni Ottanta, si capovolge la logica
tradizionale dei servizi sociali, in base alla quale l�onere di attivarsi per ricevere
un aiuto nel fronteggiare una situazione difficile � a carico di chi vive il momento
della difficolt� e non viceversa. Nella prospettiva del lavoro di strada questo
cambiamento si � associato anche al mutamento di approccio alle situazioni di
disagio e difficolt� sociali che sta caratterizzando tutto l�insieme dei servizi alla
persona: rispetto alla tendenza a sottolineare gli aspetti di criticit� e di incapacit�
dei soggetti, si ritiene sempre pi� opportuno puntare sul positivo, su ci� che
individui, gruppi e contesti sociali presentano come risorsa anzich� sui loro limiti.
Il lavoro di strada assume, infatti, come punto di partenza, non tanto gli aspetti
problematici della situazione bens� le sue potenzialit�; nel contempo, la strada
stessa viene vista come l�ambiente naturale entro cui individuare punti di forza su
cui far leva per volgere in positivo ci� che si presenta inizialmente in termini
X
negativi. La strada diventa il momento dell�incontro, uno spazio dove si possa
esprimere la propria voglia di protagonismo.
L�operatore che lavora in questa prospettiva di fatto, lavora in una situazione del
tutto destrutturata, � necessario, affinch� il suo intervento sia puntuale e incisivo,
che egli ristrutturi la sua figura professionale.
Nel Capitolo 4, vengono analiticamente trattate diverse esperienze nazionali di
lavoro di strada. La realt� italiana presenta esperienze interessanti, non molto
conosciute, che permettono di comprendere l�estrema eterogeneit� dei contenuti
dei progetti e interventi in essere, nonch� della tipologia di soggetti coinvolti
(comuni, associazioni, cooperative, altri enti pubblici) e delle strutturazioni
organizzative adottate.
Per poter comprendere come si struttura un �intervento di strada�, ho preso in
esame alcuni progetti di diverse citt� italiane, distinguendo questi ultimi in base al
target ai quali si riferivano in modo tale da poter evidenziare la versatilit� del
lavoro di strada e in particolare, in ognuno di questi, la specificit� del ruolo
dell�educatore; per analizzarli mi sono avvalsa dell�aiuto di un questionario
informativo da somministrare ai coordinatori, responsabili, operatori, dei diversi
progetti.
Si va, dal lavoro con le prostitute di Milano curato dalla Lila, al lavoro con i
tossicodipendenti curato da un��quipe dell�ASL 4 della citt� di Torino; al Binario
1 della Stazione Termini di Roma incontrando gli �invisibili�, i senza fissa dimora
della capitale, con un lavoro promosso dal Comune di Roma; al modello di
�welfare municipale� del Comune di Napoli attuato con il Programma Quadro
Rete Emergenza Sociale ed i Laboratori di Educativa Territoriale; fino ad arrivare
al lavoro di prevenzione verso l�abuso di sostanze tossiche, rivolto ai
preadolescenti ed adolescenti della provincia di Cremona.
� apparsa cruciale, alla luce delle esperienze analizzate, la questione inerente la
natura educativa del lavoro di strada.
Nel lavoro, si � assunto il disagio come un �vissuto�, e la devianza come un
comportamento esplicito, con queste premesse, a mio avviso, diventa possibile
uscire dalle secche della teoria e pensare ad un intervento educativo verso il
disagio. In questo passaggio sta la maturazione della attuale cultura educativa.
XI
La professione di educatore, andando incontro a tale principio, � nata come
supporto pedagogico alle persone in formazione, ha svolto diversi compiti
all�interno delle organizzazioni e si � conquistato via via spazi diversi anche
all�esterno delle strutture in cui era inserito.
Per stabilire una relazione significativa l�educatore professionale � consapevole
che non vi sia la necessit� di elaborare strategie complicate, in quanto basta
presentarsi quali interlocutori competenti e disponibili, � necessario stabilire la
condivisione di un momento di dialogo, in cui l�operatore si propone, da un lato
come sostegno, alla possibilit� di elaborare e ri-significare le esperienze di colui
che ha bisogno di aiuto, dall�altro, condivide un sapere scientifico competente che
pu� aiutare il soggetto a fare le proprie scelte.
La dimensione educativa della prevenzione, cos�, dovrebbe fornire le risorse
emotive e cognitive per stimolare la scelta di comportamenti consapevoli e
positivi.
Al termine della mia esperienza accademica, ci� che rende a mio avviso,
�professionale� il mio essere educatrice, � la consapevolezza di doversi impegnare
in una relazione educativa, mossa dal dovere di aiutare l�altro a divenire un
soggetto autonomo, con facolt� di decidere in merito alle proprie azioni operando
scelte che possono nascere sia da un ordine che da un disordine morale, e di
esserne responsabile oltre che consapevole.
Come sottolinea Vico �l�autentica educazione al non deviare negativamente
coincide con l�esercizio della ragione e della volont� (�), in ordine ad atti che
gradualmente sollecitino l�individuo a fondare l�autonomia psicologica sulla
responsabilit� morale�
1
.
Tutto ci� deve accompagnarsi, da parte di coloro che operano nell�area psico-
socio-educativa, nell�intenzione e nell�impegno del loro operato verso la persona,
credendo nelle sue capacit� di riscatto, contro la cultura dell�indifferenza e la
tentazione di rassegnarsi all�immagine del deviante irrecuperabile.
1
Vico G., Educazione e devianza, La Scuola, Brescia, 1988, pp. 138-139
XII
In conclusione, desidero ringraziare la LILA di Milano Onlus nella persona della
Dott.ssa Lucia Portis, responsabile e coordinatrice del Progetto �PRICILLA�;
l�ASL 4 della citt� di Torino, Servizio Tossicodipendenze, nelle persone del Dott.
Angelo Giglio medico Ser.T, responsabile del progetto CAN GO Progetto
Itinerante per Tossicodipendenti Attivi, e del Dott. Marco De Giorgi sociologo,
coordinatore dell��quipe di lavoro; il Comune di Roma nelle persone del Dott.
Federico Bonadonna responsabile Servizio Senza Fissa Dimora, V Dipartimento
Politiche Sociali e della Salute, del Dott. Giovanni Pagliazzo coordinatore del
Servizio Sala Operativa Sociale e del Dott. Luigi Donbonanni, operatore delle
Unit� Mobili di Strada; il Comune di Napoli nelle persone del Dott Antonio
Moscato dirigente Dipartimento Servizi Sociali 92� Servizio Comune di Napoli,
della Dott.ssa Giuseppina Molinari ed al Dott. Mario Vilone, responsabili
dell�Ufficio Progetti 94� Servizio Tempo Libero e Politiche Giovanili,
Assessorato alla Dignit�; ed al Comune di Cremona nella persona del Dott.
Daniele Gigni, operatore di rete del progetto Blu Notte; la Cooperativa Sociale di
Solidariet� Iride della citt� di Cremona nella persona del Dott. Francesco Lazzari
coordinatore del Progetto Blu Notte, tutti particolarmente cortesi e disponibili nel
concedermi i loro contributi.
Un particolare ringraziamento al Prof. Paroni Paolo per avermi dato la possibilit�
di svolgere questa tesi di laurea, nonch� per le Sue preziose indicazioni e consigli.
Oltre alle summenzionate persone, un ultimo ringraziamento alle persone della
mia vita, che sono cos� tanto nei pensieri e troppo poco nelle parole e nei gesti.
1
CAPITOLO 1
CAUSE SOCIOLOGICHE DELLA DEVIANZA: TRA
TEORIE CHE CERCANO DI SPIEGARE IL
FENOMENO.
�� qualunque sia il criterio di giudizio la
sociologia della devianza � uno dei filoni pi�
dinamici raffinati e persuasivi della moderna
analisi sociale. Le conoscenze si accumulano, i
dibattiti proliferano ma vengono risolti, il
rapporto tra teoria e ricerca empirica � fluido e
fecondo. E questi risultati sembrano dipendere in
gran parte dal fatto che i problemi di questo
settore sono definiti proprio nei termini del
divenire sociale�
1
.
Nelle societ� industriali avanzate l�interesse per lo studio della devianza � dato
dalla crescente paura del crimine che provoca sentimenti di insicurezza che si
fanno via via sempre pi� evidenti.
Il termine devianza � stato introdotto nel dibattito sociologico negli anni �50 ed �
subito entrato a far parte dei concetti e delle parole della cultura sociale
quotidiana.
Nel passato, all�interno del processo di sviluppo della ricerca e della teoria
sociologica i fenomeni di cui si tratta sono stati designati con termini diversi che
si sono succeduti nel tempo: delitto, reato, crimine, delinquenza, anomia,
ribellione, dissenso, patologia, anticonformismo, disadattamento, marginalit�,
diversit�, disagio. Con questi termini sono state indicate le varie forme di
comportamento sociale che violano le regole, le norme, o le leggi di una societ�.
Nella societ� contemporanea appare dunque difficile poter trovare il giusto
termine per poter definire un comportamento pi� o meno a-normale, cos� il
1
Abrams P., Sociologia storica, Il Mulino, Bologna 1983, pp. 326.
2
termine �devianza� appare facilmente sostituibile da quello del �disagio�, oppure
il �disadattamento� con quello di �emarginazione�.
In realt�, per comprendere correttamente questi termini occorre comprendere
quelle profonde trasformazioni che hanno caratterizzato la nostra societ� negli
ultimi decenni. Nasce dunque l�esigenza, sia nel mondo accademico, sia in quello
dei servizi di attribuire ad ogni termine il corretto significato.
Dei termini come disagio, emarginazione, povert�, spesso dimentichiamo il
contenuto originario o la loro storia e tendiamo ad utilizzarli come sinonimi
intercambiabili. In effetti, quasi sempre siamo convinti che essi abbiano lo stesso
significato, forse perch� essi condividono una matrice ed origine comune che va
ricercata nel filone di studi sociologici che fanno riferimento alla devianza e al
controllo sociale.
Oggi potremmo dire che stiamo attraversando quella fase in cui il termine
�devianza� ha lasciato il posto a quello di �disagio�, definito come frutto
dell�incapacit� di trovare una soluzione alla contraddizione fra �centralit�
soggettiva e marginalit� oggettiva�
2
. Il disagio pu� dunque essere visto come
l�espressione della fatica di prendere decisioni e di compiere scelte in un contesto
sociale sempre pi� flessibile, differenziato e composito
3
.
Appare quindi necessario cercare di individuare quali sono state le profonde
trasformazioni culturali, sociali e morali che hanno caratterizzato la nostra societ�
negli ultimi decenni, al fine di poter comprendere correttamente i termini di
�disagio�, �emarginazione�, �disadattamento�.
1.1 Trasformazioni del contesto sociale negli ultimi anni.
Dopo gli anni Settanta il contesto sociale appare quanto pi� variegato, a causa
probabilmente della rilevanza assunta dai processi di globalizzazione. Assistiamo
�ad un�invasione di segni, segnali, eventi, problemi, condizioni, di cui si fa diretta
esperienza�
4
. Da un lato si ingenera una straordinaria intensificazione e
potenziamento dei flussi di comunicazione, con le nuove possibilit� di trasmettere
istantaneamente in tutto il mondo informazioni, immagini, conoscenze, idee,
favorite dalla telematica e dalla digitalizzazione dei dati. Dall�altro v�� una chiara
2
Garelli F., La generazione della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna 1984.
3
Garelli F., La violenza e giovani a rischio, in Labos, 1988, pp. 240-278.
4
De Bernart M., Teorie e pratiche delle migrazioni internazionali, in Ardig� A. � De Bernart M.�
Sciortino G. (a cura di), Migrazioni, risposte sistemiche, nuove solidariet�, F. Angeli, Milano
1993, p. 37
3
accelerazione ed aumento di consistenza dei flussi di capitali, di merci e di
persone fisiche.
Nella societ� complessa, la logica del consumismo, dell�accumulazione, del
profitto, � imposta alle altre culture, sulle ceneri dei tradizionali rapporti sociali si
impongono le leggi del mercato e i valori della tecnica e del benessere.
L�ideale della modernit� occidentale non solo comporta una perdita di senso per le
strutture sociali e produttive tradizionali, sostituite dall�ideologia del progresso
5
e
del consumo, che oscurano qualsiasi altra identificazione culturale, ma abbandona
al suo destino i pi� deboli, coloro che non riescono a integrarsi pienamente, nella
nuova civilt�, dando vita a nuove forme di disagio.
In genere, quando si parla di disagio si fa riferimento a segmenti specifici di
popolazione interessati da fenomeni particolari di esclusione sociale, da difficolt�
economiche o da problemi di salute.
Un disagio articolato, che spazia dalla deprivazione materiale a quella relazionale
e si ritrova talvolta in forme intrecciate che determinano comunque un destino
individuale e familiare di marginalizzazione sociale.
Se volessimo provare a verificare caratteristiche e consistenza di ciascuno di
questi diversi segmenti di disagio potremmo costruire una sorta di repertorio che
classifica una molteplicit� di categorie a rischio per cause di natura economica,
sanitaria, socio-culturale, legale.
La forma di disagio pi� tradizionale, legato alla mancanza di lavoro, coinvolge
oggi maggiormente le fasce di et� giovanile, le donne e i residenti nel meridione
d�Italia
6
.
Tuttavia non � da sottovalutare la quota di disoccupati di et� pi� avanzata che
incontrano grandi difficolt� di ricollocazione nel mercato del lavoro a fronte dei
processi di riqualificazione richiesti dall�innovazione tecnologica. A livello pi�
generale, la marginalit� economica � ben rappresentata dalla quota di famiglie
italiane che oggi vivono sotto la soglia della povert� e che nel 1997 risultano
essere pari a circa l�11,2% del totale
7
.
5
Postman mette in guardia contro l�idea, propria della civilt� occidentale, secondo la quale solo
attraverso la tecnica e la tecnicizzazione sia possibile individuare quanto c�� di vero, valido e reale
nel mondo. Cfr. Postman N., Ecologia dei media, Armando, Roma 1991, p. 77.
6
CENSIS, La societ� italiana al 1997, in 31� Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1997,
pp. 1 � 109, Franco Angeli, Milano.
7
Dati forniti dalla Commissione di indagine sulla povert� e l�emarginazione presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri.
4
Si tratta di famiglie concentrate prevalentemente al sud, dove i nuclei poveri
rappresentano il 24,2% del totale delle famiglie ed il 71,8% del totale dei nuclei
familiari in condizioni di povert�.
Inoltre, il rischio di povert� risulta pi� elevato tra le famiglie numerose, e per
quelle con capofamiglia anziano, in cerca di occupazione o senza titolo di studio.
Alle forme di disagio da deprivazione materiale vanno associate le situazioni di
difficolt� legate alla carenza di salute e ai rischi di perdita di autosufficienza (dai
malati di tumore a quelli di AIDS, dai malati di Alzheimer ai soggetti, anziani e
non, affetti da forme diverse di disabilit� e da malattie mentali, dai
tossicodipendenti agli alcolisti).
In tutti questi casi i problemi di salute si intrecciano con difficolt� di relazione o
con situazioni di perdita dell�autosufficienza, creando forme di dipendenza e di
isolamento che impongono un consistente impegno di assistenza e si
accompagnano ad un destino di marginalizzazione che coinvolge spesso sia
l�individuo che la famiglia.
Se � vero dunque che i fenomeni di disagio sociale sono particolarmente gravi ed
appaiono caratterizzati da una elevata segmentazione, � possibile considerare oggi
il disagio collettivo come una somma di disagi dei singoli segmenti, in cui hanno
peso crescente l�aggravamento di alcune condizioni di esclusione le quali da sole
bastano a spiegare la presenza di un disagio pi� generale del corpo sociale.
Oppure, si potrebbe ipotizzare l�esistenza di un disagio pi� globale, pi� profondo
ed orizzontale che attraversa tutta la popolazione e che va oltre la somma dei
disagi parziali.
Se cos� fosse, bisognerebbe chiedersi di che tipo di disagio collettivo o trasversale
si tratta, qual � la sua origine specifica e quali sono le sue cause.
Le ipotesi sulle quali riflettere fanno riferimento a fenomeni che non
necessariamente si autoescludono ma che anzi, sotto alcuni aspetti, possono
intrecciarsi, definendo un quadro di complessit� sociale nel quale i tratti del
disagio appaiono trasversali e non riconducibili alla somma delle micro-difficolt�
sociali.
In primo luogo, si constata una progressiva erosione di quell�identit� collettiva, di
tipo processuale, strettamente legata al raggiungimento di un obiettivo comune di
promozione individuale ed economica che ha caratterizzato la societ� italiana nel
secondo dopoguerra.
5
Una forma di disagio collettivo pu� essere, allora, collegata all�incapacit� di una
societ� appagata di pensare il futuro e di sperare che il domani possa essere
migliore del presente. La fine di tale identit� processuale mette a rischio anche la
coesione sociale, la capacit� della societ� di pensarsi ed agire come corpo
collettivo con un obiettivo comune. Il rischio � che senza propensione ad un
nuovo sviluppo si prospetti un destino di inerzia, che rappresenta un disagio di
fondo del sistema, incapace di rimettersi in cammino e di costruire i termini di una
nuova sfida.
I tratti della societ� densa, descritta qualche tempo fa dal Censis
8
, si ritrovano alla
base di questa nozione diffusa di disagio che assume una connotazione peculiare
ed ulteriore nella rottura degli equilibri intergenerazionali che ha almeno due
aspetti diversi di problematicit�:
- in un corpo sociale senza radici, ma che ha tratto identit� e coesione dal
processo di costruzione comune del benessere e della ricchezza, oggi per la
prima volta dopo due o tre generazioni, diventa difficile pensare in
prospettiva, ed il futuro tende ad assomigliare al presente. Senza la speranza
per i figli di migliorare le condizioni economiche e sociali rispetto a quelle dei
propri padri si � ribaltato un processo naturale di evoluzione sociale
complessiva legato alla capacit� di soddisfare aspettative crescenti;
- alla fine della mobilit� sociale si affianca un appiattimento sul presente, in una
societ� che non investe sul futuro, come emerge dalla riduzione della fertilit� e
dalla scelta di procrastinare, nei fatti, nel tempo i problemi di bilancio,
trasferendo sulle generazioni future il costo delle scelte attuali.
Naturalmente questo disagio diffuso, assimilabile ad una sorta di rumore di fondo
nel corpo sociale, incide sugli stessi disagi di segmento moltiplicandone gli effetti
negativi: cos�, ad esempio, l�integrazione degli immigrati � pi� difficile in una
societ� senza identit� e le soluzioni per la disoccupazione diventano pi�
complesse in una societ� poco dinamica e poco propensa ad innescare la sfida per
un nuovo sviluppo.
In questo contesto si inserisce anche una sorta di inerzia da mancata innovazione,
laddove la competizione nel mercato globalizzato si basa in modo essenziale sulla
capacit� dei sistemi-paese di investire e produrre innovazione.
8
CENSIS, Saper gestire una societ� densa, Mese del Sociale, Franco Angeli, Milano 1995.
6
In questa ulteriore ipotesi si rilevano i tratti di un disagio complessivo legato ad
uno stress da incapacit� di tenere il passo della competizione, a cominciare dalla
difficolt� di destinare flussi adeguati di risorse alla ricerca ed all�innovazione
tecnologica.
Ancora, la trasversalit� del disagio appare collegata a fenomeni sociali di lunga
deriva rappresentati dal mutamento delle modalit� di strutturazione del lavoro e
dallo sfilacciamento dei meccanismi collettivi di protezione sociale.
I processi in atto di individualizzazione del mercato del lavoro e la crisi del
sistema di welfare lasciano sempre pi� gli individui soli di fronte ai rischi sociali
(perdita di lavoro, malattia, vecchiaia, ecc.).
Il disagio collettivo si traduce in un senso di insicurezza che si insinua nel corpo
sociale, minaccia le forme di solidariet� collettiva e genera ripiegamento su se
stessi.
1.1.1 Una nuova relazione individuo - societ�
I mutamenti che avvengono a livello esperienziale, cio� la riorganizzazione
dell�esperienza soggettiva, sono una via indispensabile per capire non solo ci� che
sta accadendo, ma anche le prospettive che la nuova situazione dischiude.
Robertson
9
� l�autore che per primo ha posto questo tema al centro del dibattito,
affermando che la consapevolezza di vivere in un unico contesto costituisce
l�elemento distintivo dei nostri tempi. Tale coscienza ha sicuramente un notevole
impatto sull�esperienza soggettiva contemporanea e fissa le nuove coordinate
all�interno delle quali l�esperienza collettiva e individuale viene riorganizzata.
Il termine globalizzazione, come gi� detto, introduce una serie di metafore
spaziali: al di l� di quel tipo di societ� spazialmente limitate che sono gli Stati
nazionali, il raggio della vita sociale si � ampliato, ristrutturando lo spazio
all�interno del quale individui e gruppi organizzano la loro esperienza.
Le attivit� sociali sono organizzate su una dimensione spazio-temporale sempre
pi� grande � grazie alle connessioni rese possibili dalla fitta rete di apparati che
costituiscono l�infrastruttura della nostra vita sociale; dall�altro le nostre
quotidiane percezioni sensoriali, situate e limitate, continuano a influenzare le
rappresentazioni della realt� e ci� crea seri problemi di ricomposizione
dell�esperienza individuale.
9
Robertson R., Globalizzazione, Asterios, Trieste 1999.