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D�altrocanto, la rilevazione dell�insolvenza sulla base dell�andamento
dell�attivit� d�impresa, in un�ottica dinamica, non sempre pu� essere colta da
una situazione di bilancio, che rappresenta tale attivit� secondo una prospettiva
statica. Per questa ragione, la nozione d�insolvenza si distingue da quella di
insufficenza patrimoniale, che �, invece, una grandezza misurabile in termini
assoluti, data dall�eccedenza delle passivit� sulle attivit�, e rilevata dalla
consistenza del patrimonio netto della societ�.
La legge fallimentare prevede, accanto a quella di insolvenza, la nozione di
temporanea difficolt� ad adempiere, per l�ammissione, qualora l�imprenditore si
trovi nelle condizioni stabilite dall�art. 187 l. fall., alla procedura di
amministrazione controllata.
Da tempo i due fenomeni, differenti per il grado di reversibilit� o meno della
condizione di crisi, sono stati accomunati per identit� qualitativa, essendo
pacifica la comune natura d�insolvenza, e divergendo soltanto sotto il profilo
quantitativo di maggiore o minore intensit� della stessa.
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Si pu� dunque affermare l�unicit� della condizione di crisi dell�impresa,
qualificabile sempre come insolvenza, dipendendo il suo esito dalla tempestiva
scelta del debitore e dal suo grado di affidabilit� presso il ceto creditorio: questo,
sia nell�ottica di una risoluzione concorsuale della crisi, quanto nell�ottica di una
composizione stragiudiziale della stessa. La dottrina ha illustrato le diverse
modalit� che hanno in generale gli amministratori, o l�imprenditore, di risolvere
la crisi finanziaria, distinguendo tre diverse opzioni.
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La prima modalit� �
quella, allorch� sia possibile, di cedere l�intero complesso aziendale sul mercato
ad un nuovo imprenditore capace di affrontare l�indebitamento.
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Si veda, in tal senso in giurisprudenza, CASS. 28 febbraio 2000 n. 2211 in Fall. 2001, 255; CASS. 21 febbraio
1997, n. 1612 in Fall. 1997, 1001; CORTE COST. 6 aprile 1995, n. 110 in Fall. 1995, 707.
Si veda, in tal senso in dottrina, GUGLIELMUCCI, Lezioni di diritto Fallimentare, Torino, 2000, 365; RICCI,
Lezioni sul fallimento, I, Milano, 1997, 82.
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Si veda, in tal senso in dottrina, ROSSI, Crisi delle imprese: la soluzione stragiudiziale in Riv. Soc. 1996, 321.
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L�acquirente � normalmente identificato in uno di quei soggetti che gli
anglosassoni definiscono stockholders: i creditori, i fornitori e, in ultima analisi,
gli stessi dipendenti dell�impresa in crisi. Le possibilit� di cessione del
complesso aziendale ai creditori o agli azionisti, presentano innumerevoli
combinazioni quali, ad esempio, il leverage buy out o il management buy out.
La seconda opzione consiste nel ricorrere alle procedure concorsuali. Queste
ultime presentano sempre, nel nostro ordinamento, una vocazione liquidatoria.
Infatti, anche le procedure che teoricamente sono finalizzate al risanamento
dell�azienda, come l�amministrazione controllata o l�amministrazione delle
grandi imprese in crisi, mascherano comunque una realt� che ha quasi sempre
come ineluttabile risultato la liquidazione dell�impresa.
La terza scelta possibile per risolvere la crisi finanziaria consiste nel tentativo di
composizione stragiudiziale della stessa. Tale procedura altro non � che un
complesso negoziato tra l�impresa in crisi ed i suoi creditori, finalizzato
all�abbattimento delle posizioni debitorie, e si inquadra in una generale tendenza
del sistema capitalista alla privatizzazione dell�istituto del fallimento.
La gestione della crisi d�impresa mostra da tempo la tendenza ad essere risolta
senza il ricorso all� autorit� giudiziaria.
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Tale fenomeno trova la sua ratio nel
fatto che la legge fallimentare prevede, a protezione del credito, procedure
concorsuali fondate su un modello d�impresa remoto dalla realt� attuale. Il
disegno complessivo perseguito dal legislatore del �42 si fonda sul principio
ispiratore della tutela dei creditori attraverso la liquidazione del patrimonio
dell�imprenditore e la distribuzione del ricavato. Tale modalit� satisfattiva �
stata ritenuta la pi� idonea a soddisfare l�interesse sociale, in quanto consente di
liberare le risorse finanziarie aggregate nell�azienda inefficiente e le rimette in
circolazione affinch� possano affluire verso impieghi pi� efficienti e produttivi,
con vantaggio del sistema economico nel suo complesso e, quindi, dell�intera
collettivit�. I termini di questa valutazione si sono rivelati, ad oggi, largamente
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Si veda, in tal senso in dottrina, SANSONE, Risanamento dell�impresa tra autonomia privata e controllo
giudiziario in Fall. 1998, 761.
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inesatti, perch� non coerenti con la struttura economica e finanziaria
dell�impresa attuale. Il legislatore del �42 postula, infatti, un modello d�impresa
in cui il capitale reale tende a coincidere con quello di credito; solo in una
siffatta situazione, infatti, � legittimo pensare che attraverso la liquidazione del
patrimonio si possa giungere ad una soddisfacente copertura del passivo.
Nell�impresa attuale, invece, il capitale di credito � preminente sul capitale di
rischio, e in caso di fallimento il costo dell� attivit� d�impresa ricade
prevalentemente sul capitale di credito. La composizione del patrimonio
destinato all�esercizio dell�impresa �, poi, notevolmente mutata nel tempo. La
componente dei beni materiali � sempre meno rilevante, mentre peso crescente
assumono i beni immateriali. Il progresso tecnologico ha fatto assumere
un�importanza sempre maggiore all�organizzazione del complesso produttivo ed
alle capacit� tecniche acquisite. Deve poi sottolinearsi che l�imprenditore
sempre pi� spesso ha soltanto la disponibilit�, e non la propriet�, degli strumenti
della produzione. Spesso, inoltre, i fattori di produzione impiegati nell�impresa
non sono disgregabili; conservano il loro valore finch� utilizzati in una specifica
attivit� produttiva, ma non sono suscettibili di essere rimossi e spostati ad
attivit� diversa. E� evidente, allora, che le usuali liquidazioni nell�ambito della
procedura fallimentare difficilmente riescono nell�intento di salvaguardare i
valori dell�impresa, in particolare quelli dei beni immateriali.
Nell�attuale modello d�impresa la tutela pi� efficace degli interessi coinvolti
nella crisi risulta realizzata proprio dalla riorganizzazione dell�azienda stessa,
allorch� siano ancora ipotizzabili possibilit� di recupero di redditivit� oppure,
quando questa possibilit� pi� non sussiste, da una liquidazione avviata nel
perdurare dell�attivit� economica. La privatizzazione del fallimento, che per la
soluzione della crisi d�impresa passa attraverso il risanamento stragiudiziale,
non pu� che tener conto dell�atteggiamento assunto dal ceto creditorio, in
particolare da quello bancario, il quale dovr� essere convinto della maggior
vantaggiosit� della ristrutturazione e conservazione dell�impresa rispetto al
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recupero parziale o minimo del proprio credito in moneta fallimentare. In
quest�ultima direzione sono volti altres� gli interessi degli azionisti della societ�
in crisi, che solamente in tal caso possono sperare di conservare, totalmente o
parzialmente, il valore del loro investimento.
Incombe, per�, sugli amministratori, un obbligo penalmente sanzionato a non
ritardare il fallimento, per cui l�attivazione delle procedure concorsuali appare la
scelta pi� sicura e certamente pi� prudente. Il disposto degli artt. 217 e 224 l.
fall. prevede il reato di bancarotta semplice per chi aggravi il proprio dissesto,
astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento. Pertanto,
l�imprenditore che dopo aver tentato la strada del concordato stragiudiziale
dovesse essere assoggettato a procedura fallimentare, potrebbe correre il rischio
di vedersi contestato il reato di bancarotta semplice o, ricorrendo i presupposti di
cui all� art. 216 l. fall., di bancarotta fraudolenta.
Inoltre, la mera protrazione di una gestione d�impresa che in re ipsa � destinata
al fallimento � pericolosa anche per i creditori, sicch� la ricerca di un concordato
stragiudiziale potr�, a posteriori, essere considerata un espediente dilatorio che
rientra nell�ottica dell� art. 217 n. 4 l. fall. Appare perci� necessario, al fine di
giungere ad una composizione stragiudiziale, che la crisi non si presenti
devastante e tale da aver colpito le strutture produttive dell�impresa, nel qual
caso s�imporrebbe la soluzione liquidatoria essendo gi� in essere lo stato
d�insolvenza, ma dovrebbero, viceversa, ravvisarsi concrete e attendibili
possibilit� di risanamento. Nessuna valutazione potr� quindi essere assunta
dall�imprenditore o dagli amministratori senza che prima sia stato predisposto
un dettagliato piano di risanamento, nel quale vantaggi e sacrifici trovino una
sorta di stanza di compensazione effettuata tramite valutazioni esclusivamente di
tipo economico, che considerino l�interesse dei creditori in comparazione
alternativa con la soluzione liquidatoria.
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Si veda, in tal senso in dottrina, GARELLA, Il concordato stragiudiziale, Milano, 2003; BONELLI, Nuove
esperienze nella soluzione stragiudiziale della crisi delle impresa in Giur. Comm. 2002, I, 488; LIBONATI,
Crisi dell�imprenditore e riorganizzazione dell�impresa in Riv. Dir. Comm. 1981, I, 231.