4
natura e delle funzioni del gioco ma concordano sulla definizione delle sue
caratteristiche formali.
Il gioco può essere definito un’attività improduttiva, disinteressata e
autotelica (con fine a se stessa) le cui caratteristiche peculiari sono: la libertà,
l’estraneità agli schemi della vita sociale, la convenzionalità, la casualità.
Mi piace riportare la definizione che del gioco dà Huizinga: “Un’azione
libera: conscia di non essere presa “sul serio” e situata al di fuori della vita
consueta che non di meno può impossessarsi totalmente del giocatore; azione a
cui in sé non è congiunto alcun interesse materiale, da cui non proviene
vantaggio, che si compie entro un tempo ed uno spazio definiti di proposito, che
si svolge secondo date regole, e suscita rapporti sociali che facilmente si
circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal
mondo solito”
6
.
Attività improduttiva, disinteressata, dunque, “il gioco non può avere altri
fini che se stesso o non è tale” afferma la professoressa Graziella Zini Bonavita
nella prefazione a “L’ABC del gioco” di J. Recla e R. Hirsch.
E’ un fatto che nel corso della storia, quando diminuisce la capacità di
giocare per “essere presenti a se stessi con le pure sensazioni, in una sfera di
godibile disinteresse” (G. Montana)
7
, allora l’interesse tende a prevalere e le
attività ludiche, assumendo svariate forme di incentivo, non sono più gioco, ne
hanno solo l’apparenza.
Allora si gioca solo per il conseguimento della vittoria o di una posta
messa in palio, cosa questa che tanto spesso accade al giorno d’oggi soprattutto
nel campo degli sports più comuni.
Certamente l’agonismo non è estraneo al gioco nelle sue manifestazioni
storiche anche se i Greci usavano due vocaboli diversi “paidià” e “agon” per
indicare con il primo i giochi e con il secondo le gare (da cui il termine
agonismo), ma quando si gioca solo per il piacere di gareggiare e non si mira a
6
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 17.
7
Dizionario Enciclopedico U.T.E.T., Volume IX, pag. 78.
5
vincere ad ogni costo, allora al piacere del gioco si aggiunge il piacere di
gareggiare.
Il gioco è un’attività scelta liberamente. Questa caratteristica è
magistralmente illustrata da Huizinga: “Ogni gioco è soprattutto un atto libero. Il
gioco comandato non è un gioco. Tutt’al più può essere la riproduzione
obbligata di un gioco”
8
.
E’ vero che i bambini e gli animali giovani giocano perché il loro istinto
lo comanda (il gioco serve allo sviluppo delle loro facoltà fisiche e selettive) ma
in tal caso il gioco è libero perché essi ne provano diletto.
Altra caratteristica del gioco è l’estraneità agli schemi della vita sociale; è
l’”allontanarsi – è sempre Huizinga che parla – dalla vita “ordinaria” o “vera”
per entrare in una sfera temporanea di attività con finalità tutta propria” e
continua “già il bambino sa perfettamente di “fare solo per finta”, di “fare solo
per scherzo”
9
.
E ancora: “Tale coscienza di giocare “soltanto” non esclude affatto che
questo “giocare soltanto” non possa avvenire con la massima serietà, anzi con
un abbandono che si fa estasi ed elimina nel modo più completo, per la durata
dell’azione, la qualifica “soltanto””
10
.
Questo si verifica soprattutto, come ha ben visto Huizinga, nel gioco
infantile.
Il bambino conferisce alla situazione ludica un grande valore emotivo per
cui sperimenta la situazione ludica e la realtà come due situazioni parallele.
Ancora Huizinga: “Il bambino può essere dominato da una emozione tale
da raggiungere lo stato di credere – di – essere senza perdere completamente la
coscienza della realtà consueta”
11
.
Ancora: il gioco è un’attività regolata da norme convenzionali.
8
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 10.
9
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 11.
10
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 12.
11
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 18.
6
Tutti i giochi, anche quelli dei bambini che da soli giocano con semplici
oggetti come una bambola o addirittura sassi o pezzi di legno, sono regolati da
norme prestabilite sia pure in modo rudimentale.
Nei giochi degli adulti viene rafforzata la struttura del gioco con lo
stabilire norme più complesse e ciò per supplire, forse, alla parziale mancanza
della capacità emotiva che caratterizza più marcatamente il gioco infantile.
Tali norme sono “obbligatorie e inconfutabili” – è sempre Huizinga che
parla – “non appena si trasgrediscono le regole il mondo del gioco crolla. Non
esiste più gioco…. Il giocatore che si oppone alle regole o vi si sottrae è un
guastafeste…. Egli toglie al gioco l’illusione, l’inlusio (che corrisponde in realtà
a l’essere nel gioco)”
12
.
Per completare il quadro delle caratteristiche del gioco vorrei fare un
rapido riferimento alla “casualità”, meno evidente e non necessariamente
presente nel gioco.
Esiste una interrelazione tra casualità e norme del gioco poiché queste
prevedono una svariata serie di eventi e situazioni rese possibili dal “caso”.
E’ sorprendente costatare come le forme del gioco poco si differenziano
nel corso dei secoli e presso le varie culture.
L’uomo, specialmente nel periodo dell’infanzia e della giovinezza ma, in
modi diversi, anche nell’età adulta, sin dagli albori dell’umanità avverte e
obbedisce all’insopprimibile bisogno di giocare.
E’ universalmente accertato che il gioco “è una delle più serie ed
organiche esigenze della psiche umana”
13
e che tutte le “grandi attività originali
della società umana sono già intessute di gioco”
14
.
Possiamo ben dire che il gioco è connaturale all’uomo.
12
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 15.
13
J.M. Lotman: “La struttura del testo poetico”, a cura di Eridano Bazzarelli, U. Mursia editore S.p.A., Milano,
1972, pag. 79.
14
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 7.
7
“L’uomo gioca solo quando è uomo nel pieno significato della parola ed
“è” interamente uomo solo quando gioca” ben dice il grande pedagogista
Friedrich Schiller nelle “Lettere sull’educazione estetica” (1795).
In questa forma di attività umana, che per il fanciullo è la prima e
l’essenziale e si manifesta in ogni sua azione ed in ogni suo pensiero, si
esercitano liberamente le sue energie sia fisiche che psichiche e si manifesta la
sua creatività.
E intanto egli si libera dalla sfera dell’istintività e costruisce a tentoni, si
può dire, la sua personalità.
Ed è da questo suo inconsapevole lavorio di estrinsecazione della
creatività e della personalità che deriva la soddisfazione piena e la gioia che egli
prova giocando.
E’ quindi perfettamente spiegabile che da quando è comparso sulla terra
l’uomo ha giocato.
Appena si è fatto sentire il bisogno di porsi domande sull’origine e sul
significato della vita, col primo sviluppo della filosofia, il gioco è divenuto
oggetto di interesse da parte dei filosofi.
Già Platone lo identifica con il sacro ed esorta i suoi contemporanei a
“vivere giocando”
15
“per rendere propizi gli dei”
16
e Aristotele lo paragona alla
felicità ed alla virtù perché, come queste non ha altro scopo che se stesso.
Tutta la pedagogia antica inoltre lo considera una scuola di equilibrio
delle energie dell’uomo e la pedagogia moderna lo riconosce indispensabile alla
vita infantile perché lo sviluppo della personalità avvenga in maniera
equilibrata.
Ma è stato soprattutto nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo che tutte
le scienze moderne, dall’antropologia alla sociologia, alla storiografia si sono
interessate particolarmente al problema per analizzare la natura e le funzioni del
gioco.
15
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 24.
16
J. Huizinga: “Homo ludens”, traduzione di Corinna Von Schendel, Einaudi, Torino, 1973, pag. 24.
8
Si sono così sviluppate diverse teorie (a volte contrastanti tra loro).
Secondo alcuni il gioco avrebbe la funzione di scarica del superfluo di
energie, mentre per altri è da considerare valida la teoria dell’Atavismo.
Quest’ultima ritiene i giochi dei bambini un residuo di attività ataviche.
Altre teorie vengono definite del pre – esercizio e del post – esercizio.
La prima attribuisce al gioco la funzione di esercizio preparatorio alle
future attività.
Secondo il Groos
17
i bambini, come i cuccioli degli animali superiori,
perfezionerebbero nel gioco dei comportamenti che esistono già in loro su base
istintiva ma che non sono sufficientemente sviluppati per poter affrontare i
compiti della vita adulta.
La teoria del post – esercizio, invece, attribuisce al gioco la funzione di
perfezionare e strutturare schemi di comportamento cui già il bimbo è
pervenuto.
La verità è, secondo le più moderne concezioni, che il gioco assolve a
tutte queste funzioni insieme, e ad altre ancora.
Nel gioco il bambino si libera delle energie superflue e restaura il suo
equilibrio fisiologico, assimila dati dal mondo esterno, esercita le sue capacità
preparandosi così alle future attività, perfeziona schemi di comportamento già
acquisiti, inoltre attraverso il “comportamento a due piani”
18
, che sperimenta nel
gioco, anticipa e controlla le situazioni potenzialmente pericolose a cui è esposto
nella vita reale.
17
K. Groos, professore di filosofia all’Università di Basilea, è rimasto affascinato dagli schemi di
comportamento istintivi “necessari alla lotta per l’esistenza da parte dell’animale e alla conservazione delle
specie”. Egli ha studiato la comparsa del gioco negli animali superiori ed ha avanzato l’ipotesi che gli animali
dotati di forme complesse di adattamento hanno bisogno di un periodo di gioco nell’età giovanile per poter
mettere in atto una varietà di comportamenti per i quali gli istinti ereditari possono essere non del tutto adeguati.
L’autorevole insegnante di filosofia espresse il suo pensiero in: K. Groos, “The Play of Animals”, traduzione in
inglese di Elisabeth L. Baldwin, Heinemann, 1898, New York (prima edizione, 1896, Basilea).
Il professor Groos estende, poi, all’uomo la sua tesi secondo la quale il gioco non è altro che un periodo di
pratica per successivi più seri comportamenti. Egli dimostra che i dispetti ed i giochi d’amore sono forme
ludiche di comportamenti istintivi adulti, ed indaga l’origine e il fondamento del piacere che troviamo nel gioco:
K. Groos, “The Play of Man”, traduzione in inglese di Elisabeth L. Baldwin, Heinemann, 1901, New York.
18
J.M. Lotman: “La struttura del testo poetico”, a cura di Eridano Bazzarelli, U. Mursia editore S.p.A., Milano,
1972, pag. 81- 82.
9
Altra importantissima funzione del gioco sia infantile che degli adulti è
quella sociale.
Non indifferente è la parte che esso ha nella creazione di una coesione
sociale basata su rapporti che non siano dipendenti da vincoli derivanti dalla
funzione pratica dell’individuo e perciò obbligati, ma siano spontanei, liberi, e
volti alla formazione di nuovi legami e alla solidarietà del nuovo gruppo.
Un’ultima funzione ha il gioco soprattutto degli adulti (giacché per i
bambini, come dicevamo, il gioco è presente in ogni loro atto): quella ricreativa,
che spesso “contiene anche un elemento costruttivo e creativo”
19
.
Con il gioco l’uomo reintegra le sue capacità lavorative (quindi si ricrea),
si estranea dal mondo del lavoro e dimentica le sue ansie entrando in una sfera
diversa in cui, a volte, si esercitano attitudini pratiche tanto che il gioco stesso
può divenire lavoro.
“Il dilettante spesso produce il lavoro migliore, e spende le migliori
energie nel suo hobby”
20
.
Se riconosciamo al gioco queste funzioni positive non possiamo trascurare
di prendere in esame gli aspetti negativi che può presentare quando manchi di un
controllo oggettivo proprio perché le prime possano esplicarsi in tutta la loro
pienezza e ottenere i maggiori risultati possibili.
Così la accentuazione dell’esercizio fisico, che in genere il gioco richiede,
educa e dà equilibrio alle forze, ma può facilmente oltrepassare i limiti ed
esasperarsi in forme di ebbrezza fisica; il controllo delle situazioni pericolose
può portare facilmente all’accentuazione esagerata di istinti pericolosi quali la
sopraffazione e la violenza per cui spesso il gioco sfocia in liti violente.
19
Tylor, Boas, Lowie, Kroeber, Malinowski, Murdock, Linton, Bidney, Kluckhohn, Herskovits: “Il concetto di
cultura. I fondamenti teorici della scienza antropologica”, a cura di Pietro Rossi, traduzione di Daniele Pianciola,
Einaudi, Torino, 1970, pag. 186.
20
Tylor, Boas, Lowie, Kroeber, Malinowski, Murdock, Linton, Bidney, Kluckhohn, Herskovits: “Il concetto di
cultura. I fondamenti teorici della scienza antropologica”, a cura di Pietro Rossi, traduzione di Daniele Pianciola,
Einaudi, Torino, 1970, pag. 186.
10
E ancora l’evasione dal mondo della vita quotidiana può far smarrire
l’attitudine necessaria al lavoro, distogliere la volontà da scopi concreti e portare
all’indifferenza verso il lavoro.
Per evitare che il gioco dei ragazzi possa assumere tali caratteristiche
negative è indispensabile perciò che sia ben guidato da un educatore che sappia
indirizzare verso forme tipiche di gioco in cui sia importante il riconoscimento
di valori ideali: l’accettazione delle regole, la collaborazione reciproca, la
sincerità, la gentilezza.
Da quanto è stato esposto sulla natura, il significato e le funzioni del
gioco, appare chiaro che esso non può essere considerato un’attività a se stante,
ma rientra nel complesso dei bisogni e delle attività della vita dell’uomo nel suo
evolversi dalle forme più proprie dell’infanzia a quelle dell’adulto.
Un istruttore di gioco deve conoscere la tecnica e la didattica, che
riguardano lo stesso gioco per armonizzarlo con tutte le altre attività educative e
formative, che concorrono allo sviluppo della persona sia sul piano fisico sia su
quello psichico.
In questo modo potrà rendere la sua azione particolarmente efficace per la
crescita del bambino e ottenere i migliori risultati possibili non solo in campo
tecnico ma anche in quello umano e formativo in generale.
Abbiamo fin qui parlato delle caratteristiche, della natura e delle funzioni
altamente positive che il gioco, considerato genericamente, svolge nel processo
di sviluppo dell’uomo.
In pratica, però, esso si presenta in forme concrete, che possono
considerarsi “il risultato naturale dello spontaneo esercizio delle energie fisiche
e psichiche” ognuna delle quali perfeziona qualche particolare funzione
fisiologica o psicologica.
A seguito di ciò sono state fatte diverse classificazioni dei giochi.
Ci sono giochi sensoriali, che offrono il mezzo di esercitare la percezione
e di imparare a conoscere il mondo esteriore; quelli motori o di movimento, che
11
contribuiscono a migliorare la conoscenza del proprio corpo e dell’ambiente
fisico e a perfezionarne il dominio; i giochi di immaginazione, che attraverso la
finzione e l’imitazione della vita reale esercitano le tendenze affettive; quelli
intellettuali che, stimolando la curiosità, la comparazione, l’associazione, la
riflessione, il ragionamento, permettono una migliore risposta alle situazioni
della vita reale; e ancora i giochi affettivi, quelli volitivi e di semplice
imitazione.
I giochi che interessano la nostra proposta sono i giochi tradizionali di
movimento.
Nel corso dei secoli alcune di queste forme concrete di gioco, soprattutto i
giochi di movimento, sono andate via via cristallizzandosi con l’introduzione in
essi di una finalità particolare per mezzo del rischio, della gara e del premio.
Tale processo di cristallizzazione è giunto al punto di far assumere loro un
organismo autonomo, con leggi proprie rigide e standardizzate, che si tramanda
per tradizione e, a volte, costituisce una vera e propria istituzione sociale.
Così si è sviluppato lo sport.
Esso (anche se il termine “sport”, di origine inglese, si è diffuso solo
nell’epoca moderna) è stato presente in tutte le manifestazioni delle civiltà,
anche primitive, ma è stato soprattutto nell’antica Grecia che ha raggiunto il suo
pieno sviluppo e il più alto grado di perfezione.
I giochi pubblici greci erano in stretto rapporto con la religione e con il
culto e considerati come di istituzione divina.
Quelli a carattere panellenico (gli Olimpici, i Pitici, gli Istmici, i Nemei) a
cui partecipavano atleti provenienti da tutte le città della Grecia, servivano a
testimoniare l’origine comune di tutti gli stati greci; ed, infatti, proprio per
questo, durante il loro svolgimento venivano sospese tutte le ostilità tra i vari
stati.
E questo profondo legame tra lo sport e la religione giustifica la parte
importantissima che esso ebbe nella vita sociale dei Greci: il gioco costituì un
12
momento essenziale nell’educazione alla bellezza, alla forza, al coraggio; fu
considerato esercizio necessario alla preparazione militare.
La coscienza sportiva propria della Grecia si andò affievolendo (anche per
influsso del Cristianesimo, che rompeva l’unità che era sentita prima tra corpo e
spirito) nei secoli successivi.
Alla fine del Medio Evo e all’inizio del Rinascimento comincia a
rinascere una certa concezione sportiva.
Ma è solo nel secolo XIX che, in Inghilterra, si sviluppa, si caratterizza, si
organizza e, di qui, si diffonde in tutto il mondo lo sport moderno.
Questo (a differenza di quello greco, non è legato alla religione) è
caratterizzato da tre elementi essenziali:
1) lo spirito ludico, per cui deve trattarsi di un’attività scelta volontariamente
per scopo di divertimento (lo sviluppo in senso professionistico, che
sembrerebbe annullare questo spirito, non ne elimina la volontarietà, giacché
nessuna struttura sociale costringe all’attività sportiva);
2) l’agonismo. “Un gioco è uno sport nella sola misura in cui è animato dallo
spirito agonistico” afferma il Prof. Corrarello nei “Momenti di storia dello
Sport e dell’Educazione Fisica”;
3) l’attività formatrice, a cui, in moti casi, si può aggiungere un quarto
elemento: l’intenso sforzo fisico.