4
“sensuale” per la sua caratteristica maniera di “produrre” (essere
nella) cultura attraverso gli oggetti, ovvero senza partire da nessun
concetto che non abbia il suo punto di partenza nella fisicità dei
materiali esposti.
Ma che cos’è, dunque, il Museo? «A museum has been defined
as “a permanent establishment administred in the public interest with
a view to conserve, study, exploit by various means, and basically to
exhibit for the pleasure and education of the public objects of cultural
value”».
1
Questa la definizione mutuata dall’ICOM (International
Council of Museums), l’organismo creato dall’UNESCO nel
dopoguerra al fine di gestire e coordinare l’attività museale
internazionale. Ne potremmo, tuttavia, fornire delle altre che ne
mettano in luce gli aspetti relazionati al territorio ed alla realtà di cui
fa parte: «la capacità di rappresentare l’uomo è una caratteristica che
difficilmente potrà essere negata e che permette di dare una prima
definizione del museo sotto un profilo essenzialmente sociale, come
luogo di incontro umano, una memoria collettiva, un luogo di
espressione collettiva nel quale si rispecchiano la storia civile e
intellettuale di una comunità, la vitalità culturale di questa comunità,
la sua capacità di legare il passato storico alla realtà del momento
1
«Un museo è stato definito come “un’istituzione permanente amministrata nel
pubblico interesse con l’obbiettivo di conservare, studiare, sfruttare in vari sensi, e
principalmente esibire per il piacere e l’educazione del pubblico, oggetti di valore
culturale”» in C. LAW, Urban Tourism. Attracting visitor to largest cities,
Mansell, New York, 1993, p. 70.
5
attuale»
2
. Oppure che ne sottolineino il rapporto con gli oggetti: «la
simbiosi museo - oggetti sta naturalmente alla base dell’esistenza
stessa del museo, e la nascita del museo è in fondo legata all’esistenza
di una serie di oggetti, all’esigenza di raccogliere, soprattutto a fini
conservativi (personali o meno), gli oggetti stessi in una struttura. (...)
Se non può esservi un museo senza oggetti - il che forse si può anche
discutere - non è comunque detto che una serie di oggetti costituisca,
per il solo fatto di esistere, un’istituzione museale»
3
. Altre ancora che
ci aiutino a comprenderne il ruolo: «cinque sono dunque le funzioni
di base di un museo moderno: il recupero, la conservazione dei beni
culturali, la tutela di questo patrimonio (che è cosa in parte diversa dal
recupero e dalla conservazione), la produzione culturale, e cioè la
ricerca scientifica e, infine, la funzione di trasmissione culturale (e
cioè la divulgazione dei contenuti e delle elaborazioni del museo),
nella quale un ruolo non piccolo gioca la didattica rivolta al mondo
della scuola»
4
. Anche se, secondo altri: «è evidente che qualsiasi
ramo della ricerca storica può offrire materiale per un museo, il cui
contenuto è sempre una sintesi storica “per esempi”. (...) Tre sono gli
scopi fondamentali del museo pubblico: conservazione,
documentazione, educazione»
5
. Inoltre dobbiamo tenere in conto che
«... è evidente come la funzione educativa (...) non basti a coprire
2
BINNI, PINNA, Museo, Garzanti, Milano, 1976, p. 83.
3
ivi, p. 84.
4
ivi, p. 88.
5
L. SALERNO, Collezione, in Enciclopedia Universale dell’Arte, Sansoni,
Firenze, 1967, p. 761.
6
l’intera realtà del museo; ma è tale funzione ad imporsi sempre di
più»
6
. Da queste rapide osservazioni riusciamo ad intuire come il
Museo sia un’istituzione culturale spesso, quando non sempre, di
carattere prettamente storico, dedita a ricostruire date epoche e/o dati
ambienti attraverso gli oggetti che espone ed alla cui conservazione è
preposto. In questa funzione è da ricercarsi anche l’elemento
didattico, di cui tale istituzione è sempre più investita, forse anche per
deficienze non appartenenti direttamente ad esso, quanto piuttosto ad
altre istituti culturali (leggi anche scuola). Ma il Museo è anche,
secondo alcuni, un qualcosa di assolutamente estraneo ai modi della
società in cui viviamo. «Il museo come luogo astratto dalla realtà,
completamente alieno dai meccanismi di uso e di produzione degli
oggetti che caratterizzano l’esperienza quotidiana. Il museo mette in
mostra caratteristiche uniche, per le quali nessun’altra istituzione può
competere con esso»
7
. Non siamo sicuri che questa affermazione sia
vera in ogni suo aspetto, ma certamente il Museo è un luogo che ha
qualcosa di assolutamente unico, in tutti i sensi: «nessun museo è
uguale ad un altro; ognuno ha una sua identità inconfondibile; nessun
museo dovrebbe apparire simile ad un altro e quindi emettere gli
stessi messaggi culturali»
8
. Riassumendo, «che cosa, dunque,
caratterizza inequivocabilmente un Museo? Gli oggetti, le opere, le
6
M. FERRETTI, La Forma del Museo, in AA.VV., I Musei, T.C.I., Milano,
1980, p. 46.
7
A. LUGLI, Museologia, Jaca Book, Milano, 1992, p. 11.
8
A. MOTTOLA MOLFINO, Il libro dei Musei, Allemandi, Torino, 1991. p.
129
7
collezioni in esso conservate. Museo è dove esiste una raccolta di
oggetti da conservare: senza oggetti non esiste museo. Le attività
cosiddette museali, culturali e di rappresentanza col pubblico sono
una conseguenza dell’esistenza degli oggetti, una conseguenza che
potrebbe anche non verificarsi. Tant’è vero che esistono i musei
chiusi»
9
.
Arrivare ad una definizione del Museo davvero esaustiva è
pertanto praticamente impossibile, sia perché non si può prescindere
dallo sviluppo di questa istituzione attraverso i secoli (cui, infatti, ci
dedicheremo nel capitolo successivo), sia perché ci troviamo a parlare
di esso in un momento assai confuso della sua storia (e probabilmente
della storia stessa della nostra civiltà), in cui, a fatica, cerca di
modificarsi ed adattarsi alle esigenze della società. Sforzo reso ancor
più complicato dal rapporto simbiotico che intercorre tra il Museo e
gli oggetti, che fa sì che il Museo, un museo si cristallizzi al momento
di ricevere i manufatti cui è stato destinato. A partire da quest’istante,
infatti, nella maggior parte dei casi, può crescere, ingrandirsi
(allargare la propria collezione), adattarsi alle esigenze (modificare
l’allestimento, ampliare le proprie strutture per accogliere un maggior
afflusso di pubblico, ecc.), ma non può assolutamente né modificare,
né mettere in discussione le proprie caratteristiche cromosomiche, che
sono inscindibilmente legate alla collezione. Ecco allora le difficoltà
che il Museo palesa allorché lo si vuole investire di ruoli e funzioni
distinte. Infatti esso «nace de una grave contradicción: su razón de ser
9
ibidem
8
fundamental (“conservar” las obras, la mayoría procedentes de
colecciones privadas) niega la actual visíon del museo, come centro
“abierto” y público. En este sentido, se impone una revitalización de
los fondos del museo, poner al día las obras del pasado que han de ser
utilizadas en el presente»
10
.
La León ci aiuta a definire la fase di transizione che attraversa il
Museo cui sempre più spesso si chiede di adattare le sue strutture, la
sua funzione e la sua funzionalità, in breve il suo stesso essere, ad una
società, la nostra, sempre più veloce, sempre più complessa, sempre
più sfaccettata e poliedrica. Questo si cela dietro i profondi
cambiamenti, trasformazioni e mutazioni che il Museo, forse anche
suo malgrado, sta affrontando negli ultimi venti o trenta anni. E,
probabilmente, questo si cela dietro il nascere ed il diffondersi di un
nuovo modello di istituzione culturale che viene definito “Centro
di...”, in atto a partire dalla metà degli anni ‘70, in particolar modo in
Europa. Facciamo qui riferimento (e lo faremo più dettagliatamente
nei capitoli a seguire) principalmente ad alcune esperienze francesi
(una su tutte, il Centre Georges Pompidou a Parigi), poi riprese in
altre nazioni europee: l’Italia del Pecci di Prato, o la Spagna del Reina
Sofia e soprattutto del Centre de Cultura Contemporània de
Barcelona. Si tratta di strutture che sembrano compiere sugli oggetti
10
«nasce da una grave contraddizione: la sua ragione d’essere fondamentale
(“conservare” le opere, la maggior parte procedenti da collezioni private) nega
l’attuale visione del museo, come centro “aperto” e pubblico. In questo senso, si
impone una rivitalizzazione dei fondi del museo, aggiornare le opere del passato
9
lo stesso lavoro che già svolgono i musei, in fatto di esposizione,
quando non anche di conservazione, ed in fatto di ricerca ed attività
didattica. Sembrano cioè obbedire quasi pienamente, quale più, quale
meno, a quelle cinque funzioni di base nel museo moderno (recupero,
conservazione, tutela, ricerca e trasmissione culturale) di cui ci
parlavano poc’anzi Binni e Pinna; o alle funzioni di conservazione,
documentazione ed educazione cui, invece, faceva riferimento
Salerno. Perciò ad una rapida osservazione risulta esserci un certo
grado di parentela fra i “Centri di...” ed il Museo; parentela
sottolineata, d’altronde, da molteplici elementi: il personale che vi
lavora, di formazione generalmente “museale”; un certo tipo d’attività
svolte; il modo in cui vengono trattati e considerati da riviste e
giornali, specializzati e no; il modo in cui sono interpretati e gestiti
dalle strutture politico - amministrative preposte alla gestione delle
attività culturali; infine, la semplice opinione, il senso pratico della
“gente comune”.
Fra i “Centri di...”, sicuramente il Centre Pompidou di Parigi
brilla quale stella di prima grandezza, sia perché progetto
assolutamente di rottura rispetto a quanto lo precedeva, tanto da farlo
considerare un capostipite, sia perché è il progetto di più grandi e
maestose ambizioni in ambito museale degli ultimi vent’anni. Per
questo lo citeremo spesso, usandolo anche e soprattuto come
elemento di raffronto. Per questo vale la pena di soffermarci su alcuni
che devono essere utilizzate nel presente» in A. LEON, El Museo. Teoría, praxis
y utopía, Ediciones Cátedra, Madrid, 1990, p. 70.
10
giudizi e considerazioni che sono state espresse su di esso. «Un nuevo
concepto de museo que está cristalizando es el denominado
beaubourg cuyas transformaciones sustanciales radican: 1°) en la
concepción del emplazamiento urbanístico, 2°) en la función e
influencia social que su ubicación ejerce sobre los visitantes y 3°) en
el carácter dinámico de su concepción, entendido como centro
neurálgico de desarollo de la vida urbana inserta en un fenómeno
socio - cultural»
11
. «Las posibilidades fructíferas que ofrece radican:
1°) en que patentice una auténtica acción dialéctica conseguida con
un enfrentamiento e interacción de la expresividad socializada a
través del gesto ideológico que el beaubourg ofrece, 2°) en que su
planificación promueva el estímulo social y artístico mediante unas
interrelaciones culturales y humanas y una productividad artística de
calidad real, 3°) en que el beaubourg sea símbolo de una cultura
combativa que rechaze el ser reducto institucionalizado y parasitario
de un nuevo concepto del museo, y, consecuentemente, que
manifieste el gesto y el criterio de una permanente actividad social y
4°) que no sólo “diga” sino que “haga”, es decir, que su misión no se
reduzca a la elaboración de un lenguaje sino que éste sea la expresión
11
«Un nuovo concetto di museo che si sta cristrallizzando è quello denominato
beaubourg le cui trasformazioni sostanziali hanno le loro radici: 1°) nella
concezione della localizzazione urbanistica, 2°) nella funzione ed influenza
sociale che la sua ubicazione esercita sui visitatori e 3°) nel carattere dinamico
della sua concezione, intesa come centro nevralgico di sviluppo della vita urbana
inserita in un fenomeno socio - culturale», ivi, pp. 60 e 62.
11
concretizada de la acción socio - cultural»
12
. Da queste considerazioni
ci possiamo render conto di come gli stessi museologi considerino il
beaubourg (valutato qui sia come archetipo dei “Centri di...”, sia nella
sua concretezza) al tempo stesso un museo ed altro, qualcosa, cioè, di
non ben definito né definibile, che ancora andrà verificato e
sperimentato nel corso del suo sviluppo. Per quanto immediatamente
risultino evidenti le caratteristiche di elasticità e dinamismo di una
struttura del genere, tali da renderla elemento agente e non solo
espressivo. Ma, in definitiva, risulta altresì chiaro che non sappiamo
ancora né come definirli, il Pompidou e i “Centri di...” che lo hanno
seguito, con precisione (musei, paramusei, ecc.), né come
considerarli: se siano in tutto e per tutto attività di tipo museali, o se
piuttosto dal Museo mutuino solo certe modalità espressive o se, in
ultima analisi, sia completamente arbitrario associarli al Museo; se del
Museo rappresentino il superamento o se, invece, il naturale sviluppo;
eccetera.
Ci rendiamo, dunque, conto che, sia per il nostro grado di
conoscenza dei “Centri di...”, sia perché il loro stesso processo di
12
«Le possibilità fruttifere che offre pongono le loro radici: 1) nel fatto che
renda palese una autentica azione dialettica conseguita attraverso un confronto ed
una interazione dell’espressività socializzata attraverso il gesto ideologico che il
beaubourg offre; 2) nel fatto che la sua pianificazione promuova lo stimolo
sociale ed artistico mediante delle interrelazioni culturali e umane ed una
produttività artistica di qualità reale; 3) nel fatto che il beauborg sia simblo di una
cultura combattiva che rifiuti l’essere ridotto istituzionalizzato e parassitario di un
nuovo concetto di museo e, di conseguenza, che manifesti il gesto ed il criterio di
una attività sociale permanente; 4) nel fatto che non solo “dica” ma che “faccia”,
ossia, che la sua missione non si riduca all’elaborazione di un linguaggio, ma che
questo sia l’spressione concretizzata dell’azione socio - culturale», ivi, p. 63.
12
formazione di una propria identità e di un proprio ruolo è in realtà
lungi dall’essere concluso, non siamo ancora in grado di stabilire che
tipo e grado di relazione o parentela ci sia fra essi ed il Museo; né di
comprendere, ed è ciò che in realtà dovremmo comprendere più
d’ogni altra cosa, che cosa siano effettivamente i “Centri di...”.
Per far questo, per cercare di interpretarli e definirli, in assenza
di studi e/o di riflessioni specifiche ed articolate su questo tipo di
strutture, non ci resta altro che prendere atto della parentela
attribuitagli, dandola per buona - vera o falsa che sia - ed interrogare
il concetto di Museo al fine di trovarvi risposte adeguate alle
domande che esse, le nuove istituzioni, (ci) pongono. Che cos’è un
Centro? In che cosa si distingue da un Museo? In che cosa gli
assomiglia? Che diversità di ruoli e di funzioni presentano queste due
istituzioni?
Per fortuna il Museo ci offra una certa facilità nel trovare le
risposte che lo concernono direttamente: lunga è la sua storia ed ha
prodotto una vasta teoria di riflessioni e studi in proposito; inoltre il
Museo è ormai fuori da ogni campo di sperimentazione in senso
stretto; e per quanto non esente, come abbiamo visto, da naturali
evoluzioni, tuttavia è un’istituzione strutturata e definita, conclusa,
percepita come tale da tutti, addetti e no, interessati e no, e dunque,
può permettersi di fungere da perno e pietra di paragone per la nostra
indagine, che, appunto, comincerà ad indagare da esso e dai suoi
aspetti che più assomigliano o differiscono dalle caratteristiche dei
“Centri di...” a noi note, allo stato attuale delle cose.
13
CAPITOLO 2
DAL MUSEO AL CENTRO
Che la Collezione ed il Collezionismo sia alla base del Museo è
cosa ben nota. Tuttavia ne ripercorreremo in modo molto sintetico le
tappe fondamentali, per meglio definire e comprendere l'esigenza di
rinnovamento che attraversa l'istituzione museale negli ultimi anni.
2.1. DALLA COLLEZIONE AL MUSEO
Da un semplice approccio filologico risulta evidente che le radici
del “Museo” sono da ricercarsi in epoca greca. “” è «il
tempio o sacrario delle muse», quindi per traslato una «scuola,
palestra delle arti, della poesia»
1
. D'altronde «è soprattutto in Grecia
che, dal V sec. A.C. all'età ellenistica, prende adeguatamente corpo un
atteggiamento di ammirazione e di valutazione artistica»
2
: il
manufatto passa dall'essere considerato esclusivamente per il suo
valore d'uso ed il suo valore religioso (si pensi, ad esempio, alle opere
ospitate nei vari santuari), all'essere valutato anche in base alle sue
caratteristiche qualitative e finanche in base alla firma dell'autore.
1
L. ROCCI, Vocabolario Greco-Italiano, Società Editrice Dante Alighieri,
Firenze, 1943, pp. 1254-1255.
2
A. EMILIANI, Raccolte e Musei dall'Umanesimo all'Unità Nazionale in
AA.VV., I Musei, T.C.I.:, Milano, 1980, p. 121.
14
È quindi l'incontro tra il mondo greco e quello romano ad
aggiungere alle opere di fattura artistica un valore non solo
estetico/edonistico ed economico, ma anche di prestigio e di potere.
Nascono di qui i saccheggi, l'esportazione - espropriazione di beni
culturali a Roma, quali bottini di guerra che andavano ad alimentare
collezioni private di generali, patrizi, imperatori. Qui, dunque, si
produce il primo allontanamento dell'opera d'arte dall'ambiente,
dall'autore, dal committente che ne furono artefici: «I grandi trofei
recarono in Roma quantità inestimabili di opere e di oggetti preziosi,
crearono un gusto tale da costituire un vero e proprio costume
culturale»
3
. Ossia, già le prime collezioni che si andavano formando
in piena epoca romana, rivelavano quello che sarebbe stata una delle
loro caratteristiche principali anche nei secoli a venire: influenzare,
partecipare alla formazione di un gusto estetico. Ed appare, così,
naturale che, nella penisola italiana, «i primi esempi di raccolte
museografiche e di collezioni d'arte, per di più tendenti a ricercare ed
esibire pezzi del passato essenzialmente prodotti dalla civiltà artistica
greca, siano da attribuire all' età romana, quando il termine Museum
assunse un valore tecnico, indicante una grotta naturale o artificiale,
in cui le statue o i mosaici erano disposti con un calcolo preciso degli
effetti decorativi, scenografici e organizzati sapientemente in rapporto
al soggetto delle raffigurazioni, in una cornice arricchita da fontane,
3
ibidem
15
vasche, giochi d'acqua, per creare una suggestiva ambientazione, sul
tipo della grandiosa Grotta di Tiberio a Sperlonga»
4
.
Se la civiltà romana mutuò da quella greca il gusto per l'oggetto
artistico e per la sua esposizione, essa fu, tuttavia, assolutamente
innovativa nella concezione pubblica dell'opera d'arte come si può
ricavare dalle orazioni In Verrem di Cicerone; o dall'operato di Marco
Agrippa che, preso atto della propensione all' incetta ed alla razzia di
opere d'arte di gran parte del patriziato d'epoca augustea, «tentò di
reagire a questa tendenza, condannando l'esilio dorato dei monumenti
artistici collocati, come orgogliosa esibizione di prestigio individuale,
entro la cornice delle ville suburbane o dislocate nella campagna o
lungo le coste del Lazio e della Campania. Il fenomeno durò a lungo,
anche perché mancò ai romani la volontà di trasferire sul piano
giuridico e legislativo tali impostazioni etiche ed ideologiche»
5
.
Ma, tuttavia proprio «en Roma, donde se fraguó el valor
hedonístico y económico del arte, se produjo un principio de
trascendental importancia para la historia del coleccionismo y los
museos: dar utilidad pública a las obras de arte. (...) Este gesto suposo
un factor de enriquecimiento cultural insospechado, puesto que, por
una parte, avalaba el derecho del pueblo a participar en fenómenos
culturales hasta entonces acotados por la propiedad privada y, por
4
G. GUALANDI, Dallo Scavo al Museo, in I musei. , op. cit., p. 82.
5
ibidem
16
otra, su decisión aparece como la primera declaración explícita del
valor de una colección como patrimonio cultural de todos»
6
.
Con l'Impero le collezioni seguono l'andamento di una politica
sempre più personalistica; di un gusto sempre più sclerotizzatosi sui
modelli ellenizzanti; e in seguito restano coinvolte nella decadenza
della società romana.
Invece, secondo alcuni, «l'interesse del Medio Evo per l'antico fu
puramente strumentale, decisamente più utilitario che culturale. La
raccolta di reperti del mondo classico non va intesa nella moderna
accezione museologica come un insieme di testimonianze cui si
attribuiscono valori storici ed estetici, ma rispondeva, piuttosto, ad un
fine pratico o politico - ideologico; erano, infatti, utilizzati come fonti
di materiali e perciò disinvoltamente riusati e commerciati. Alcuni
monumenti antichi venivano quindi conservati ad esaltare il rango di
chi li adottava, mentre Carlo Magno, i papi e Federico II conferirono
valore ai reperti classici, che raccolsero deliberatamente, poiché
sottolineavano ed alimentavano il ruolo di eredi del potere
imperiale»
7
.
6
«a Roma, dove si forgiò il valore edonistico ed economico dell'arte, si
produsse un principio di importanza trascendentale per la storia del collezionismo
e dei musei: dare utilità pubblica alle opere d'arte (...). Questo gesto suppose un
fattore di arricchimento culturale, posto che, da una parte avallava il diritto del
popolo a partecipare a fenomeni culturali fin allora riservati alla proprietà privata;
Dall'altra, la sua decisione appare come la prima dichiarazione esplicita del valore
di una collezione quale patrimonio culturale di tutti» in A. LEON, El Museo.
Teorìa, praxis y utopìa, Ed. Catedra, Madrid, 1990, p. 19.
7
C. DE BENEDICTIS, Per la Storia del Collezionismo Italiano, Ponte alle
Grazie, Firenze, 1991, p. 15
17
Dunque è certo che l'arte muta profondamente il suo significato,
che è principalmente il valore didascalico e propagandistico ad
imporsi. In effetti il Cristianesimo mutuò dall'arte romana il concetto
didattico, «ed in questo senso tentò ogni volta la sostituzione o
almeno la trasformazione dell'enorme apparato iconografico del
mondo antico. Ma di quell'apparato assorbì nel contempo l'enorme
potere, la forza dell'immagine, la centralità stessa della cultura. In
realtà da quel momento in avanti, parlare di tutela e di conservazione
equivale a dare corpo a una traditio, cioè ad una consegna trasmessa
da una civiltà all'altra, da un potere all'altro, fino a concretare una
perfetta identificazione»
8
.
In questa epoca le chiese costituiscono i principali esempi di
collezione - museo con il loro inventario di oggettistica sacra; e solo
nelle corti principesche si ritrovano tesori “laici”. Nell'uno e nell'altro
caso, tuttavia, si trattava «di reliquie, di oggetti sacri, di mirabilia, di
doni, come pure di opere d'arte la cui materia era spesso ritenuta più
preziosa dell'esecuzione»
9
.
«I tesori delle chiese conservano indiscriminatamente tutto ciò
che la comunità ritiene importante, quindi anche reperti non
direttamente legati alla credenza e sono spesso il luogo in cui si
stratificavano simboli squisitamente politici, derivanti dalla vita
cerimoniale e dalle donazioni dei regnanti.
8
A. EMILIANI, op. cit., p. 121.
9
K. POMIAN, Collezione, in Enciclopedia Einaudi, Einaudi, Torino, vol. III,
p. 356.