Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
2
privati
1
. Chi eserciti l’effettivo controllo sulle società che ne derivano, se sia lo Stato
o se siano soggetti effettivamente svincolati dal controllo statale, porta l’attenzione
sulla distinzione tra privatizzazione “formale” e privatizzazione “sostanziale”. La
prima è definita come una modifica dell’assetto giuridico, mentre la seconda, oltre ad
un mutamento della struttura originaria dell’ente, è rivolta verso un cambiamento
dell’assetto proprietario.
Le due concezioni devono essere considerate come momenti necessari di un
itinerario estremamente complesso, che passa per una “trasformazione” della struttura
societaria, per poi arrivare ad un’effettiva cessione ai privati del controllo delle società
per azioni costituite in luogo degli enti pubblici.
In l’Italia, sono gli anni ’90 che segnano una vera svolta nella politica delle
privatizzazioni; le disposizioni normative sulla riorganizzazione dell’intervento
statale, che si sono succedute nell’ultimo decennio, sembrano però essere guidate più
dall’evoluzione del contesto economico – istituzionale in cui sono emanate che da un
iniziale disegno unitario.
Ne è, in effetti, tracciato un processo con implicazioni, oltre che giuridiche,
economiche, sociali e politiche. Per questo è utile, prima di analizzare e comprendere
le privatizzazioni in termini di modifica degli assetti societari, porre attenzione su una
ricostruzione storico – giuridica, intesa come ispirazione di fondo del processo in
1
Cfr. CASSESE, Privatizzazioni: arretramento o riorganizzazione dello Stato?, in G. MARASA’,
(a cura di), Profili giuridici delle privatizzazioni, Torino, 1998, p. 7. Nella stessa opera l’Autore
individua altri sei significati del termine privatizzazioni, ma le leggi che saranno trattate fanno
principale riferimento al significato enunciato, il quale interessa più da vicino gli aspetti privatistici.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
3
analisi. Le privatizzazioni sono, infatti, un evento strettamente connesso con le pagine
della storia del nostro Paese.
Lo Stato ha da sempre svolto un ruolo fondamentale nei rapporti economici in
Italia. La nascita di imprese pubbliche dell’importanza dell’INA, della BNL (entrambe
nel 1913) e delle FS (1905), tanto per fare degli esempi, evidenzia la volontà delle
istituzioni pubbliche di utilizzare i loro imponenti mezzi finanziari anche per svolgere
attività imprenditoriale. Uno sguardo particolare va rivolto al 1933, anno di
fondazione dell’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, con il quale fu compiuta
un’importante operazione di nazionalizzazione dell’industria nel nostro Paese
1
.
Le banche, oltre che dedicarsi all’attività di raccolta del risparmio ed esercizio
del credito a breve termine, avevano investito, in misura ingente, a lungo termine,
nelle imprese industriali, assumendo il ruolo di azionisti (capitale di rischio per
definizione). Le stesse società non creditizie, d’altronde, avevano fatto lo stesso nei
confronti delle banche. Era, in sostanza, inevitabile che la crisi di un settore,
industriale o bancario, avrebbe avuto ripercussioni sull’altro.
In effetti, la congiuntura sfavorevole obbligò le aziende a chiedere un
supporto in termini di capitale ai loro azionisti, i quali, in modo particolare, erano
istituti creditizi. Le tre maggiori banche (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano
e Banco di Roma) si trovarono ad essere esposte alla depressione come, allo stesso
tempo, azioniste e finanziatrici. Fu così che si cercò di risolvere il problema della
1
In questo periodo assistiamo a quella che alcuni hanno definito “crisi del privato”; si veda in
particolare OPPO, La privatizzazione dell’impresa pubblica: profili societari, in Riv. dir. civ., 1994, p.
771.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
4
c.d. “banca mista”, finanziatrice a breve e a lungo termine, con la creazione
dell’IRI.
L’Istituto per la Ricostruzione Industriale aveva lo scopo di rilevare dagli enti
creditizi le partecipazioni in alcune industrie in dissesto per reintrodurle nel mercato,
ridisegnando, in questa maniera, i confini tra attività finanziaria e industriale.
Il 24 giugno 1937, con la legge n. 905, l’Istituto fu trasformato in ente di
gestione permanente e, con il passare dei decenni, estese il controllo, su numerose
società nei settori siderurgici, meccanici, creditizi, trasporti aerei, marittimi e
telecomunicazioni, diventando da ente di risanamento a mezzo di gestione delle
imprese. Si afferma pertanto con esso la figura dell’ente pubblico economico, che avrà
un posto di primo piano fino agli anni ’90 (XI legislatura).
Il Codice del 1942 sottopone gli enti pubblici economici allo statuto generale
dell’imprenditore e, inoltre, alla disciplina dell’imprenditore commerciale se l’attività
da essi esercitata risulta essere tale; solo determinati atti hanno la possibilità di essere
sottoposti ad una deroga
1
. In effetti, la definizione diffusa li considera come dei
soggetti giuridici che esercitano prevalentemente attività imprenditoriale, in regime di
monopolio o concorrenza
2
.
1
Si fa riferimento al bilancio dell’ente, soggetto ad approvazione ministeriale ed al fallimento,
sostituito dalla liquidazione coatta amministrativa.
2
Cfr. IRTI, Dall’ente pubblico economico alle società per azioni (profilo storico giuridico), in Riv.
Soc., 1993, p. 465 ss.; la parte cui si fa riferimento è a pag. 469 dove l’Autore, con un’analisi
“combinata” dell’art. 2093 c.c. e dell’art. 409 n. 3 del Cod. proc. civ., trae la nozione “ormai
dominante” (sono parole di IRTI) di ente pubblico economico come dell’ente che esercita (…) attività
imprenditoriale per realizzare un fine speculativo e non un fine pubblicistico.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
5
Alla base di questa impresa statale non c’è un fine pubblico, ma speculativo.
Lo scopo delle imprese pubbliche vicino a quello di ogni soggetto imprenditoriale
privato lascia chiaramente intendere come il vero cambiamento, avvenuto con il
fenomeno delle privatizzazioni, non vada ricercato solo in un nuovo assetto
societario, comunque importante, ma in un nuovo proprietario. La veste giuridica
subisce delle modifiche, ma le finalità alla base dell’esercizio dell’impresa non sono
radicalmente modificate.
Nello stesso Codice civile trova una propria disciplina (artt. 2458-2460 e 2461
c.c.) la società per azioni con partecipazioni pubblica, che ha, da sempre, costituito
un’altra importante manifestazione dell’intervento statale nell’economia. Già allora
era forte l’idea che la forma delle S.p.A. assicurasse una struttura societaria in grado
di essere caratterizzata da una gestione “snella e nuove possibilità realizzatrici”
1
.
Questo concetto ritornerà più che mai attuale negli anni più recenti, quando la
necessità di cambiare l’assetto organizzativo delle aziende pubbliche troverà una
soluzione proprio nella suddetta forma giuridica.
La situazione delineata in quel periodo ci evidenzia quindi la figura
dell’impresa-ente pubblico economico e delle società per azioni a partecipazione
pubblica, entrambe sottoposte al regime di diritto comune: la disciplina generale
dell’impresa per il primo, il regime generale delle società per le seconde
2
.
1
Significativa in questo è la relazione del Ministro Guardasigilli al Cod. civ., §. 998.
2
L’attività prettamente erogativa era svolta dalle imprese pubbliche – organo, che avevano
nell’esercizio dell’impresa solo una finalità sussidiaria rispetto al soddisfacimento dell’interesse
collettivo. Tali imprese sono costituite in forma di organo o articolazione dello Stato (es. l’Azienda
delle Ferrovie dello Stato, trasformata in ente pubblico nel 1985 e poi in S.p.A.).
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
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E’ però l’ente pubblico economico, spesso nella forma di mera holding (IRI,
ENI), vertice del controllo di una società per azioni, altre volte come ente operativo, la
chiave dell’intervento statale nell’economia fino agli anni ’90. Lo Stato sceglie di
essere imprenditore, ma, prevalentemente, attraverso un ente che al capitale di rischio
sostituisce ingenti fondi pubblici di dotazione, che si sottrae al fallimento e che allo
stesso tempo, ha la facoltà, costituzionalmente riconosciutagli, di operare in regime di
monopolio per perseguire anche gli interessi collettivi
1
.
L’IRI è naturalmente il simbolo degli enti pubblici, ma altrettanto importanti
sono, fra gli altri, l’ENI, costituito nel 1953, l’EFIM (1964) e l’ENEL (1962)
2
. Non si
deve pensare che, fino agli ultimi anni dello scorso secolo, siano mancate le vendite di
una parte delle azioni detenute da enti pubblici in altre società, trasferendone, a volte,
anche il controllo. Dagli anni ‘30 agli anni ‘90 le dismissioni sono state spesso
effettuate a seguito di una decisione dell’ente – holding, che risultava essere anche il
beneficiario degli introiti derivanti dalla vendita
3
.
Benché le privatizzazioni non siano una novità dell’ultima decade del secolo,
prima degli anni ‘90 esse non erano comunque guidate da una politica unitaria, in un
1
Articolo 43 della Costituzione della Repubblica Italiana.
2
Quest’ultimo, come si vedrà meglio in seguito (cap. 2, § 2.1), è l’unico caso in cui sia stato
applicato il potere di espropriazione di imprese private e di riserva originaria previsto dall’art. 43 della
Costituzione. Cfr. OPPO, La privatizzazione dell’impresa pubblica, cit., p. 771.
3
Ne sono esempio il trasferimento dell’Alfa Romeo dall’IRI alla FIAT e del Gruppo tessile
Lanerossi dall’ENI alla Marzotto. Per quanto riguarda l’ENI in particolare ciò è stato possibile perché
la legge istitutiva dell’ente del 10 febbraio 1953, n. 136, prevedeva la possibilità per l’ente di alienare le
partecipazioni se non vi fosse stato alcun interesse alla loro conservazione. Comunque, se questo avesse
portato alla perdita del controllo su quelle determinate società, l’operazione doveva avvenire previo
approvazione ministeriale.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
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periodo in cui non si vedeva alcuna necessità per lo Stato di ridimensionare il proprio
ruolo nell’economia. Al contrario, la fine della congiuntura favorevole dei primi
decenni successivi alla seconda guerra mondiale avevano chiamato la res publica ad
un ruolo sempre più di primo piano.
Andavano, infatti, delineandosi le istituzioni di quel welfare state che trovava
la massima espressione nella necessità di soddisfare i bisogni di tutti i cittadini.
Proprio il fallimento delle pubbliche amministrazioni nel sopportare il carico
finanziario di un benessere diffuso apre la strada alla necessità di rivedere il ruolo del
settore statale.
I governi dell’XI legislatura dovettero confrontarsi con un mercato dei capitali
di gran lunga inferiore rispetto la dimensione media degli altri Paesi europei, un debito
pubblico che non accennava a rallentare l’ascesa e le imprese statali in dissesto
1
.
Le privatizzazioni diventano così una vera politica di governo, uno strumento
di maggiore efficienza e di risoluzione della crisi della finanza pubblica, accanto alla
volontà di sviluppare il mercato borsistico e diffondere l’azionariato. Tutte queste
esigenze sembrano trovare una risposta nella forma giuridica della S.p.A. come la
soluzione migliore per svolgere un’efficiente attività economica, aprendo così ampi
spazi di intervento ai soggetti giuridici ed alla disciplina di diritto privato.
Le disposizioni normative che si susseguono nell’ultimo decennio del secolo
partono dalla ristrutturazione dell’assetto societario, per poi arrivare alla volontà
1
Ad esempio i debiti finanziari lordi degli enti pubblici IRI, ENEL ed ENI erano,
complessivamente, di 115 mila miliardi di lire, mentre il patrimonio netto si fermava a 74 mila miliardi;
il fatturato era di 156 mila miliardi totali e il risultato netto superava di poco i mille; il risultato netto
dell’ENEL era negativo di 370 miliardi. Dati nel “Libro bianco sulle privatizzazioni” del 2001.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
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(forse necessità) di un’effettiva dismissione della partecipazione statale nelle S.p.A.
che hanno sostituito gli enti pubblici
1
.
La necessità di evitare che la maggioranza del capitale fosse controllata da un
solo azionista o un gruppo di essi ha portato ad una struttura societaria all’interno
della quale l’azionariato diffuso doveva avere un ruolo primario. L’interesse collettivo
non perde di importanza, ma si trova nella situazione di dover essere tutelato
limitando la libera scelta decisionale di un soggetto giuridico (dopo la privatizzazione
sostanziale) pienamente di diritto privato.
Il risultato è l’introduzione di una disciplina che si discosta dalle norme
generali delle S.p.A. sotto il profilo genetico, organizzativo e funzionale
2
, dando
origine a società con statuto speciale
3
; ciò, soprattutto, al fine di consolidare una
1
In questo stesso periodo assistiamo all’abbandono dell’impresa-ente pubblico come strumento
cardine di intervento nell’economia e la soppressione, a seguito di un referendum, del Ministero delle
Partecipazioni Statali. Quest’ultimo, creato nel 1956, è stato l’organo di trasmissione agli enti di
gestione delle direttive governative generali. Spettava poi a questi stessi soggetti rendere operativi gli
indirizzi politici, grazie al controllo azionario sulle società. Anche la Corte di Cassazione ha
sottolineato il compito di mediazione, da parte degli enti di gestione, tra il “polo politico” (governativo)
e il “polo imprenditoriale” (le società operative); cfr. Cass. Sez. Un. del 14 Dicembre 1985, n. 6328, in
Giur. Comm., 1987, II, p. 250 e n. 632, in Foro It., 1985, I, p. 3091. Si veda inoltre R. GAROFOLI, Le
privatizzazioni degli enti dell’economia (profili giuridici), Milano, 1998, p. 143.
2
Deroghe che trovano una giustificazione nel particolare rapporto con gli interessi generali che le
imprese privatizzate hanno. Cfr. la sentenza della Corte Costituzionale, n. 466 del 1993, in Foro it.,
1994, I, c., p. 325, che ha ripristinato il potere di controllo della Corte dei Conti sulle società derivate
dalla trasformazione degli enti pubblici. La sentenza sarà analizzata nel prosieguo della trattazione.
3
Cfr., ad esempio, GAROFOLI, op. ult. cit., p. 287 ss.; LIBONATI, La faticosa “accelerazione”
delle privatizzazioni, in Giur. Comm., 1995, p. 67, e MINERVINI, Contro il diritto speciale delle
imprese pubbliche “privatizzate”, in Riv. Soc., 1994, p. 746.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
9
diffusa partecipazione al capitale e lasciare spazio ad un intervento statale (di
regolazione) rivolto sempre alla realizzazione dei bisogni della collettività.
1. L’INFLUENZA DELLA NORMATIVA COMUNITARIA.
Il riordino delle partecipazioni statali, iniziato negli anni ’90, aveva alla base
obiettivi politici che facevano riferimento, in particolare, alle gravi difficoltà
economiche delle imprese pubbliche ed alla volontà di restituire a queste una gestione
efficiente. A ciò si affiancava la necessità di ridurre il debito statale e favorire lo
sviluppo del mercato borsistico come strumento per promuovere la crescita economica
in generale
1
. Di certo non in secondo piano deve passare l’affermazione dei principi
che reggono il funzionamento del Mercato Comune. La libera concorrenza e la parità
di trattamento, in particolare fra i vari soggetti economici, sono, infatti, ispirazione di
fondo di tutte le disposizioni comunitarie.
Si sottolinea spesso la neutralità del Trattato istitutivo della Comunità Europea
rispetto al regime di proprietà esistente negli Stati membri
2
; è inoltre la stessa
1
Un mercato di borsa sviluppato, effettivo strumento di investimento per i piccoli risparmiatori,
deve anche essere considerato un obiettivo di rilevanza costituzionale: l’art. 47 della nostra
Costituzione afferma che ”La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; (…) ”.
2
Articolo n. 295 (già art. 222) del Trattato istitutivo della Comunità Europea (ratificato con legge
del 14 ottobre 1957, n. 1203, in Gazz.Uff. del 23 dicembre 1957, n. 317), come modificato dal Trattato
(segue)
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
10
normativa Comunitaria ad ammettere la possibilità di derogare alla concorrenza, per
quanto necessario all’adempimento della specifica missione affidata alle imprese
incaricate di gestire servizi di interesse economico generale
1
. È tuttavia altrettanto
importante l’impulso verso le privatizzazioni che deriva dalla disciplina degli aiuti di
Stato alle imprese
2
.
Il “caso EFIM”, Ente per il finanziamento delle industrie manifatturiere,
esprime in maniera emblematica l’influenza del quadro europeo su quella che poi è
stata la politica principale dei governi dall’XI legislatura. La drastica riduzione degli
aiuti statali in favore delle imprese pubbliche ed in particolare dell’EFIM, uno dei
maggiori gruppi manifatturieri, aveva portato il Governo alla sua soppressione; l’ente
e le società da esso controllate totalmente furono così posti in liquidazione
3
.
Per questo il Tesoro era chiamato alla garanzia illimitata sulla totalità dei
debiti assunti dall’EFIM e dalle imprese del gruppo controllate al cento per cento, ai
sensi dell’art. 2362 c.c.
4
. Tale garanzia illimitata fu considerata dalla Commissione
di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999 (legge del 16 giugno
1998, n.209, in Gazz.Uff. 6 luglio 1998, n. 155).
1
Art. 90, co. 2, Trattato istitutivo della Comunità Europea.
2
Artt. 87 – 89, Trattato CE. Sull’influenza del diritto comunitario in generale sulle privatizzazioni
in Italia cfr. AMORELLI, Riorganizzazione e privatizzazione delle public utilities in Italia: l’influenza
del diritto comunitario, in Riv. dir. impr., 1995, p. 93 ss.
3
Cfr. il d.l. del 19 dicembre 1992, n. 487, convertito in legge del 17 febbraio 1993, n. 33,
Soppressione dell’ente partecipazioni e finanziamento industria manifatturiera, e decreto del Ministero
del Tesoro del 21 gennaio 1995, che ha sottoposto l’EFIM alla procedura di liquidazione coatta
amministrativa e nominato il commissario liquidatore.
4
Art. 2362 c.c.: “ In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in
cui le azioni risultano essere appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente”.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
11
Europea una forma di aiuto distorsivo della concorrenza e ciò ha portato ad un
contenzioso con le istituzioni comunitarie
1
.
L’accordo tra il Ministro degli Esteri italiano Andreatta e il Commissario
europeo alla Concorrenza Van Miert, del 1993, ha impegnato il nostro Governo ad
onorare gradualmente i debiti dell’EFIM, per ridurli a “livelli fisiologici cioè a livelli
accettabili per un investitore privato operante in condizioni di economia di mercato”
entro la fine del 1996. In altri termini l’operatore pubblico non poteva discostarsi dal
comportamento di un imprenditore privato. Allo stesso tempo, non era più permessa la
garanzia illimitata dello Stato che, ai sensi dell’art. 2362 c.c., deriva da una
partecipazione totalitaria.
Il processo era così diventato irreversibile e il Governo si trovò costretto a
ridurre le partecipazioni nelle imprese pubbliche trasformate in S.p.A. al di sotto del
cento per cento, per evitare forme di aiuto non ammesse dalla disciplina comunitaria
ed in particolare contrarie all’art. 87 del Trattato C.E.
2
. Sebbene qui si parli solo di
totale controllo azionario, questa vicenda ebbe il pregio di evidenziare come le
disposizioni in materia di aiuti di Stato alle imprese abbiano potuto influire sugli
assetti dell’intervento pubblico nell’economia.
1
Comunicazioni della Commissione 93/c75/02, EFIM, in GUCE n. c75 del 17 marzo 1993 e
93/c78/03, EFIM, in GUCE n. c78 del 19 marzo 1993.
2
L’art. 87 era in precedenza l’art. 92. Sulla vicenda EFIM si rimanda a MAZZONI, Privatizzazioni
e diritto antitrust: il caso italiano, in Riv. Soc., 1996, p. 34 ss., dove l’Autore analizza in generale
l’influenza del diritto comunitario sulle privatizzazioni; MICCU’, La privatizzazione delle imprese
pubbliche in Italia, in ATRIPALDI (e altri), Governi ed Economia: la transizione istituzionale nell’XI
legislatura, Cedam, Padova, 1998, p. 359 ss.; sull’accordo Andreatta – Van Miert cfr. il Libro bianco
sulle privatizzazioni del 2001, del Ministero del Tesoro.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
12
L’EFIM è rimasto tutt’altro che un caso isolato. Oltre la strada dell’avvio della
liquidazione, intrapresa per quest’ultimo, lo Stato aveva anche la possibilità di
scegliere una ristrutturazione degli enti pubblici in dissesto. In questo senso andava
l’intervento finanziario del Governo rappresentato da dotazioni di capitale ad alcune
imprese pubbliche, come ad esempio la Lanerossi e l’Alfa Romeo. Lo Stato, con il
capitale apportato, evitò che le perdite gravassero sui privati (rispettivamente la
Marzotto e la Fiat) che stavano per acquistare le due imprese citate.
Già in questi primi casi la disciplina comunitaria fu determinante, giacché il
Giudice Comunitario li considerò come aiuti distorsivi della concorrenza. Era, infatti,
chiara l’agevolazione finanziaria a danno delle altre imprese operanti negli stessi
settori
1
.
Negli anni ‘90 l’intero settore siderurgico italiano stava vivendo uno dei suoi
periodi più difficili e rischiava effettivamente il dissesto se non fossero intervenute
subito ingenti erogazioni statali. Grazie all’accordo Savona – Van Miert del 1993,
immediatamente precedente al protocollo dell’estate del 1993 Andreatta – Van Miert,
fu permessa al Governo italiano la ricapitalizzazione del settore a patto, però, di una
successiva privatizzazione
2
.
Le istituzioni comunitarie compresero quindi la difficile situazione in cui si
trovava l’Italia, ma individuarono nella privatizzazione l’unico modo per evitare
soluzioni solo temporanee.
1
Si vedano le sentenze della Corte di Giustizia Europea del 21 marzo 1991, C–303/89, riguardo
l’ENI – Lanerossi, in Racc. I–1422 e C–305/89, riguardo l’Alfa Romeo, in Racc. I–1603.
2
Su questo secondo accordo cfr. il Libro bianco sulle privatizzazioni del 2001.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
13
L’attenzione sarà adesso rivolta all’analisi delle principali disposizioni
normative promulgate, in materia di privatizzazioni, dai primi anni ‘90 fino a giungere
a quelle attualmente in vigore.
2. LA TRASFORMAZIONE DEGLI ENTI PUBBLICI ECONOMICI IN S.P.A.
2.1. LA LEGGE N. 35 DEL 1992.
Il primo provvedimento generale che ha dato avvio alle privatizzazioni
dell’ultima decade del ventesimo secolo è stato il d.l. 5 dicembre 1991, n. 386,
convertito, senza modifiche, nella legge del 29 gennaio 1992, n. 35
1
. La motivazione
fondamentale risultava essere esclusivamente di natura finanziaria ed era
rappresentata dalla difficoltà, se non impossibilità, del settore pubblico di continuare a
sopportare l’onere delle partecipazioni statali. A questo si affiancava la necessità di
ridurre l’ammontare del deficit di bilancio e i ricavi della vendita della partecipazione
1
“Trasformazione degli enti pubblici economici, dismissione delle partecipazioni statali ed
alienazione di beni patrimoniali suscettibili di gestione economica”, in G.U. 30 Gennaio 1992, n 24;
per il d.l. n. 386 del 1991 si veda invece G.U. del 3 dicembre 1990, n. 282. Come già detto, con questo
provvedimento normativo ha inizio una nuova concezione delle dismissioni di aziende pubbliche in
Italia; quello che cambia profondamente rispetto al precedente momento storico è che le operazioni di
vendita non vengono più realizzate sulla base di decisioni episodiche dei singoli enti, ma diventano
oggetto di un vero programma politico, benché incerto. Si confronti a riguardo GAROFOLI R., Le
privatizzazioni degli enti dell’economia, cit., p. 144.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
14
nelle imprese pubbliche rappresentavano un possibile strumento per conseguire
l’obiettivo.
Il decreto legge n. 386/91, composto da tre articoli, vedeva racchiusi nel
primo di essi conseguenze, regole e condizioni della trasformazione degli enti pubblici
economici. Quello che emerge da una sua lettura è che, se l’obiettivo della vendita di
pacchetti azionari di minoranza era finalizzato in particolare ad ottenerne i relativi
introiti, la perdita del controllo sulle S.p.A. costituite non sembra aver rappresentato lo
scopo primario. Comunque i momenti in cui, sulla carta, si esplicava il procedimento
normativo erano tre: trasformazione dell’impresa; vendita delle relative
partecipazioni; perdita del controllo da parte dello Stato.
Il primo comma dell’art. 1 stabiliva la possibilità per gli enti di gestione delle
partecipazione statali (quali ad es. IRI ed ENI) e gli altri enti pubblici (INA, ENEL ecc.)
di essere trasformati in società per azioni. Veniva così predisposta una modifica
facoltativa dell’assetto societario
1
. Il decreto legge faceva un riferimento generale agli
enti pubblici economici ed alle aziende autonome statali
2
; non si individuava quindi
un elenco di aziende trasformande. E’ importante notare come restassero escluse
dall’applicazione della legge le società operative, cardine dell’intervento pubblico
1
In effetti la legge n. 35/92 prendeva esempio dalla precedente legge n. 218/90, “Disposizioni in
materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico”, in
G.U. del 6 agosto 1990, n. 182, che sarà trattata nel sesto capitolo.
2
Come già visto nell’introduzione, nei primi vi rientrano tutti quegli enti pubblici che svolgono
attività di impresa finalizzata alla produzione e allo scambio di beni e/o servizi, nel rispetto di criteri di
economicità ed equilibrio economico, come ogni altro imprenditore. Invece le aziende autonome sono
quelle articolazioni dello Stato che non svolgono, in maniera prevalente, attività imprenditoriale, ma
erogativa.
Capitolo primo – L’avvio del processo di privatizzazioni
15
nell’economia del nostro Paese e le stesse banche, alle quali è invece dedicata la legge
n. 218/90, c.d. “legge Amato”.
Il secondo e il terzo comma dello stesso articolo stabilivano che dovevano
essere gli organi competenti dell’ente, seguendo gli indirizzi di politica economica e
industriale deliberati dal CIPE su proposta del Ministro del bilancio e della
programmazione economica, d’intesa con i Ministri competenti, a deliberare la
trasformazione. Insomma, il CIPE determinava i criteri generali sulla base dei quali
l’organo competente dell’ente avrebbe dovuto presentare una proposta, che doveva
essere poi adottata con decreto ministeriale.
Alla fine del processo sarebbe dovuta avvenire la sostituzione di un ente
pubblico economico con una società per azioni, un soggetto giuridico privato (nella
struttura organizzativa), e ciò avrebbe comportato l’applicazione della disciplina
generale delle S.p.A. (art. 1, co. 5, legge n. 35/92).
Secondo quanto previsto dal Codice civile (artt. 2498 – 2500), la generale
trasformazione societaria è definita come il cambiamento del tipo di società, nel
rispetto di un nuovo scopo istituzionalmente compatibile con quello originario
1
.
Questo mutamento nell’assetto della società si ottiene così, a seguito di una delibera
dell’assemblea straordinaria, con una decisione che spetta ai proprietari dell’impresa, i
soci. Diversamente, la delibera di trasformazione, ai sensi della legge n. 35/92, doveva
essere assunta dagli stessi organi competenti di un soggetto giuridico senza struttura
associativa.
1
Essa segue la stessa procedura di modifica dell’atto costitutivo; cfr. CAMPOBASSO, Diritto
Commerciale, vol. 2, Diritto delle società, 1999, p. 565.