2per eseguire compiti ordinari, si rivelano inadeguate per circostanze
così straordinarie come la crisi.
In questo scenario la teoria del Crisis Management indica la
prevenzione delle crisi come un’irrinunciabile priorità la cui
realizzazione avviene attraverso l’analisi dei rischi, delle
vulnerabilità e la percezione dei segnali deboli che solitamente
precedono l’esplosione improvvisa dell’evento foriero di
conseguenze negative; ma, quando l’anticipazione dell’evento non
fosse attuabile, l’obiettivo del Crisis Management è costituito dalla
possibilità di ridurre l’impatto che la crisi esercita
sull’organizzazione.
Il settore del trasporto aereo, particolarmente vulnerabile alle crisi, è
stato tra i primi a sviluppare una cultura di Crisis Management.
Per questi motivi le compagnie aeree hanno, ormai da tempo,
raggiunto la consapevolezza che di fronte ad un evento così
drammatico come quello di un disastro aereo, l’improvvisazione non
paga: essere preparati significa predisporre dei piani di crisi con
opportune simulazioni che possano mobilitare una risposta
organizzativa coordinata e veloce, sia dal punto di vista procedurale,
in cui la priorità fondamentale è rappresentata dall’assistenza ai
familiari delle vittime, sia dal punto di vista comunicativo.
Tuttavia la semplice adozione di un qualche piano di crisi o
l’istituzione di un’unità di Crisis Management all’interno
dell’organigramma aziendale, costituiscono solo un punto di partenza
per la gestione ottimale dell’emergenza e non preservano da
eventuali imprevisti ed inefficienze.
La ragione di questo risiede nel fatto che ogni crisi è diversa
dall’altra, rappresenta cioè caratteristiche uniche e irripetibili per cui
spesso anche le compagnie aeree più preparate possono incontrare
notevoli difficoltà.
Lo studio empirico di due casi (il disastro del volo TWA 800 e
l’incidente di Linate) ha permesso di analizzare la risposta
organizzativa della compagnia aerea americana TWA e di quella
scandinava SAS, sia dal punto di vista delle procedure di Crisis
Management adottate, sia dal punto della comunicazione di crisi, al
3fine di applicare la teoria alla pratica: i concetti teorici presentati
nella prima parte costituiranno, infatti, uno strumento prezioso per la
comprensione dei casi specifici analizzati.
Il primo caso esamina la gestione della crisi scatenata dall’esplosione
in volo di un Boeing 747 della compagnia TWA, avvenuta il 17
luglio 1996 sull’oceano Atlantico, a circa sessanta miglia da New
York.
Questa crisi ha evidenziato fin dal primo momento delle peculiarità:
x Il coinvolgimento delle autorità politiche che hanno criticato
aspramente l’operato della compagnia aerea;
x Le numerose indiscrezioni e i rumori che sono sorti intorno alle
possibili cause dell’esplosione.
In primo luogo le polemiche del sindaco di New York Giuliani
riguardanti il ritardato rilascio della lista passeggeri, hanno fatto sì
che TWA si trovasse ad affrontare due crisi contemporaneamente: il
disastro del volo 800 e le critiche provenienti dalle autorità politiche,
dai mass-media e dai familiari delle vittime.
Dall’analisi dei dati sono emerse diverse inefficienze sia nell’aspetto
procedurale sia in quello delle strategie comunicative. Per quanto
riguarda il primo aspetto, si verificarono eccessivi ritardi nella
procedura di compilazione della lista passeggeri, compito di cruciale
importanza nella gestione delle crisi scatenate da incidenti aerei, e
nella mobilitazione del team di assistenza ai familiari delle vittime.
Inoltre TWA infranse le principali regole su cui si fonda la
comunicazione di crisi: il top management, completamente assente
durante le prime ore del disastro, non chiese mai pubblicamente
scusa, né ammise le proprie responsabilità.
Per questi motivi il comportamento di TWA rappresenta un caso di
insuccesso e fornisce un’importante lezione su come non deve essere
gestita una crisi e su quali sono gli errori da evitare.
Il secondo caso affrontato riguarda l’ormai noto incidente di Linate
dell’8 ottobre 2001, in cui si verificò la collisione a terra tra un MD-
87 della compagnia scandinava SAS in fase di decollo e un piccolo
aereo privato che in quel momento stava attraversando la pista. Tra
l’ondata di polemiche sulla sicurezza dello scalo milanese, emerse
4l’operato della SAS che, durante la crisi, dimostrò grande solidarietà
ed efficienza nei confronti dei familiari delle vittime, i quali
costituiscono un interlocutore chiave con cui la compagnia aerea in
crisi deve saper interagire.
L’intera risposta organizzativa attuata dalla compagnia scandinava
ha avuto, infatti, come principale punto di riferimento le famiglie:
dalla predisposizione di numeri verdi, all’assistenza psicologica e
umana, dal trasporto delle famiglie scandinave all’aeroporto di
Linate, fino ad una serie di benefits elargiti ai diretti interessati. Dal
punto di vista comunicativo, la risposta attuata da SAS è apparsa
coordinata e rispondente al principio dell’unicità della fonte. I
dirigenti hanno rilasciato le prime dichiarazioni immediatamente
dopo il disastro, dimostrando così che la compagnia aveva assunto il
controllo della situazione fin dall’inizio e si stava mobilitando per
attuare la risposta alla crisi. I messaggi di solidarietà hanno avuto la
precedenza sulle polemiche sorte intorno alla sicurezza di Linate.
L’immagine che ne è emersa è stata quella di una compagnia
responsabile, perché preparata all’emergenza, e trasparente, perché
“aperta” nei confronti dei media
Alla luce di queste considerazioni la gestione della crisi attuata da
SAS rappresenta un caso di successo e si impone come modello di
riferimento nel settore del trasporto aereo.
Ritengo che l’argomento di questa tesi costituisca un tema,
purtroppo, assai attuale: la società, sempre più complessa, produce
fenomeni che a volte vanno oltre la comprensione e la capacità di
controllo dell’uomo. L’era dell’automazione e delle tecnologie ad
alto rischio è divenuta anche l’era delle grandi crisi: la tragedia del
Challenger, Bhopal, Chernobyl e gli attentati terroristici alle Torri
Gemelle, per citarne alcuni, aprono inquietanti interrogativi sulla
vulnerabilità della società moderna.
Tuttavia il simbolo della parola cinese “crisi”, chiamato wei-ji, è
rappresentato dalla combinazione di due parole: “pericolo” e
“opportunità”. Se, infatti, una crisi può sicuramente costituire una
grave minaccia per la sopravvivenza dell’organizzazione, essa
rappresenta anche un’importante opportunità di crescita che, se colta,
5si risolve in un “circolo virtuoso” dell’apprendimento, per mezzo del
quale si è raggiunta la conoscenza necessaria e sono state apportate
le adeguate modifiche affinché un evento così traumatico e
drammatico non possa più ripetersi.
Piano dell’opera
Il piano dell’opera può idealmente essere suddiviso in due parti: la
prima, teorica, si preoccupa di analizzare i concetti chiave che
costituiscono la disciplina del Crisis Management.
In particolare, il capitolo primo offre una concettualizzazione della
crisi per meglio definire questo fenomeno organizzativo, in relazione
ai diversi significati che essa può assumere. L’utilizzo del termine in
questione, infatti, si presenta spesso vago e generico ed è necessario
stabilire le peculiarità della crisi organizzativa; a tale scopo sono
affrontate le due prospettive più rilevanti emerse nella letteratura:
l’approccio oggettivo che si propone di classificare e descrivere le
caratteristiche delle possibili crisi che colpiscono un’organizzazione
e l’approccio soggettivo che, per definire la crisi, si basa sulle
percezioni degli attori organizzativi.
I concetti chiave e gli strumenti del Crisis Management sono, invece,
affrontati nel capitolo secondo in cui viene dedicato spazio alle
diverse fasi che costituiscono la gestione delle crisi, dalla
prevenzione fino alla fase di recupero e apprendimento che segue
alla crisi. Non è stato tralasciato l’approccio alla gestione delle crisi,
riassumibile nel concetto di resilienza teorizzato da Weick, secondo
il quale i gruppi e gli individui giocano un ruolo decisivo durante
l’emergenza, quando la capacità di improvvisazione si sostituisce
agli strumenti formali del Crisis Management, come i piani di crisi,
che, in determinate circostanze, possono rivelarsi insufficienti a
causa della razionalità limitata che impedisce all’uomo di prevedere
con esattezza tutti i possibili scenari futuri.
Nella seconda parte, invece, la prospettiva si restringe sull’analisi
della gestione delle crisi nel settore del trasporto aereo. Il capitolo
terzo si propone di analizzare il potenziale di crisi, e quindi la
6sicurezza, del sistema aeronautico che costituisce il contesto in cui
operano le compagnie aeree. Lo studio dell’affidabilità di tale
sistema costituisce il pretesto per introdurre e approfondire la
Normal Accident Theory e la High Reliability Theory che
contribuiscono a spiegare come, in sistemi complessi, gli incidenti
non siano soltanto origine di fallimenti della tecnologia o di errori
umani, ma anche come essi siano costruiti “organizzativamente”,
siano cioè frutto delle incongruenze organizzative.
Nel capitolo quarto sono analizzate le procedure di gestione della
crisi che le compagnie aeree attuano in concreto e nello specifico in
occasione di incidenti, dirottamenti o attentati terroristici.
Un ulteriore spazio è stato dedicato all’approfondimento delle
procedure d’emergenza messe a punto dalla nostra compagnia di
bandiera: l’ALITALIA.
Le normative americane del ’96 e del ’97, che obbligano le
compagnie aeree nazionali e straniere, operanti negli Stati Uniti, a
fornire una serie di servizi di assistenza ai familiari delle vittime in
occasione di un incidente aereo, hanno offerto l’impulso definitivo
per lo sviluppo di una cultura del Crisis Management a livello
internazionale e rappresentato le linee guida per la gestione delle
crisi in questo settore.
Infine nel quinto capitolo e nel sesto capitolo è presentato lo studio
di due casi: il disastro del volo TWA 800 e l’incidente di Linate che
ha visto coinvolta la compagnia aerea scandinava SAS.
In entrambi i casi è stato analizzato il comportamento organizzativo
della compagnia aerea in crisi, sia dal punto di vista delle procedure
di Crisis Management, sia della comunicazione di crisi.
7CAPITOLO PRIMO
LA CRISI ORGANIZZATIVA
81. LA CRISI ORGANIZZATIVA
1.1 Premessa
Il concetto di crisi è spesso richiamato ma scarsamente definito.
Ogni campo della conoscenza umana ne presenta una specifica
definizione. Questo rende particolarmente complicato elaborare
una teoria generale sulla crisi che possa, dunque, comprendere
in modo esauriente tutti i diversi significati che le si
attribuiscono in riferimento all’ambito di utilizzo. Tuttavia, pur
essendo la sua natura complessa e multidisciplinare, si può
compiere un passo in avanti partendo dall’etimologia della
parola, superando così indugi e difficoltà nel tentativo di
definire la crisi.
Presso i Greci le parole FULVLV ҏ e FULQR rinviano ad un campo
semantico che comprende tre assi (Bucci et al., 1998). Un asse
“pragmatico” centrato sul concetto di divisione e
allontanamento, ma anche di scontro e contesa; un asse
“cognitivo” che rimanda alla funzione del discernere,
interpretare e alla percezione della differenza unita alla
consapevolezza dell’evento come trasformazione del reale;
infine il terzo asse “affettivo” riguarda il senso di giudizio che
può portare da un lato alla scelta, alla preferenza e dall’altro
all’accusa e alla condanna. Interpretazione e giudizio sono
condizioni necessarie al decidere, al superamento di quello stato
di potenzialità simile ad una spira avvolgente da cui ci si deve
liberare.
Anche la parola latina crisis è legata a concetti di divisione,
selezione, decisione e momento decisivo. Con il tempo, in tutte
le lingue europee, la parola “crisi” ha assunto connotazioni e
significati prettamente negativi: ad essa sono associati concetti
di “aggravamento di un processo che può essere economico,
clinico o politico” e di disordine e destabilizzazione. Anche nel
campo degli studi organizzativi, che qui ci interessano
particolarmente, Lagadec (1994) descrive la crisi che colpisce le