4
La crisi dei due grandi partiti storici e di massa, la DC e il PCI,
sui quali per cinquant’anni si era poggiata la repubblica, è coincisa
con l’affermarsi su scala regionale di altri partiti (la Lega Nord su
tutti), con ripetute scissioni (dal PCI il PDS e PRC; dalla DC il PPI e
il CCD e successivamente il CDU) e con l’inevitabile frantumazione
della rappresentanza politica.
L’esplosione del PCI ha allargato l’offerta giornalistica di
sinistra: accanto all’Unità compariva in edicola “Liberazione”,
quotidiano del PRC, senza contare “Il Manifesto” che da sempre è
all’opposizione dell’opposizione. Insomma aumentava l’informazione
di sinistra proprio in un periodo storico in cui la sinistra politica era in
crisi e perdeva consensi.
Il PDS avviava una stagione di ridefinizione del suo corpus
politico e di ricollocazione nello scacchiere della politica, senza
tracciare sin dall’inizio un percorso netto e preciso, ma balzando da
un socialismo riformista d’ispirazione europea al vagheggiamento di
un Partito Democratico sul modello statunitense ad un radicalismo
antagonista. In tali contraddizioni politiche non poteva non trovarsi in
confusione “L’Unità”, che cercava una sua posizione autonoma dal
partito, assumendo spesso posizioni dirompenti, che finivano per
disorientare il tradizionale lettore del quotidiano comunista senza
riuscire ad attrarne di nuovi. Esemplare in questo senso la vicenda
della testata e del colore.
3
Va inoltre considerato che, in seguito ad una grave crisi
economica e a un periodo di austerity, il mercato pubblicitario si è
contratto e i quotidiani hanno ridotto le vendite dopo il mini-boom
degli anni ottanta.
Come se non bastasse, l’affermarsi perentorio della televisione
come strumento principe della comunicazione moderna e in particolar
3
Nel 1987 con la direzione di Gerardo Chiaromonte la testata de L’Unità passa da “Organo del
PCI” a “Giornale del PCI” per cambiare ancora in coincidenza con il XX Congresso del PCI in
“Quotidiano fondato da Antonio Gramsci”, in modo da “togliere il riferimento al Partito” secondo
la voce del neo direttore Renzo Foa. Così anche la striscia d’inchiostro rosso sotto la testata è
5
modo la crescente influenza dell’informazione televisiva italiana (a
metà degli anni novanta la televisione manda in onda sei telegiornali
nazionali) ha costretto i quotidiani a cambiare rapidamente per
assecondare i gusti del pubblico.
4
I giornali hanno assimilato ed imitato acriticamente il modello
comunicativo della televisione, il suo linguaggio impreciso e iconico,
la spettacolarizzazione della politica nei talk show ad uso e consumo
del pubblico.
Il panorama culturale dei mass-media si è uniformato: i
quotidiani sono stati costretti ad inseguire la tv, divenendone la
grancassa, costruendo un unicum magnum dell’informazione in senso
lato.
5
Si è così definitivamente affermato e concluso il processo di
settimanalizzazione dei quotidiani avviato con la nascita di “La
Repubblica” e che il successo della televisione ha imposto come
metodo condiviso d’impostazione giornalistica.
Dato che ormai il cittadino-lettore apprende le notizie
immediatamente dalle varie emittenti radio-televisive, sempre più da
“Televideo” et similia, oltre che da Internet, i quotidiani sono costretti
a non limitarsi ad un puro resoconto dei fatti, ma a fornire articoli
esaurienti di commento, indagine e approfondimento, invadendo il
classico campo dei settimanali.
Insomma gli anni novanta non hanno portato a cambiamenti
radicali come furono la nascita de “Il Giorno” e de “La Repubblica”,
ma a modifiche nei contenuti, nel linguaggio e nella foliazione.
sostituita prima in un anonimo grigio e poi in blu, salvo ricomparire totalmente rossa nella neo
Unità di Furio Colombo.
4
La concorrenza con la televisione, che già negli anni sessanta ha provocato la chiusura di vari
quotidiani del pomeriggio, ha costretto i giornali a cercare di spiegare, informare e verificare.
5
“Ovunque si fa strada l’iper La Repubblica. Il giornale più che spettacolarizzato, super gridato.
Non si sottraggono il Corriere, La Stampa, la stessa La Repubblica, naturalmente, e L’Unità che
all’inizio degli anni Novanta sembrano un solo giornale. Il modello vincente, infatti, è la Tv. …e i
quotidiani somigliano sempre più a bollettini di propaganda dove essere di parte, schierati,
significa essere soldati in guerra.” Nigro, Luciano, “Il mutarsi della professione. Il giornalismo
nell’ultimo quarto di secolo: mutamento o mutazione?”, in Varni, Angelo, a cura di, Storia della
comunicazione in Italia: dalle Gazzette a Internet, Bologna, Il Mulino 2002, pag. 207.
6
Si può dire che abbia vinto il cosiddetto mielismo
6
e che i
quotidiani italiani, per avere un mercato, debbano essere “inseriti
sempre di più nel suo tempo e nei gusti che questo tempo richiede
tanto per fare l’informazione quanto per consumarla: un tempo che in
fondo, senza falsi snobismi, è quello della protesta e dei cambiamenti,
ma che è anche quello della televisione e dei media in genere, il
tempo cioè della comunicazione efficace, chiara e sintetica, ma
nondimeno dell’informazione forte, spregiudicata, strutturata e
preparata”.
7
In questo quadro di trasformazioni, spesso confuse e
contraddittorie, il giornalismo politico ha subito le conseguenze
peggiori. Infatti, come già detto, la scomparsa dei partiti tradizionali
ha inaugurato una nuova stagione politica con la quale il sistema
giornalistico ha dovuto scontrarsi. Alcuni studiosi hanno evidenziato
un fenomeno particolare: “l’elemento più evidente, che tocca da
vicino il mondo dei giornali, ma non si esaurisce in esso, è
sicuramente uno spostamento rilevante del baricentro del potere dal
Parlamento e dai partiti verso luoghi più esclusivi e ristretti”.
8
Le pagine di politica dei quotidiani sono diventate le meno lette
in assoluto, spesso troppo complicate e autoreferenziali, motivo per
cui o sono state ravvivate con il costume e il pettegolezzo, oppure
sono state ridotte di molto.
Per riassumere: crisi della politica tradizionale, frantumazione
del sistema dei partiti e venire meno dell’appeal della politica sul
pubblico, affermazione della televisione come medium del nostro
tempo e recepito come il più adatto a comunicare la politica, processo
di settimanalizzazione dei quotidiani e imposizione di un modello di
giornale omnibus che unifica il quotidiano di qualità e quello
6
Dal nome del direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, la cui direzione ha inciso
profondamente sul carattere del maggior quotidiano nazionale italiano e che si può riassumere
nella formula di un giornale omnibus cioè di un quotidiano per tutti.
7
Marturano, Marco, “I quotidiani che cambiano: Corriere della sera e Unità”, Problemi
dell’informazione, n. 2, anno XVII 1993, pag. 188.
8
Grasso, Giovanni, Giornalismo e politica nella Seconda Repubblica, in Varni, Angelo, a cura di,
Storia della comunicazione in Italia: dalle Gazzette a Internet, Bologna, Il Mulino 2002, pag. 257.
7
popolare, hanno spinto “L’Unità” a rinnovarsi affannosamente e
sempre alla ricerca di quel qualcosa che la rendesse appetibile sul
mercato dei lettori e della politica. Ma proprio l’apertura al mercato e
al confronto soprattutto con le altre realtà editoriali come “La
Repubblica” e “Il Manifesto”, spesso più agguerrite e in sintonia con i
propri lettori, ha finito per devitalizzare l’esperienza particolare e
forse unica, nell’occidente democratico, del quotidiano comunista,
stingendone le peculiarità e rendendolo simile agli altri.
Insomma nel momento in cui “L’Unità” s’è aperta
coraggiosamente al mercato dei quotidiani e alla concorrenza ha
dovuto sacrificarsi riducendo la propria originalità, venendo percepita
dai suoi lettori come uguale se non simile alla concorrente “La
Repubblica” e svilendo il proprio atto identificante. Ora chi compra
“L’Unità” non compera più il giornale del PCI, ma più prosaicamente
il giornale di un’area di centro sinistra, peraltro un’area vasta e già
abbondantemente presidiata dalla stampa italiana. Ciò ha provocato
una crisi d’identità del giornale e dei suoi lettori, con conseguente e
drammatica emorragia di copie e perdita di credibilità. Si dibatte se il
futuro de “L’Unità” sia quello di una sorta di “Il Foglio” di sinistra
piuttosto che di un “Il Sole 24 ore” dei poveri o di un bollettino di
area governativa.
Non ha forse più senso chiedersi se nel terzo millennio abbia
ancora futuro un quotidiano come “L’Unità”, un giornale attraverso il
quale “la politica del PCI si fa quotidiana” secondo la celebre
definizione di Togliatti?
Ora affronteremo una breve ricognizione storica su “L’Unità”,
un’analisi diacronica attraverso la quale comprendere meglio le linee
evolutive della forma giornale dal dopoguerra ai nostri giorni, e con la
quale poter capire da dove e su che basi il progetto giornalistico (e
soprattutto politico) de “L’Unità” sia partito, dove stia approdando e
con quali prospettive. Solo due anni fa, con il fallimento e la
chiusura, la storia de “L’Unità” sembrava finita tragicamente ed
impossibile da rianimare. Non solo crisi politica e identitaria. L’idea
8
stessa di un giornale che fa politica attraverso l’informazione
risultava perdente, sia sul piano strettamente commerciale, sia in
particolar modo sul piano politico. Invece, ancora una volta,
“L’Unità” ha saputo ricollocarsi sulla scena politica e nel panorama
piuttosto omologato dell’informazione italiana è riuscita, con
successo, a ritagliarsi uno spazio in cui poter interagire. Ma le
domande poste rimangono intatte: “L’Unità” è un giornale che per
definizione è giornale di opposizione? Può “L’Unità” ambire a
concorrere nel mercato editoriale italiano? E ancora: può slegarsi
definitivamente, non solo culturalmente ed ideologicamente, dal
partito di riferimento? O meglio: la stampa di partito deve finire? E
infine “L’Unità” può limitarsi ad essere un semplice quotidiano
d’informazione o deve formare le coscienze civili e politiche? E se
dev’essere un quotidiano d’informazione che guarda a sinistra, come
resistere al colosso “La Repubblica” e ai piccoli incrociatori “Il
Manifesto” e “Liberazione” mantenendo una propria differenziazione
e conquistando nuove fette di lettori?
Alle soglie del terzo millennio ci è apparso chiaro ormai che
“L’Unità” miri a diventare un’attività editoriale vera e propria. Si
muove quindi verso il mercato, mutando profondamente le ragioni
della sua esistenza: ossia l’esser nato e l’essersi identificato in quanto
giornale di partito con un pubblico ristretto e accomunato dalla stessa
ideologia, un pubblico che, come vedremo, comperava “L’Unità”
come voce, espressione delle tesi politiche del PCI, un pubblico che
sapeva già cosa aspettarsi dal giornale. Per quasi trent’anni “L’Unità”
si è rivolta a una platea che restò a lungo un mondo sociale a sé,
chiuso ed autoreferenziale. Ma già negli anni settanta, la
contestazione giovanile, la crisi economica e le conseguenti
trasformazioni sociali della classe operaia cominciano ad erodere le
ragioni dell’appartenenza al mondo comunista e “L’Unità” non
comprende che le ragioni della sinistra non sono più tutte dentro al
PCI né interpretabili più dalla sua sola voce. Il mercato protetto dei
lettori militanti comincia proprio in quegli anni, che paradossalmente
9
coincidono con la massima espansione politica elettorale del PCI di
Enrico Berlinguer, a rifluire. Crollato e diviso il PCI alla fine degli
anni ottanta, “L’Unità” abbandona quindi il suo referente politico,
perde un pubblico ormai di nicchia, fedele e costante nel tempo, per
confrontarsi con il mercato, desiderando allargare il proprio campo di
comunicazione (il ricevente del messaggio). È il giornale come
struttura a muoversi, è il giornale che moltiplica le sue iniziative per
allargare il consenso e il pubblico. In questo senso sono da collocarsi
le numerose iniziative editoriali e giornalistiche che dal 1994 hanno
visto “L’Unità” inserirsi nella competizione dell’informazione,
proponendosi come capofila degli altri giornali.
9
In sostanza un
quotidiano che cerca di trasformarsi da organo di partito a giornale
d’area e d’opinione. Sullo sfondo infatti s’intravede il processo di
privatizzazione, a tutt’oggi non ancora perfezionato. Questa
trasformazione si combina con il crollo del muro di Berlino.
L’incontro tra il quotidiano e quella che sarà la nuova classe dirigente
del partito sembra dare inizio al rinnovamento e del partito e del
quotidiano (che cerca così di esprimere il nuovo, differenziandosi
dalla tradizione comunista).
10
Nella seconda parte del nostro lavoro cercheremo di dare
risposte a queste domande, dedicandoci a un confronto tramite parole
chiave e analisi del messaggio comunicativo per mettere in risalto i
mutamenti avvenuti dopo il millenovecentottantanove. Infatti non
solo la struttura e la proprietà de “L’Unità” sono cambiati nell’ultimo
decennio: tutta la cultura comunista e di sinistra è andata
ridefinendosi, riformulando i propri modelli e confrontandosi di volta
in volta con il pensiero socialista, con l’attenzione del mondo
cattolico per la solidarietà, con le nuove sensibilità ambientaliste ed
9
Vanno ricordate la prima collana di videocassette abbinate al quotidiano, il varo dell’edizione
locale “Mattina” in Emilia Romagna e Toscana, il nuovo settimanale a proprietà mista, Diario.
10
Non a caso, prima Massimo D’Alema poi Walter Veltroni, entrambi direttori de “L’Unità” in
ommenti differenti e cruciali, hanno collocato il quotidiano su posizioni più innovative e audaci del
Partito, quasi fosse un’avanguardia sperimentale.
10
ecologiste. L’abbandono di vecchi miti, dall’Unione Sovietica al
terzomondismo e la nuova attenzione riservata all’Occidente, agli
Stati Uniti di Bill Clinton, ai valori liberali e a quelli dell’economia di
mercato, sono processi passati ed espressi dalle pagine de “L’Unità”.
Questa da una parte ha assimilato modelli altrui, più generalisti,
(come “La Repubblica”), dall’altra ne ha inventato di nuovi,
prediligendo una sorta di collage di cultura alta e cultura bassa:
Pasolini convive con la televisione, Benigni con Habermas, le
microstorie dell’Italia pre e post Tangentopoli con gli articoli di
Massimo Mauro
11
, le monografie dei registi de “Il Castoro” con le
figure Panini, i Vangeli con “Novecento”.
12
Il problema è
comprendere quanto questo processo di ridefinizione e
riposizionamento abbia poi contribuito a creare confusione e ad
allontanare i lettori tradizionali (che vedevano in queste iniziative una
sorta di “violazione” ad un santuario sacrale com’era stato fin allora
quello de “L’Unità”) senza apparire d’altro canto convincente per i
nuovi lettori (in particolar modo per i giovani che o preferivano
l’omnibus de “La Repubblica” o dirigevano la loro attenzione a “Il
Manifesto”, giornale in grado di offrire loro un’identità precisa e ben
riconoscibile).
In conclusione ho scelto questo argomento, tra le tante
trasformazioni e novità del panorama giornalistico italiano (dal
quotidiano di Montanelli “La Voce” a “L’Indipendente” a “Il
Giornale” di Vittorio Feltri) proprio perché la storia de “L'Unità” non
è soltanto la storia di un quotidiano sui generis, ma soprattutto è
storia di una politica, di una cultura, di una classe dirigente (e di un
popolo oserei dire), di un modo d’intendere il giornalismo oramai
lontanissimo dal mercato omologante imposto da Tv e pubblicità e
11
Ex giocatore di calcio del Napoli e della Juventus, collaboratore del quotidiano e poi deputato
nelle fila del centro-sinistra.
12
Le figurine dei calciatori Panini, la serie delle monografie sui grandi maestri del cinema
contemporaneo, i Vangeli e la videocassetta del capolavoro censurato di Bernardo Bertolucci sono
una parte delle iniziative editoriali ideate dalla direzione di Walter Veltroni in poi.
11
dalla melassa
13
della stampa quotidiana attuale. “L'Unità” per molti
lettori ha rappresentato spesso una finestra sul mondo, un luogo
sicuro in cui riconoscersi, spessissimo un simbolo di diversità da
esibire sotto il braccio, per sfidare false ipocrisie e moralismi.
“L'Unità” è stato tutto questo per cinquant’anni della cosiddetta Prima
Repubblica, ma è stata anche una formidabile fucina sia di talenti
politici
14
sia di giornalisti e giovani scrittori
15
che hanno tentato di
seguire le orme “mitiche” di storiche collaborazioni come quelle di
Italo Calvino, Pasolini, Vittorini e Pavese, collaborazioni che
nell’immediato dopoguerra avevano contribuito a lanciare “L’Unità”
e a farne un modello inimitabile.
Infine essendo “L’Unità” uno specchio della vita del partito, in
essa si sono riflettute le contrapposizioni e le battaglie politiche delle
varie “fazioni” di Botteghe Oscure e, in senso più lato, del mondo di
sinistra. Spesso il giornale ha anticipato temi e sensibilità che
facevano molta fatica ad entrare nell’agenda politica del PCI-PDS-
DS. Negli ultimi anni è stato proprio sulle pagine de “L’Unità” che ha
preso piede il progetto dell’Ulivo, di un’alleanza tra sinistra
democratica e cattolicesimo popolare. “L’Unità” inoltre ha contribuito
a far capire l’importanza strategica del ruolo dell’informazione
(soprattutto televisiva) nell’agone politico italiano.
Per tutti questi motivi ritengo che sia importante analizzare le
ragioni e i mutamenti prodotti dalla storia e dalla politica su un
quotidiano unico forse nel mondo. Speriamo così di contribuire a fare
luce sulle dinamiche recenti della travagliata storia politico sociale
italiana.
13
Cfr. “Stampa-Melassa, né élite né massa” di Giancarlo Bosetti in AA.VV., Giornali in trappola,
Milano, Reset S.r.l. 1995.
14
Claudio Petruccioli, Achille Occhetto, Massimo D’Alema, Walter Veltroni, sono solo alcuni di
ex segretari del PCI-PDS passati dalla direzione de "L'Unità".
15
Tra gli altri basti ricordare Giulietto Chiesa, Michele Serra, Sandro Veronesi, Marco Lodoli,
Sandro Onofri, Carlo Lucarelli e altri scrittori che hanno cominciato proprio dalle pagine
dell'Unità degli ultimi dieci anni.
12
I. CENNI STORICI SU “L’UNITÀ”
I.1. Le origini: un quotidiano neorealista, nazionale e di
massa
Fare la storia de “L’Unità” non è soltanto raccontare di un
giornale qualsiasi, ma significa scrivere “la storia di un giornale che è
luogo della memoria di un Partito, di una politica e anche osservatorio
del sistema informativo italiano”.
16
È senz’altro interessante partire da alcune riflessioni di Antonio
Gramsci dal carcere, mentre “L’Unità” era poco più che un foglio
clandestino.
17
Egli si era dimostrato ben presto consapevole che il
campo dell’informazione sarebbe diventato un terreno decisivo del
moderno conflitto tra governanti e governati, e che la comunicazione,
per risultare vincente e convincente, non avrebbe dovuto essere
didascalica e d’indottrinamento, ma rispondente ai bisogni del lettore.
Più precisamente avrebbe dovuto essere un’attività intellettuale
popolarmente tesa, “un campo d’indagine che promuova, susciti e crei
bisogni e capacità di risposte nello stesso pubblico a cui si rivolge”.
18
Gramsci sottolinea anche come un giornale per essere funzionale
dovrebbe essere “un quotidiano ben fatto e che tenda a introdursi
attraverso i supplementi anche dove difficilmente penetrerebbe come
quotidiano, dovrebbe avere una serie di supplementi mensili”,
19
tra i
quali uno letterario e uno economico, e una rubrica scientifica.
“L’Unità” dovrebbe promuovere quello che Gramsci definisce “il
giornalismo integrale”, ossia quel giornalismo che, non solo intende
soddisfare tutti i bisogni del suo pubblico, ma anche crearli e
16
Leiss, Alberto; Paolozzi, Letizia, op. cit., pag. 9.
17
“L’Unità” nasce ufficialmente a Roma il 12 febbraio 1924, ma quasi subito è costretta a
sospendere le pubblicazioni (31 ottobre 1926) per riprenderle a Roma il 6 giugno 1944, a Genova
il 25, a Milano il 26 e a Torino il 28 aprile 1945.
18
Gramsci, Antonio, Il giornalismo, Roma, Editori Riuniti 1991.
19
Gramsci, Antonio, op. cit., pag. 29.
13
svilupparli, quindi suscitarne di nuovi e con ciò estendere
progressivamente il bacino d’influenza del giornale attirando lettori.
Come si vede sono riflessioni di straordinaria vitalità, che a tutt’oggi,
dopo più di mezzo secolo paiono estremamente attuali, valide e
stimolanti al dibattito.
“L’Unità” nelle intenzioni del suo fondatore nasce come un
quotidiano rivolto ad un pubblico vasto, popolare e in quanto tale
ricco d’interessi.
Appare straordinaria in questo senso l’intuizione degli inserti
settimanali e mensili atti a raccogliere consensi trasversali,
soddisfacendo bisogni alti e bassi ed allargando così l’area dei lettori
potenziali del giornale, tanto più oggi che tutti i maggiori quotidiani
nazionali allegano o hanno allegato alle proprie pagine appendici di
ogni sorta, dal femminile al letterario. Anche l’attenzione concessa ai
temi “scientifici” in un’Italia semi analfabeta e contadina pare
d’avanguardia e sembra anticipare le croniche mancanze dei lettori
nonché rivelare una certa fideistica speranza nelle ragioni della
scienza.
Nell’immediato dopoguerra, in un’Italia liberata e ferita,
“L'Unità” racchiude in sé molte delle esperienze nate dalla
Resistenza.
20
L’idea dell’Unità fonda la sua esistenza da una parte sul
rapporto tra il giornale e la politica del suo partito editore, dall’altra
sul rapporto tra "L’Unità" stessa e il mondo dell’informazione. Sin
dall’inizio il giornale è gestito dal partito: Togliatti considera gli
strumenti editoriali strategici per il partito, per conquistare e
mantenere consensi.
Il primo direttore (dell’edizione romana) è Pietro Ingrao,
nominato direttamente dal Comitato Centrale del Partito Comunista
20
Tutte le quattro redazioni di Milano, Torino, Genova e Roma sono formate da giovani studenti,
intellettuali e “quadri” formatisi nella Resistenza al nazifascismo. Tra i giovani giornalisti
ricordiamo: Ingrao, Luciano Barca, Alfredo Reichlin, Luca Pavolini, Arminio Savioli, Luigi Pintor
e Maurizio Ferrara.
14
Italiano.
21
In tutta la storia de “L’Unità” si mantenne fede (tranne
rarissime eccezioni) ad una sorta di statuto non scritto, ma rispettato
da tutti: il giornalista-funzionario doveva essere iscritto al PCI.
“L’Unità” si presenta con una originalissima struttura stellare:
quattro diverse edizioni nazionali, a Roma, Milano, Torino e Genova
che la pongono come vero giornale nazionale italiano; una diffusione
militante ponderante (visibile soprattutto nelle vendite domenicali,
molto più alte del resto della settimana);
22
un sistema di fonti quali il
mondo del lavoro e del sindacato quasi completamente ignorate dai
giornali borghesi dell’epoca. Nel 1948 “L’Unità” ha otto pagine, in
maggior parte dedicate alla politica (bisognava far conoscere la linea
del partito, secondo i dettami di Togliatti), poca cronaca vera e
propria. In più la cultura: la critica letteraria è affidata a Giacomo De
Benedetti, la critica musicale a Bruno Barilli e quella cinematografica
a Barbaro. Sulla Terza Pagina di volta in volta compaiono le firme
prestigiose di Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Massimo
Bontempelli, Italo Calvino, Sibilla Aleramo, Vittorini
23
. È evidente
come per la definizione dell’identità de “L’Unità” abbiano contato i
legami con il PCI, con il sindacato, con i mondi sociali del lavoro
dipendente, con le sedi istituzionali democratiche, con ambienti e
personalità della cultura progressista; ma ha anche contato in modo
determinante il suo essere stato un quotidiano dotato di
un’articolazione territoriale ricchissima, con edizioni nazionali
diversificate e un gran numero di pagine di cronaca locale. È un
modello di giornale che aveva nella sua vasta articolazione decentrata
un punto di forza. Tanto che, anche dopo la chiusura delle edizioni
21
Pietro Ingrao sarà direttore dal 1947 fino al 1957. Seguiranno Alfredo Reichlin dal 1957 al
1962, Mario Alicata dal 1962 al 1966, Maurizio Ferrara dal 1966 al 1969, Pajetta da1969 al 1970,
Aldo Tortorella dal 1970 al 1975, Luca Pavolini per il biennio 1975-1977 e infine di nuovo
Reichlin per il periodo dell’unità nazionale dal 1977 al 1981.
22
Per il periodo dal 1949 al 1950 si stima che “L’Unità” vendeva: a Milano tra le 130.000 e le
150.000 copie, che salgono fino a 350.000 la domenica, giorno della diffusione militante porta a
porta. A Roma tra le 70.000 e le 80.000 (la domenica dalle 100.000 alle 250.000), a Torino tra le
50.000 e le 75.000 mentre a Genova circa 40.000 copie. Cfr. Murialdi, Paolo, La stampa italiana.
Dalla Liberazione alla crisi di fine secolo, Roma-Bari, Laterza 1995, pp. 90-100.
23
Cfr. Paolozzi, Letizia; Leiss, Alberto, Voci dal quotidiano, Milano, Baldini e Castoldi, 1994.
15
nazionali che si stampavano a Torino e a Genova,
24
“l’Unità” resterà
fino a metà degli anni ottanta l’unico giornale italiano con forti
redazioni regionali in tutto il paese: Liguria, Piemonte, Triveneto,
Emilia Romagna, Lombardia e Milano per il Nord; Toscana, Marche,
Umbria, Lazio, Campania, Sicilia e Pagine meridionali per il Sud.
“L’Unità” si trova da subito a confrontarsi con il progetto
informativo e formativo del PCI, secondo un modello che si discosta
da quello sovietico.
25
Palmiro Togliatti fa esplicito riferimento a una
sorta di Corriere della Sera del proletariato, perché i modelli di
riferimento sono proprio i concorrenti giornali borghesi. Tuttavia il
giornale deve mantenere una precisa linea politica: non si poteva
prescindere dal fatto che i lettori de “L’Unità” venissero informati
adeguatamente sulle necessità di trasformare il mondo. Per questo
motivo “L’Unità” è da subito stretta in un doppio sforzo:
informazione e formazione. Questo è il tratto saliente del quotidiano:
saper mischiare l’informazione in qualche modo dovuta ai lettori e
contemporaneamente “formare”, o perlomeno cercare di formare, le
coscienze politiche dei suoi militanti lettori.
Il modello informativo del PCI si discosta notevolmente da
quello sovietico: là si proponeva un giornale pedagogico,
26
di
servizio, basato esclusivamente sulle notizie del dibattito
parlamentare, sulla linea del partito da enunciare e sulle informazioni
dei partiti fratelli, qui un giornale che guarda al nascente sistema
dell’informazione italiana, da cui trae ispirazione senza chiudersi nel
fortino della propaganda ad ogni costo. "L'Unità" dev’essere un
giornale che parli alla “gente”, scavalcando le semplici file dei “rossi”
24
Chiuse per problemi economici nel luglio del 1957 e unificate in un’unica edizione a Milano per
tutta l’Italia Settentrionale.
25
Il “Rude Pravo”, quotidiano cecoslovacco, rappresentava il modello sovietico d’informazione di
partito. Ingrao, invece, modella la sua Unità più sul giornale dei comunisti francesi
“L’Humanitè”. Cfr. Leiss, Alberto; Paolozzi, Letizia, op. cit., pag. 22.
26
Nel 1950 il Cominform pubblicò un documento, dedicato ai giornali, in cui si attaccava
“L’Unità” perché non pubblicava o pubblicava troppo poche notizie sull’URSS, sulle lotte per il
lavoro o sulle definizioni di marxismo-leninismo, mentre dava spazio alla cronaca nera e alle
fotografie di donne nude, al contrario appunto del “Rude Pravo” ampiamente elogiato. Il gruppo
dirigente del PCI, in primis Togliatti, difesero la formula de “L’Unità”. Cfr. Leiss, Alberto;
Paolozzi, Letizia, op. cit., pag. 26.
16
per rivolgersi a tutti, un giornale democratico e popolare, che deve
toccare ogni aspetto della vita quotidiana (delle masse, aggiungerei),
parlare dell’esperienza diffusa delle persone, insomma un giornale
nazionale e di massa. Considerato ciò è facile comprendere perché
“L’Unità” dedichi ampi spazi alle inchieste sociali,
27
allo sport, (il
lunedì addirittura in Prima Pagina), alla cronaca, ai fatti sociali, alla
letteratura, al cinema. Le inchieste per esempio, che oggi
chiameremmo reportage e che i giornali non fanno quasi più, rendono
particolarmente l’idea di giornale popolare: esplicitano, rendono
visibile e rappresentano la fatica del vivere quotidiano. Un esempio
lampante e significativo di come la redazione de “L’Unità” e il
gruppo dirigente del PCI intendessero confezionare un giornale
nazional popolare è l’inchiesta sui cosidetti “contatori ladri”. Nel
1959 il PCI è impegnato nella battaglia contro i monopoli, le
oligarchie economiche italiane che andavano formandosi e nello
specifico contro la municipalizzazione della distribuzione del gas. Un
redattore de “L’Unità” (Marco Marchetti) scopre che i contatori
dell’Edison, società privata erogatrice del gas, sono difettosi e dopo
qualche anno pompano meno gas di quello addebitato agli utenti. Gli
utenti si riuniscono in comitati civici e lo stesso giornalista de
“L’Unità” si procura un “misuratore” con il quale riesce a confutare le
difese dell’Edison. A seguito dell’inchiesta giornalistica i cittadini
denunciarono la Edison che sarà costretta a riconoscere i propri torti.
Al termine di tutta la vicenda, il direttore de “L’Unità” di allora,
Tortorella, potrà lodare “l’informazione largamente popolare opposta
a quella dei quotidiani d’informazione solleciti a denunciare come
pericoloso il poveraccio che ruba un pollo o una radiolina e nemmeno
una riga di spazio per raccontare che la Edison era stata denunciata
per avere rubato sistematicamente sul prezzo del gas distribuito a
Milano”.
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Pietro Ingrao per es. nel 1949 compie un viaggio in Calabria, per raccontare dal vivo i fatti
calabresi e la nascente questione della terra e del Mezzogiorno. Cfr. Leiss, Alberto; Paolozzi,
Letizia, op. cit., pp. 24-26.
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Cfr. Matacchiera, A., Viaggio nell’Unità: storia, uomini, lotte, Como, Edit Nova 1978.
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L’attenzione per lo sport e soprattutto per la letteratura e il
cinema italiano neorealista rientra nella pratica gramsciana
dell’interazione intellettuale – popolo, tesa a legare e mettere in
contatto cultura e vita vera. Per questo viene mandato lo scrittore a
scrivere di sport o a raccontare l’Italia di provincia: l’intellettuale è in
grado di leggere, interpretare e rendere il fatto sociale meglio di
chiunque altro. Per questo a “L’Unità” inventano e sperimentano
generi ibridi
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, varano la Pagina della Donna per dibattere della
tematica femminile e pubblicano i romanzi a puntate.
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Come la rubrica “Il dito nell’occhio”, poche righe in neretto di polemica politica o di costume
in Prima Pagina ( che anticipa la fortunatissima serie di Indro Montanelli “ControCorrente”).