individuali quali la personalità, i bisogni, gli interessi, le sue
caratteristiche fisiche e le sue capacità tecniche, e fattori situazionali,
quali le caratteristiche dell’allenatore, del proprio ambiente familiare e
sportivo.
Nel secondo capitolo si è analizzato il concetto di gruppo
prendendo in considerazione il significato che questo assume nelle
diverse età dell’atleta, dall’infanzia all’età adulta; si sono, inoltre,
esaminate le relazioni significative dell’adolescente sportivo.
Il terzo capitolo fa, invece, riferimento al metodo utilizzato: dopo la
descrizione dei soggetti considerati, vengono elencate le finalità della
ricerca. Lo strumento d’indagine usato è stato l’intervista.
Nel capitolo quarto vengono descritti i risultati ottenuti dall’analisi
qualitativa delle interviste sottoposte agli atleti cercando di esplorare
vari aspetti connessi all’intensa attività fisica di questi ragazzi. La
ginnastica artistica, infatti, a livello competitivo è uno sport molto
impegnativo dove gli atleti devono affrontare un numero elevato di
situazioni difficili. L’incessante ricerca della perfezione e la
complessità dei movimenti, sempre più spettacolari, spesso
alimentano paure e ansie e provocano infortuni.
L’intensa preparazione richiesta per ottenere buoni risultati
necessita poi di un investimento temporale notevole che spesso porta
l’atleta a sacrificare la maggior parte del proprio tempo libero,
trascurando così la normale vita sociale che i coetanei meno impegnati
riescono invece ad avere.
Molto interessante è stato indagare il controllo da parte dell’atleta
della propria mente: questo da una parte è positivo perché consente di
raggiungere elevati risultati sia in palestra che nell’ambito scolastico;
ma dall’altra controllare la propria mente può anche avere
ripercussioni drammatiche sul fisico dell’atleta; la giovane età dei
ginnasti (specialmente delle ragazze) unita ad un’irragionevole attesa
di magrezza può favorire, infatti, l’insorgere d’alcuni problemi
psicologici, come lo sviluppo di un’immagine di sé negativa e di
conseguenti disturbi alimentari quali anoressia e bulimia. In una simile
situazione, gli aspetti mentali della ginnastica diventano di
fondamentale importanza.
Dopo aver indagato la motivazione che spinge questi atleti a
trascorrere tante ore in palestra sono stati presi in considerazione i
condizionamenti familiari, dato che è molto frequente la
corrispondenza fra genitori sportivi e figli sportivi.
Un altro punto di grande rilievo è connesso al modo in cui questi
ragazzi percepiscono la competitività: di solito i ginnasti a livello
agonistico hanno un alto grado di competitività associato a una bassa
ansia e ad un’alta fiducia in se stessi. Nonostante ciò, però, è stata
esaminata anche la paura da parte dell’atleta di deludere le aspettative
dell’allenatore dei genitori e anche di se stessi: i ragazzi infatti
tendono a dare il massimo e la sconfitta viene vissuta spesso molto
male.
All’interno della palestra assumono una grande importanza i
rapporti di amicizia che si creano fra i ginnasti, spesso ostacolati
dall’eccessiva competizione.
Sono state analizzate la paura di farsi male, la gestione degli
infortuni e anche quella del tempo libero dell’atleta, che pur
trovandosi nel periodo dell’infanzia o dell’adolescenza non ha come
tutti gli altri coetanei il tempo per lo svago o per stare con gli amici.
E’ stato inoltre valutato come viene percepita la figura dello
psicologo.
Infine i sogni di questi atleti: purtroppo a 23 anni si è già esclusi da
questa disciplina, e proprio per questo è stato interessante intervistare
anche tre ex atleti che dopo una vita trascorsa allenandosi sono stati
costretti a mettere “i piedi per terra”, trovandosi ad affrontare
problemi diversi dal vincere una gara o mantenere una performance
ideale.
Nel capitolo cinque si è analizzato il ruolo di rilievo che ricoprono
genitori e allenatori, ai quali è stato somministrato un questionario.
L ’allenatore è il punto di riferimento e mediatore delle eventuali
tensioni esistenti all’interno del gruppo; spesso assume il ruolo di un
vero e proprio educatore in quanto si trova a definire obiettivi, fare
esperienze, capire le dinamiche del gruppo, trasmettere valori e
comunque trascorrere gran parte del tempo insieme all’atleta
percependone gli umori, le gioie e le difficoltà.
Il rapporto allenatore - atleta diventa un vero rapporto privilegiato
solo se, naturalmente, tale figura ha la preparazione e gli strumenti
adatti per allenare. Il questionario di auto - percezione mirava appunto
a capire se l’allenatore riesce ad avere con i ragazzi un rapporto di
reciproca stima e rispetto che dia spazio al dialogo e all’iniziativa.
I genitori dovrebbero sostenere e incoraggiare i figli nella loro
attività ma senza caricarli di aspettative eccessive e illusorie.
Attraverso il questionario si è cercato di esplorare come percepiscono
l’attività del proprio figlio, come credono che questa abbia modificato
il carattere dello stesso e come giudicano gli allenamenti rispetto alla
sua struttura di personalità.
E’ essenziale, comunque, non dare per scontato che intorno
all’atleta vi sia una ideale cornice sociale ovvero non si devono dare
per scontate due considerazioni:
- che l’ambiente intorno all’atleta sia sano (genitori,amici)
- che la “struttura” sportiva (allenatori, dirigenti) sia coerente e
soddisfacente dal punto di vista logico-umano.
Soltanto questa base “agnostica”può permettere un armonico lavoro
introduttivo o una susseguente diagnosi di intervento.
RINGRAZIAMENTI.
Vorrei innanzitutto ringraziare i Presidenti delle società che hanno
collaborato alla ricerca, gli allenatori e tutti gli atleti che hanno offerto
con entusiasmo il proprio tempo.
Devo gran parte della coerenza del mio lavoro alle molte ore che il
professor Luca Pietrantoni ha speso per aiutarmi a perfezionare il testo
attraverso sempre puntuali suggerimenti e perspicaci osservazioni.
Sono molto riconoscente alla professoressa Bruna Zani per la
fiducia accordatami.
Grazie alle molte persone che hanno reso stimolanti i miei anni
all’Università, e in particolare Simone, Elena, Sara, Marica, Gianni, e
tutti i ragazzi “della seconda fila”.
Ringrazio mia sorella, Maria, per la sua paziente e attenta lettura di
ogni capitolo realizzato e per i preziosi consigli da “filosofa” concessi.
Grazie ad Alessandro Minardi per l’immenso sostegno psicologico.
Il lavoro è dedicato a Vanda e Gino che mi sono stati sempre vicini
nonostante i molti chilometri di distanza.
CAPITOLO I
Prospettive psicologiche e culturali nello studio del
comportamento sportivo.
La psicologia dello sport si coniuga in quell’insieme di conoscenze
specifiche ed interdisciplinari utilizzabili per sviluppare le risorse
razionali ed emotive attraverso cui l’individuo costruisce
l’adattamento motorio e l’ottimizzazione delle prestazioni.
In particolare la psicologia dello sport si occupa non solo di un
individuo che apprende e/o fa qualcosa (riferimento oggettivo
dell’intervento), ma anche di un individuo che sente, riflette, pensa,
agisce, attribuisce significati (riferimento soggettivo dell’intervento).
Questi due aspetti – oggettivo e soggettivo - possono essere separati
o mescolarsi tra loro.
Per esempio si può studiare la costruzione di mappe, schemi motori,
gesti atletici e l’interferenza negativa o corretta che gli apprendimenti
subiscono tra loro, oltre ad osservare come il soggetto si rappresenta la
realtà, il movimento e l’azione sia dal punto di vista biologico che
psicologico, percettivo, propriocettivo (come persona che agisce in
conformità a significati, valori, credenze e convinzioni). Proprio per
questo è importante precisare che la psicologia dello sport non cura le
persone ma allena gli atleti che affianca.
Gli ambiti della psicologia dello sport riguardano:
• I processi cognitivi coinvolti nell’azione motoria e nella
prestazione sportiva e i processi d’apprendimento di queste
competenze;
• L’acquisizione e il miglioramento delle abilità
psicologiche;
• I processi motivazionali che favoriscono il
coinvolgimento sportivo;
• L’allenatore e l’organizzazione dell’allenamento come
elementi che favoriscono l’apprendimento e lo sviluppo
psicologico individuale;
• Il benessere, la salute e lo sviluppo di stili di vita
fisicamente attivi;
• Le abilità interpersonali e le dinamiche di gruppo;
• I processi d’autoregolazione e i sistemi per affrontare lo
stress agonistico.
È ormai palese, infatti, che un’attività psicofisica armonizzata con
le motivazioni della personalità può rivelarsi la chiave dell’equilibrio
psicosomatico individuale; un equilibrio sempre più precario perché
minacciato dalla visione tecnologica della persona che, in funzione del
mito della produttività, tende a separare le attività psicoideative da
quelle psicomotorie, destinando alle seconde una funzione meramente
esecutiva.
Come ormai appurato, motilità, intelligenza e affettività non sono
entità distinte ma, al contrario, aspetti diversi e strettamente correlati
della personalità.
Educare separatamente fisico e psichico è stato l’errore di quanti,
partendo da una visione cartesiana dell’individuo, hanno tenacemente
tenuto separato l’intelletto (in nome di un ipotetico primato di questo)
dal vissuto corporeo e da tutte quelle implicazioni cognitive, emotive
e sociali che tale vissuto comporta.
Gli ultimi dieci anni sono stati caratterizzati, invece, da un notevole
incremento dello sport amatoriale. La moda coinvolge ormai non solo
coloro che al termine dell’attività agonistica desiderano conservare
una buona forma fisica, ma anche neofiti dello sport motivati
principalmente dalla ricerca di un nuovo equilibrio psicofisico.
Lo sport non è più solo un fenomeno di massa ma trova nuovi tipi
d’applicazione anche a livello psicoterapeutico. I disturbi dell’umore e
di carattere psicosomatico sembrano trarre particolare beneficio da
questo genere di canalizzazione dell’aggressività.
Il campo della psicologia dello sport non si esaurisce pertanto con
la pura applicazione per l’atleta d’alto livello, ma oltrepassa i confini
dello sport agonistico per dedicarsi alla massa, all’handicap e a tutti
coloro che possono trarre beneficio da un’equilibrata attività fisica.
In ogni caso è ancora l’atleta di alto livello a ricevere il massimo
dei benefici dalla psicologia applicata allo sport. In questo campo
dobbiamo però precisare che, sebbene sia stato chiesto anche troppo
alla psicologia da quando si occupa di sport (come “trasformare un
uomo in un campione”, “fabbricare un atleta”, “escogitare formule
magiche invincibili contro le sconfitte”), questa non può essere
considerata alla stregua di una formula infallibile contro l’ipotetica
sconfitta dell’atleta o del gruppo sportivo.
Verosimilmente, la psicologia sportiva può soltanto potenziare le
abilità cognitive emotive dell’atleta, migliorando le sue capacità
d’attenzione e concentrazione, la sua capacità, i suoi tempi di
reazione, il controllo della sua reattività allo stress e la sua capacità
d’apprendimento psicomotorio.
La psicologia dello sport pertanto:
™ analizza i processi mentali e gli effetti della pratica sportiva
sulla persona.
™ è finalizzata a far conseguire benessere e salute e a favorire
l’incremento della prestazione (Schilling G., Pilz G., 1974).
™ può sostenere l’individuo ed il gruppo nella gestione delle
richieste del compito e situazionali, aiutando a fronteggiare i
problemi in conformità a capacità e bisogni.
™ offre una gamma di conoscenze che contribuiscono alla
crescita della persona ed allo svolgimento ottimale delle
attività motorie.
1.1 Rapporto fra sport e scienza.
L’allenamento sportivo sta divenendo sempre più scientifico e in
effetti, scienza e sport è un binomio che sempre più frequentemente
viene chiamato in causa (Gueron E., 1974). Se è vero che i risultati
sportivi vengono ormai attribuiti non solo al talento naturale, ma
anche all’intervento della scienza, volta a ottenere il massimo
rendimento da parte dell’atleta, è altrettanto vero che sempre più
spesso la Scienza dello Sport viene identificata con le manipolazioni
farmacologiche, che possono portare a una pericolosa mentalità
farmacodipendente che andrebbe combattuta con tutte le forze (Benzi
G., Bellotti P.,1990).
La stessa prestazione sportiva può essere definita un vero e proprio
evento scientifico: lo studio e la valutazione dell’atleta prima, durante
e dopo la prestazione sono il principale obiettivo della scienza
applicata allo sport. Lo sport di alto livello è infatti l’espressione del
massimo livello che il corpo umano può raggiungere (in destrezza,
velocità, resistenza, precisione, forza, potenza esplosiva).
I metodi di allenamento utilizzati per raggiungere prestazioni di
eccellenza sottintendono la presenza, tra le quinte, di competenze di
alto livello scientifico. Spesso, infatti, alle spalle degli atleti vi sono
specialisti di grande competenza e di livello culturale specifico
(allenatori, tecnici, fisiologi, psicologi, medici dello sport).
A volte si considera la psicologia applicata allo sport un mero
strumento per far sì che la macchina umana esprima il massimo di se
stessa, ma in questo modo l’atleta subirebbe un processo di
disumanizzazione, diventando una specie di “burattino vivente” nelle
mani dello psicologo. Di fronte al progresso scientifico nel settore,
invece, gli atleti hanno vissuto un’analoga trasformazione, vivendo la
loro attività agonistica in modo più attivo e partecipativo.
L’immagine dell’atleta, inteso come essenza di muscolarità in
antitesi all’uomo di cultura è ormai scomparsa. Fatta eccezione per
pochi sport, la maggior parte degli atleti oggi vive la propria
condizione professionale con spirito di ricercatore. Sempre più spesso
l’atleta analizza la sua performance con strumenti obiettivi, come se
studiasse il proprio corpo in movimento dall’esterno.
L’atleta che sale sul podio non è più quello che affronta le
competizioni solo con la fatica e l’energia muscolare, ma chi, magari
fisicamente meno dotato, studia e approfondisce la conoscenza di ogni
sua qualità e, analizzando le sue performances con metodi rigorosi,
riesce a vincere ugualmente.
1.2 Dal mondo greco alle moderne palestre.
Nel mondo antico non c’erano libri di allenamento sportivo né
scuole di metodo per allenare gli atleti. Non esisteva nemmeno il
vocabolo allenamento e tanto meno la locuzione “allenamento
sportivo”, anche se in fondo gli antichi svolgevano tutta una gamma di
attività che si possono ricondurre senza dubbio, a questo fenomeno.
L’allenamento sportivo è un fatto moderno: nell’antichità si
pensava alla salute, alla bellezza, alla guerra, non solo ad accrescere la
prestazione fisica. Certamente in Ippocrate di Cos, il famoso medico
greco, non si può riconoscere una teoria dell’allenamento, in quanto
egli, pur consigliando e prescrivendo gli esercizi fisici e una dieta
appropriata, non li considerava utili ai fini della prestazione, ma solo
per conservare lo stato di salute. Anzi, sconsigliava addirittura il
raggiungimento di una “condizione atletica”, non essendo questo uno
stato naturale, ma piuttosto una forzatura della natura.
E se è vero che a Sparta prevalse, almeno in un primo tempo, una
visione militare degli esercizi fisici, ad Atene i giovani ricercavano nel
movimento non una strada per l’atletismo professionale, ma piuttosto
un ideale di coraggio, salute e bellezza, identificabile nella teoria
“Kalogakathia”: l’uomo valoroso doveva essere anche bello e buono.
Quello che è innegabile è che gli antichi ritenevano che fosse
necessario e indispensabile esercitare il proprio organismo: anche
celebrati campioni, che la fama voleva figli di divinità, non potevano
esimersi dalla pratica continua del movimento: si dice che Milone di
Crotone sviluppò la sua forza muscolare cominciando a sollevare un
piccolo vitello e continuando tale pratica di sollevamento tutti i giorni,
con il risultato di riuscire a innalzare sopra la sua testa un bue (ottimo
esempio della progressività e della gradualità dell’esercizio fisico).
Pur nella scarsità dei dati disponibili, sono innegabili certe
intuizioni degli antichi in merito all’esercizio fisico e alla sua
conduzione nel tempo. Gli atleti che partecipavano ai Giochi Olimpici
dovevano prepararsi per un arco di tempo di dieci mesi, seguito da un
altro periodo di un mese, durante il quale effettuavano veri e propri
test nonché gare preparatorie, sempre controllati da esperti scelti per
l’occasione.
Risulta evidente che dedicare molti mesi all’allenamento era
senz’altro possibile, perché gli uomini liberi (i nobili) non avevano
altra occupazione, ma questo non era dettato dalla necessità di
rispettare principi metodologici definiti: è un dato di fatto, però, che il
molto tempo disponibile rendeva possibile la modulazione della
preparazione (altro basilare presupposto dell’allenamento).
L’agone greco era caratterizzato da un altissimo livello di
competitività al punto che alcune gare comportavano non solo la
sconfitta dell’avversario ma anche, potenzialmente, la sua distruzione.
Per vincere all’atleta non era necessaria solo la forza fisica, ma
doveva essere dotato di “métis” ovvero di intelligenza astuta che gli
permettesse di cogliere l’occasione, di ribaltare le forze in campo e di
giungere alla vittoria (Manetti G., 1988).
La palestra che può essere considerata come il primo impianto
ginnico dell’antichità viene fatta risalire al 700 a.C., dal momento che
già esisteva ai tempi di Solone il quale ne regolamentò il
funzionamento attraverso una serie di leggi. A quella data,
verosimilmente, bisogna far risalire l’apparizione di veri e propri
professionisti dell’arte di addestrare gli atleti. Questi pionieri
dell’allenamento erano i Pedotribi e i Ginnasti. Prima di questi, il
compito di addestrare gli atleti era affidato ai vecchi atleti che, in virtù
della loro esperienza e maestria, potevano fornire consigli e guidare la
preparazione. Perciò solo in seguito la teoria venne in aiuto della
pratica, fornendo indicazioni e dati sperimentali sulla natura
anatomica dell’organismo e sul suo modo di funzionare.
Il pedotriba letteralmente era “colui che addestrava i fanciulli”,
poiché a lui si richiedevano non solo conoscenze specifiche sugli
esercizi fisici, ma anche sulla dietetica e sul regime di vita più
conveniente per un atleta.
Con il termine ginnasta, invece, si indicava all’inizio non chi
praticava la ginnastica, ma chi la conosceva e poteva insegnarla,
accompagnando questo insegnamento con ampie conoscenze di
dietetica.