2
del nostro studio.
Questa tesi focalizzerà l’attenzione su alcuni scrittori e filosofi che hanno svolto la propria
attività tra la seconda metà del secolo XIX e la prima metà del XX: Dostoevskij-Nietzsche-
Camus. La linea che attraverserà e unirà l’analisi dei testi degli autori menzionati e dei testi
critici intende seguire il solco formato da una domanda: un solco di cui non si è visto e non
si vede il termine e che non finirà di essere tracciato; una domanda, a sua volta, che non
trova una formulazione definitiva, ma che rimanda ad un complesso insieme di
problematiche e che è il cardine della porta che il pensiero contemporaneo ha tentato di far
diventare passaggio, ma che forse ha raggiunto solo la soglia, la “linea”. La storia è dunque
quella del nichilismo, tracciata dai grandi personaggi dostoevskijani, dal pensiero di
Friedrich W. Nietzsche e di Martin Heidegger, dalla filosofia vivente di Albert Camus.
Tuttavia se questo studio intende seguire la nascita e l’evoluzione di questa tematica, è ad
un’altra problematica, strettamente connessa alla prima, che intende guardare più da vicino:
quella delle possibilità che si aprono “oltre” la porta del nichilismo.
Il fulcro della questione si sposta così dal pensare e pensare a fondo il nichilismo e la sua
storia, al vivere la nostra esistenza come questo pensiero, o meglio al tentativo di capirne le
implicazioni nella nostra quotidianità. Per far ciò non bisogna distogliere lo sguardo dalla
voragine apertasi nelle nostre vite, che oscillano tra il “furore” della domanda e l’angoscia
della risposta.
E’ evidente, a questo punto, che il percorso non finisce su quell’orlo, “sulla linea” infinita
che confonde orizzonti e imbrunisce la nostra razionalità. Quest'atteggiamento è la paralisi.
Non basta prenderne atto come fosse un reperto, di cui sapere gli estremi per poi archiviarlo.
Non basta ridurre i termini del problema a schemi prefissati, rimandarli a questioni affini,
3
renderli solo un momento nella storia della filosofia. Il nichilismo non va normalizzato.
Neppure il nichilismo va mascherato da filosofia inaccessibile.
La posizione che qui si assume è che il nichilismo vada vissuto e sperimentato
personalmente, reso tempo e rottura del tempo, memoria e infinito schiudersi delle
possibilità.
Sono queste stesse considerazioni che aprono lo studio ad un autore, filosofo, romanziere,
drammaturgo, che dà alla nostra problematica la necessità di pensarsi nel movimento della
vita. Di quest’autore, Albert Camus, seguiremo il percorso, attraverso le sue opere, per
comprendere-scoprire il passaggio che ci porterà dalla critica nietzschiana, dalla
“trasvalutazione di tutti i valori” all’analisi del nichilismo (dei nichilismi), alla “linea”
heideggeriana fino al punto estremo di non-ritorno della possibilità di oltrepassare quella
“linea”, di aprire la porta. Noi l’apriremo non perché riterremo conclusa e risolta la
questione del nichilismo, ma perché riteniamo impellente decidere il da farsi per le nostre
vite, piuttosto che stare in bilico sulla soglia, imbrigliati in un infinito ritornare sui propri
passi del pensiero, sicuri che la risoluzione di andare oltre la porta non significhi
raggiungere uno stato di certezze, ma rimanere ancora in errante equilibrio su un filo,
l’unico percorso che si prospetta.
E’ per questo motivo che risulterà chiaro che, per chi scrive, questo lavoro si presenta come
una necessità. E’ innegabile che oltre all’interesse speculativo vi sia la concretezza di una
domanda che ha nel vissuto le proprie radici: come vivere dopo aver raggiunto “la linea” del
nichilismo? Quale rapporto con se stessi (troveremo interessante conferma di questo
interrogativo e delle prime risposte ne Il mito si Sisifo di A. Camus), quale libertà, quale
confronto con “l’altro” (anche qui una conferma e una risposta ne La peste e ne L’uomo in
4
rivolta di A. Camus)? Può sembrare paradossale ma alcune risposte le cercheremo, prima
che in Camus, in uno scrittore come Dostoevskij, che ha operato prima dello sviluppo del
nichilismo, così come lo abbiamo conosciuto nell’ultimo Nietzsche e nel ‘900, ma che ne ha
anticipato e criticato aspetti importanti. Guarderemo, a tal proposito, alla creazione
letteraria in quanto pensiero che trova espressione nel movimento contraddittorio
dell’esistenza, carico di possibilità e degli infiniti percorsi, della “carne” delle storie degli
uomini. Vedremo emergere di volta in volta, come riferimenti della nostra ricerca, i
personaggi creati da F. M. Dostoevskij nei suoi maggiori romanzi.
5
Breve storia del nichilismo
Come si è potuto evincere dalle pagine precedenti, si rende necessario delineare una breve
storia del nichilismo al fine di inquadrare correttamente il contesto in cui ci muoveremo.
Con tutta l’estrema complessità della sua problematizzazione, il nichilismo è il varco che,
nello stesso tempo in cui addita i confini che lo sostanziano, sprofonda le nostre menti in
abissi che ci rimandano ai non-luoghi del pensiero, a un’impossibile quanto disperante
stabilità dell'io.
Quel che interessa è la possibilità di partire da orizzonti - è forse possibile affermare che il
nichilismo è un orizzonte e un moltiplicatore di orizzonti, una curvatura, nello sguardo,
della storia, della liquidità del tempo che fa svanire il senso, i sensi.
Le origini del termine
e primi sviluppi.
E’ stato spesso rilevato, nei diversi studi sul nichilismo
1
, che le origini del termine vanno
fatte risalire agli anni tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, quando nella
filosofia tedesca si accesero le polemiche sul criticismo kantiano e sull’idealismo – ci si
riferisce in particolar modo alla polemica tra Jacobi e Fiche, per cui il desolante paesaggio
aperto dall’idealismo del secondo, in quanto erosione dell’esistenza della realtà esterna
nell’esistenza dell’io, fa pronunciare al primo un’accusa di nichilismo –. Nonostante
l’importanza di questi primi dibattiti, crediamo che sia possibile fare un passo avanti per
1 Cfr. Verra, Valerio, “Nichilismo”, in Enciclopedia del ‘900 – Treccani, vol. IV, 1979; inoltre
Vercellone, Fedrico, Introduzione a Il nichilismo, Roma-Bari, Laterza, 1994
6
analizzare ciò che il termine indica nell’uso più conosciuto che è quello che rimanda da un
lato alla grande stagione dei romanzi russi dell’Ottocento (Turgenev e Dostoevskij), dove il
nichilismo è indicato come “corrente di pensiero e di azione ateistica, materialistica,
positivistica e rivoluzionaria”
2
, e dall’altra al pensiero di F. W. Nietzsche in quanto
denuncia del compimento della storia della metafisica come processo di decadenza.
Il nichilismo nella letteratura russa dell’Ottocento.
“Padri e Figli” di I. Turgenev.
Passando a considerazioni puntuali sul nichilismo nella letteratura e nella cultura russa
della seconda metà dell’Ottocento, ci soffermeremo sui tratti qualitativi di cui Valerio Verra
si serve per definire la figura del nichilista.
“…rifiuto sdegnoso di qualsiasi autorità; fiducia entusiastica nella scienza e nei suoi metodi;
cinismo e gusto del paradosso spinti sino alla sfrontatezza, specie nel conflitto
generazionale tra ‘padri e figli’; scetticismo sulla possibilità di un qualsiasi mutamento
graduale della situazione politica e predilezione per il gesto eroico, anche terroristico;
negazione di qualsiasi valore ancorato a basi metafisiche e religiose (sia pure, come nei
personaggi di Dostoevskij, attraverso un dibattito molto teso e doloroso); e, infine,
svalutazione dell’arte, se intesa come semplice espressione di sentimenti estetici individuali,
considerati sterili, antiquati e rinunciatari, e non come strumento per
servire la ‘causa del popolo’.”
3
2 Verra, Valerio, “Nichilismo”, Enciclopedia del ‘900 - Treccani, op. cit., pag. 778 col. 1
3 Ivi, pag. 778 col. 2.
7
E’ indubitabile che Verra sia riuscito nell’intento di fermare nella sua essenzialità il
“nichilista”. Si deve però sottolineare il fatto che il nichilismo incarnato dai personaggi di
Dostoevskij è suscettibile di sviluppi più complessi, di tematiche di più ampio respiro. I
tratti sopra riportati sono sicuramente più aderenti al protagonista del romanzo di Ivan
Turgenev, apparso nel 1862, Padri e figli, in cui la figura del nichilista appare per la prima
volta nella letteratura mondiale. Lungi dal voler esaurire in questa sede l’analisi di un’opera
che ha significati e rimandi più profondi
4
, in effetti il romanzo trova il suo perno nei
pensieri e nell’azione di Bazarov, un giovane medico e scienziato che si pone come “eroe
della negazione”
5
, pronto a rompere con le tradizioni, con l’autorità, con l’immobilismo
paralizzante della società russa, di fronte alla quale il protagonista decide di assumere un
atteggiamento severo di denuncia delle apparenze, delle forme vuote del comportamento
irrigidito dal senso comune e dalle menzogne silenziose, ma fortissime che cementano i
rapporti personali. Si presenta qui uno dei momenti cruciali del romanzo, quello del
confronto- scontro tra due modi di vivere, di porsi verso il mondo, opposti: Pavel Petrovic
Kirsanov e Bazarov. Bazarov, costantemente votato alla ricerca della verità per smascherare
i principi ritenuti assodati, è definito da Arkadij, suo amico e potremmo dire allievo,
“nichilista” e più avanti spiega: “Un nichilista è un uomo che non s’inchina davanti a
nessuna autorità, che non accetta nessun principio come fede, di qualunque rispetto questo
principio sia circondato”
6
. Bazarov ci conduce nel suo cammino fatto di disancoraggio dalla
4 Cfr. Vercellone, Federico, Introduzione a Il nichilismo, Roma-Bari, Laterza, 1994, pagg. 42-43;
Strada, Vittorio, “Leggendo Padri e Figli”, in “Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa”,
Torino, Einaudi, 1969, pagg. 15-45
5 Vercellone, Federico, op. cit., pag. 43
6 Turgenev, Ivan, Padri e figli, Torino, Einaudi, 1998, pagg. 26-27
8
metafisica e di forte pragmatismo, che spinge il protagonista ad accentuare il momento
dell’azione, la necessità di “far piazza pulita”
7
. E’ un atteggiamento che proprio in quanto
mirante ad un’estrema efficacia dell’agire, lascia intuire un orientamento
positivistico, scientista. Stesso atteggiamento positivista che Bazarov mostra verso l’arte
vista come vacuo momento espressivo di sentimenti individuali improduttivi per i metodi e
gli scopi scientifici. “Un discreto chimico è venti volte più utile di qualsiasi poeta”
8
,
afferma.
Seguendo coerentemente questi propositi Bazarov finisce però con il raggiungere le secche
della ragione. Ci illumina su questo punto Vercellone: “Questa sorta di rigida corazza
ideologica e morale non regge tuttavia dinanzi agli urti della realtà. (…) la seconda parte
del romanzo costituisce il contraltare della prima; essa sembra rivelare che – agli occhi di
Turgenev – il conflitto tra il radicalismo ideologico e la natura umana non può che condurre
alla vittoria della seconda”
9
. Bazarov e, in misura maggiore, il suo amico Arkadij trovano
nell’amore vissuto quella forza sconosciuta alle loro idee “materialistiche e antiromantiche a
proposito del rapporto tra i sessi.”
10
I passi dei due amici si allontanano, ma le rispettive vite non sono destinate a concludersi
allo stesso modo. Arkadij liberatosi della “corazza ideologica”, può riprendere contatto con
un mondo fatto di tradizioni solide, di lavoro e di amore.
“Bazarov consuma la sua antiromantica aspra energia virile in una contraddittoria passione
infelice per una donna che è il frutto suntuoso di tutta quella raffinata e oziosa cultura che
7 Ivi, pag. 58
8 Ivi, pag. 30
9 Vercellone, Federico, op. cit., pag. 46
10 Ibidem
9
egli assolutamente denega. E’ questo che, colpendo alla radice il suo sconfinato orgoglio
intellettuale, gli fiacca la volontà di vita prima ancora che la morte, con la casualità
necessaria d’un fato tragico, lo colga.”
11
Sarebbe qui opportuno concludere questa breve analisi del romanzo di Turgenev
facendo riferimento alle tracce di significati più profondi, che l’autore ha lasciato
dentro l’opera. Non sembra sufficiente, infatti, fermarsi alla superficie dove basterebbe
seguire gli sviluppi più o meno coerenti del vissuto di Bazarov nella sua morte. Vittorio
Strada ha individuato nel “pessimismo pascaliano- schopenhaueriano dell’autore” il reale
sostrato della visione del mondo di Turgenev: “Il nichilismo rivoluzionario di Bazarov è più
che politico e le condizioni storiche della Russia di allora non costituiscono la causa
sufficiente dell’inapplicabilità concreta del suo estremismo etico- intellettuale, che si colora
del pessimismo pascaliano- schopenaueriano dell’autore.”
12
Il termine “nichilismo” non basta a spiegare totalmente né il personaggio Bazarov, né
tantomeno il pensiero di Turgenev. Rimandiamo allo scritto di Strada per l’approfondimento
dell’influenza di Pascal e di Schopenhauer su Turgenev nel delineare la figura di Bazarov e
tutta la struttura di Padri e Figli. Basta sottolineare come “l’elemento pascaliano, spogliato
del suo significato religioso, come doveva essere necessariamente per entrare nella
concezione di Bazarov, viene assoggettato a una diversa intuizione del mondo,
materialistica- schopenhaueriana”.
13
“La 'rapacità' di Bazarov (…) è anche la sua solitudine
11 Strada, Vittorio, op. cit., pag. 41
12 Ivi, pag. 42
13 Ivi, pag. 39
10
metafisica, nutrita dal pessimismo e impersonalismo schopenhaueriano e dal pascaliano
senso del ‘problema dell’uomo’, senza la sua risoluzione religiosa, naturalmente.”
14
Strada richiama Herzen per poter definire il nichilismo di Bazarov, intriso di tragicità, ma
bilanciato da una disposizione “epicurea”: “Noi crediamo ancora, entro certi limiti,
che si possa parlare di un nichilismo tragico di Schopenhauer – il filosofo della morte
– o di un nichilismo epicureista di certi spettatori noncuranti delle tribolazioni umane,
di testimoni inattivi delle lotte sanguinose, che si tengono lontani dalla partecipazione dei
dolori e dalle passioni dei loro contemporanei; ma parlare di un nichilismo di giovani
ardenti e generosi che si danno delle arie di scetticismo disperato è un grave errore.”
15
Il nichilismo e i movimenti rivoluzionari russi degli anni Sessanta.
Non deve sembrare inopportuna una trattazione così lunga dell’opera di Ivan Turgenev
all’interno della breve storia del nichilismo che si sta delineando. E’ evidente, infatti,
l’importanza di un romanzo come Padri e figli che si segnala per essere la prima opera ad
occuparsi del nichilismo in un’accezione più vicina a quella oggi in uso.
In particolar modo è la prima volta che viene raffigurato il “nichilista” in Russia, che
proprio in quegli anni vedeva la nascita e l’affermazione di vari movimenti rivoluzionari cui
veniva dato, in alcuni casi senza una vera giustificazione, il nome di “nichilisti”.
Gli anni Sessanta del 1800 sembrano così aprirsi con l’eroe Bazarov, continuare
tumultuosamente seguendo le vicende legate ai rappresentanti del radicalismo russo, e
14 Ivi, pag. 41
15 Ivi, pag. 41- 42
11
chiudersi con l'elaborazione di quel romanzo, che di quei fatti è impregnato, e che vedrà poi
la luce nel 1871: I demoni di Fedor M. Dostoevskij. Non possiamo qui soffermarci sulle
differenze che intercorrono tra l’opera di Turgenev e quella di Dostoevskij. Basta dire che
ne I demoni il problema del nichilismo acquista più profondità teorico- psicologica, il che
permette all’autore di mostrare i diversi aspetti del nichilismo stesso. D’altronde
quando nel corso di questo lavoro avremo modo di dedicare più spazio al romanzo di
Dostoevskij, ciò potrà essere facilmente riscontrabile.
Qualche parola in più dobbiamo spenderla sulla vasta area di movimenti, a cui abbiamo
accennato, che sono il sostrato storico e filosofico-politico dei romanzi dei due grandi
scrittori russi.
Dei rappresentanti più importanti, D. I. Pisarev è l’unico che accettò esplicitamente la
definizione di “nichilista”. Egli, infatti, si riconobbe nella descrizione che Turgenev fornì
della nuova generazione radicale. Anche Pisarev e i suoi collaboratori, riuniti attorno alla
rivista “Russkoe slovo”, sostenevano un materialismo di stampo positivistico, strettamente
legato alla diffusione delle scienze naturali e ad un’etica utilitaristica in funzione
dell’emancipazione dell’individuo dai legami tradizionali con la famiglia, la società e la
religione. Come ben sottolineato da Federico Vercellone, “in ciò c’era ben poco di
nichilistico, perlomeno nel senso dell’indifferentismo ideale o etico; al contrario si trattava
di un atteggiamento molto prossimo al fanatismo. E, forse, proprio in quanto fanatismo
possiamo trovare un atteggiamento che, a buon diritto, si può definire 'nichilistico’, un
esasperato desiderio di coerenza che si spinge sino alla negazione radicale (…) dei valori
12
più universalmente assodati.”
16
Accanto a questo carattere emerge anche la natura elitaria
del movimento: “Il nichilismo di Pisarev e dei suoi accoliti non mirava a un’emancipazione
collettiva, non si fondava su forze quali ‘il popolo’ o ‘i contadini’.”
17
Era invece incentrato
su quello che si definiva “egoismo razionale”, volto a una formazione che mettesse in grado
le singole individualità di fondarsi su se stesse, liberate così da ogni conformismo sociale,
da qualsiasi tipo di romanticismo. “Si trattava di un atteggiamento che poteva prestarsi a
coagulare intorno a sé la nuova élite tecnica e imprenditoriale.”
18
Gli esiti furono diversi per il mitigarsi di alcune posizioni verso l’egualitarismo e per “il
radicarsi dei redattori del 'Russkoe slovo’ nelle tradizioni dei moti del ’48.”
19
Dopo queste esperienze il termine “nichilismo” si riferirà ai gruppi più propriamente
terroristici. “In altri termini non avremo più a che fare con un universo ideologico e politico
che si riconosce in una definizione perlomeno di primo acchito negativa, comunque
provocatoria.”
20
Eppure il terrorismo rivoluzionario che avanza sulla scena politica russa
con i primi attentati, organizzato soprattutto attorno alla figura carismatica di Nikolaj
Andreevic Isutin (“Organizzazione” era il nome dell’associazione), non si definisce
“nichilista”.
“La stessa commistione di dedizione al compito rivoluzionario ed enfasi sull’azione che fu
propria dell’Organizzazione di Isutin caratterizza (…) Sergej Gennadevic Necaev.”
21
Lo
scopo ultimo, per quest’ultimo, era la realizzazione della “piena libertà della personalità
16 Vercellone, Federico, op. cit., pagg. 50-51
17 Ivi, pag. 51
18 Ibidem
19 Ibidem
20 Ivi, pag. 53
21 Ivi, pag. 54
13
rinnovata”. Era quindi necessaria la rivoluzione. La struttura dell’organizzazione, da cui la
descrizione che troviamo ne I demoni, era fortemente accentrata e nel suo interno gli
individui diventavano strumenti per la causa rivoluzionaria. E’ proprio questa cieca fede
negli scopi ultimi dell’associazione che permette di dedurre un’assoluta liceità nell’uso
dei mezzi: “Una sorta di vuoto etico viene a crearsi là dove il primato dello scopo si
fa assoluto.”
22
All’interno di questo modo di pensare trova giustificazione anche una
riduzione delle persone alla loro mera funzionalità, salvo poi ad ucciderle quando erano
sospettate di tradimento (“Violenza per il corpo, menzogna per l’anima” era il motto di
Necaev, indirizzato sia ai nemici esterni sia interni all’organizzazione). L’esempio ci è
fornito dall’uccisione dello studente Ivanov che ebbe forte eco nel romanzo I demoni di
Dostoevskij.
Il significato del nichilismo in F. W. Nietzsche.
Pur essendo consapevoli della crucialità del pensiero di Friedrich Nietzsche nella
definizione del nichilismo, in questa sede, per motivi di brevità, accenneremo solo ai punti
decisivi.
Con Nietzsche il termine “nichilismo” assume delle valenze che non sono più solo in
relazione con l’atteggiamento etico, politico o religioso, ma rimandanti ad una
caratterizzazione più strettamente storico-filosofica. Esso diventa, infatti, “un principio
complessivo di spiegazione e interpretazione dell’intero corso della nostra civiltà (…), visto
come inesorabile processo di una decadenza destinata a manifestarsi in modo sempre più
22 Ivi, pag. 55
14
clamoroso e totale.”
23
Questo processo, per Nietzsche, ha le sue radici nel mondo greco che,
specificatamente con Socrate e Platone, ha contrapposto un mondo ritenuto “vero” e
portatore di valori assoluti al mondo vissuto, reale, che è stato così svalutato e negato.
Fondamentale diviene l’incontro del cristianesimo con il platonismo. Il cristianesimo esalta,
infatti, agli occhi di Nietzsche, quel trascendere il mondo già presente in Platone con la
distinzione tra mondo sensibile e mondo ideale.
Non possiamo seguire qui l’articolata analisi che Nietzsche dedica al cristianesimo e alla
morale tradizionale, che lo conducono a criticarne i valori, dimostratisi falsi, “per dire di ‘si’
alla vita con la dottrina dell’eterno ritorno e la affermazione della ‘volontà di potenza’ come
impegno a realizzare pienamente la vita in tutte le sue possibilità, quelle possibilità che la
morale e la religione tradizionali hanno negato e mortificato.”
24
Il nichilismo nietzschiano
non va però confuso con una semplice attività smascherante che dissolve falsi orizzonti di
senso. Egli, più a fondo, evidenzia il forte indissolubile legame tra tutta la nostra tradizione
culturale e il nichilismo stesso. All’interno e al culmine di questo legame si fa sentire, in
tutta la sua potenza, l’annuncio della morte di Dio. “Dio muore al culmine della metafisica
occidentale che ha cercato la verità sotto il velo dell’apparenza, fino a mettere in questione
l’Ente che garantiva la saldezza millenaria di tutto il complesso architettonico.”
25
Venuto
meno Dio, viene meno l’idea di uomo – “fune sospesa tra l’animale e il superuomo, – una
fune sopra l’abisso.”
26
–. “La morte di Dio esige il sorgere di una specie superiore
all’umanità storica in grado di reggere allo sgretolamento di ogni orizzonte che fa seguito al
23 Verra, Valerio, op. cit., pag. 778 col. 2
24 Ivi, pag. 779 col. 1
25 Vercellone, Federico, op. cit., pag. 67
26 Nietzsche, Friedrich W., Così parlò Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, § 4, Roma, Newton
Compton, 1980, pag. 32
15
venire meno dell’Ente supremo.”
27
Questo “superuomo” deve essere capace di svincolarsi,
dal cammino della filosofia europea, all’apice del quale “il mondo vero è diventato favola”.
La trasvalutazione di tutti i valori e la morte di Dio portano, come si è visto, all’infrangersi
dell’universo simbolico tradizionale, ma insieme viene a cadere l’idea di una temporalità
lineare, che si articola in passato presente e futuro, ciascuno irripetibile, la qual cosa
“implica che ogni momento ha senso solo in funzione degli altri sulla linea del tempo (…);
in essa, ogni attimo è un figlio che divora il padre (…) ed è destinato a propria volta ad
essere divorato.”
28
In questa struttura del tempo, da Gianni Vattimo definita “edipica”
29
,
non è possibile felicità in quanto nessun momento contiene in sé una pienezza di senso.
Nietzsche matura una nuova visione della temporalità: l’eterno ritorno dell’uguale. Con
l’idea dell’eterno ritorno dell’uguale bisogna accettare che tutto torni, accogliendo “come un
evento positivo ciò che a prima vista sembrerebbe configurarsi come l’estrema vacuità di
un’esistenza spodestata del suo significato ultimo.”
30
Proprio questo significato dell’eterno
ritorno sembra essere “la forma estrema del nichilismo” e lo ritroviamo nel gruppo di
frammenti intitolato da Nietzsche “Il nichilismo europeo”: “Pensiamo questo pensiero nella
sua forma più terribile: l’esistenza, così com’è, senza senso e scopo, ma inevitabilmente
ritornante, senza un finale nel nulla:‘l’eterno ritorno’. E’ questa la forma estrema del
nichilismo: il nulla ('la mancanza di senso’) eterno!”
31
E’ riconoscibile in questo passaggio,
come in altri aforismi già a partire dal 341 de La gaia scienza e in modo forte in Così parlò
Zarathustra, il doppio senso dell’idea dell’eterno ritorno: il senso morale e quello
27 Vercellone, Federico, op. cit., pag. 69
28 Vattimo, Gianni, Introduzione a Nietzsche, Roma-Bari, Laterza, 1997 (10° ediz.), pag. 85
29 cfr. Vattimo, Gianni, Il soggetto e la maschera, Milano, Bompiani, 1996, pagg. 249 segg.
30 Vercellone, Federico, op. cit., pag. 73
31 Nietzsche, F. W., Opere, Vol. VIII, tomo I, Frammenti Postumi 1885-1887, 5 (71), a cura di G.
Colli e M. Montanari, Milano, Adelphi, 1975, pag. 201
16
cosmologico.
32
Al culmine del nichilismo, nell’eterno ritorno dell’uguale, si annuncia il suo
stesso compimento e il suo superamento. L’eterno ritorno si mostra nel suo essere
fondamentalmente affermativo e selettivo. E’ il dire di si alla vita, l’essere fedeli alla terra.
Alla luce di quanto detto il nichilismo nietzschiano può mostrarsi, chiarendosi, nel suo
duplice volto di nichilismo attivo e passivo: attivo è il nichilismo che smaschera i valori
della tradizione, che fa erompere le energie compresse in una trasvalutazione di tutti i valori,
opponendosi così al nichilismo passivo che appartiene alla storia della metafisica che vota
l’esistente al suo nulla:
“I Il nichilismo come stato NORMALE.
Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al ‘perché’; che cosa significa nichilismo? – che i
valori supremi si svalorizzano.
Esso è AMBIGUO:
A) Nichilismo come segno della cresciuta potenza dello spirito: come NICHILISMO ATTIVO.
Può essere un segno di forza: l’energia dello spirito può essere cresciuta tanto, che i fini sinora
perseguiti (“convinzioni, articoli di fede”) le riescano inadeguati. (…)
B) Nichilismo come declino e regresso della potenza dello spirito: il NICHILISMO PASSIVO:
come segno di debolezza: l’energia dello spirito può essere stanca, esaurita, in modo che i fini
sinora perseguiti sono inadeguati e non trovano più credito;
la sintesi dei valori e dei fini (su cui riposa ogni forte cultura) si scioglie, in modo che i singoli
valori si fanno la guerra: disgregamento;
tutto ciò che ristora, guarisce, tranquillizza, stordisce, sarà in primo piano, sotto diversi
travestimenti, religiosi o morali o politici o estetici, ecc.”
33
32 cfr. Vattimo, Gianni, Introduzione a Nietzsche, op. cit., pagg. 85-88
33 Nietzsche, F. W., Opere, Vol. VIII, tomo II, Frammenti Postumi 1887-1888, 9 (35), op. cit.,
pagg. 12-13