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Ai fini di un'esposizione più succinta e vivace è stato necessario
isolare determinati temi narrativi e per questo ci siamo avvalsi
dell'appoggio del lavoro di Vladimir Propp, Morfologia della fiaba.
Una volta definiti i motivi predominanti della storia, il nostro studio
ha preso in considerazione la maniera in cui questi motivi vengono
trattati dai diversi autori, sottolineando eventuali differenze o
somiglianze.
Nella parte finale ci siamo soffermati sul modo e sulla quantità in cui
queste opere contribuirono alla stesura del dramma shakespeariano,
e sugli eventuali cambiamenti apportati dall'autore sia da un punto di
vista stilistico, che narrativo, che linguistico alla storia originaria.
Desidero però precisare che il presente studio non presume di porsi
come una risposta definitiva ai vari problemi sollevati dalla critica
che si è occupata di tale opera in passato, né intende scavalcare le
sue conclusioni; al contrario, terrà conto dei rilievi e delle
osservazioni già formulati, utilizzandoli là dove si dimostrino
pertinenti.
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0. INTRODUZIONE
0.1. Avvio della favola
L’illusione che la vicenda degli infelici amanti veronesi sia stata
reale non ha ormai seguaci, neppure ingenui: la genesi della storia è
infatti tutta letteraria ed ha origini molto antiche che risalgono
probabilmente a fonti classiche.
Amanti infelici popolano da sempre le affabulazioni umane e la
letteratura vi è sempre ritornata, da Ero e Leandro a Tristano e Isotta,
da Paolo e Francesca a Giulietta e Romeo.
La prima cellula della nostra storia, sembrerebbe quella del racconto
ovidiano di Piramo e Tisbe: senonchè l'incidente della finta morte vi
sopraggiunge troppo presto, spegnendo sul nascere la vicenda stessa.
Un'altra componenete significativa della storia (il narcotico che
procura la morte apparente della donna) compare invece, benchè in
un contesto estrinsecamente avventuroso, nel romanzo greco
Ephesiaca di Senofonte da Efeso (v secolo d.C.), tradotto in inglese
solo nel 1727 e pubblicato in greco solo l’anno prima.
1
I due temi, dell'amore infelice e della morte apparente, si andarono
in seguito variamente intrecciando fin dalla leggenda bizantina della
1
In Senofonte, tuttavia, Anzia è ingannata da chi le dà il narcotico, un
medico al quale ella ha in realtà chiesto un veleno.
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moglie di re Salomone, che si finge morta per potersi liberare di lui e
vivere con l'amante.
A questa vicenda, variata da Chrétien de Troyes nel Roman de
Cligès, venne a sovrapporsi, nei primi anni del Quattrocento, la
singolare storia di Ginevra degli Almieri, la quale, sotterrata viva, si
risveglia ed esce dalla tomba; tornata a casa, è respinta dal marito
che la crede un fantasma: viene però accolta dall'uomo che l'ha
sempre amata senza speranza.
L'argomento viene poi toccato da Boccaccio in tre delle sue novelle
(Decamerone, III, 8). La Catalina è una Ginevra degli Almieri,
benchè cavallerescamente restituita al legittimo marito (x, 4);
un'altra morte apparente, ma coi ruoli scambiati (giacchè il
narcotizzato è un uomo), si trova nella novella IV, 10; e non manca
neppure una parodia beffarda di questa sorta di storie, quale la
vicenda del frate che, per godersi la moglie del geloso Ferondo, lo fa
morire con del vino avvelenato e lo tiene qualche mese in un finto
purgatorio, dal quale s'affretta a chiamarlo in vita quando la donna
resta incinta (III, 8).
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O. 2. Il racconto di Masuccio Salernitano
Come e quando si sia formata precisamente la storia degli amanti
veronesi, e per quali successive modificazioni e trasformazioni della
leggenda primitiva abbia preso consistenza, è difficile rintracciare:
ma un anello di congiunzione fra la favola antica e la leggenda
moderna della tragedia di Shakespeare si trova in un racconto di
Masuccio Salernitano, il più ragguardevole fra i novellieri italiani
del secolo XV. Nella novella XXXIII del suo Novellino, stampato
per la prima volta a Napoli nel 1476, si raccontano le avventure di
Mariotto Mignanelli e Gannozza Saracini, nelle quali si trovano
quasi tutti gli elementi del dramma shakespeariano. Qui, per la prima
volta, l'esilio dell'amante per avere ucciso in una rissa un suo
concittadino, le nozze a cui il padre vuole costringere la figlia,
l'intervento del frate agostiniano che ricorre al narcotico, l'incidente
fatale della lettera non recapitata e preceduta dalla notizia della
morte della ragazza, hanno esatto riscontro con i particolari
corrispondenti nel dramma shakespeariano.
Ma tale racconto conserva in parte il carattere primitivo della
leggenda originaria: le avventure amorose dei due giovani senesi
sono, in fondo, una storia d'amore come tante altre del genere; e,
cambiati i nomi, potrebbero essere di tutti i tempi. Manca in tale
racconto l'ambiente medioevale dei comuni italiani funestati da
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profonde lotte civili, quando fra cittadini di casate avverse si
prolungavano, di anni in anni, odi e vendette, ambiente che darà al
tragico fatto un carattere tutto proprio e creerà la storia degli amanti
veronesi.
O.3. La novella di Luigi Da Porto
Il merito di avere, se non creato, almeno raccontato per primo la vera
storia di Giulietta e Romeo, spetta a Luigi Da Porto, storico e poeta
vicentino, vissuto dal 1485 al 1529. Con la Istoria novellamente
ritrovata di due Nobili Amanti, composta nel 1524 e, in una
successiva edizione (s.a. ma circa 1530), espansa, Luigi Da Porto
fissa per la prima volta l'onomastica dei luoghi e dei nomi. I nomi
delle famiglie sono qui, per la prima volta, e suggeriti da un errata
interpretazione di un verso del Purgatorio (VI, 106), quelli dei
Montecchi e Cappelletti (attribuendo alla leggenda un preciso
background storico),
1
i due amanti si chiamano Romeo e Giulietta, e
perfino vi si annunziano Frate Lorenzo, Marcuccio Guertio
(Mercutio) e Thebaldo Cappelletti (Thybalt), e un Pietro servo, bensì
di Giulietta e non della sua balia. La scena è a Verona, e Mantova è
1
Per una soddisfacente panoramica di questa questione vedi Chiarini,
Giuseppe, Studi Shakespeariani, Livorno, Raff. Giusti, 1896 , (p. 225-231)
; e Brognoligo, Gioachino, La leggenda di Giulietta e Romeo nel volume
Studi di Storia Letteraria, Roma, Dante Alighieri, 1904, (p. 185-199).
10
il luogo in cui Romeo si rifugia dopo il bando. La storia differisce
soltanto in alcuni particolari, tra i quali i più significativi riguardano,
direi, il ritmo e la stagione: anzichè d'estate, il Da Porto immagina la
vicenda nel cuore dell'inverno.
La figura di Marcuccio è appena abbozzata e non ha parte alcuna
nell'uccisione di Thebaldo, che viene ucciso solo perchè è il più
accanito degli amici di Romeo. Come Marcuccio, non prende corpo
nemmeno la balia. Romeo non viene raggiunto dalla notizia che la
morte di Giulietta è apparente solo perchè il frate messaggero non lo
trova in casa. Il veleno non viene ceduto dallo speziale ma si trovava
già nel bauletto che Romeo s'era portato a Mantova. Trangugiato il
tossico nella tomba dei Cappelletti, accanto al cadavere della sposa,
Romeo fa tuttavia in tempo, prima di morire, ad assistere al risveglio
di Giulietta ed a scambiare qualche appassionata parola d'amore con
lei. Morto Romeo, e sorda alle esortazioni del frate ch'è venuta a
toglierla dal sepolcro, Giulietta si uccide soffocandosi. L'idea di far
seguire alla morte degli amanti la riconciliazione delle famiglie è di
Da Porto.
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O.4. Il poemetto di Clizia Veronese
Nel 1553 viene pubblicato a Venezia un poema intitolato "L'infelice
Amore dei due Fedelissimi Amanti Giulia e Romeo, scritto in Ottava
Rima da Clizia, nobile Veronese, ad Ardeo suo", il cui autore, da
come appare dalla dedicatoria dell'editore alla duchessa d'Urbino, è
il cavaliere Gherardo Boldieri, del quale abbiamo poche notizie.
1
Il poemetto, derivazione genuina del racconto portesco, è semplice
nello stile, svelto e spigliato nel verso e nell'ottava.
I fatti sono quelli raccontati da Da Porto ma riterrei opportuno
segnalare almeno alcune variazioni: Clizia per prima menziona la
supposizione della signora Cappelletti che la morte di Tebaldo è la
vera causa del dolore di Giulia, Romeo non cerca di uccidersi
quando apprende la notizia della morte della sua amata e congeda
Pietro regalandogli una collana d'oro.
0.5 La novella di Matteo Bandello
Da Da Porto le tragiche avventure degli infelici amanti veronesi
passarono a Bandello, il quale ne fece l’argomento di una delle sue
1
Mazzuchelli, Scrittori d'Italia, Brescia, Bossini, 1472, vol. II, (p. 1451), lo
conosce come amico di Bembo e come nipote del famoso medico
veronese Matteo Boldieri
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migliori novelle, comparsa per la prima volta nel secondo dei tre
volumi pubblicati a Lucca nel 1554. Nel passare dalle nervose mani
di Da Porto a quelle abbondevoli di Bandello, la storia non subisce
nessun mutamento estrinseco, ma va incontro ad una profonda
trasformazione narrativa. Bandello non è un imitatore passivo, e
anche là dove usa le stesse parole e le stesse frasi del suo
predecessore, fa tutt’altra cosa da lui. Così, se Da Porto era stato teso
ed essenziale, Bandello invece largheggia negli sviluppi, indugia nei
particolari, allunga dialoghi e gonfia discorsi: i suoi personaggi si
fanno più pieni, e tutta la narrazione, benchè rigorosa e coerente
nell’impianto, prende un certo andamento tranquillo che le fa
acquistare in piacevolezza quel che perde in dinamica drammatica. Il
racconto di Bandello, è insomma più romanzo che novella, se non
per le dimensioni, certo per la concezione di scrittura.
La sostanza di questa storia, e, direi, il passo vivace della narrazione
passarono in Shakespeare, ma non, come vedremo, direttamente.
O.6. La tragedia di Luigi Groto
Di un dramma su Giulietta e Romeo, che Brooke dice di aver visto in
Inghilterra, non si sa nulla: ma è fuor di dubbio che la storia non
poteva mancare d’invitare a una trattazione integralmente
drammatica. Il primo che ci provò fu Luigi Groto: cieco dalla
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nascita, coltissimo, versato nelle discipline più disparate, dalla
filologia alla musica, dalla letteratura alla matematica, Groto fu
anche uomo di teatro, sia come autore sia come attore, e pubblicò la
sua Adriana, insieme con altre due tragedie, nel 1578, sebbene un
biografo ci assicuri che l’aveva composta già nel 1560, all’età di
diciannove anni.
In ossequio al genere tragico, la vicenda viene situata nell’antica
Adria, assediata dal re del Lazio Mesenzio: Adriana, figlia del re di
Adria, sostituisce Giulietta, e Latino, figlio di Mesenzio, è il suo
Romeo; un mago prende il posto di Frate Lorenzo, e una nutrice
tutt’altro che docile assiste la protagonista. Il travestrimento classico
è però fonte di notevoli inverosimiglianze: l’amore a prima vista
scocca tra Latino, che è in campo aperto, e Adriana affacciata alle
mura; gli incontri notturni e il matrimonio segreto avvengono dentro
la città, dove il principe nemico è introdotto dal compiacente mago;
l’uccisione di Tebaldo è sostituita da quella del fratello di Adriana,
che Latino ha affrontato senza conoscerne l’identità, lo stesso
stratagemma della finta morte per sfuggire ad un nuovo matrimonio,
qui è assai meno giustificato che nella novella, ed è incredibile che
nell’ultimo atto Latino, solo e senza l’aiuto del mago, arrivi fino al
sepolcro della famiglia reale.