nell’uso artistico della voce, solitamente sottoposta ad un
intenso stress, nella recitazione come nel canto.
Da recenti ricerche svolte in questo campo è emerso che gli
attori, nonostante siano capaci di sostenere opere
impegnative, non ricevono una effettiva formazione tecnica
che li prepari adeguatamente alle prestazioni vocali
artistiche. Le uniche istruzioni che vengono loro impartite
consistono nelle modalità d’interpretazione prosodica delle
varie opere, ma nulla per quanto riguarda la tecnica di
sostegno della voce. Nelle Scuole di Recitazione, molto
spesso il maestro è un attore che a sua volta non ha
ricevuto una opportuna impostazione vocale; il suo
contributo consiste in suggerimenti empirici basati
sull’esperienza personale che, pur consentendo in genere
di guidare l’allievo verso interpretazioni artistiche, non lo
aiuta tuttavia nella corretta utilizzazione della funzione
vocale. Il lavoro di formazione dell’attore viene dunque
circoscritto esclusivamente all’insegnamento di
un’adeguata articolazione fonematica che, nell’ambiente
teatrale, viene denominata dizione. Gli attori sono altresì
consci della necessità di portare la voce alle ultime file
attraverso un’elevata intensità vocale, avvertono l’esigenza
di modulare convenientemente le variazioni volumetriche,
tonali e timbriche, ma non sono a conoscenza delle
specifiche tecniche respiratorie e di appoggio, necessarie
allo scopo. La grande svolta foniatrica e logopedica degli
ultimi anni punta, nell’ambito della vocalità artistica, non
tanto e non solo alla terapia delle disfonie, quanto al
raggiungimento di una vera e propria pedagogia delle voci
professionali, attraverso l’impiego di criteri di igiene vocale
e di metodiche di training che mirano a soddisfare le
specifiche esigenze fonatorie di ognuno, anche e non
soltanto in ogni situazione spettacolare diversa.
Nella considerazione che l’arte attorale coinvolge tutti gli
aspetti fisici dell’individuo, pur dedicando grande spazio
alla vocalità, nella trattazione si è riservata la dovuta
attenzione alla globalità degli aspetti, sia fisici che
intellettivi, ritenendo che, nella cura della voce
professionale, è fondamentale considerare sempre tutto
l’insieme degli elementi.
In linea con quanto premesso, l’articolazione del lavoro si
snoda attraverso un rapido excursus sullo sviluppo della
pedagogia attorale nel tempo, evidenziando il delinearsi
del rapporto tra arte e scienza (cap. I).
Segue una trattazione specificamente tecnica relativa agli
elementi di anatomia e fisiologia della fonazione (cap. II),
ai parametri fisici ed alla tipologia della voce (cap. III).
Per quanto concerne il capitolo della fisiologia della voce, i
tre livelli dell’apparato vocale sono stati esaminati in
maniera sistematica, prendendo in considerazione
principalmente quegli aspetti più utili al miglioramento
della gestione vocale. Volutamente si è tralasciata maggiore
precisione riguardo lo studio anatomico di questi tre
elementi, nonché delle strutture cerebrali e delle vie
nervose che sono in rapporto con la produzione vocale,
poiché si è preferito focalizzare l’attenzione su quegli
argomenti specificamente utili alla descrizione della
pedagogia vocale dell’attore.
Uno studio più approfondito è stato condotto sulle
descrizioni anatomiche di alcuni fasci muscolari e sulle
caratteristiche acustiche della voce, ritenendole conoscenze
necessarie ai fini dell’educazione vocale o di un’eventuale
terapia riabilitativa.
La messa a punto del lavoro attorale (cap. IV), presentato
quale binomio inscindibile talento-professionalità, tende ad
evidenziare il rapporto di interdipendenza tra praticabiltà
di una metodologia vocale nella sua globalità e possibile
ottimizzazione delle qualità recitative dell’attore.
La patologia vocale (cap. V) viene trattata esclusivamente
in riferimento allo specifico attorale e, quindi, esaminata in
rapporto alle possibili conseguenze di una errata
pedagogia vocale.
La terapia riabilitativa dell’attore, infine, costituisce la
parte conclusiva della trattazione (cap. VI), in cui la
presentazione sintetica di un piano di intervento
terapeutico, sia di ordine generale che specifico, si colloca
come “trattamento mirato” in rapporto non solo alla
specificità del paziente/attore, quant’anche alla singolarità
di stile e, quindi, in funzione della peculiarità vocale.
In questo quadro si colloca altresì la proposta di una scheda di
valutazione vocale, attraverso cui si è tentato di tracciare
delle linee-guida relative al corretto utilizzo della voce
attorale che fungano da elementi basilari di formazione:
funzionali, cioè, ad accompagnare l’attore durante la sua
carriera. Scopo primario della proposta vuole essere,
infatti, quello di monitorare la situazione vocale dell’attore
dal momento iniziale della carriera ed in ogni tappa della
sua crescita artistica, aiutandolo a prevenire e/o a superare
fasi di défaillance vocale.
CAPITOLO I
INDAGINE CONOSCITIVA SULLO SVILUPPO
DELLA PEDAGOGIA VOCALE NEL TEMPO:
ARTE E SCIENZA
1.1 LA SCIENZA DEL TEATRO
Le scienze si occupano di realtà in atto, cioè di oggetti
sensibili dell’esperienza, siano essi frammenti del divenire
siano essi permanenti nel tempo.
Oggetto dello studio è sempre una realtà ripetibile nel
tempo e nello spazio, su di essa si possono avanzare teorie
o fondare leggi.
Nel caso dell’arte del palcoscenico, parlare di scienza
diventa più complesso, poiché lo spettacolo teatrale non è
una “presenza scientifica”, in quanto espressione di un
processo di trasformazione illimitato nel tempo e nello
spazio. La rappresentazione teatrale non può permanere
invariata, né può essere identificata con la sua trascrizione
o con la sua videoregistrazione: essa dunque non può
essere oggetto d’indagine scientifica.
Tuttavia, nelle concezioni attuali, possiamo parlare di
rapporto integrativo tra scienza e teatro identificando
questa interazione nell’aspetto seguente: le singole scienze,
attraverso il chiarimento dei dati di loro specifica
appartenenza, possono offrire “spiegazioni” soddisfacenti
di fenomeni relativi all’attore e al suo lavoro. Tutto ciò,
messo in relazione anche alla fase formativa dell’attore, fa
riflettere sulla possibilità/non-possibilità d’insegnamento
di “un qualcosa di così astratto”, ovvero sull’assunto che il
successo di un attore sia dovuto solo all’esistenza di talento
innato. Si pone, dunque, il problema di individuare in che
modo e in quale misura sia possibile applicare il metodo
d’indagine della scienza alla formazione dell’attore.
Le conoscenze fondamentali dell’arte attorale vengono
mutuate dalle altre discipline codificate (mimo, danza, arti
marziali, acrobatica, ecc.) e si possono apprendere
facilmente attraverso periodi di addestramento.
Estremamente difficoltoso appare invece l’insegnamento
della pura arte recitativa, dove la sistematicità di un codice
diventa discutibile al punto di vanificare la stessa esistenza
delle scuole professionali.
Il compromesso a cui si è giunti, dopo anni di lunghe
ricerche e sperimentazioni sul lavoro dell’attore, è quello di
affiancare, come sostegno e valido aiuto, le discipline
cosiddette tecniche e quelle gestibili attraverso conoscenze
teoriche ad un training di ricerca personale, dove l’aspetto
creativo è la nota determinante. Nell’attualità del teatro
contemporaneo occorre comprendere che le scuole e le
istanze pedagogiche non sono un “a parte” o addirittura
un momento di crisi o di défaillance della creatività artistica,
quasi che l’incapacità di fare spettacoli decidesse di darsi
all’insegnamento, esse sono invece un modo di fondare
l’esistenza del teatro su basi più solide che non il consumo
di spettacoli.
E’ in questo contesto che s’innesta la cura della vocalità
artistica che pone in un continuo confronto diverse figure
professionali, l’attore, il maestro di recitazione, il foniatra e
il logopedista.
Obiettivo comune è il raggiungimento di un livello artistico
ottimale, il suo mantenimento, il suo recupero in caso di
eventi patologici. Perché l’interazione tra questi operatori
sussista è importante la presenza di due condizioni:
1) Esistenza di un linguaggio comune
2) Lavoro d’équipe già all’interno della scuola di teatro.
Ciò non significa ridurre il lavoro artistico esclusivamente
alla tecnica, anzi esso è anche tecnica, capacità, esercizio.
1.2 SCOPERTE NELLA SCIENZA E NELL’ARTE: DAL ‘700 AI
GIORNI NOSTRI
L’approdo ad una concezione dell’arte attorale intesa in
senso antropologico è conquista recente. Si ritiene utile
pertanto tracciare un breve percorso delle teorie e delle
idee che, dagli inizi del XVIII secolo ad oggi, hanno
contribuito alla formazione di una vera e propria
pedagogia dell’attore.
Il problema del teatro, nella seconda metà del ‘700, non era
diverso da quello della scienza che, nello stesso periodo,
tentava di esplicitare le proprie basi epistemologiche.
Nel campo medico, nuove e importanti teorie vennero
formulate circa la meccanica vocale.
Nell’antichità il funzionamento degli organi vocali era
stato comparato a quello degli strumenti musicali (Galieno
–IIsec. d.C.). Tale concezione perdura fino al Rinascimento,
con Fabrizio d’Aquapendente che paragona il laringe ad
un flauto, il cui corpo fu identificato prima nella trachea e
successivamente nel canale faringo-buccale.
Fu Ferrein che nel 1741, parlò della presenza di formazioni
nel laringe, comparabili alle corde di un violino che
vibrano sotto l’azione della corrente d’aria polmonare, che
funge da archetto: fu coniato il termine corde vocali e si
accennò anche “a come” la tensione di esse determinasse la
produzione di suoni più o meno acuti.
Nel campo musicale, si vengono a fondare le prime teorie
sulla didattica vocale, in cui sono contenute gran parte
delle idee che caratterizzano ancora oggi la migliore scuola
italiana.
Siamo nella fase del Belcanto virtuosistico, che concede
particolare attenzione alla dizione, all’articolazione,
all’espressione e quasi nessuna considerazione rivolge
ancora alla respirazione. L’impostazione vocale mirava alla
conservazione della purezza dell’emissione vocale
sfruttando una metodica che sviluppasse i registri,
ritenendo questo l’unico sistema per rivelare il timbro
naturale della voce.
Per tutto il secolo si parlerà di registri di petto e falsetto come
gruppo di qualità acustico-percettive innate e di
caratteristiche che distinguono ogni singolo gruppo di toni.
Bisognerà attendere il periodo romantico, in cui si
ridefinisce la tipologia del registro di falsetto come registro
di testa. Entrambi i predetti tipi di risonanza, quindi,
vengono identificati come l’espressione di sensazioni
corporee: la didattica del Belcanto si avvia verso il declino.
Nella metà dell’800 con il Garçia si incomincia a
sottolineare, per maestri e cantanti, anche l’importanza
della conoscenza delle leggi fisiologiche che regolano
l’emissione cantata, fondendo i principi classici con gli
elementi suggeriti dai nuovi stili.
Parallelamente, nel campo della pedagogia tradizionale si
registrano nette trasformazioni che hanno notevole
incidenza in ambito teatrale.
In pieno ‘800, infatti, gli studi pedagogici erano fondati
principalmente su una base speculativo-filosofica, che
partiva da una definizione dell’essenza dell’uomo secondo
quelle che erano le semplici esperienze intuitive e casuali.
Nel XX secolo, invece, con la nascita della pedagogia
moderna, si arriva alla sistematizzazione dei dati anche di
altre scienze, come sociologia, psicologia, antropologia
culturale, organizzati metodicamente in esperienze e,
quindi, verificati sperimentalmente.
E’ in tale periodo che si afferma la pedagogia attivista, a
fronte della rigidità della scuola istituzionale.
Claparède (1873-1940) individua leggi fondamentali del
comportarsi tra cui il bisogno che deve nascere
nell’individuo, l’interesse e l’autonomia funzionale
(capacità di reazioni adeguate ai bisogni); ribalta il
processo educativo dall’acquisizione dei contenuti alla
conquista delle capacità operative; Montessori sperimenta
gli autoesercizi, Dottrens introduce la validità
dell’insegnamento individualizzato.
Contemporaneamente anche il teatro europeo, filtrando da
queste realtà alcuni elementi, sviluppa delle trasformazioni
nel suo interno: situazione ricorrente diventa quella del
gruppo separato e della comunità autoregolantesi; il
rapporto non casuale ma di scelta tra maestro e allievi; il
non dare tecniche ma farle nascere come bisogno e come
interesse.
Nodi centrali sono la conquista del valore formativo del
gioco, e l’attenzione al corpo; presenza centrale del
processo creativo diventa l’improvvisazione, come
superamento della contraddizione tra creatività e abilità
(tecnica).