Uniti, agli scopi per cui può essere utilizzato e ai principali limiti che ne
frenano la diffusione.
Nel terzo verranno presentate alcune esperienze di rendicontazione
elaborate a livello internazionale. In particolare si parlerà del modello del
London Benchmarking Group, utile per gestire gli investimenti
dell’impresa rivolti alla comunità e per effettuare analisi comparative tra
queste ultime, del Social Accountability 8000, che si occupa del rapporto
tra l’impresa e i suoi fornitori garantendo e certificando il rispetto dei diritti
essenziali connessi al lavoro, del Global Reporting Initiative, che fornisce
le linee guida per la redazione dei bilanci di sostenibilità, e
dell’AcconutAbility 1000, standard di processo che stabilisce i principi e le
fasi necessarie per aumentare la qualità del processo di contabilità e
rendicontazione della responsabilità sociale.
Nel quarto si farà riferimento ai principali modelli elaborati in Italia. Tra
questi particolare attenzione sarà dedicata al modello elaborato dal
Gruppo di Studio per la statuizione dei principi di redazione del Bilancio
Sociale (GBS) che si pone come principale riferimento, a livello nazionale,
per la redazione del bilancio sociale.
Nel quinto verranno analizzati alcuni bilanci sociali italiani al fine di avere
alcune dimostrazioni su come i diversi modelli sono stati utilizzati nella
realtà operativa. L’attenzione verrà posta in particolare sui seguenti aspetti:
modelli di riferimento, dichiarazione degli obiettivi e dei valori, dati
quantitativo – monetari, rapporto con gli stakeholder, integrazione di dati
riguardanti la performance ambientale, relazione della società di
revisione.
1.
LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELL’IMPRESA E
LA TEORIA DEGLI STAKEHOLDER
Nella definizione data dal Libro Verde della Comunità Europea l’impresa
assume un comportamento socialmente responsabile quando decide ⇔ di
propria iniziativa di contribuire a migliorare la società e rendere più pulito
l’ambiente⇐
1
. Normalmente, quando si parla di responsabilità sociale, ci si
riferisce al comportamento dell’impresa che non si limita a seguire le
disposizioni legislative in materia sociale e ambientale, ma va oltre,
facendosi carico di spese o iniziative non strettamente connesse alla sua
attività economica, appunto, di carattere sociale.
Una domanda che sorge spontanea è perché l’impresa che nasce come
istituto economico dovrebbe perseguire obiettivi che economici non sono?
In questo capitolo si cercherà di capire, prescindendo da considerazioni di
carattere etico e morale, i meccanismi e le motivazioni che hanno
determinato l’integrazione di istanze sociali all’interno delle strategie
aziendali e come queste integrazioni possano influenzare il perseguimento
degli obiettivi economici.
1
Cee, Libro verde. Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle
imprese, Bruxelles, 2001, scaricabile dal sito dell’Unione Europea www.europa.eu.it
1.1 Economicità e socialità dell’azienda
Prima di iniziare ogni riflessione, è utile sottolineare il concetto che
l’impresa è in primo luogo un istituto economico e il suo principale
obiettivo è quello di generare profitto. Essa è però inserita in una comunità
economico-sociale da cui è influenzata e sulla quale esercita influenza sia
offrendo beni e servizi necessari a soddisfare i bisogni umani, sia
ponendosi come centro di attrazione di lavoro e capitale. Nella sua gestione
sono quindi riscontrabili i tratti sia dell’economicità che della socialità.
Una definizione sintetica e chiara dei due concetti è quella del Prof. Onida:
⇔ Parliamo di economicità per significare la conformità a convenienza
economica, cioè a convenienza giudicata e misurata in termini di beni
economici […] Per socialità intendiamo la conformità al “bene comune”: il
quale – si badi – non è soltanto “benessere comune”, sebbene il benessere
(economico) comune sia condizione fondamentale del bene comune
umano⇐
2
. Il loro rapporto è una questione delicata che può essere
articolato in due punti.
1. Il primo punto è che il concetto di socialità, cioè la creazione di
benessere comune, non sempre coincide con quello di economicità,
in quanto l’attività dell’impresa può produrre anche effetti di segno
negativo. L’impresa, operando nel sistema sociale, deve tenere
conto degli effetti che produce, in quanto dagli attori, che operano
in questo sistema, dipende la sua legittimazione. Il compito dei
dirigenti d’azienda è principalmente quello di cercare di mantenere
livelli accettabili di socialità, senza danneggiare l’economicità.
La condizione essenziale dell’economicità è l’equilibrio economico
medio, ossia l’autosufficienza economica dell’impresa: i ricavi
2
P. Onida, Economicità, socialità ed efficienza nell’amministrazione d’impresa, in
⇔ Rivista italiana di ragioneria⇐ , n. 3-4, marzo – aprile 1961, p.57.
devono essere superiori ai costi dei fattori produttivi acquisiti sul
mercato. In mancanza di un equilibrio economico durevole nel
tempo l’impresa non può sopravvivere e quindi svolgere la sua
funzione sociale.
L’equilibrio costi-ricavi può essere valutato in due differenti
situazioni
3
:
a. Quella di breve periodo, dove l’equilibrio è fortemente
auspicabile ma comunque non sempre strettamente
necessario: situazioni negative possono essere determinate
dalla sottoposizione dell’azienda a pressioni e tensioni
volontarie al fine di ottenere un miglioramento
dell’economicità, come situazioni in cui l’equilibrio è
favorevole possono nascondere al loro interno pericolose
tendenze involutive.
b.Quella di lungo periodo, in cui il discorso è differente in
quanto l’equilibrio economico deve esistere come condizione
essenziale per la vita e la vitalità dell’azienda. Possono
esservi fasi positive, altre meno favorevoli ma l’importante è
che resti la prospettiva di convenienza⇐
4
; senza questa
prospettiva di convenienza l’impresa non ha senso di esistere.
Anche la ricerca di una maggior socialità deve tenere conto dei
vincoli di natura economica e, quindi, se l’azienda, per aumentare
la propria legittimazione sociale e infine il proprio grado di
3
Cfr. R. Corticelli, L’azienda: economia e socialità, in ⇔ Rivista italiana di ragioneria e
di economia aziendale⇐ , gennaio –febbraio 1995, p28.
4
Ibidem
economicità, può tollerare equilibri negativi, deve comunque
operare in una prospettiva di equilibrio nel lungo periodo.
Tornando al rapporto tra i due concetti, si sottolinea che l’azienda,
nello svolgere la propria attività economica, svolge anche un ruolo
sociale, apportando un contributo allo sviluppo del sistema
economico e del sistema sociale. Ciò ovviamente non significa però
che gli obiettivi della società coincidano con quelli dall’azienda, ma
ipotizza solo un continuo comporsi degli interessi dell’uno e
dell’altra.
Se questa affermazione è oggi universalmente riconosciuta, così
non era fino ad alcuni anni fa
5
, quando erano in molti a sostenere la
coincidenza tra funzione economica e sociale dell’impresa e si
pensava che anche quest’ultima consistesse nella produzione di un
più elevato risultato economico:
6
infatti anche l’indicatore che
riassumeva entrambe le funzioni era individuato nel reddito di
esercizio. L’evoluzione delle imprese, dell’economia e della società
ha fatto in modo che cambiassero anche le aspettative nei confronti
dell’impresa. Mentre in passato si pensava che il perseguimento
degli obiettivi economici fosse sufficiente all’impresa, che si
poneva come centro produttore di ricchezza e di posti di lavoro, per
assolvere la sua funzione sociale, il miglioramento continuo delle
condizioni di vita dei cittadini ha fatto in modo che questi ultimi
diventassero più sensibili a questioni di ordine ambientali ed etico-
sociali, aumentando le proprie aspettative nei confronti
5
Vedere approfondimenti nel par. 1.2.1
6
⇔ Dal resto, il progresso dell’economia di mercato e della tecnica, che impone massicci
investimenti di capitale nella produzione tende ad avvicinare sempre più la produttività
particolare dell’azienda alla produttività economico-sociale ed al più largo bene comune
che i criteri di socialità dovrebbero promuovere. La via del profitto, almeno a lungo
termine tende a coincidere con quella della più larga produzione, dei bassi prezzi, dei più
alti salari e, in genere della distribuzione che meglio diffonde il benessere e consente più
nobili condizioni di vita alle masse umane⇐ - P. Onida, Economicità, socialità ed
efficienza nell’amministrazione d’impresa cit., p.64.
dell’impresa
7
. Soprattutto ci si è resi conto che il risultato
economico poteva essere realizzato anche a discapito di interessi di
singoli e di gruppi e talora anche a discapito dell’intera società
8
.
Un’impresa deve quindi cercare un giusto equilibrio tra le due
dimensioni tenendo conto che se essa risulta orientata
esclusivamente all’economicità trascurando gli effetti e, soprattutto,
le diseconomie prodotte dalla sua attività, rischia di essere de-
legittimata agli occhi della società civile compromettendo la sua
stessa esistenza nel sistema socio-economico; per contro, un
orientamento eccessivamente orientato alla socialità può far perdere
di vista gli obiettivi economici dai quali dipende la sua
sopravvivenza.
2. Il secondo nodo è come e fino a che punto un’impresa può
contribuire al benessere comune senza compromettere la sua natura
di istituto economico. Se quindi le è richiesta una maggior
responsabilità nei confronti della società come si manifesta
quest’ultima e a chi l’impresa deve render conto delle sue azioni?
Queste domande trovano, in parte, una risposta nel concetto di
stakeholder
9
che permette di individuare quali sono i soggetti
detentori di interessi, non solo di natura economica, nei confronti
dell’impresa.
Alla luce del concetto di stakeholder si può sostenere che, se
l’economicità si manifesta nella ricerca dell’equilibrio di lungo
periodo tra costi e ricavi, la socialità nella gestione dell’impresa
può essere rilevata in tutti quegli sforzi che tendono a far
convergere, naturalmente non in modo coercitivo, gli interessi
7
Vedere approfondimenti nel par. 1.2.2.
8
F. Vermiglio, Il cantiere aperto del bilancio sociale, in ⇔ Rivista della cooperazione⇐ ,
n. ½, gennaio - giugno 2000
9
Vedere approfondimenti nel par. 1.2.3.
degli stakeholder con i suoi e questo avviene soddisfacendo,
quando possibile, le loro istanze.
Ruolo economico e funzione sociale dell’impresa non devono più
venir visti come elementi contrapposti, piuttosto devono essere gli
uni funzionali agli altri. Essa riuscirà nel lungo periodo a perseguire
meglio i propri obiettivi economici se sarà legittimata socialmente.
1.2 Differenti visioni del concetto di responsabilità sociale
Il concetto di socialità può essere collegato a quello di responsabilità
sociale. La nascita di quest’ultimo può essere fatta risalire agli anni ’20,
quando si incomincia a parlare delle necessità per i dirigenti di azienda di
operare nell’interesse non solo degli azionisti ma anche di alcuni
interlocutori sociali. Per le prime formulazioni teoriche bisogna aspettare
gli anni 40-50 e in particolare il 1953, quando H. Bowen pubblica Social
responsibilities of the businessman
10
, considerato una vera e propria pietra
miliare, nel quale si afferma che le imprese di maggiore dimensione sono
in grado di influenzare la vita della società da diversi punti di vista. L’idea
di responsabilità sociale sin dall’inizio non è stata accolta da tutti gli
studiosi con lo stesso entusiasmo ed ha dato inizio a un ampio dibattito
sulla legittimità della sua stessa esistenza. In particolare è possibile
individuare tre posizioni, di cui parleremo molto sinteticamente, che hanno
caratterizzato il dibattito sulla responsabilità sociale:
- Visione basata sugli stockholder
- Visione basata sul contratto sociale
- Visione basata sugli stakeholder
10
H. Bowen, Social responsibilities of the businessman, New York, Harper & Row, 1953.
Sull’analisi della letteratura sulla responsabilità sociale e sulla sua evoluzione storica si
veda: C. Chirieleison, Le strategie sociali nel governo dell’azienda, Milano, Giuffrè
editore, 2002, pp. 31 e ss.
1.2.1 Visione basata sugli stockholder
L’unica vera responsabilità dell’impresa è ottenere il massimo utile per gli
azionisti (stockholder). Se vi sono problemi di natura sociale, essi sono di
competenza dei poteri pubblici e non dei dirigenti aziendali. Si sostiene
quindi la corrispondenza tra funzione economica e sociale dell’impresa, in
quanto con l’aumentare del profitto crescono i benefici che ricadono
sull’intera società. Qualsiasi azione che esuli dalla logica della razionalità
economica non solo è inutile, ma anche dannosa. Sull’argomento
Trabucchi riporta un’affermazione sintetica ma di sicuro effetto: ⇔ Se i
sostenitori della responsabilità sociale delle aziende desiderassero davvero
promuovere il benessere nazionale, essi dovrebbero lamentarsi che le
imprese non fanno abbastanza quattrini⇐
11
. Il perseguimento di fini
diversi da quelli stabiliti dalle considerazioni di mercato ostacola
l’allocazione razionale delle risorse producendo un’indebita ridistribuzione
di ricchezza, riducendo i dividenti degli azionisti e le risorse disponibili per
le retribuzioni dei dipendenti, oppure aumentando i prezzi per i
consumatori. Principale sostenitore di questa tesi è l’illustre economista
Milton Friedman che parla di responsabilità sociale come di una dottrina
fondamentalmente sovversiva per il sistema capitalistico
12
.
Una simile impostazione è oramai superata a causa sia delle attese della
società nei confronti dell’impresa sia del modo di fare impresa.
1.2.2 Visione basata sul contratto sociale
Nella tradizione anglo-americana sin dal 600/700 è presente l’idea che i
diritti fondamentali dell’uomo si realizzano e trovano la loro legittimazione
attraverso una sorta di contratto sociale tra gli individui. ⇔ In altri termini
si può dire che alla base dei contratti privati (sul mercato) starebbe un
contratto sociale più profondo che servirebbe a legittimare il ruolo
11
Ibidem.
12
Cfr. M. Friedman, Capitalism and freedom, Chicago, University press, 1962, p.133
dell’impresa⇐
13
. I teorici del contrattualismo ipotizzavano una certa
stabilità di questo contratto sociale in quanto la realtà che si trovavano di
fronte non subiva veloci cambiamenti. Oggi invece che la realtà è in
continuo movimento si ipotizza un contratto che cambia i suoi contenuti
con l’evoluzione della società civile.
Alla luce di questa prospettiva la crescente importanza attribuita alla
responsabilità sociale può essere vista come un mutare del contratto
sociale, legato a sua volta ai cambiamenti politici, economici e sociali.
Questi cambiamenti sono stati resi possibili anche dal fatto che l’impresa
ha determinato un aumento di ricchezza nella società e un miglioramento
delle condizioni di vita. Ricollegandosi alla scala dei bisogni di Maslow
14
si
può sostenere che prima dell’avvento della produzione di massa il tenore di
vita della popolazione era modesto e i suoi bisogni erano rappresentati
dalla ricerca di una stabile occupazione. L’impresa era quindi lo strumento
in grado di realizzare questi bisogni. Una volta soddisfatti i bisogni
primari, la società inizia ad avvertire nuove esigenze che via via crescono
di numero e di intensità. Si sviluppa quindi una maggiore sensibilità verso
problemi quali l’inquinamento ambientale e la sicurezza sul posto di
lavoro, che in passato non erano considerati come prioritari rispetto alla
creazione di benessere e ricchezza. La maggior sensibilità per questo tipo
di questioni porta a guardare con più diffidenza all’attività economica e
agli effetti che essa produce sulla società. Il problema delle imprese
diventa quindi quello di acquisire una maggior legittimazione. Questa
maggior diffidenza spinge la collettività a richiedere alle istituzioni un
maggior controllo sul comportamento aziendale, in quanto ritenuto
fisicamente e socialmente inquinante. Per contro, le imprese hanno risposto
a queste accuse mediante programmi di responsabilità sociale: verifiche
sociali, miglioramenti nelle condizioni di lavoro, contributi al benessere
della comunità, interesse per l’etica commerciale, ecc. Esse agiscono in
13
G. Rusconi, Il bilancio sociale d’impresa. Problemi e prospettive, Milano, Giuffrè
editore, 1988, p.15
14
A. Maslow, Teoria della motivazione umana, Milano, Pirelli, 1973.
questa direzione in quanto ritiengono che i costi che sosterranno per attuare
comportamenti socialmente responsabili saranno comunque inferiori a
quelli che deriverebbero dalla perdita di legittimazione sociale. Perciò, se
l’obiettivo è la legittimazione sociale, diventa importante comprendere
quali sono i soggetti che la determinano, al fine di stabilire quali devono
essere i contenuti di questi programmi e verso chi l’impresa deve essere
responsabile. Una risposta a queste domande arriva, negli anni ’80, con la
nascita della teoria degli stakeholder.
1.2.3. Visione basata sugli stakeholder
La teoria degli stakeholder formulata da Freeman
15
nel 1984, individua
verso chi l’impresa deve essere responsabile e si pone come punto di
partenza per le riflessioni attraverso cui questa perde od ottiene la propria
legittimazione sociale. ⇔ Gli stakeholder primari, ovvero gli stakeholder in
senso stretto, sono tutti quegli individui e gruppi ben identificabili da cui
l’impresa dipende per la sua sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti,
fornitori e agenzie governative chiave. In senso più ampio, tuttavia,
stakeholder è ogni individuo ben identificabile che può influenzare o essere
influenzato dall’attività dell’organizzazione in termini di prodotti, politiche
e processi lavorativi. In questo più ampio significato, gruppi di interesse
pubblico, movimenti di protesta, comunità locali, enti di governo,
associazioni imprenditoriali, concorrenti, sindacati e la stampa sono tutti da
considerare stakeholder⇐
16
.
Stakeholder sono dunque tutti quei soggetti, individuali o collettivi, che
possono influenzare o sono influenzati dall’attività dell’impresa. La
nozione viene poi ampliata da Clarkson
17
che identifica come stakeholder
non solo i soggetti che hanno rapporti diretti con l’azienda ma anche quelli
15
R. E Freeman, Strategic management: a stakeholder approach, Boston, Pitman, 1984.
16
Ibidem.
17
M. Clarkson, A stakeholder framework for analzyng and evaluating corporate social
performance, in ⇔ Academy of management review⇐ , vol.20, n.1, 1995.
che non li hanno e sono ugualmente influenzabili in modo significativo
dalla sua attvità, come le generazioni future.
Il concetto, inoltre, denota un certo dinamismo: se le prime formulazioni
vedevano gli stakeholder come soggetti passivi, oggi ci si sposta
progressivamente verso una posizione più dinamica che ne sottolinea il
ruolo attivo nelle relazioni con l’azienda e nella partecipazione alla
creazione di valore: di conseguenza anche la comunicazione con gli
stakeholder assume un’importanza strategica. Essi, analogamente agli
azionisti che investono il loro capitale, ripongono degli “investimenti”
(risorse economiche, competenze professionali, scelta del luogo di
residenza, relazioni sociali, ecc.) nei confronti dell’impresa e quindi hanno
delle aspettative per ottenere un’equa remunerazione. Lo stesso
ragionamento vale per quei soggetti danneggiati dalla sua attività, che si
aspettano di veder riparato il danno da loro subito.
L’azienda diventa consapevole che il modo in cui la sua identità viene
percepita, sia all’interno che all’esterno, è indispensabile per ottenere
legittimazione sociale e questo dipende dalla sua capacità di stabilire
rapporti duraturi con gli stakeholder. In questa prospettiva diventa sempre
più importante il ruolo svolto dagli uffici di pubbliche relazioni che creano
occasioni di contatto, anche attraverso l’organizzazione di eventi, con i
propri interlocutori allo scopo di instaurare dei rapporti di simpatia e
fiducia. Se in passato, però, essa doveva confrontarsi con un numero
limitato di soggetti (figura 1.1), il mutare del contratto sociale tra impresa e
società, che crea una maggior interdipendenza con l’ambiente sociale, e
l’allargamento dei mercati, determinato dai fenomeni di globalizzazione,
provocano da una parte il rafforzarsi e dall’altra il moltiplicarsi degli
stakeholder (figura 1.2).
Figura 1.1 - I Tradizionali interlocutori dell'impresa, prima della teoria degli
stakeholder
Impresa
I presaFornitori Clienti
Dipendenti
Investitori
Figura 1.2 - Interlocutori dell'impresa secondo la teoria degli stakehoder
Governi
Associazioni
di commercio
Comunità
Gruppi
politici
Impresa
I presaFornitori Clienti
Dipendenti
Investitori
Se perciò si richiede una maggior responsabilità dell’impresa verso la
società, bisogna anche ricordarsi che quest’ultima non può essere
considerata come un unico soggetto omogeneo ma è invece composta da
una pluralità di soggetti che hanno interessi e aspettative differenti tra
loro. Diventa necessario instaurare con questi soggetti uno scambio
comunicativo, in modo da comprendere quali sono le variabili che
influenzano il grado della propria legittimazione e di conseguenza quali
sono le leve e le strategie che bisogna utilizzare per valorizzare l’azienda e
le sue iniziative. Le sono quindi richieste strategie sociali sempre più
selettive nei confronti dei diversi stakeholder orientate a costruire relazioni
di lunga durata, al fine di aumentare la propria credibilità sia come
soggetto economico che come protagonista sociale.
In questo senso la responsabilità sociale può essere intesa
nell’identificazione dei vari stakeholder e nella successiva ricerca di un
bilanciamento tra singoli interessi. A proposito, Sacconi propone una
metafora molto suggestiva: quella ⇔ dell’impresa come “arena” in cui si
confrontano gli interessi e i diritti di diversi stakeholder⇐
18
. Possiamo
aggiungere che in questa “arena” il compito del management deve essere
quello di evitare “scontri” e tensioni tra i diversi interlocutori e tra
quest’ultimi e l’impresa, cercando di favorire una logica di mediazione. La
ricerca di punti di contatto tra gli interessi degli stakeholder e quelli
aziendali non è, solitamente, da attribuire a motivazioni etiche o morali ma
piuttosto dipende dalla necessità di evitare le ripercussioni negative che
potrebbero danneggiare la sua economicità. L’assunzione di responsabilità
diventerà non solo un comportamento moralmente accettabile ma
soprattutto una mossa strategica di convenienza, in quanto il successo
dell’impresa sarà sempre più determinato dalla sua capacità di creare
valore, non solo per gli azionisti, ma anche per tutti gli stakeholder.
18
L. Sacconi, Ma senza “contratto sociale” che bilancio sociale è?, in ⇔ Sviluppo &
Organizzazione⇐ , n.170, Novembre – Dicembre 1998, p.24.
Prescindendo dal tipo di impostazione adottata, Chirieleison individua
alcuni punti che delimitano il concetto di responsabilità sociale
19
:
- l’impresa è considerata ⇔ sistema aperto⇐ che non solo ha a che fare
con un sistema di forze economiche, ma fa parte di un ambiente esterno
in cui è immersa, e con il quale è in continuo interscambio: essa perciò
deve tenere conto delle istanze dei vari stakeholder che compongono la
rete di rapporti in cui è inserita;
- esiste uno stretto legame tra potere sociale e responsabilità sociale: la
mancata assunzione di quest’ultima comporta la perdita del proprio
potere sociale;
- l’azienda, prima di intraprendere qualsiasi azione, dovrebbe calcolare
anche gli effetti sociali connessi alla sua decisione e non solo la
fattibilità tecnica e la convenienza economica;
- il prezzo di un prodotto o di un servizio dovrebbe comprendere tutti i
costi di produzione, compreso quello sociale. Per anni invece, da un
lato, i consumatori hanno usufruito di prezzi inferiori e, dall’altro, le
imprese hanno beneficiato di maggiori profitti. Questo è stato possibile
perché i costi sociali, come ad esempio quello per l’inquinamento, sono
stati sostenuti dalla società;
- le imprese vengono considerate anche come ⇔ cittadini⇐ di una
comunità, quindi viene loro chiesto di partecipare al miglioramento
della qualità della vita del loro ambiente.
19
Cfr. C. Chierieleison, Le strategie sociali nel governo dell’azienda, Milano, Giuffrè
editore, 2002, pp.63-65.