ineluttabile dell’aumento della longevità e perciò il problema dell’assistenza diviene un
problema sociale di primaria rilevanza.
Le implicazioni del fenomeno costituiscono alcuni dei temi più rilevanti della politica
economica dei paesi industriali, caratterizzata negli ultimi 30 anni da spinte ricorrenti alla
riduzione dello stato sociale, alimentate anche dal consenso dell’analisi economica circa gli
effetti negativi che l’accumulo dei disavanzi pubblici può produrre nel lungo termine sullo
sviluppo dell’economia. In tale quadro ideologico, una rilettura delle politiche keynesiane ha
indotto i governi ad accettare con crescenti difficoltà, anche nelle fasi basse del ciclo
economico, la ricetta degli ampi disavanzi pubblici.
In un contesto di accresciuta integrazione finanziaria e monetaria internazionale, l’esigenza
della stabilità dei mercati finanziari impone ora di mantenere sotto controllo i bilanci
pubblici, indirizzando le politiche economiche a perseguire non solo l’equilibrio tendenziale
fra entrate e spese, ma anche obiettivi di “qualità” per ciò che riguarda la struttura delle voci
di bilancio. Il problema dell’assistenza tende quindi ad assumere grande rilievo proprio in
considerazione del fatto che in tale contesto le risorse pubbliche a disposizione dello stato
sociale tendono a ridursi.
Emerge con evidenza crescente la necessità di affrontare il problema dell’invecchiamento in
una prospettiva diversa da quella assunta in passato, nella quale la necessità di prestare
assistenza a una schiera crescente di grandi anziani si prospetta non un’emergenza per la
quale utilizzare risorse residuali, ma piuttosto una priorità dettata da valori condivisi, sulla
quale attuare una programmazione di interventi che coinvolga una pluralità di soggetti e di
risorse; un tema sul quale realizzare scelte di civiltà e, insieme, di equità e di rigore
finanziario.
L’obiettivo della tesi è duplice. In primo luogo, quello di evidenziare come la crescente
domanda di prestazioni sociali entri in tendenziale conflitto con gli effetti macroeconomici
perversi del fenomeno, i quali riducono la formazione di risorse da destinare allo stato
sociale, e con i vincoli che correntemente sottostanno alla formulazione delle politiche
economiche. Inoltre, quello di fornire un quadro degli strumenti che la legislazione degli
ultimi anni ha messo a disposizione dell’offerta di assistenza nel nostro paese, tentando nel
contempo di cogliere, accanto alla portata innovativa degli strumenti istituzionali introdotti,
insufficienze di attuazione e aspetti irrisolti che richiederanno ulteriori interventi di riforma.
Il lavoro si articola come segue: nel cap 1 si richiamano le tendenze demografiche degli
ultimi decenni in Italia e nei principali paesi industriali, ponendo a confronto previsioni
alternative che si spingono sino al 2050 e fornendo indicazioni quantitative sul processo di
invecchiamento, mostrando come esso si presenti particolarmente accentuato nel nostro
paese. Il fenomeno sembra carico di implicazioni macroeconomiche derivanti sia dai
mutamenti che si producono sulle decisioni individuali di consumo e di risparmio, sia dalle
pressioni che ne derivano sul volume e sulla composizione della spesa pubblica.
Il cap. 2 è dedicato a una breve analisi dei principali fattori che influiscono nella
determinazione della domanda di assistenza nelle società industriali avanzate, soffermandosi,
in particolare, sulle relazioni che l’ampia evidenza empirica raccolta in sede OCSE propone
tra invecchiamento, tendenze del grado di inabilità degli anziani e spesa sanitaria.
Nell’ambito di quest’ultima si articola una varia tipologia di domanda di assistenza, di fronte
alla quale in tutti i paesi considerati sembra emergere omogeneamente una risposta in favore
della presa in cura domiciliare degli anziani inabili. A tale indirizzo si conforma anche
l’offerta di assistenza in Italia, nella cui struttura svolge un ruolo fondamentale la famiglia.
Nel cap. 3 si tenta di fare il punto sulla legge quadro 328/2000, che ha approvato in via
definitiva il sistema integrato di riordino dell’assistenza. Attesa a lungo, la riforma del
welfare arriva a conclusione di un decennio in cui il clima culturale intorno al welfare è
profondamente mutato; in essa si è cercato definitivamente di coniugare il contenimento dei
costi con un’opera di protezione e prevenzione sociale attuata con il crescente concorso del
terzo settore. La legge introduce, tra le altre misure, un potenziamento dei servizi sociali e
del segretariato sociale con funzioni di informazione e consulenza, del pronto intervento
sociale, dell’assistenza domiciliare; un potenziamento delle strutture residenziali e
semiresidenziali, e dei centri di accoglienza diurni.
Nel cap. 4 viene considerata più in dettaglio l’organizzazione e la distribuzione delle strutture
per anziani in Italia, soffermandosi in particolare sui servizi innovativi introdotti, come
l’assistenza domiciliare e l’ospedalizzazione domiciliare. Si insiste anche sul fatto che il
problema anziani non può essere posto esclusivamente entro una logica di contenimento dei
costi, ma che appare anche più importante l’esigenza di impostare un approccio relazionale,
considerando che uno dei fattori che possono contribuire al rapido declino dell’anziano è lo
stato di emarginazione in cui egli è spesso progressivamente lasciato. Non a caso l’anziano è
stato inserito tra le categorie a rischio emarginazione già nel World summit for Social
Development del 1985. A ciò segue un confronto internazionale con le maggiori economie
europee: Francia, Germania e Regno Unito.
Nel cap. 5 si tenta di descrivere le principali difficoltà nelle quali incorre l’operatore socio-
sanitario nel prestare assistenza agli anziani. Egli si trova spesso in difficoltà per
l’insufficiente flessibilità dell’organizzazione che lo supporta, di fronte alla complessità dei
casi. Si dirà anche dell’importanza della qualità nei servizi alla persona e della necessità,
pertanto, di progettare un efficace impianto di valutazione e di monitoraggio degli standard
qualitativi.
A questo seguono, nel cap. 6, le considerazioni conclusive.
1. – Le tendenze demografiche nei paesi industriali
1.1 – Il trend in atto nella struttura per classi di età della popolazione dopo il 1950. Il
calo dei tassi di natalità e l’aumento della longevità.
Il tasso di crescita della popolazione mondiale, che è stato nella seconda parte degli anni ’90
di circa l’1.5% annuo, si è andato riducendo dall’inizio degli anni ’80 di circa un quarto
punto l’anno e, secondo proiezioni ONU, è previsto stabilizzarsi in prossimità dello 0.5% al
2050. Nel contempo, tutti i paesi, ma in primo luogo quelli dell’area OCSE, registreranno un
deciso aumento dei tassi di dipendenza in conseguenza di variazioni nella fertilità, nella
longevità e nei flussi migratori; questo fenomeno si manifesterà prima nei paesi industriali,
pur con ampie differenze all’interno di quest’area. (Cfr. Turner, 1998)
Secondo le stesse proiezioni demografiche, si prevede che in Europa (e in primo luogo in
Italia) e in Giappone la popolazione complessiva inizierà a ridursi dopo il 2005. Altre
proiezioni elaborate dall’Eurostat per l’Unione Europea e dall’ISTAT per l’Italia, pur con
ovvie differenze derivanti dalle differenti ipotesi adottate sui tassi di fertilità, di mortalità e
sui flussi di immigrazione, forniscono indicazioni simili. Nel complesso dei paesi OCSE, il
tasso annuo di crescita della popolazione nei prossimi 50 anni sarà di oltre cinque volte
inferiore a quello del mezzo secolo precedente; quello dell’Italia risulterà mediamente
negativo e, non considerando l’immigrazione, alla fine del periodo ciò porterebbe la
popolazione a contrarsi di circa il 25% rispetto a quella dell’anno 2000. Più ottimista appare
la previsione più recente dell’ISTAT (2000), che, sotto ipotesi di recupero del tasso di
natalità e di flussi più consistenti di immigrazione, prospetta comunque un calo di almeno il
10% nel suo scenario centrale.
La dinamica demografica riflette una struttura che cambia nella composizione per età della
popolazione, e ciò, a sua volta, riflette cambiamenti nei tassi di fertilità e di mortalità. In
genere questi sono cambiamenti di lungo periodo (come guerre e migrazioni lo sono di
breve-medio periodo), conseguenze di trend nei tassi di natalità e nell’aspettativa di vita. Ad
esempio, una tendenza permanente spesso osservata è la “transizione demografica” nella
quale il tasso di fertilità si riduce durevolmente nelle economie che si muovono verso più
elevati stadi di sviluppo economico (cfr. Faruquee, 2002). A questa tendenza si aggiungono
poi fattori specifici che rendono il fenomeno in alcuni paesi più accentuato (es. Italia e
Giappone). Un esempio di fenomeno transitorio è invece il baby boom demografico che si è
verificato in vari paesi dopo la guerra, caratterizzato dal sensibile aumento della natalità che
si è protratto per un periodo di almeno due decenni tra gli anni ’50 e gli anni ‘70.
Tab. 1.1 – Previsioni di crescita della popolazione e del rapporto di dipendenza
ONU (1998) Eurostat (2000) Istat (2000)
Crescita della popolazione
(var. % media annua)
1950 -
1970
1970 –
2000
2000 -
2020
2020 -
2050
2000 –
2020
2020 –
2050
2000 –
2020
2020 -
2050
Italia 0.6 0.2 -0.4 -0.8 -0.14 -0.5 0.03 -0.35
UE 0.7 0.3 0.13 -0.2
OCSE 1.2 0.8 0.4 0.04
Crescita della popolazione anziana (var. % media annua)
Italia 2.1 1.9 1.0 0.4 1.2 0.66 1.4 0.9
UE 2.0 1.3 1.4 0.80
OCSE 2.3 1.9 1.9 1.2
Rapporto di dipendenza degli anziani(*), valori percentuali.
Italia 16.4 26.6 37.0 65.7 36.7 61.3 37.2 63.5
UE 19,3 24.0 32.0 49.0
OCSE 15.4 19.6 26.9 41.2
(*) Rapporto fra la popolazione anziana e quella in età di lavoro (15-64 anni).
Fonti: United Nations (1999), Economic Policy Committee (2001), Istat (2002)
Il calo dei tassi di fertilità, come si è accennato, non è quindi un fenomeno degli ultimi tempi,
ma, anzi, una tendenza generalizzata dei paesi industriali che trova molte delle sue cause
originarie in fattori di ordine sociale, economico e demografico. Fra i fattori che favoriscono
il calo della fertilità ve ne sono alcuni che si possono far derivare dall’accresciuto interesse
della donna verso la partecipazione al mercato del lavoro:
- il ruolo acquisito dalla donna nella società, che l’ha spinta più decisamente, oltre che
verso la ricerca dell’indipendenza economica, anche verso un più elevato protagonismo
culturale ed economico;
- la necessità di accrescere le fonti di reddito familiare, soprattutto, e più di recente, in un
contesto di precarizzazione del posto di lavoro. Da qui la necessità di aumentare i livelli
medi di istruzione e di formazione, e quindi il tempo e le energie da dedicare a questo
scopo.
Conseguenza del calo delle nascite è l’aumento dell’età mediana della popolazione che si
osserva nel tempo e che oggi, dopo le tendenze demografiche affermatesi nella seconda metà
del secolo scorso, appare come frutto di una chiara relazione empirica nell’associazione di
dati riportata nella fig. 1.
Fig. 1 Fig. 2
Nei prossimi decenni i paesi OCSE andranno quindi incontro a un invecchiamento della
popolazione, in considerazione del fatto che le generazioni del baby boom avanzeranno lungo
la struttura per età della popolazione, ma anche perché la vita media si è andata allungando e
i tassi di fertilità sono calati. Il fenomeno è comune a tutti i paesi industriali, ma si presenta
con marcate differenze nelle singole realtà. Ancora più elevate sono le differenze con i paesi
non-OCSE, in molti dei quali i rapporti di dipendenza dovrebbero anzi ridursi nei prossimi
decenni.
Le proiezioni più recenti dell’ONU (1999), assunte a base demografica di riferimento
dall’OCSE in alcuni studi sugli effetti economici del fenomeno, assumono che nei prossimi
50 anni l’aspettativa di vita aumenti in media di 4.5 anni, raggiungendo gli 82 anni; nello
stesso periodo, i tassi di fertilità in molti paesi OCSE risaliranno a 1.7 da valori inferiori, ma
resteranno al di sotto del tasso necessario ad assicurare la stabilità della popolazione, stimato
in 2.1 figli per donna. In tal modo, l’età mediana dell’area OCSE aumenterà di quasi dieci
anni, arrivando a circa 44 anni, con un declino della popolazione in età di lavoro nel suo
complesso di oltre 38 milioni di individui (Visco, 2001a).
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4
5
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popolazione di età 65 e più
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Invecchiamento relativo della popolazione - OCSE
Anno 2000
in % della popolazione totale
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Fonte: OECD (1998)
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età mediana
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Fertilità e invecchiamento relativo della popolazione
Paesi OCSE - Anno 2000
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Fonte: OECD (1998)
Nell’ambito dell’aumento della popolazione anziana, la proporzione dei più anziani (80 anni
e oltre) quasi triplicherà, raggiungendo il 9% da poco più del 3% attuale.
Il miglioramento delle condizioni generali di vita, la diffusione capillare sul territorio delle
strutture sanitarie del moderno stato sociale, che hanno condotto all’elevamento dello stato
generale di salute della popolazione, sono certamente fra le ragioni dell’aumento della
speranza di vita alla nascita per tutti gli individui. Tutto ciò, insieme con la sempre più
diffusa disponibilità di tecnologie medicali consentita dall’affermarsi dello stato sociale in
un contesto di crescita della disponibilità di risorse, e dall’indirizzo della ricerca medica in
tal senso, hanno a loro volta favorito anche l’incremento della speranza di vita alle età più
avanzate, ad esempio oltre gli 80 anni. Questa soglia viene convenzionalmente presa a
riferimento perché considerata come un limite di età oltre il quale emerge più acutamente
una specifica domanda rivolta allo stato sociale da parte degli anziani: quella dell’assistenza.
La figura 2 mostra come l’aumento della sopravvivenza e della speranza media di vita oltre
gli 80 anni sia un fenomeno interamente compreso in quello più generale
dell’invecchiamento della popolazione.
L’aumento della longevità deriva da una riduzione significativa della mortalità dei più
anziani (80 anni e più), fenomeno osservato a partire dall’inizio degli anni ’50 e negli anni
’60; il tasso di mortalità nella maggior parte dei paesi sviluppati è diminuito dall’1 al 2%
annuo per le donne e da 0.5 a 1.5% per gli uomini di oltre 80 anni. Di conseguenza, secondo
le stime dell’OCSE, la speranza di vita media a 65 anni è oggi prossima a 16 anni per gli
uomini e a 19 anni per le donne; raggiunti gli 80 anni, la speranza di vita media è ancora di
7.3 anni per gli uomini e di 8.9 anni per le donne (cfr. Jacobzone, 2000).
Un altro fattore che influenza la dinamica della popolazione e la sua struttura è costituito dai
flussi migratori che si stabiliscono dai paesi nei quali il fenomeno dell’invecchiamento è
meno pronunciato e comunque spostato nel tempo rispetto ai paesi industriali. Per quanto
questi flussi, come nel caso italiano, possano apparire limitati rispetto ai numeri della
popolazione residente, pure essi hanno un ruolo importante nella dinamica demografica ed
economica in considerazione del fatto che quel fenomeno riguarda solitamente persone
relativamente giovani e in età di lavoro. Flussi di immigrazione netti, quali si riscontrano nei
maggiori paesi industriali contribuiscono a frenare il tendenziale declino della proporzione
delle persone in età di lavoro; a incrementare il tasso di natalità, assunto che questo nelle
comunità di provenienza è generalmente superiore a quello del paese ospitante e che la
popolazione femminile immigrata è in età fertile; ad aumentare i tassi di partecipazione e
l’offerta di lavoro, particolarmente in alcuni segmenti del mercato.
Come si noterà in seguito, i flussi di immigrazione netta costituiscono un fattore di ostacolo
del processo di invecchiamento con effetti parzialmente compensativi. Inoltre, già oggi
l’immigrazione, purchè abbia alcune determinate caratteristiche, è vista come un’importante
opportunità di fronte, da una parte, alla prospettiva di crisi dei sistemi pensionistici vigenti e
alla crescente domanda di assistenza della popolazione anziana, dall’altra.
Fig. 3
Nel corso degli ultimi 30 anni il tasso di accrescimento della popolazione, tenuto conto
anche delle direzioni dei flussi migratori, si è contratto quattro decimi di punto nei paesi
OCSE (tab. 1), passando dall’1.2% medio annuo del periodo 1950-70 allo 0.8 dei tre
decenni successivi. Negli stessi periodi l’accrescimento della popolazione anziana ha
superato di oltre un punto percentuale quello complessivo, così che il rapporto di
dipendenza, cioè il rapporto fra popolazione anziana di età superiore a 64 anni e popolazione
in età di lavoro compresa tra i 15 e i 64 anni, è aumentato dal 15.4% del 1970 al 19.6%
dell’anno 2000. Le proiezioni al 2050 fanno emergere, da un lato, l’ulteriore rallentamento
della crescita della popolazione complessiva e la sua contrazione in molti paesi; dall’altro,
l’ampliamento della sua differenza di accrescimento rispetto alla popolazione anziana,
differenza che diviene ancora più accentuata per le persone in età di lavoro e che tende a
posizionarsi in prossimità dell’1.5% medio annuo.
La proiezione delle tendenze demografiche recenti sui tassi di fertilità, su quelli di mortalità
e sulla consistenza dei flussi netti di immigrazione, prospetta così per tutta l’area OCSE
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65+ 20-64 dipend.(dx)
Variazione del rapporto di dipendenza tra il 2000 e il 2050
e tassi di crescita m.a. della popolazione per fasce di età
Fonte: elaborazioni su dati OCSE e ONU
aumenti drammatici del rapporto di dipendenza degli anziani. Pur partendo da differenti, ma
realistiche, assunzioni circa i parametri demografici di base, le proiezioni effettuate
dall’ONU, con base nel 1999, e dall’Eurostat, con base 2000, nei loro scenari centrali
mostrano il raddoppio dei rapporti di dipendenza nei prossimi 50 anni; nel 2050 secondo
l’esercizio dell’Eurostat nell’Unione Europea si avrebbe la proporzione di un anziano ogni
due persone in età di lavoro. Il fenomeno si presenta anche con ampie differenziazioni nei
vari paesi, mostrando, tra l’altro, la maggiore intensità in paesi industriali quali il Giappone,
l’Italia e la Germania (fig. 3); esso registra, inoltre, la maggiore accelerazione tra il 2020 e il
2040, in corrispondenza con il passaggio della soglia dei 65 anni da parte delle generazioni
del baby boom, per stabilizzarsi successivamente nell’ultimo decennio (fig. 4).
Il fenomeno si è dimostrato nel tempo più importante di quanto fosse stato previsto anche
solo 10 anni fa; quanto più recente è stato l’aggiornamento della previsione, da qualsiasi
organizzazione effettuata, più elevate sono risultate le proiezioni del numero degli anziani e
dei valori dei tassi di dipendenza.
Tab. 1.2 – Dinamica della popolazione e tassi di dipendenza nei paesi OCSE al 2050.
Popolazione
di età:
(1)
Tasso di
dipendenza
anziani
Popolazione
di età:
(1)
Tasso di
dipendenza
anziani
65+ 15-64 (2) (3) 65+ 15-64 (2) (3)
Rep. Ceca 1.2 -1.0 19.5 40.2 Canada 1.9 0.3 18.7 22.6
Italia 0.9 -0.8 26.9 38.8 Irlanda 2.0 0.3 16.8 22.1
Spagna 1.2 -0.7 24.9 36.2 Olanda 1.4 -0.1 20.3 21.4
Giappone 0.9 -0.9 25.0 35.0 Norvegia 1.1 -0.1 23.8 19.0
Ungheria 0.7 -0.9 21.5 26.9 Belgio 0.9 -0.3 25.2 17.1
Polonia 1.4 -0.4 17.5 26.6 USA 1.6 0.3 19.0 16.8
Austria 1.2 -0.4 21.5 25.7 Nuova Zelanda 1.8 0.5 17.7 16.6
Germania 1.0 -0.5 24.0 24.5 Svezia 0.8 -0.1 27.1 14.9
Portogallo 1.2 -0.2 23.2 23.1 Regno Unito 1.0 -0.1 24.6 13.9
Francia 1.2 -0.2 24.4 22.9 Danimarca 1.0 -0.2 22.7 12.9
(1) – Var. % medie annue nel periodo 2000-2050.
(2) – Tasso di dipendenza anziani nell’anno 2000.
(3) - Incremento del tasso di dipendenza anziani tra il 2000 e il 2050.
Fonte: Elaborazioni su dati United Nations (1999)
Fig. 4 Fig. 5
1.2 - Le previsioni demografiche per l’Italia
Proiezioni demografiche recenti per l’Italia sono state prodotte dall’ONU, con base 1998,
dall’Eurostat e dall’Istat, entrambe con base 2000. Istat ed Eurostat adottano una
metodologia comune definita in ambito europeo; per quanto riguarda le definizioni delle
ipotesi demografiche alternative, queste sono individuate non solo sulla base di parametri
demografici coerenti, ma sono anche derivate da scenari socio-economici nei quali,
all’emergere di problematiche sociali di grande rilievo, si ipotizzano opportune innovazioni
istituzionali.
L’evoluzione della struttura della popolazione italiana nei prossimi 50 anni sarà determinata
dalla dinamica dei parametri demografici dei decenni passati, e in primo luogo, da quella
della fecondità. Nel corso dell’ultimo mezzo secolo il fenomeno demografico più rilevante è
stato rappresentato dalle generazioni del baby boom; queste varcheranno la soglia dei 65 anni
tra il 2025 e il 2040, e determineranno il passaggio di un rilevante numero di individui dalla
popolazione attiva a quella anziana. In più, il calo delle nascite osservato negli ultimi decenni
avrà, fra gli altri, l’effetto di ridurre la popolazione femminile in età fertile.
Secondo tutte le proiezioni demografiche disponibili, questi fenomeni spingeranno l’indice di
dipendenza degli anziania più che raddoppiare nella prossima metà del secolo.
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40
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1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 2040 2050
Tassi di dipendenza degli anziani nei paesi OCSE
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Giappone
Germania
Francia
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Canada
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Fonte: United Nations, 1999.
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2000 2025 2050
Proiezioni Eurostat: tassi di dipendenza
La previsione Istat.
Con riferimento all’ipotesi centrale, considerata come l’ipotesi più probabile, la proiezione
del tasso di fertilità effettuata dall’Istat deriva da un modello nel quale fra le variabili
esplicative vengono incluse la struttura per generazioni (coorti) della popolazione femminile
in età fertile e l’ordine di nascita, sul quale si definisce, per la donna rappresentativa di ogni
coorte, la distribuzione della probabilità di avere un altro figlio, dato il numero di figli già
avuti.
Rispetto alle tendenze più recenti, la proiezione Istat al 2050 mostra un aumento
dell’incidenza sul totale del numero di donne senza figli, per ogni donna di ogni specifica
coorte un lieve aumento della probabilità di avere un secondo figlio, ma una sensibile
riduzione della probabilità di avere un numero di figli superiore a due.
Il modello di previsione costruito dall’Istat per l’Italia si presenta alquanto più articolato di
quello utilizzato da Eurostat; esso considera endogenamente i movimenti migratori, sia
interregionali che verso l’estero, mentre sono esogeni i flussi di immigrazione. In questo
modo, pur assumendo parametri demografici (compreso il Tft, tasso di fecondità totale) che
dal 2030 al 2050 rimangono costanti su scala regionale, nel dato aggregato per il paese si
notano tendenze specifiche anche in quel ventennio. In questo modo il Tft, che nel 2000 era
stimato in 1.26, uno dei più bassi fra i paesi industriali, riprende a crescere fino a toccare il
valore di 1.42 nel 2050; nell’ambito di tale ipotesi l’incremento dovrebbe realizzarsi
essenzialmente nel decennio 2000-10.
Questa ripresa nel primo decennio deriva nella proiezione Istat dall’ipotesi che le coppie
decidano il numero di figli che vogliono avere sulla base di vari fattori economici e di natura
socio-culturale; da questa analisi emergerebbe un elevamento dell’età alla quale si ha il
primo figlio, con possibilità di recupero successivo delle nascite, che, non realizzate nelle età
giovanili, vengono rimandate alle età più adulte.
La previsione Istat, come detto, considera le migrazioni fra le regioni italiane, e fra queste e
l’estero. L’andamento delle emigrazioni, essendo legate alla popolazione residente, tende a
ridursi per effetto del processo di invecchiamento; le assunzioni sulle immigrazioni
prospettano invece flussi più consistenti, così che il flusso netto nell’ipotesi centrale
raggiunge i 124 mila immigrati nel 2050.
Molto meno complessa in proposito appare l’analisi dell’Eurostat, che assume una ripresa
del Tft più graduale, molto più contenuta nel primo decennio (1.36 contro 1.40 dell’Istat) e,
in generale, una crescita quasi lineare nel cinquantennio. Sebbene l’Eurostat sia alla fine più
ottimista sulla ripresa della natalità in Italia (1.50 nel 2050), un Tft inferiore a quello assunto
dall’Istat nei primi 15-20 anni e flussi di immigrazione più contenuti producono un effetto
peggiorativo sull’indice di dipendenza degli anziani rispetto a quello prodotto dalle ipotesi
assunte dall’Istat. Nel complesso, le indicazioni dell’Eurostat si pongono in posizione
intermedia, ma più vicina a quella dell’Istituto italiano, in ragione del coordinamento attuato
sugli esercizi previsivi e al quale si è accennato sopra.
Evoluzione della popolazione
Nell’ipotesi centrale, al 2050 la popolazione italiana risulterà ridotta del 9% rispetto al 2000,
i 4/5 del calo matureranno a partire dal 2030; tale contrazione sarà essenzialmente dovuta al
calo della natalità, che non compenserà il numero dei morti. Il flusso dei nati segue l’effetto
sulla struttura demografica della generazione del baby boom, dalle quali deriva dapprima un
aumento del numero delle donne in età fertile e delle nascite, poi un calo più accentuato della
natalità e quindi l’afflusso di un più elevato numero di anziani.
La popolazione in età attiva diminuisce progressivamente passando dai circa 36 milioni del
2000 ai 26 milioni circa del 2050 (-27.6%), per effetto del calo della natalità in atto sin dagli
anni ’70. La popolazione anziana, cioè quella da 65 anni di età e oltre, il cui numero non
dipende dalla natalità nei prossimi anni, crescerà senza sosta almeno fino al 2045, anno nel
quale il suo numero raggiungerà i 18.5 milioni, prima di contrarsi a circa 18 milioni per
effetto delle morti nella generazione del baby boom. L’aumento degli anziani risulterà così,
nel picco, del 78% rispetto al 2000; essi costituiranno allora il 34.8% della popolazione
italiana.
Ma è l’intera struttura della popolazione a subire un processo di invecchiamento: non solo
aumenta il numero assoluto e relativo degli anziani, ma la stessa distribuzione della
popolazione in età di lavoro si sposterà verso le coorti di maggiore età: nell’ambito della
riduzione dell’incidenza della fascia di età da 20 a 65 anni, il calo di gran lunga più rilevante
sarà quello dell’intervallo da 15 a 54 anni
1
, mentre l’incidenza degli altri da 55 a 65 anni
subirà al 2050 un leggero aumento rispetto al 2000, seppure in calo rispetto al picco del
2020. Il peso dei giovani in condizione di dipendenza sugli attivi, che attualmente è di circa il
32%, tenderà ad attestarsi sul 30%.
Tab. 1.3 - Italia: ipotesi di base per differenti scenari demografici
ONU
1998
Eurostat
2000
Istat
2000
Tasso di fertilità 2000 1.20 1.22 1.26
2020 1.40 1.43 1.41
2050 1.70 1.50 1.42
Speranza di vita alla nascita (anni) M 2000 75.0 75.5 76.2
2050 79.8 81.0 81.4
F 2000 81.2 82.0 82.6
2050 85.5 86.0 88.1
Immigrazione (000) 2000 70 50 111
2020 5 80 117
2050 0 80 124
Rapporto di dipendenza anziani (%) 2000 26.9 26.6 26.6
2020 37.4 36.7 37.3
2050 65.7 61.3 63.5
Popolazione (milioni) 2000 57.3 57.6 57.7
2020 52.9 56.0 58.0
2050 41.2 48.1 52.2
Fonti: dati ed elaborazioni su dati United Nations (1999), EPC (2001), Istat (2002: [email protected])
L’indice di dipendenza degli anziani passerà dal 26.6 al 63.5%, con un incremento del 138%:
L’indice di dipendenza totale (quello dei giovani più quello degli anziani) che offre elementi
utili a valutare il costo e la domanda potenziale di welfare state nel futuro, passerà dal 61%
attuale a più del 100%: cioè nel 2050, per ogni persona in età di lavoro ve ne sarà un’altra
non attiva alla quale andranno trasferite, attraverso il sistema redistributivo di sicurezza
sociale, risorse prodotte dalla prima. L’indice di vecchiaia (anziani/giovani, entrambi non in
età di lavoro) aumenterà del 142% e per ogni giovane vi saranno più di due anziani. (RGS)
1
Negli studi più recenti dell’OCSE (cfr. Turner et al. 1998, Visco 2001a e 2001b) è considerata in età di lavoro
la fascia di popolazione di età tra i 20 e i 64 anni, in considerazione degli standard formativi e di istruzione
oggi prevalenti nei paesi industriali per i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro.
La tab. 3 e le figure 7, 8 e 9 riportano in un quadro riepilogativo le ipotesi di base che
caratterizzano gli scenari demografici di ONU, Eurostat e Istat per l’Italia, mentre nella fig. 6
esse sono confrontate con quelle medie relative al complesso dei paesi OCSE al fine di
sottolineare il carattere accentuato dell’invecchiamento nel nostro paese.
Si può notare come le ipotesi più conservative delle tendenze rilevate negli anni ’90 portino a
una previsione di contrazione più netta della popolazione: nello scenario presentato
dall’ONU nella revisione del 1998, e assunto a riferimento dall’OCSE, la popolazione
all’anno 2050 è inferiore a quella prevista dall’Istat di ben 11 milioni di individui (il 20%
circa della popolazione attuale), con un invecchiamento più accentuato e un aumento di 38.8
punti del rapporto di dipendenza. Tutto ciò nonostante le ipotesi iniziali, rispetto agli altri due
scenari, assumessero: a) un più rapido recupero del tasso di fertilità dai valori di 1.2 sino a
1.7 nell’anno finale della previsione; b) una più bassa speranza di vita alla nascita sia per gli
uomini che per le donne.
In effetti il quadro dell’ONU appare nettamente più pessimistico per ciò che riguarda
l’apporto degli immigrati, i cui flussi, dalle 70 mila unità annue del 2000, si annullano subito
dopo il 2020. In tal modo, il sensibile recupero del tasso di fertilità a 1.7 nel 2050, comunque
inferiore al tasso di 2.1 figli per donna che assicurerebbe la stabilità della popolazione,
sarebbe interamente da attribuire a un diverso atteggiamento degli italiani di fronte alla
discendenza, senza alcun apporto degli immigrati.
Fig. 6 Fig. 7
Scenario demografico ONU al 2050
età mediana
longevità
f ertilità
dipendenza%
OCSE Italia
4060
2.0
1.0
60 80
60
40
ONU(OCSE) - Previsioni demografiche: Italia
età mediana
longevità
f ertilità
dipendenza%
2000 2050
4060
2.0
1.0
60 80
60
40