6
1. Popolazione residente.
L’ammontare della popolazione
1
è passato da 26.328.mila nel
1861 a 56.306mila
2
circa nel 2001, incrementandosi più del dop-
pio con uno sviluppo che è risultato sufficientemente regolare nel
tempo e piuttosto contenuto. La lieve flessione dell’ultimo decen-
nio segnalata dai dati provvisori del censimento del 2001 rispetto
a quelli definitivi del censimento del 1991, è almeno in parte, do-
vuta al fatto che mancano ancora i dati di alcuni comuni medio-
grandi. Nell’ipotesi che il perfezionamento delle operazioni pro-
duca un recupero simile a quello verificatosi nel 1991, (circa
300mila unità), l’ammontare della popolazione potrebbe attestarsi
intorno si 56.650mila unità.
Il tasso medio annuo di incremento
3
è stato, nei successivi pe-
riodi intercensuali sempre al di sotto del dieci per mille
4
.
1
Le modificazioni di carattere quantitativo di una popolazione sono determinate
dall’aumento o dalla diminuzione del numero dei suoi componenti. L’aumento può essere
conseguente all’arrivo di nuovi nati (N) o dall’afflusso di immigrati (I); la diminuzione può essere
prodotta dalla perdita dei morti (M) o dal deflusso degli emigrati (E). Pertanto l’equazione della
popolazione in un determinato periodo di tempo, è la seguente : Pt – Po = N – M + I - E
2
Dato provvisorio Istat relativo al Censimento del 2001. I risultati provvisori del 14°
Censimento generale della popolazione e delle abitazioni sono stati pubblicati dall’Istat on-line sul
sito www.dawinci.istat.it
3
La variazione media è calcolata dall’Istat in base alla formula dell’interesse composto,
prendendo come intervallo di tempo quello che intercorre tra le date dei vari censimenti
4
Il valore più alto è stato 8,6 per mil.le registratosi sia nel 1901-11 che nel 1921-31.
7
TABELLA 1.1 – EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE
CENSITA DAL 1861 AL 2001.*
ANNI MASCHI FEMMINE TOTALE TASSI INCREM.
1861 13.399 12929 26328 ______
1871 14316 13835 28151 6,7
1881 15134 14657 29791 5,7
1901 16990 16788 33778 6,3
1911 18608 18313 36921 8,9
1921 18814 19042 37856 2,5
1931 20181 20862 41043 8,1
1936 20826 21573 42399 6,5
1951 23259 24257 47516 7,6
1961 24784 25840 50624 6,3
1971 26476 27661 54137 6,7
1981 27506 29051 56557 4,4
1991 56778 0,4
2001 29.261 29.045 56.306 0,8
*Popolazione residente al 31 dicembre: dati in migliaia.
I dati relativi al 2001 sono dati provvisori.
La variazione complessiva della popolazione italiana è stata la
risultante di una dinamica naturale largamente positiva (ecceden-
za della natalità sulla mortalità), anche se caratterizzata da una va-
riabilità accentuata, e di una dinamica migratoria costantemente
negativa fino al 1980. Nel decennio successivo il saldo migratorio
è diventato positivo.
Gli anni di maggior deflusso della popolazione sono stati quel-
li, dal 1881 al 1930 – fatta eccezione del decennio della prima
guerra mondiale – in cui maggiore è risultata la pressione demo-
grafica imputabile alla dinamica naturale. Negli anni indicati, in-
fatti, il tasso di incremento naturale supera la soglia del dieci per
mille, mai toccata in precedenza e nei periodi successivi. Nel con-
tempo, il tasso di incremento migratorio s’aggira su valori tra –3,0
per mille e 4,5 per mille, valori che si discostano da quelli dei de-
cenni precedenti e successivi anche più di tre punti.
8
La popolazione residente censita risulta inferiore alla popola-
zione calcolata sulla base dei dati anagrafici all’1.1.2001 di
1.538.449 unità (-2,7%).
La popolazione anagrafica ammonta a 57.844.017. Tale diffe-
renza è stata rilevata anche in occasione dei precedenti censimen-
ti
5
e dipende da una serie di fattori: da una parte la possibile sot-
tostima del censimento che può avere interessato, in particolare,
alcuni gruppi di popolazione particolarmente mobili sul territorio
o non pienamente disponibili alla rilevazione (come ad esempio
gli stranieri); dall’altra lo stato non sempre soddisfacente delle
anagrafi comunali. Per quanto riguarda la soluzione di
quest’ultimo problema dovrà provvedere il processo di revisione
anagrafica, conseguente al confronto tra i dati censuari e quelli
anagrafici.
5
La popolazione censita era inferiore rispetto alla popolazione angrafica di 583.444 unità
nel 1981 e di 968.132 unità nel 1991.
9
2. Dinamica naturale.
La fase ad elevato incremento naturale
6
registratasi a cavallo
dei due secoli, è legata al diverso ritmo con cui si è manifestata la
diminuzione della natalità e della mortalità. La natalità
7
infatti,
che nel 1881-90 era ancora sui livelli del 1861-70 (37,8 per mille
contro 37,6 per mille) è stata caratterizzata da una tendenza alla
diminuzione molto graduale, mentre più rapida e consistente è ri-
sultata la riduzione della mortalità: nel corso di un secolo, tra il
1861-70 e il 1961-70, la natalità si è ridotta a poco meno della
metà (da 37,6 per mille a 18,0 per mille), la mortalità a poco me-
no di un terzo (da 30,3 per mille a 9,6 per mille). Ciò dipende dal
fatto che, mentre la riduzione della natalità è legata alla diffusione
di una mentalità favorevole al controllo della procreazione da par-
te delle coppie, diffusione che di norma si realizza in tempi lunghi
in quanto comporta il modificarsi di modelli di comportamento
cui la popolazione è saldamente ancorata, i fattori che determina-
6
Si definisce “movimento naturale” della popolazione la differenza tra il numero dei nati
(N) e il numero dei morti (M) in un determinato arco di tempo (generalmente un anno ) in rapporto
alla popolazione presente (P) a metà del periodo considerato. Il movimento naturale può assumere
valore positivo, per il prevalere del numero dei nati vivi su quello dei morti (incremento) o,
viceversa, valore negativo (decremento). Il tasso di incremento naturale è espresso dalla formula:
(N-M) / P x 1000.
7
Il “tasso generico di natalità” (o di “mortalità”) è la misura statistica del numero dei nati
vivi (N) o dei morti (M) in un determinato intervallo di tempo, in rapprto alla rispettiva
popolazione (P), riferita a metà dell’intervallo di tempo considerato. Pertanto i tassi generici di
natalità e di mortalità sono espressi dalla seguente formula: N/P x 1000 e M/P x 1000.
10
no il regresso della mortalità (i miglioramenti igienico sanitari,
dell’alimentazione e i progressi della medicina in campo preven-
tivo terapeutico e chirurgico) producono i propri effetti in tempi
relativamente brevi.
Nel periodo intercensuale 1961-71, i quozienti medi di natalità
e mortalità risultano praticamente uguali a quelli del decennio
precedente: mentre la natalità ha presentato un aumento fino al
1964 ed è andata man mano decrescendo fino al crollo dei decen-
ni successivi. Il lieve incremento della mortalità è soprattutto ap-
parente in quanto dipende dall’influenza che l’invecchiamento
della popolazione esercita sul livello del quoziente generico.
La vita media alla nascita
8
ha continuato, infatti, a crescere, ar-
rivando nel 2001 a 76,2 anni per i maschi e 82,6 anni per le fem-
mine: quasi il doppio di quello registratosi all’inizio del secolo
scorso.
Le differenziazioni regionali nel comportamento demografico
sono molto marcate e si sono andate accentuando nel tempo. Il
tasso di natalità, più elevato nelle Regioni meridionali e nelle Iso-
le, ha subito in tutta l’Italia una notevole flessione, al Nord a par-
tire dagli anni Trenta e al Sud a partire dagli anni Sessanta.
Le posizioni invece sono ribaltate per quanto riguarda la mor-
8
La vita media alla nascita è il probabile numero medio di anni di vita per un neonato.
E’ calcolata statisticamente in base all’esperienza mortuaria di una determinata popolazione.
I valori italiani sono tra i più alti in Europa secondo il Rapporto Eurostat 2002.
11
talità, anche per effetto della diversa composizione per età. A par-
tire dalla fine degli anni Sessanta, la fecondità ha presentato una
forte decrescita in tutte le regioni, mantenendosi comunque un
chiaro divario tra le regioni centro settentrionali e quelle meridio-
nali, che rappresentano ancora la prevalente fonte di capitale u-
mano del Paese.
Il numero medio di figli per donna
9
è passato da 2,41 nel 1960
a 1,68 nel 1980, a 1,25 nel 2000, un valore di oltre il 40 per cento
inferiore a quello necessario per assicurare il rimpiazzo tra gene-
razioni e la stazionarietà di lungo periodo della popolazione.
Il saldo naturale per l’anno 2000 è stato di -35.410 unità al
Nord, -16588 unità al Centro, 34.796 unità al Sud. In totale in Ita-
lia si è registrato un deficit di nascite rispetto alle morti di 17.202
unità.
9
Il numero medio di figli per donna, o tasso di fecondità totale (TFT), indica il numero
medio di figli messi al mondo in assenza di mortalità.
12
3. Movimento migratorio con l’estero.
L’emigrazione italiana all’estero è stata molto sostenuta fino
alla metà degli anni settanta. Nella storia dell’emigrazione italiana
si possono evidenziare sette fasi principali.
10
La prima fase, dal 1876 all’inizio del ventesimo secolo, è ca-
ratterizzata dalla graduale crescita del fenomeno: dai 100 mila e-
spatriati per anno dell’inizio del periodo agli oltre 300 mila
nell’ultimo quinquennio del secolo. Il flusso migratorio interessa
inizialmente soprattutto le regioni dell’Italia settentrionale.
L’emigrazione meridionale è in un primo momento meno intensa
e riguarda alcune aree ben circoscritte. Solo verso la fine del di-
ciannovesimo secolo s’inizia ad assistere ad un aumento del suo
peso percentuale.
La seconda fase, che va dall’inizio del secolo allo scoppio del-
la prima guerra mondiale, rappresenta il momento di massimo
sviluppo del fenomeno: si hanno in media più di 600 mila espatri
l’anno, con un picco di 873 mila persone nel 1913. In questo pe-
riodo aumenta la componente meridionale arrivando a costituire
poco meno della metà del flusso in uscita, mentre la popolazione
10
I dati riportati nel testo sono tratti da N. FEDERICI, Istituzioni di demografia, Elia,
Roma, 1979; e A. M. BIRINDELLI, Le migrazioni con l’estero. Chiusura di un ciclo e avvio di
una nuova fase, in “Demografia e società in Italia”, a cura di E. Sonnino, Editori riuniti, Roma,
1989.
13
del Mezzogiorno rappresenta, in quegli anni circa il 37 per cento
di tutta la popolazione del paese.
La terza fase coincide con gli eventi bellici della prima guerra
mondiale, ed è caratterizzata da una forte contrazione
dell’emigrazione.
La quarta fase si apre con la fine del conflitto e si prolunga fi-
no al 1930. Essa precede la piena attuazione della politica
antimigratoria del governo fascista, politica applicata
gradualmente sin dal 1924 e pienamente a partire dal 1928 e i cui
effetti si vanno a sommare a quelli della grande crisi economica
del 1929 che determina una forte riduzione delle possibilità di
inserimento dei lavoratori emigrati. Nel 1920 si verificano più di
600 mila espatri. Negli anni successivi, ad eccezione di alcuni
rialzi tra il 1922 e il 1924 e nel 1930, prevale un trend
progressivamente decrescente, con una media annua di espatri
nell’intero periodo di 290 mila unità.
Negli anni trenta, che costituiscono la parte iniziale della quin-
ta fase che si concluderà con la fine del secondo conflitto, la poli-
tica antimigratoria introdotta dal fascismo rappresenta il fattore
determinante nel calo del fenomeno. In questi quindici anni si ve-
de una emigrazione molto ridotta, senza considerare la migrazio-
ne quasi forzata di almeno 485 mila lavoratori italiani in Germa-
nia durante il periodo bellico.
Dopo il secondo conflitto mondiale, l’emigrazione riprende
con rinnovato vigore, anche se su livelli più contenuti rispetto ai
massimi registrati ad inizio secolo. La ripresa dell’emigrazione fu
14
una scelta esplicita dei governi italiani, che si concretizzò in nu-
merosi accordi bilaterali con diversi paesi d’immigrazione euro-
pei, (nel 1946 con Francia e Belgio, nel 1947 con Svezia e Gran
Bretagna, nel 1948 con Svizzera e Lussemburgo, e nel 1955 con
la Germania)
11
ed extraeuropei (Argentina, Brasile ed Austra-
lia)
12
.
Tra il 1946 e il 1965 il flusso totale in uscita è pari a 5,6 milio-
ni di unità con una progressiva meridionalizzazione dei flussi
d’emigrazione, effetto della riduzione delle partenze dalle altre
tradizionali aree d’esodo dell’Italia nord-orientale. Nello stesso
periodo il paese è interessato da una forte dinamica migratoria in-
terna che trasferisce quote di popolazione eccedente dalle aree più
arretrate economicamente dell’Italia nord-orientale e del Mezzo-
giorno verso i poli industriali dell’Italia nordoccidentale e verso la
capitale. Dal 1951 al 1965 cambiano residenza circa un milione e
mezzo di persone; il triangolo industriale presenta un saldo migra-
torio positivo di 115 mila persone all’anno per quindici anni, il
Lazio assorbe 31 mila persone l’anno
13
. Dal 1955 al 1970 il com-
plesso dei trasferimenti anagrafici tra i comuni è stato pari a 24,8
11
Vedasi E. SORI, Emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, Il
Mulino, Bologna, 1979.
12
C. BONIFAZI, L’immigrazione straniera in Italia, Il Mulino, Bologna, 1998.
13
A. GOLINI, Distribuzione della popolazione, migrazioni interne e urbanizzazione in
Italia, Istituto di demografia dell’Università di Roma La Sapienza, Roma, 1974.
15
milioni di unità, con un saldo migratorio negativo per il Mezzo-
giorno superiore ai due milioni
14
.
Nella seconda metà degli anni sessanta si apre la settima e ul-
tima fase nella storia della emigrazione italiana. In questo periodo
si ha una forte riduzione dei flussi sia per effetto del processo di
sviluppo economico sia per la progressiva sostituzione nei mercati
del lavoro europei della forza lavoro italiana con quella prove-
niente da altri paesi mediterranei.
Nei primi anni settanta il saldo migratorio (riferito ai cittadini
italiani) diventa per la prima volta positivo. Viene così a conclu-
dersi la lunga fase della emigrazione di massa, iniziatasi
all’indomani dell’unità del paese. Nel periodo 1986-97
15
sono sta-
te registrate 528.700 iscrizioni anagrafiche di italiani provenienti
dell’estero e 508.847 cancellazioni di italiani per l’estero, con la
media annuale di 48 mila rimpatri e 46 mila espatri. Nel 1998
16
i
cittadini italiani che si sono cancellati dai loro comuni per trasfe-
rirsi all’estero, sono stati 37.637, numero inferiore alla media de-
gli anni precedenti. Anche il flusso di coloro che rimpatriano si è
14
G. MOTTURA – E. PUGLIESE, Mercato del lavoro e caratteristiche
dell’immigrazione italiana nell’ultimo quindicennio, in P. LEON e M. MAROCCHI, Sviluppo
economico italiano e forza lavoro, Marsilio Editori, Venezia-Padova, 1973.
15
Elaborazioni Caritas/Dossier Statistico Immigrazione su dati Istat. CARITAS, Dossier
Statistico Immigrazione 2001, Nuova Anterem, Roma, 2001.
16
Elaborazioni Caritas/Dossier Statistico Immigrazione su dati Istat. CARITAS,Dossier
statistico immigrazione 2002, Nuova Anterem, Roma, 2002.
16
molto ridotto, attestandosi sulle 30.080 unità. Il saldo tra iscrizio-
ni e cancellazioni è stato negativo di 8.181 unità. Espatria uno
ogni 1.500 persone residenti in Italia e rimpatria uno ogni 134 ita-
liani soggiornanti all’estero. Gli espatri sono prevalsi sui rimpatri
nel Nord Ovest, nel Sud e nelle Isole, mentre i rimpatri sono pre-
valsi sugli espatri nel Nord Est e nel Centro.
17
4. Invecchiamento della popolazione italiana.
La piramide per sesso ed età della popolazione italiana, carat-
terizzata da chiari restringimenti dovuti alla forte diminuzione
delle nascite nei periodi bellici, ha subìto profonde modificazioni
nel tempo, con una chiara tendenza all’attenuazione
dell’inclinazione per effetto della riduzione della mortalità e nella
fase finale con un notevole restringimento della base dovuto alla
riduzione delle nascite.
Da quella forma piramidale in cui le classi diminuiscono di
consistenza mano a mano che sale l’età, e considerata fino a non
molto tempo fa come “normale” raffigurazione della struttura per
età di una popolazione, si è arrivati ad una rettangolarizzazione
della distribuzione, con tutti i gruppi ad avere dimensioni più o
meno analoghe.
Al 1° gennaio 2001
17
, infatti, la popolazione dell’Italia, risul-
tava costituita per il 19,8% da persone aventi meno di 19 anni, per
il 37,2% da persone aventi tra i 20 ed i 44 anni, per il 25% da per-
sone aventi tra i 45 ed i 64 anni e per il 18% da persone aventi più
di 65 anni. Nel 2001 l’Italia è risultata il paese più vecchio del
mondo, dopo aver superato di poco il Giappone.
17
Elaborazioni Caritas/Dossier statistico 2001 su dati Istat. CARITAS, Dossier statistico
immigrazione 2001, Roma, Nuova Anterem, 2002.
18
La percentuale degli ultrasessantenni sulla popolazione totale è
del 24,5%
18
.
Per il futuro è possibile ipotizzare il ritorno ad una piramide,
ma questa volta rovesciata, con il vertice nelle generazioni più
giovani e meno numerose e la base in quelle più anziane e più co-
spicue. Ciò imporrà di rivedere istituti, assetti e modi della vita
sociale, costruiti su una struttura della popolazione del tutto diver-
sa da quella che si va delineando.
Modificandosi la popolazione, la sua struttura e le sue dinami-
che, cambia, infatti, un elemento fondamentale dei contesti di rea-
lizzazione delle attività umane, e sorge la necessità di procedere
ad un adeguamento dei diversi quadri organizzativi e legislativi
alla mutata realtà demografica.
Le migrazioni internazionali potrebbero essere viste in questo
contesto come una delle possibili soluzioni allo squilibrio demo-
grafico.
Da un punto di vista puramente contabile, non c’è differenza
tra un nato e un immigrato e può essere anzi più conveniente e
vantaggioso accogliere una persona già in età da lavoro e per la
quale non si sono sostenuti costi di allevamento e di formazione.
Si risolverebbero o quanto meno si attenuerebbero alcuni dei pro-
18
Dati forniti nell’Assemblea mondiale sull’invecchiamento organizzata a Madrid nel
2002 dall’ONU.
19
blemi determinati dalla riduzione della fecondità e dal conseguen-
te invecchiamento della popolazione.
19
Diversi lavori hanno cercato di quantificare il flusso di immi-
grazione necessario per riequilibrare la struttura per età della po-
polazione nei paesi con alti livelli di invecchiamento ed un tasso
di fecondità inferiore al livello di sostituzione delle generazioni
(due figli per donna).
Da un punto di vista demografico si è cercato di capire quale
dovrebbe essere l’immigrazione adeguata per il raggiungimento
della popolazione stazionaria (vale a dire una popolazione di am-
montare costante e con una struttura per età fissa ed invariante nel
tempo
20
.
Le simulazioni che sono state effettuate hanno tuttavia mostra-
to la impraticabilità di una politica migratoria basata solo su
obiettivi demografici.
19
C. BONIFAZI, L’immigrazione straniera in Italia, Il Mulino, Bologna, 1998.
20
G. GESANO, Nonsense and unfeasibility of demographically – based immigration
policies in “Genus”, l (3-4), luglio-dicembre, 1994. ]. L’autore conclude che: «from the
proceeding simulations we know that a stationary population under our assumptions would entail
the constant presence of about 30 per cent of non assimilated foreign-born population»
A. GOLINI, A. DE SIMONI, F. CITONI. Tre scenari per il possibile sviluppo della
popolazione delle regioni italiane al 2044 (base 1994). Irp Cnr, Roma, 1995.
21
Dati contenuti nello studio sulla “Replacement Migration “ (2000)delle Nazioni Unite,
rielaborati da C. BONIFAZI per CARITAS, Dossier Statistico Immigrazione 2001.