8
I motivi della persecuzione possono essere i più svariati:
invidie, gelosie, disorganizzazioni lavorative con carenza di
regole che colpiscono le vittime designate, alle quali non si
lascia spazio per costruire e gestire i normali rapporti
interpersonali e professionali.
Gli elementi identificativi del mobbing sono dunque: la
presenza di almeno due soggetti, il mobber ed il mobbizzato, che
entrano in contrasto tra loro, l’attività vessatoria e continua, lo
scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla
definitivamente o comunque di impedirle di esercitare un ruolo
attivo sul lavoro
1
.
Sicuramente le situazioni contingenti legate ai problemi
dell’occupazione, del ridimensionamento dell’organico, della
riorganizzazione e ristrutturazione, soprattutto delle grandi
aziende, che interessa sia il settore pubblico che privato, hanno
favorito il sorgere di forti conflittualità e tensioni nei relativi
ambienti di lavoro.
1
Alessandro BOSCATI, Mobbing e tutela del lavoratore, in Diritto delle relazioni
industriali, 2001, n.2.
9
2. Le varie tipologie del mobbing
Il fenomeno del mobbing è sempre esistito: la
prevaricazione del più forte sul più debole negli ambiti sociali, e
quindi anche in quelli lavorativi, fa parte della natura umana.
Recentemente però sociologi, psicologi, medici e giuristi
hanno ampliamente riflettuto sulla natura di tale attività e
attentamente analizzato ogni sfaccettatura della sua complessa
essenza, dando un quadro sempre più preciso e oculato circa le
ragioni della sua origine e gli effetti che scaturisce.
Le prime teorizzazioni del fenomeno mobbing si devono ad
un gruppo di psicologi del lavoro svedesi, capitanati da Heinz
Leymann
2
, che a partire dagli anni Ottanta ne ha studiato le
negative conseguenze, in termini di grave alterazione
2
Heinz LEYMANN, autorevole psicologo e ricercatore, che è ritenuto il fondatore di
questo ambito di ricerca all’interno della psicologia del lavoro. E’ autore di molte
pubblicazioni tra le quali: Mobbing and psychological terror at workplaces, in
“Violence and Victims”, 1990, Vol.5, n.2; The Content and Development of Mobbing
at Work, in European Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, n.5;
Mobbing at work and the development of post-traumatic stress disorders in European
Journal of Work and Organizational Psychology, 1996, n.5. Leymann cura inoltre un
sito multilingue sul mobbing che costituisce una vera miniera di informazioni
sull’argomento, la c.d. The Mobbing Encyclopaedia, consultabile all’indirizzo
www.leymann.se.
10
dell’equilibrio psichico e connessa menomazione della capacità
lavorativa.
Gli studiosi di psicologia del lavoro hanno individuato tre
diverse tipologie nelle quali si concretizza il fenomeno quale
sistematica attività ostile, posta in essere da colleghi o superiori
nei confronti del lavoratore:
a) Comportamenti che incidono sulla possibilità di
un’adeguata comunicazione in azienda da parte della
vittima;
b) Condotte che creano difficoltà nel mantenere i contatti
sociali in ambito lavorativo o che ne ledono la reputazione;
c) Iniziative che influiscono negativamente sulla sua
posizione occupazionale o che ne pregiudicano la salute
psichica.
In particolare, per riprendere la definizione di Leymann, il
mobbing si realizza con una sorta di “terrorismo psicologico“
che implica un atteggiamento “ostile e non etico“ posto in essere
in forma sistematica da uno o più soggetti, di solito nei confronti
di un unico individuo che, a causa di tale “persecuzione“, si
11
viene a trovare in una condizione indifesa e diventa oggetto di
continue attività vessatorie e persecutorie, che ricorrono con una
frequenza sistematica e nell’arco di un periodo di tempo non
breve, determinando “considerevoli sofferenze mentali e
sociali“.
Non rilevano, dunque, nell’individuazione del fenomeno, le
situazioni di conflitto solo temporaneo, che pure di frequente
possono presentarsi nelle relazioni interpersonali che si
intrecciano nei luoghi di lavoro, ma solo quelle particolari
situazioni con riguardo alle quali la frequente ricorrenza,
pressoché giornaliera, la durata e l’intensità delle condotte
vessatorie poste in essere nei confronti della vittima determinano
un’insostenibilità psicologica che può portare ad un crollo
dell’equilibrio psicofisico del soggetto “mobbizzato”.
Come precisa Leymann, la distinzione tra un normale
conflitto tra colleghi o con i superiori gerarchici, che pure può
verificarsi sul lavoro, ed il vero e proprio mobbing, “non si
focalizza su ciò che è fatto o su com’è fatto, ma piuttosto sulla
12
frequenza e sulla durata di ciò che è fatto“
3
; ciò che rileva è,
dunque, il continuo ripetersi in un arco di tempo di una certa
durata del trattamento vessatorio che viene inflitto alla vittima.
Con riferimento ai soggetti che pongono in essere queste
strategie persecutorie, viene poi operata una distinzione tra il
c.d. mobbing verticale ed il c.d. mobbing orizzontale, non di
rado peraltro le due tipologie finiscono per intrecciarsi in una
comune strategia.
2.1 Il mobbing verticale
Si parla di mobbing verticale quando il comportamento
vessatorio è posto in essere dal datore di lavoro o dai superiori
gerarchici. Questo comportamento può scaturire anche da una
vera e propria strategia aziendale, diretta o indiretta, volta a
rendere impossibile la vita lavorativa e non, della vittima
designata; a tale riguardo è stato coniato il termine “bossing”.
3
Heinz LEYMANN, The definition of mobbing at work, in The mobbing
encyclopaedia.
13
Il fenomeno si ha, ad esempio, soprattutto quando non
potendo l’azienda licenziare direttamente il lavoratore da lei non
desiderato, lo conduce all’esasperazione al fine di costringerlo a
dimettersi. Problemi di riduzione, ringiovanimento,
razionalizzazione del personale sono, ormai, all’ordine del
giorno nella gestione dell’impresa.
Si parla quindi di bossing, quando i dirigenti dell’azienda
compiono atti vessatori con lo scopo preciso di indurre il
dipendente divenuto scomodo a dimissioni anticipate e personali
al riparo, il più delle volte, da qualsiasi problema di tipo
sindacale.
L’azienda dunque, attraverso i mobber, cerca di creare
attorno alla persona da “eliminare” un clima di tensione
insopportabile: atteggiamenti severi, minacce, rimproveri, a
volte anche sabotaggi venuti dall’alto difficilmente dimostrabili.
Tutti questi atteggiamenti sono volti ad una vera e propria
ricerca finalizzata a colpire i dipendenti o il singolo dipendente.
I mobber quindi, il più delle volte, si configurano come la
stessa azienda.
14
2.2 Il mobbing orizzontale
Il mobbing orizzontale si verifica, invece, quando la pratica
vessatoria proviene dai colleghi di lavoro.
Il fenomeno si ha quando un gruppo di lavoratori si
coalizza al fine di emarginare un altro lavoratore non gradito dal
gruppo stesso. Talvolta questa molestia collettiva orizzontale
può essere una dinamica psicologica di più persone quasi
inconsapevole, diretta a scaricare su di un capro espiatorio le
tensioni, l’aggressività e le gelosie del lavoro.
Spesso vi sono dei comportamenti ben individuati che
possono indicare l’inizio di un attacco vessatorio dei colleghi di
lavoro verso uno di loro; un lavoratore infatti si può trovare in
situazioni dove l’intento persecutorio da parte dei suoi colleghi
risulta palese: dissidi o i litigi con i colleghi diventano molto più
frequenti del solito; il lavoratore viene tagliato fuori da notizie e
comunicazioni importanti per il lavoro, non viene data risposta a
richieste verbali o scritte, i colleghi di lavoro provocano per
indurre la vittima a reagire in modo incontrollato.
15
L’origine del mobbing orizzontale risiede nel tentativo di
colpire chi potrebbe portare scompiglio nel gruppo e negli
equilibri aziendali, togliere di mezzo chi può determinare il
venir meno di piccoli domini e privilegi dai più conquistati
4
.
Di frequente, inoltre, al di là delle condotte apertamente
vessatorie, la situazione di isolamento della vittima viene
ulteriormente amplificata anche dai comportamenti dei c.d. “side
mobbers“, cioè tutti quei soggetti (superiori gerarchici, direttori
del personale, ma anche semplici compagni di lavoro) che, pur
non essendo direttamente responsabili delle condotte
“mobbizzanti“, scelgono, essendone venuti a conoscenza, di
restare “spettatori silenziosi“ delle persecuzioni a danno della
vittima designata
5
.
4
A.M. PERRINO, In tema di mobbing, in Il Foro Italiano, 2000, n.5, I, pag. 1554.
5
Vittorio MATTO, Il mobbing fra danno alla persona e lesione del patrimonio
professionale, in Diritto delle relazioni industriali, 1999, n.4, pag. 491.
16
3. Le fasi del mobbing
3.1 Il modello di Leymann
Leymann delinea il mobbing come un fenomeno dinamico
progressivo articolato in varie fasi
6
:
I fase: il conflitto quotidiano. La situazione conflittuale tra
colleghi o superiori è tendenzialmente normale nei luoghi di
lavoro, ma può costituire la base di partenza per il mobbing
quando il momentaneo screzio non viene risolto e diventa terreno
fertile per coltivare sentimenti di rivalsa e vendetta.
II fase: l’inizio del mobbing. La situazione conflittuale
matura e diventa continuativa e sistematica trasformandosi in
mobbing vero e proprio. I ruoli della vittima e del mobber si
stabilizzano.
III fase: errori ed abusi anche illegali dell’amministrazione
del personale. La vittima, oggetto di attacchi continui, comincia
a manifestare i primi segni di malattia e tende ad assentarsi
spesso dal luogo di lavoro.
6
Ricostruzione del modello di Leymann proposta da Roberta NUNIN, Alcune
considerazioni in tema di mobbing, in Italian labour law journal, 2000, n.1.
17
Il caso diviene allora ufficiale, viene aperta un’inchiesta
interna, che tuttavia può condurre ad un’ulteriore
colpevolizzazione della vittima, laddove il problema sia
imputato alla personalità debole del mobbizzato od a manie di
persecuzione dello stesso.
IV fase: esclusione dal mondo del lavoro. Il mobbing
raggiunge il suo scopo: la vittima viene allontanata
dall’ambiente di lavoro attraverso vari mezzi (dimissioni,
licenziamento, pre-pensionamento).
3.2 Il modello di Ege
Il modello di mobbing a quattro fasi di Leymann è stato
rivisitato ed adattato alla situazione italiana da Harald Ege
7
, il
quale ha proposto una versione a sei fasi del mobbing più una
7
Harald EGE, psicologo del lavoro e specialista in relazioni industriali e del lavoro,
ha cominciato lo studio del mobbing nei paesi nordeuropei ma, da oltre un decennio,
svolge la sua attività in Italia, a Bologna, dove collabora con l’Università ed ha
fondato l’Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale. Ege è autore di
vari libri sul mobbing. Tra cui in particolare: I numeri del mobbing. La prima ricerca
Italiana, Bologna, 1999, che fornisce anche un chiaro quadro statistico della
situazione in Italia; Il Mobbing in Italia. Introduzione al Mobbing culturale, Bologna,
1997; “Mobbing. Che cos’é il terrore psicologico sul posto di lavoro”, Bologna,
1996.
18
sorta di pre-fase, detta condizione zero, che ancora non è
mobbing ma che ne costituisce l’indispensabile presupposto.
Tali modifiche, secondo Ege, si sono rese necessarie per
permettere l’utilizzazione di un modello predisposto per i paesi
nordici (scandinavi ed anglosassoni) che presentano realtà
sociali assai diverse da un paese quale l’Italia.
Il mobbing secondo Ege si suddivide nelle seguenti fasi:
la condizione zero: è riscontrabile solo nel sistema italiano
e si caratterizza per la presenza negli ambienti di lavoro di
condizioni favorevoli allo sviluppo del mobbing e consistente in
un clima ostile di tensione determinato, tra l’altro, da un clima
particolarmente sfavorevole del mercato del lavoro, o
dall’ambizione di alcuno, o dalla concorrenza tra i lavoratori;
la fase uno si caratterizza per l’individuazione della
vittima, ossia del soggetto su cui verranno riversate le ostilità
dell’ambiente di lavoro, quella che fungerà da “capro espiatorio”
per ogni problema aziendale e/o dei singoli lavoratori. In questa
fase il fenomeno mobbing non è ancora emerso con chiarezza e
non è ancora possibile capire se mai si realizzerà;
19
la fase due, nella quale il fenomeno mobbing prende piede
e si afferma la cosciente volontà di alcuni di colpire il capro
espiatorio il quale peraltro, pur percependo l’inasprimento delle
relazioni con i colleghi, ancora non presenta sintomi o malattie
di tipo psico-somatico;
la fase tre, nella quale la vittima comincia ad avvertire i
primi sintomi psicosomatici, che si manifestano con un senso di
insicurezza, ansia, insonnia, disturbi digestivi;
la fase quattro che si caratterizza per l’oggettività e la
pubblicità del fenomeno mobbing che diviene di dominio
pubblico ed oggetto di valutazione da parte dell’ufficio
personale;
la fase cinque in cui si registra, da una parte, un serio
peggioramento nelle condizioni di salute della vittima che
comincia a soffrire di forme depressive più o meno gravi e a far
uso di psicofarmaci e terapie con scarso risultato e, dall’altro,
l’azienda adotta azioni disciplinari che aggravano ulteriormente
le condizioni della vittima;
20
la fase sei che realizza l’esclusione della vittima dal mondo
del lavoro tramite dimissioni volontarie, licenziamento o pre-
pensionamento.
Contestualmente allo svilupparsi delle varie fasi del
mobbing lavorativo si sviluppa inoltre, secondo Ege, anche il
mobbing tra le mura domestiche, il c.d. doppio mobbing, ossia
quell’insieme di vessazioni che la vittima subisce dalla propria
famiglia e/o dagli amici in aggiunta alle persecuzioni lavorative.
Succede, infatti, molto spesso che il mobbizzato tenda a
sfogare le frustrazioni e la rabbia accumulate sul luogo di lavoro
nella propria cerchia familiare ed amicale.
Gli studi più recenti sul mobbing si sono concentrati in
particolare sull’individuazione delle categorie dei soggetti a
rischio nonché nella ricerca delle cause e delle possibili
soluzioni da approntare contro il fenomeno.
21
Da tali ricerche emerge, tra l’altro, che il mobbing
interessa in particolare tre grosse tipologie di soggetti (i c.d.
oggetti a rischio): i “creativi“, gli “onesti“ ed i c.d. “superflui“
8
.
Per “creativi“ si intendono quei soggetti che hanno capacità
di proposta, d’innovazione e che in qualche modo si
diversificano dal gruppo cui appartengono; gli “onesti“ sono
persone che si trovano ad operare in un ambiente nel quale
esistono cordate di potere, gruppi molto coesi dove chi non
collabora o si estranea è facilmente sottoposto a trattamenti di
emarginazione, di esclusione, di dequalificazione, di
eliminazione dal gruppo con la tecnica del mobbing; la categoria
dei “superflui“, infine, costituisce il risultato di grosse
operazioni di riorganizzazione aziendale (fusioni, accorpamenti,
le grandi operazioni di merger anche a livello internazionale)
che creano esuberi di personale ed inducono le direzioni
aziendali a ricorrere a strategie che spingono i lavoratori a
dimettersi.
8
Renato GILIOLI, Soggetti a rischio, frequenza ed estensione del fenomeno nel
nostro paese: un’analisi quantitativa e Antonio CASILLI, Un approccio sistemico al
mobbing e logiche di risposta dagli atti del seminario della Camera del Lavoro di
Milano del 31 Maggio 2000 su “Mobbing: un male oscuro“.